2 
 
SOMMARIO
fronteggiare le esigenze di tutela dei nuovi interessi superindividuali evidenziati dalla 
coscienza sociale. Infatti, a partire dalla fine degli anni ‘70, emergono, come antagonisti 
alle posizioni sociali, economiche e giuridiche dominanti nella società, “nuovi” diritti di 
libertà
3
, secondo l’istanza dinamica contenuta nell’articolo 3, comma II della 
Costituzione, sempre più spesso aggrediti da nuove figure di reato lesive di interessi 
diffusi o collettivi. 
Tali nuovi diritti riguardano l’ambiente e il territorio, il patrimonio storico, artistico e 
paesaggistico, la salute, l’igiene e la genuinità degli alimenti, la sicurezza, la dignità 
umana, il lavoro, l’informazione, la tutela dei consumatori o di altre categorie di 
soggetti ritenuti deboli in determinati contesti e reclamano un’adeguata tutela 
giurisdizionale. Di tale nuova istanza sociale che, mediante un controllo sullo 
svolgimento delle attività economiche e del potere di fatto connesso, mira a realizzare 
uguaglianza, giustizia e libertà sostanziali, si fa portavoce un numero sempre crescente 
di enti rappresentativi degli interessi generali lesi dalle varie fattispecie di reato. 
La richiesta di tutela collettiva portata avanti da tali enti esponenziali se, da un lato, 
si scontra con la struttura giuridica del nostro ordinamento, modellato sulla concezione 
totalitaria dello Stato, è, al medesimo tempo, incentivata dalla sempre maggiore sfiducia 
nel ruolo di monopolista dell’accusa del pubblico ministero, non sempre capace di 
affrontare i problemi moderni e di comprenderne le implicazioni che, per la loro novità 
e complessità, sono spesso alieni alla tradizionale cultura della giurisprudenza. 
Le prime distonie di giurisprudenza e dottrina riguardano proprio il riconoscimento 
della rilevanza giuridica degli enti esponenziali per la difficoltà ad individuare una 
lesione nei loro confronti che possa legittimarne la partecipazione al processo penale 
                                                 
3
 A. DE VITA, La tutela degli interessi diffusi nel processo penale,  in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, 
pag. 838 e ss. 
 3 
 
SOMMARIO
esclusivamente attraverso lo strumento della costituzione come parte civile, l’unico 
ammesso dal c.p.p. del 1930 e vincolato al concetto di soggetto danneggiato. 
Successivamente, in seguito alle pressioni provenienti dal tessuto sociale, la 
giurisprudenza - per garantire tutela ad alcuni interessi diffusi spesso lesi dai 
meccanismi della modernità e dall’abuso della tecnologia - ammette la partecipazione al 
processo anche degli enti esponenziali consentendo loro di contribuire all’accertamento 
del fatto oggetto di imputazione ma realizzando un’evidente forzatura del concetto di 
danno da reato civilmente risarcibile.  
Pertanto, in assenza di una legislazione che prevedesse la possibilità di un intervento 
qualitativamente diverso rispetto alla costituzione come parte civile, la giurisprudenza e 
la dottrina si videro costrette a far assurgere l’interesse collettivo, tutelato dall’ente 
come finalità statutaria, al rango di diritto soggettivo proprio dell’ente stesso, autonomo, 
indipendente e diverso dal diritto soggettivo individualmente azionabile, legittimando, 
in tal modo, attraverso l’istituto della parte civile, la partecipazione di soggetti portatori 
di interessi superindividuali al processo
4
. 
Aumentano i tentennamenti della giurisprudenza, come logica conseguenza della 
assenza di un “fil rouge” tra i preesistenti strumenti istituzionali di matrice politica, 
sociale ed economica e la sempre più intensa e consistente domanda di partecipazione 
sociale. A riprova di ciò, alcune pronunce negano agli enti de qua la possibilità di 
costituirsi parte civile sul presupposto della mancanza di personalità giuridica, altre per 
la ritenuta assenza di un nesso di consequenzialità diretto ed immediato tra il danno 
subito e l’interesse diffuso o collettivo perseguito dall’ente stesso oppure per il discusso 
rapporto tra il danno non patrimoniale e l’interesse diffuso o collettivo perseguito.  
                                                 
4
 M. GAMBIRASIO, La legittimazione degli enti esponenziali a costituirsi parte civile nel processo 
penale, in Foro Ambrosiano, 2003, pag. 169. 
 4 
 
SOMMARIO
Servono perciò soluzioni alternative: alla riformistica previsione di “una parte lesa 
di creazione politica”
5
 si contrappone la rivoluzionaria previsione di un superamento 
del monopolio del Pubblico Ministero nell’esercizio dell’azione penale o quella che 
propone la tipicizzazione di un’autonoma forma di intervento nel processo penale
6
. 
Il legislatore prevede ipotesi sempre più numerose di legittimazione di enti 
esponenziali nei processi penali, ma la svolta pare profilarsi con il c.p.p. del 1988 che 
affianca alla tradizionale costituzione come parte civile in conseguenza di un danno 
immediato e diretto ex art. 74 e ss., un’inedita possibilità di intervento di tali enti quali 
persone offese dal reato agli artt. 90 e ss., prescindendo da un’istanza di risarcimento. 
Ma già dalla formula restrittiva dell’art. 91 c.p.p. si intuisce la scarsa applicazione a cui 
sarà destinato tale istituto, in contrapposizione al frequente ricorso allo schema 
dell’azione civile nel processo penale attraverso la costituzione di parte civile, 
rimanendo ancorati alle precedenti elaborazioni sorte e giustificate nel vigore del c.p.p. 
del 1930. 
Oggi, in seguito ai gravi crack finanziari che hanno dato forti scosse al sistema 
economico italiano, e non solo, torna alla ribalta il dibattito sulla carenza negli 
ordinamenti giuridici europei di strumenti capaci di tutelare efficacemente situazioni 
giuridiche facenti capo simultaneamente a più soggetti. 
Recenti indagini comparativistiche, nate dal confronto con le esperienze e gli 
strumenti degli ordinamenti di matrice anglosassone nei casi di “mass torts”, hanno 
spinto più parti ad  evidenziare la necessità di una riforma palingenetica della giustizia, 
che tenga conto delle esigenze di tutela derivanti dalla società di massa. In quest’ottica 
                                                 
5
 G. ESCOBEDO, Il titolo per la costituzione di parte civile specie in rapporto ai sindacati 
professionali, in Rivista Penale, 1912, c. 1498 e ss.. Tesi poi ripresa da F. BRICOLA, Partecipazione e 
giustizia penale. Le azioni a tutela degli interessi collettivi, in La quest. crim., 1976, pag. 32 e ss.  
6
 D. GROSSO, Enti esponenziali ed esercizio dell’azione civile nel processo penale, in La giustizia 
penale, 1987, III.  
 5 
 
SOMMARIO
si giustifica l’introduzione di una complessa disposizione nella Legge Finanziaria del 
2007, relativa alla “disciplina dell’azione collettiva risarcitoria a tutela dei 
consumatori”, che cerca di  introdurre nel nostro ordinamento un primo strumento di 
tutela collettiva in ambito civilistico, prendendo come punto di riferimento la “class 
action”, già nota nell’esperienza di altri Stati
7
. 
Questo lavoro, che, anche per i numerosi ed estremamente eterogenei orientamenti di 
dottrina e giurisprudenza, non ha certo pretese di completezza, cerca di dare spazio alle 
questioni, ai problemi e alle incertezze che hanno caratterizzato, e caratterizzano ancora 
oggi, nel nostro ordinamento la partecipazione degli enti esponenziali di interessi diffusi 
e collettivi. La premessa storica iniziale cerca di ricostruire la ratio dell’istituto della 
parte civile, così come era prevista nel codice di procedura penale del 1930, per poi 
passare ad una ricostruzione delle varie tipologie di danno e, in particolare, del concetto 
di danno risarcibile, che costituisce senza dubbio la base dell’istituto della parte civile. 
Nel terzo capitolo, invece, trova sede un’analisi delle due forme di partecipazione 
attualmente previste, con riguardo agli enti esponenziali, dal codice di procedura penale 
per concludere, nell’ultimo capitolo, con una rassegna delle diverse decisioni ordinate 
sulla base del diverso tipo di ente a cui fanno riferimento. 
A conclusione di tale lavoro si renderà evidente come si tratta di una questione 
ancora aperta: la politica legislativa è sempre impegnata in una costante opera di 
adeguamento dell’ordinamento alle nuove istanze prospettate dalla “società del 
rischio”
8
 e alle indicazioni del diritto comunitario e internazionale.   
                                                 
7
 Per una prima analisi critica di tale “nuovo strumento di tutela” vedi C. CONSOLO, E’ legge una 
disposizione sull’azione collettiva risarcitoria: si è scelta la via svedese dello “opt-in” anziché quella 
danese dello “opt-out” e il filtro (“l’inutil precauzione”), in Corriere Giuridico, 2008, pag. 5.  
8
 V. SCALISI, Categorie e istituti del diritto civile nella transizione al postmoderno, pag. 737. 
 6 
 
SOMMARIO
 
Capitolo I 
GLI ENTI E LE ASSOCIAZIONI RAPPRESENTATIVI DI 
INTERESSI LESI DAL REATO 
SOMMARIO: 1. Interessi diffusi ed interessi collettivi. – 2. La tutela di interessi lesi dal reato. – 3. Il 
monopolio dell’azione penale, la parte civile e l’azione risarcitoria nei c.p.p. del 1865 e del 1913. – 4. La 
partecipazione degli enti esponenziali al processo penale tra leggi speciali e c.p.p. del 1930. – 5. La 
disciplina dell’istituto della parte civile nel c.p.p. del 1930. – 6. Fondamento giuridico della disciplina 
dell’azione civile. – 7. La Costituzione Repubblicana del 1948. 
1. Interessi diffusi e interessi collettivi 
Molti ordinamenti, tra cui anche il nostro, hanno per lungo tempo guardato con 
disfavore gli enti esponenziali che, di conseguenza, incontravano non poche difficoltà 
ad ottenere un riconoscimento della loro rilevanza giuridica quali portatori di interessi 
generali di una collettività. Il legislatore italiano, soprattutto per la concezione 
tradizionale e accentratrice dello Stato-apparato, si mostrava restio a considerare 
positivamente ogni forma di aggregazione formatasi al di fuori dell’ambito statale. 
Con l’entrata in vigore della Costituzione tale situazione è destinata a mutare: per 
l’art. 2 Cost. la persona umana, nelle sue due dimensioni individuale e collettiva, deve 
 7 
 
SOMMARIO
essere posta al vertice dei valori riconosciuti e tutelati dal nuovo ordinamento. Inutile 
evidenziare come ciò si pone in netto contrasto con l’ideologia fascista al dichiarato fine 
di cancellare ogni retaggio dell’infausto passato.  
Il principio pluralista enunciato dalla Costituente permette di riconoscere alle 
formazioni sociali un ruolo fondamentale per lo sviluppo e la formazione dell’uomo, 
proteggendole da interferenze dei pubblici poteri e rendendole destinatarie degli stessi 
diritti dell’individuo. E poiché talune formazioni sociali si propongono di tutelare, 
anche in sede penale, alcuni interessi generali dei cittadini, si pone il problema di 
definire gli esatti confini delle istanze sociali rappresentate e tutelate da tali enti e 
associazioni.  
Gli interessi metaindividuali, intermedi o superindividuali, detti anche solidaristici, 
non sono riferibili ad un soggetto ben individuato né allo Stato: non coincidono con 
l’interesse pubblico né con quello privato. Essi si soggettivizzano in figure esponenziali 
della collettività che, quali centri di imputazione di tali interessi, mirano ad ottenere 
un’adeguata tutela nell’ordinamento. La letteratura giuridica penalistica prima e la 
politica del diritto poi, partendo da una concezione sinonimica degli interessi generali, 
sia diffusi che collettivi, finiscono con il differenziarne la portata sotto il profilo 
soggettivo
9
.  
In particolare, gli interessi diffusi sono adespoti, cioè senza titolare: fanno capo 
simultaneamente ad una pluralità indeterminata di soggetti in quanto non identificati né 
identificabili in base alla preesistenza di un rapporto giuridico con un bene non 
suscettibile di appropriazione esclusiva e rispetto al quale il godimento del singolo è 
                                                 
9
 Tra i fautori della distinzione concettuale di tali interessi si segnala F. BRICOLA, Le azioni a tutela 
degli interessi collettivi, in La quest. crim., 1976, pag. 32 e ss.  
 8 
 
SOMMARIO
limitato dal concorrente godimento di altri membri della collettività
10
 . Sono perciò 
dotati di un’estensione generale, e “sono riferibili al soggetto non come individuo, ma 
come membro di una collettività più o meno ampia […] dando così luogo ad una 
pluralità di situazioni giuridiche analoghe”
11
 finalizzate al soddisfacimento di bisogni 
umani. Per tal motivo, non hanno istituzionalmente propri centri di imputazione 
collettivi o individuali, ma, come l’interesse pubblico - per antonomasia tutelato dallo 
Stato – attengono, in genere, a beni di rilevanza generale: paesaggio, ambiente eccetera. 
Talvolta, però, tali situazioni soggettive riguardano beni che possono essere oggetto sia 
di un interesse diffuso vantato, in via generale e preventiva, dalla generalità dei 
consociati che di un interesse individuale, come quello particolaristico del singolo 
utente o consumatore in relazione a rapporti in atto. Gli esempi più frequenti al riguardo 
sono il diritto al godimento di un pubblico servizio o ad un’informazione pubblicitaria 
leale, come pure il diritto alla salute o i diritti dei consumatori.  
Gli interessi collettivi, invece, hanno una portata soggettiva circoscritta in quanto 
riferibili a “categorie, classi o gruppi di soggetti”, cioè ad una collettività 
anteriormente determinata perché - come sintesi o anche come sommatoria di interessi 
individuali - appartengono all’organizzazione e solo indirettamente al singolo che ne fa 
parte. Sono, cioè, i tipici interessi di gruppo, istituzionalmente e necessariamente 
imputabili a collettività organizzate che se ne fanno portatrici e sono, quindi, corporativi 
o comunitari. Tale nozione è spesso legata a quella di “formazione sociale” o “gruppo 
sociale intermedio”, rinvenendo così il fondamento di tali interessi nell’articolo 2 Cost., 
con l’avviso che l’interesse collettivo ha una sfera di titolari più ampia rispetto a quella 
dei soggetti che formalmente appartengono al gruppo, alla comunità o alla formazione.  
                                                 
10
 A. CHILIBERTI, Gli enti e le associazioni rappresentative di interessi lesi dal reato, in Riv. pen., 
1990, pag. 180 e ss. 
11
 Cass. 8 maggio 1978, n. 2208. 
 9 
 
SOMMARIO
Inoltre, sono finalizzati “ad un controllo effettivo e sostanziale sul contenuto e sullo 
svolgimento di posizioni economiche e giuridiche”
12
 e “di scelte programmatorie e di 
sviluppo ancora insensibili ad aperture alla partecipazione”
13
.  
La tutela degli interessi diffusi, che superano la dimensione individuale sintetizzando 
i bisogni di una pluralità di soggetti, non sempre dai contorni nitidamente definiti, non 
può essere perseguita attraverso l’iniziativa del singolo. A tutto ciò si deve anche 
aggiungere che gli strumenti civilistici, predisposti dal nostro ordinamento, sono volti 
alla tutela di interessi esclusivamente individualistici e, di conseguenza, non sono adatti 
a risolvere conflitti non interamente interprivati o a dar rilievo ad interessi non riducibili 
alla sfera del singolo
14
.   
Quando una collettività, ricompresa ma distinta dalla più ampia collettività statale - 
ovvero in una posizione intermedia fra il singolo e la generalità dei cittadini – si dota di 
una propria struttura organizzativa e agisce per la tutela di un interesse diffuso, species 
del genus interesse pubblico, permettendone il riconoscimento come situazione 
giuridica tutelabile giurisdizionalmente, si ha una trasformazione: l’interesse diffuso 
diventa totalmente ed esclusivamente interesse collettivo
15
. A questo punto, però, la 
titolarità tout court dell’interesse collettivo non può essere attribuita all’ente legittimato 
ad agire, come se fosse un diritto proprio dell’associazione: l’ente agisce con un’azione 
individuale laddove si tratta di tutelare un proprio interesse sostanziale espressamente 
                                                 
12
 F. BRICOLA, op. cit. 
13
 G. MARCONI, La tutela degli interessi collettivi in ambito penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1979, 
pag. 1061 e ss.  
14
 S. RODOTA’, Le azioni civilistiche, in A.A. V.V., Le azioni a tutela di interessi collettivi. L’Autore 
rileva che ciò si pone come “conseguenza inevitabile dell’abbandono degli strumenti e delle forme 
organizzative con rilevanza collettiva in sistemi giuridici progressivamente caratterizzati 
dall’accettazione dell’idea liberale del concorso delle iniziative individuali come via regia per la 
soddisfazione degli stessi interessi generali”.  
15
 M. NIGRO, Le due facce dell’interesse diffuso, ambiguità di una formula e mediazioni della 
giurisprudenza, in Foro it., 1987, cc. 9 ss. vedi pure, R. RAIMONDI, Cittadini, enti esponenziali, 
interessi diffusi, in Giur. merito, 1980, IV, pag. 730 e ss. 
 10 
 
SOMMARIO
riconosciuto come meritevole di tutela e, quindi, sostanzialmente diverso dagli interessi 
collettivi.  
L’interesse collettivo appartiene a tutti i membri della categoria, ma solo in quanto 
collettivamente considerati come categoria ed, inoltre, essendo diverso dagli interessi 
dei singoli appartenenti, oltre che dai diritti propri delle associazioni, si qualifica come 
una situazione giuridica unica ed indivisibile con più legittimati all’azione. E il 
consequenziale problema dell’accesso alla tutela giurisdizionale individuale o collettiva, 
nelle sedi amministrativa e civile, deve essere risolto facendo riferimento, oltre che alla 
plurisoggettività del rapporto, anche all’articolo 24, comma I, Cost. 
2. La tutela di interessi lesi dal reato 
Lo stesso fatto storico può essere simultaneamente considerato da norme diverse ed 
essere quindi - in base a scelte discrezionali di un ordinamento in un determinato ambito 
spazio–temporale - oggetto di più qualificazioni giuridiche. Taluni comportamenti 
umani possono essere qualificati come penalmente o civilmente rilevanti: è reato, e 
quindi passibile di sanzioni penali, il comportamento che ha caratteristiche oggettive e 
soggettive corrispondenti ad una fattispecie incriminatrice; è illecito civile il fatto 
storico che cagiona ad altri un danno ingiusto e genera responsabilità civile a carico del 
suo autore. Infatti, l’area operativa della responsabilità penale e civile non può dirsi 
sempre e comunque perfettamente coincidente.  
Dottrina e giurisprudenza riconoscono unanimemente l’esistenza di condotte 
civilmente illecite ma penalmente irrilevanti (ad esempio nei casi di danneggiamento 
colposo), di reati senza danno civile (come il vilipendio alla bandiera), o anche di reati 
che cagionano un danno civile (come la truffa): da ciò si può agevolmente ricavare 
 11 
 
SOMMARIO
come offesa e danno risarcibile possono coincidere del tutto, o solo in parte, o non 
coincidere affatto. Ma, anche se vi è piena coincidenza, danno civile e danno criminale 
restano comunque due concetti distinti a cui corrisponde, rispettivamente, la dicotomia 
tra persona danneggiata dal reato e persona offesa dal reato.  
Il danno criminale si collega alla figura della persona offesa dal reato, detta anche, da 
alcuni, “soggetto passivo del reato”
16
, con cui si suole indicare il titolare del bene 
giuridico protetto dalla norma penale incriminatrice, concretamente leso o 
semplicemente messo in pericolo dalla condotta criminosa.  
Invece, al danneggiato dal reato ci si riferisce per individuare il titolare di un 
interesse patrimoniale o non patrimoniale (c.d. danno morale) pregiudicato dalla 
condotta attiva o omissiva penalmente rilevante
17
. 
Spesso queste due qualifiche ricorrono in capo allo stesso soggetto e la loro 
distinzione, talvolta, assume significato sia sul piano dogmatico-astratto sia sul piano 
pratico–operativo: la persona offesa può rilevare come titolare del diritto di querela o 
del consenso scriminante e il danneggiato può esercitare, nel processo penale, l’azione 
civile per le restituzioni e il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale 
subito in conseguenza del reato. E può fare ciò avvalendosi dell’istituto della parte 
civile, le cui origini storiche si possono rinvenire nel sistema accusatorio. L’istituto in 
                                                 
16
 Usano indifferentemente le nozioni di “soggetto passivo del reato” e di “persona offesa dal reato” 
F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte generale; G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale. 
Parte generale; F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale. In giurisprudenza cfr. Corte Cost., 28 
dicembre 1971, n. 206; Cass., Sez. Un., 21 aprile 1979, in Cassazione Penale, 1979, II, c. 26. 
Opera una distinzione tra le suddette nozioni P. GUALTIERI, Soggetto passivo, persona offesa e 
danneggiato dal reato: profili differenziali, in Rivista italiana diritto processuale penale, 1995, pag. 1080 
e ss.  
17
 “Dal soggetto passivo (persona offesa) del reato, che è il titolare del bene protetto dalla norma 
penale e, quindi, subisce l’offesa essenziale per la sussistenza del reato, va distinto il danneggiato dal 
reato, che è colui che soffre un danno risarcibile ed è titolare del diritto alla restituzione e al 
risarcimento e che può costituirsi, a tal fine, parte civile: nel codice di rito, al soggetto passivo sono 
attribuiti diritti e facoltà che invece non competono al danneggiato civile, il quale è completamente 
assente dalla fase delle indagini preliminari, non potendo costituirsi parte civile”, Cass. Civ., Sez. III, 29 
gennaio 1997, n. 901, Gargano. 
 12 
 
SOMMARIO
questione venne, infatti, introdotto in Italia dal “Code d’instruction criminelle” 
napoleonico promulgato nel 1808 e recepito dal codice di procedura penale del Regno 
di Sardegna, entrato in vigore nel 1848 e poi divenuto, con lievi modifiche, il codice di 
procedura penale del Regno d’Italia. Da allora, nel nostro ordinamento, la parte civile è 
sempre stata una parte eventuale del processo penale, nonostante le diverse 
configurazioni date dai c.p.p. ai rapporti tra azione civile e penale, definita anche con 
un’espressione omnicomprensiva “azione riparatoria”, nel processo penale. 
Come logica conseguenza di quanto detto sopra, ogni volta che il processo penale 
deve giudicare in tema di reati riguardanti la salute, l’ambiente, le bellezze storico-
artistiche, il lavoro e che, quindi, offendono gli interessi di molteplici e indeterminati 
soggetti, solo eventualmente unificati in una collettività, sorge il problema 
dell’inquadramento degli enti rappresentativi di interessi lesi dal reato.  
Oggi però la mente non corre più solo alle tipiche “formazioni sociali” – famiglia, 
scuola, chiesa, sindacato, partiti – oggetto dei discorsi degli illustri giuristi ai tempi 
della Costituente, come Mortati e Rescigno. Nell’odierna “società industriale dei 
consumi”, per gli aspetti talora degenerativi del suo sviluppo, il discorso riguarda le 
associazioni a tutela dei consumatori, dell’ambiente o dei piccoli e medi risparmiatori e 
azionisti contro gli abusi di potere di banche e società per azioni o di altri gruppi di 
potere economico e finanziario. Vengono quindi richiamati comportamenti o fatti lesivi 
che colpiscono una pluralità di persone senza ledere la sfera giuridica di una di esse in 
particolare e che si sostanziano, ad esempio, nelle immissioni nocive, nella 
comunicazione di messaggi pubblicitari concepita e praticata in forma suggestiva o 
addirittura ingannevole, in alcune clausole della contrattazione standardizzata.  
 13 
 
SOMMARIO
A conferma di quanto detto, nel diritto penale, negli ultimi decenni, si è assistito al 
passaggio dai tradizionali reati di tipo individualistico
18
, come furto, rapina ed omicidio, 
a violazioni, spesso collettive, di complessi beni o interessi collettivi, tutelati da norme 
penali.  
3. Il monopolio dell’azione penale, la parte civile e l’azione risarcitoria nei 
c.p.p. del 1865 e del 1913 
Il problema della partecipazione degli enti collettivi al processo penale in Italia è da 
sempre in stretto collegamento con la vecchia polemica del monopolio dell’azione 
penale. Storicamente, nella tradizione processuale italiana, già dall’epoca romana, la 
tutela dell’ordine pubblico trovava la sua concreta attuazione non nell’esercizio di 
un’azione penale pubblica, ma nell’attribuzione al Giudice di poteri di iniziativa 
processuale d’ufficio o su denuncia. A partire dal medioevo, nei diversi Stati italiani, si 
diffondono come funzionari preposti all’accusa, ministrales, consules, syndici e in 
seguito, procuratores, ma con competenze diverse ed estranee all’iniziativa processuale 
penale. Solo con il primo c.p.p. del Regno d’Italia del 1865, di derivazione francese, 
vengono introdotti, per la prima volta nel nostro ordinamento, i concetti di azione civile 
riparatoria, di parte civile e il monopolio dell’azione penale da parte del pubblico 
ministero.   
L’azione penale, ai sensi dell’art. 2 del c.p.p. del 1865, era essenzialmente pubblica 
ed esercitata dagli ufficiali del pubblico ministero. La costituzione di parte civile e i suoi 
poteri trovavano un’espressa disciplina negli artt. 109 e 110 c.p.p. del 1865. Si 
                                                 
18
 Espressione da prendere cum grano salis utilizzata da M. CAPPELLETTI, Appunti sulla tutela 
giurisdizionale di interessi collettivi e diffusi, in Giur. ital., 1975, parte IV, pag. 48 e ss. 
 14 
 
SOMMARIO
prevedeva pure il giudizio per citazione diretta, nei casi di reati perseguibili a querela 
dell’offeso, su ricorso al presidente del Tribunale, contenente la dichiarazione di 
costituzione di parte civile, per ottenere il decreto di citazione dell’imputato. Per finire, 
ai sensi l’art. 260, comma II, la parte civile poteva unire la propria opposizione 
(all’ordinanza istruttoria) a quella del Pubblico Ministero., ma poteva anche formularne 
una autonoma, nonostante la mancata opposizione del Pubblico Ministero, nel caso 
previsto dall’art. 250 (non luogo a procedere). Queste disposizioni trovavano la loro 
ratio nella tradizionale concezione francese della parte civile con poteri di iniziativa 
processuale a temperamento del monopolio e della discrezionalità del Pubblico 
Ministero in merito all’azione penale.  
Dopo l’unificazione del Regno d’Italia si riaccende, fino all’inizio della prima guerra 
mondiale, la polemica sull’opportunità del monopolio dell’azione penale. Nel 1898, una 
delle direttive indicate dalla Commissione per la riforma del c.p.p. evidenzia 
l’opportunità di consentire, previa autorizzazione del Giudice, l’esercizio dell’azione 
penale, per reati relativi nello specifico alla cosa pubblica, anche a privati cittadini con 
determinate condizioni di reputazione e capacità. Tale auspicio si ritrova anche nella 
Relazione Ministeriale al progetto del nuovo c.p.p. del 1905, accanto alla proposta di 
introdurre un’azione popolare sussidiaria “nei casi in cui il Pubblico Ministero, per i 
suoi contatti con il potere esecutivo, non ispira piena fiducia” per consentire alle 
energie civiche di operare un controllo sull’azione ufficiale.  
Pertanto, anche se per la Relazione della Commissione del 1898 l’esercizio 
dell’azione civile nel processo penale, per la migliore tutela del danneggiato, doveva 
cumulare alle funzioni risarcitorie e di economia processuale, anche quelle di 
collaborazione con il Pubblico Ministero per l’accertamento del reato e la scoperta del 
 15 
 
SOMMARIO
responsabile – proprio per il suo maggiore interesse alla repressione del reato, rispetto a 
quello di altri membri della collettività -, tutto ciò resta solo a livello di buoni propositi. 
Questa mancata previsione concreta nel Progetto del 1905 viene giustificata per il 
timore di un aumento esponenziale di accuse temerarie, portate avanti solo per vendetta 
e non per il dovuto amore o zelo per la cosa pubblica o con accuse imparziali. In 
generale, si disse che l’azione popolare non avrebbe potuto recare all’amministrazione 
della giustizia l’ausilio che si ripromettevano i suoi sostenitori ma, in realtà, governo e 
parlamento volevano solo evitare di sottoporre il mondo politico ad un controllo più 
penetrante di quello esercitato da un Pubblico Ministero rappresentante dell’esecutivo 
con funzione di filtro delle accuse
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.  
Nel 1911, nella prospettiva di un superamento del monopolio del Pubblico Ministero, 
il Progetto Ministeriale del nuovo c.p.p., da un lato, limitava la facoltà di esercizio 
dell’azione penale da parte di ogni elettore ai delitti contro le libertà politiche previste 
dall’art. 139 c.p., ma, all’art. 3, permetteva l’esercizio dell’azione penale alle 
associazioni legalmente costituite per uno scopo di interesse pubblico o professionale 
nonché alle istituzioni pubbliche di beneficienza, per i reati incidenti direttamente sui 
loro fini istituzionali. Pertanto, le suddette associazioni, con la loro funzione di filtro 
delle richieste dei privati, diventavano un mezzo per temperare il principio del 
monopolio e dare tutela processuale ai gruppi intermedi, evitando in tal modo il 
paventato pericolo di accuse temerarie.  
Il problema, perciò, si spostava sul piano dell’individuazione del mezzo più idoneo a 
consentire la partecipazione al processo penale delle associazioni e, a questo proposito, 
la dottrina si divideva.  
                                                 
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 P. TONINI, L’intervento di sindacati ed associazioni nel processo penale, in Riv. trim. dir. pubbl., 
1976, pag. 1440.