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Gianni Brera è riuscito come mai nessun altro a dare spessore culturale e 
letterario al giornalismo sportivo, dotandolo di un linguaggio tutto suo che non 
aveva mai avuto prima.  
Ma tornando allo stile che ha contraddistinto Brera e prima di addentrarmi in 
una sua analisi più approfondita, ho ritenuto opportuno, nel secondo capitolo, 
ripercorrere la sua vita. Mi sono soffermato su alcuni momenti e alcuni aspetti 
meno conosciuti, come la sua attività giornalistica durante gli anni della guerra, 
cui partecipò in prima linea, tra i parà prima e tra i partigiani poi. Momenti 
ugualmente importanti per delineare e definire meglio la figura, soprattutto 
umana, del giornalista lombardo e della sua vocazione di scrittore. Infatti Gianni 
Brera, chiamato confidenzialmente Gioann, non fu solo il più grande giornalista 
sportivo italiano di sempre, ma fu anche un validissimo scrittore. Ripeteva 
continuamente: “Sono uno scrittore soffocato dall’ attività giornalistica”.  
Durante la sua vita scrisse diversi libri, dalle biografie romanzate in cui ha 
raccontato i personaggi dello sport come il “campionissimo” del ciclismo Fausto 
Coppi, di cui era amico fraterno, o Helenio Herrera, allenatore dell’Inter degli 
anni ’60, agli scritti sull’atletica, sul ciclismo e ovviamente sul calcio; dai 
romanzi veri e propri intrisi di un’evidente dimensione locale in cui Brera ha 
voluto raccontare la terra, le tradizioni, gli uomini del luogo dove è nato e 
cresciuto, a libri sulla gastronomia pavese e lombarda, materie in cui dimostrava 
grande competenza, che emergeva soprattutto quando si parlava di vino, di cui 
Brera era un grande intenditore e appassionato consumatore. 
Nel terzo capitolo ho rivisitato i pezzi di Brera, che a distanza di decenni restano 
pieni di fascino e di spessore giornalistico: chi li legge per la prima volta senza 
conoscere Brera, non può non accorgersi di uno straordinario talento innato che 
prende forma quando il giornalista lombardo e la parola scritta si incontrano. 
Si tratta di articoli che vertono sugli aspetti più vari della vita, molti dei quali 
scritti da Brera nelle sue rubriche di corrispondenza con i lettori del Guerin 
Sportivo, e di ritratti di grandi campioni dello sport come Fausto Coppi e Nereo 
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Rocco. Ma a prescindere dal tema trattato, sono tutti “marchiati” dalla 
riconoscibilità di uno stile assolutamente esclusivo. Come vedremo 
successivamente, lo stile linguistico di Brera ha preso forma e si è modellato sui 
libri così come sugli articoli. Ad avvolgere il particolare stile breriano in 
un’alone di assoluta unicità ha contribuito la capacità del giornalista di essere 
stato capace di rinnovare il linguaggio dello sport, facendolo diventare parte 
integrante del linguaggio comune utilizzato ancora oggi, a conferma della sua 
straordinaria attualità.  
Tornando alla scala di prestigio sociale di cui parlavo prima, potremmo dire che 
Brera è stato colui che prendendo per mano il “racconto dello sport” lo ha 
portato ai piani più alti. Dopo la sua scomparsa, nel 1992, il giornalismo 
sportivo è ritornato, dopo un “viaggio tra le nuvole”, dove era solito stare. Con 
toni nostalgici siamo portati a pensare che “l’alto giornalismo sportivo” Brera se 
lo sia voluto portare in cielo con sé. Dall’enorme vuoto lasciato dal cronista 
pavese tra amici, colleghi e lettori prende spunto il quarto capitolo, che ha come 
titolo il neologismo coniato da Gianni Mura – ancor oggi grande giornalista 
sportivo e amico di Brera – che qualifica in maniera suggestiva tutti gli orfani 
seguaci del Gioann e della sua visione del mondo: i Senzabrera. Cercherò di 
illustrare come, nel panorama giornalistico sportivo odierno, sia ancora 
profondamente vivo ed attuale il ricordo di Brera. Dalle varie testimonianze di 
chi lo conosceva bene emergono ritratti che lo dipingono  a livello caratteriale, 
almeno lì, non privo di difetti, visto che era difficile trovarne nei suoi articoli. 
Era  testardo, vendicativo, molto spesso burbero e scontroso, ed un grande 
polemista che difendeva le sue tesi e le sue idee contro tutti e tutto. Ma la 
maggioranza delle opinioni su Brera altro non sono che attestati di stima, così 
come le numerose iniziative organizzate dopo la sua scomparsa per onorarne la 
memoria. 
In ultimo, dopo aver cercato di fornire un’immagine di Brera a 360 gradi, ho 
tratto le mie conclusioni, incentrate sulla possibilità, resa reale e dimostrabile da 
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Brera, di riuscire a trovare il giusto punto di equilibrio del giornalismo sportivo, 
da cercare lungo una linea che ha ai suoi estremi la cronaca e la retorica.  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Capitolo primo 
Il giornalismo sportivo italiano ed il suo linguaggio 
 
 
 
 
 
1. Un mondo a parte e la sua tribù 
 
Il giornalismo sportivo costituisce una nicchia ben definita all’interno dei vari 
generi giornalistici. Un genere particolare e quasi a sé stante che fa perno, come 
sostiene Alberto Papuzzi,
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 sull’identità del pubblico e sul fatto che lo sport sia 
un mondo apparentemente separato da tutto il resto, con le sue organizzazioni, 
un suo linguaggio, la sua storia, le sue leggi, i suoi valori, i suoi privilegi. 
Inoltre non esiste alcun tipo di barriera che neghi a chicchessia  il diritto di 
accesso a questo affascinante mondo, in quanto si può essere sportivi senza 
praticare alcuno sport, poiché la passione per lo sport si esprime, nella 
maggioranza dei casi, nella fruizione di uno spettacolo. 
Ed è così che quello di sportivo, come indica ancora Papuzzi, diventa uno status 
che si acquisisce per il semplice fatto di dichiararsi tale, riconoscendo ed 
accentando le regole del gioco: codici, gerarchie, valori, riti. 
Se lo status di sportivo è ritenuto fondamentale per la costituzione di quello che 
sarà il pubblico sportivo, altrettanto diventa quest’ultimo per la determinazione 
dell’informazione sportiva. Ciò avviene perché gli operatori della 
comunicazione organizzano l’informazione sportiva, soprattutto nei quotidiani 
italiani, in funzione del pubblico degli sportivi. Tale informazione è settoriale, 
caratterizzata da un’enorme autoreferenzialità che la fa rimanere all’interno del 
mondo dello sport. 
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Ciò che fa diventare notizia gli avvenimenti sportivi è la maggiore o minore 
importanza che il mondo dello sport, vale a dire quella comunità costituita da 
giornalisti, atleti, lettori, spettatori, assegna ad ogni avvenimento a secondo il 
seguito che esso ha tra gli appassionati. 
In pratica, la comunità degli sportivi, pubblico compreso, attua un processo di 
decisione convenzionale per individuare l’evento che avrà il privilegio di 
diventare notizia. Una così “attiva” partecipazione del pubblico nel processo 
informativo trasforma nell’informazione sportiva lo schema classico dei criteri 
di notiziabilità o, come li definisce Papuzzi, valori notizia. 
Sono proprio tali valori che fanno da parametri nella valutazione di un fatto e 
quindi, conseguentemente, nella sua attitudine intrinseca a diventare notizia. Ad 
esempio, tra i criteri di notiziabilità, uno dei principali e con un peso maggiore 
rispetto ad altri è quello della novità di un evento. La novità è una caratteristica 
propria di un fatto, a prescindere dal giornalista che la tratta e dal pubblico che 
ne viene a conoscenza, almeno per quanto riguarda la maggior parte dei generi 
giornalistici nei quali entrambi gli attori del processo informativo, giornalista e 
pubblico, hanno scarso potere decisionale su ciò che diventerà notizia. Ma a 
ridare vigore a tali poteri ci pensa il giornalismo sportivo. 
Si può ora capire come un evento che abbia ridotto, se non perso del tutto, il suo 
carattere di novità, e che quindi, secondo le regole classiche del giornalismo non 
farebbe più notizia, possa invece essere un fatto ancora attuale all’interno 
dell’informazione sportiva. Ciò accade perché questa sorta di “attualità 
prolungata”  di un evento viene costruita e confermata dall’interesse 
appassionato della comunità degli sportivi. Avviene così che i giornalisti 
sportivi si adeguino, offrendo al pubblico ciò che viene da loro richiesto: “Le 
esigenze di un pubblico settoriale si sovrappongono all’interesse generale” 
(Ghirelli 1983)
2
. 
Ma se da una parte vi è il pubblico degli sportivi dall’altra vi è chi fornisce 
l’informazione, ovvero i giornalisti sportivi. 
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Secondo Papuzzi, per svolgere il lavoro del giornalista sportivo i requisiti 
fondamentali sono almeno due: la conoscenza tecnica delle discipline sportive e 
la padronanza del linguaggio, il possesso di uno stile. 
Se la prima competenza, la conoscenza tecnica delle discipline sportive, era 
sufficiente da sola a permettere di svolgere il mestiere, almeno fino agli anni 
’50, oggi non lo è più. L’importanza di possedere uno stile e di sapere 
padroneggiare la lingua si è accentuata con l’avvento, in Italia appunto negli 
anni ’50, della televisione che, come vedremo meglio nel paragrafo successivo, 
ha trasformato il giornalismo sportivo più di qualsiasi altro genere giornalistico. 
Il giornalismo sportivo ha delle peculiarità proprie che lo rendono unico. Pippo 
Russo, giornalista de Il Manifesto, nel suo libro “Pallonate. Tic, eccessi e 
strafalcioni del giornalismo sportivo italiano”
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 ne ha individuate alcune: 
innanzitutto la capacità di aver dato vita ad una forma espressiva, ad un 
linguaggio e a delle categorie narrative difficilmente riscontrabili presso altri 
campi dello specialismo giornalistico; poi la capacità di fondere il carattere 
pragmatico della “pura cronaca” con quella narrativa del racconto (entrambe le 
capacità sembrano essere consequenziali rispetto ai requisiti fondamentali che ci 
ha suggerito Alberto Papuzzi in precedenza). 
Il fatto poi, dice Russo, che ogni gara sportiva sia configurata in una dimensione 
di “dramma” (inteso come “sequenza di azioni fatidiche”), conferisce al 
giornalismo sportivo una vena letteraria che, se adeguatamente assecondata, ne 
rappresenta la principale ricchezza come genere specialistico d’informazione. 
Perfettamente d’accordo con Russo, quando parla di vena letteraria 
adeguatamente assecondata, poiché, come vedremo successivamente, uno stile 
letterario lasciato in piena libertà può portare a quello che l’autore chiama 
degenerazione del giornalismo sportivo. È proprio la vena letteraria e 
barocchegiante a fare da ago della bilancia ed a fare oscillare il giornalismo 
sportivo tra il sublime e il grottesco: ma su questo ci soffermeremo dopo. 
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Nel titolo del paragrafo ho utilizzato, prendendolo in prestito da Russo, il 
termine “tribù” per tentare di definire la comunità dei giornalisti sportivi che, 
come una tribù, conserva ed alimenta residui di tribalismo, assume riti e 
linguaggi per proteggere i confini del raggruppamento e le sue competenze 
specialistiche. 
A conclusione del paragrafo, è particolarmente interessante soffermarci sul 
contributo che Russo ci fornisce sulle tre caratteristiche principali della tribù dei 
giornalisti sportivi, che permettono una maggiore caratterizzazione di 
quest’ultimi. 
“La prima è la forte attitudine associativa  e corporativa. I giornalisti sportivi 
italiani hanno dato vita alla più attiva e coesa associazione sub-professionale del 
mondo giornalistico italiano: si tratta dell’USSI, Unione Stampa Sportiva 
Italiana, che si pone come attore intermedio tra giornalisti e sistema operativo”. 
Un altro tratto della tribù sta nella coesistenza spaziale coatta, che Russo ci 
spiega così: “I giornalisti sportivi si trovano spesso a condividere dei luoghi 
(tribune e sale stampa in occasione delle partite, campi d’allenamento durante la 
settimana), con l’effetto di rafforzare un senso di comitiva e una dimensione di 
cameratismo”. 
Infine ultimo aspetto è quello definito come versione collettiva, ovvero lo 
strutturarsi di quadri interpretativi di gruppo che producono una versione 
omogenea dei fatti, derivanti dal fatto che i cronisti sportivi si trovano a dare 
“copertura giornalistica” agli stessi fatti. 
 
 
 
 
 
 
 
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2. Evoluzione del racconto dell’evento sportivo: dalla cronaca alla retorica 
 
Per avere un quadro più completo di quali siano state le origini del giornalismo 
sportivo e quali i primi meccanismi che esso ha sviluppato all’interno della 
società è necessario spostare la nostra attenzione a più di un secolo fa. 
L’attenzione per lo sport maturò geograficamente nel mondo anglosassone nella 
seconda metà dell’800. La prima pubblicazione sportiva italiana reperibile fu il 
“Bollettino Trimestrale del Club Alpino di Torino”: risalente al 1865, era un 
bollettino di poche pagine che sottolineava le imprese più nobili e pure 
dell’alpinismo come riportano Italo Cucci e Ivo Germano nel loro libro 
“Tribuna stampa. Storia critica del giornalismo sportivo da Pindaro a 
Internet”
4
.  
Fu dunque l’alpinismo a dare alla stampa italiana l’input per cominciare a 
considerare lo sport come materia degna di riempire le pagine dei quotidiani. Ma 
la crescita esponenziale dell’interesse per lo sport da parte della gente e 
dell’opinione pubblica avvenne, anche e soprattutto, grazie a De Coubertin nel 
momento in cui istituì quella che sarebbe diventata la più importante e 
prestigiosa manifestazione sportiva mondiale, ovvero i Giochi Olimpici, che 
presero il via ad Atene il 5 aprile 1896. Fu il primo passo dello sport verso una 
sorta di istituzionalizzazione. 
Alla fine del secolo scorso lo sport comincia così a diventare fenomeno sociale 
di massa, e ad interessare e coinvolgere sempre più persone, anche dal momento 
in cui esso inizia ad essere concepito come allegoria esistenziale, ovvero 
metafora della realtà. Inoltre, allo sport è stata riconosciuta la capacità di offrire 
anche un risvolto educativo, come sostengono Italo Cucci e Ivo Germano, in 
quanto stimola ciascuno a prendere parte, a schierarsi assieme o contro qualcuno 
e qualcosa, e al contempo, innervando l’impianto democratico, maturo e 
responsabile, per cui tutti possono e debbono competere allo stesso livello, oltre 
le differenze di classe e di ceto, di razza e di religione.