7
Lo studio, successivamente, focalizza l’attenzione sulle 
circostanze, i motivi ed il percorso normativo che hanno portato 
al divieto di rinvio agli usi previsto dall’art. 4, c. 3, della legge 17 
febbraio 1992, n. 154 (legge sulla trasparenza delle operazioni e 
dei servizi bancari e finanziari), ripreso dal T.U. delle leggi in 
materia bancaria e creditizia che, agli artt. 116, c. 1 e 117, c. 6, 
dispone un duplice divieto di rinvio agli usi. 
Particolare considerazione, infine, viene riservata all’esegesi 
della norma che, essendo poco chiara, lascia ampio spazio a 
dubbi sull’effettiva portata del divieto; il dato normativo, infatti, 
sul piano sistematico non conduce ad un definitivo “tramonto” 
degli usi bancari, ma sul piano pratico crea una serie di 
circostanze che comportano un loro inevitabile declino. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 8
 
CAPITOLO 1 
 
GLI USI COME FONTE DI DIRITTO 
 9
1.1 Premessa storica. 
 
L’azione normativa degli usi (o consuetudini) nella società 
contemporanea è destinata ad avere un sempre più ridotto campo 
di operatività, essendosi ad essi sostituiti nell’odierno assetto 
della disciplina dei rapporti di mercato altre forme di normazione 
dei rapporti economici. 
Il riferimento è alla sempre più ampia applicazione delle 
condizioni generali di contratto e delle regole e norme uniformi, 
ormai largamente utilizzate nei diversi settori d'affari, sia nel 
mercato interno che in quello internazionale. 
Può quindi affermarsi che gli usi stanno oggi vivendo una terza 
fase della loro plurisecolare vicenda
1
. 
Negli ordinamenti primitivi gli usi occupavano una posizione 
primaria nella formazione del diritto, svolgendo una funzione 
non diversa da quella assolta dalla legge scritta. Nel diritto 
romano il valore obbligatorio delle norme giuridiche veniva 
ricollegato al consensu populi, il quale si manifestava 
espressamente nei comizi nella forma della legge ovvero 
tacitamente attraverso gli usi; la consuetudine godeva di una 
efficacia normativa non diversa dalla legge scritta e poteva 
derogare a quest’ultima o, quanto meno, abrogarla
2
. 
                                     
1
 PAVONE LA ROSA, Gli usi bancari, in Banca, borsa, tit. cred., 1977, I. 
2
 SCHERILLO, voce Consuetudine (diritto romano), in Novissimo Digesto Italiano, IV, 
Torino, 1968. 
 10
Questa posizione di egemonia è dagli usi conservata per tutta 
l’età di mezzo, specie ai fini della formazione del diritto 
commerciale e marittimo; questi complessi normativi si sono 
formati mediante l'enucleazione e la diffusione di principi ed 
istituti nuovi, che la pratica ha elaborato nell’ambito del 
commercio terrestre e marittimo in piena aderenza alle insorgenti 
e particolari esigenze di codesto settore dell’attività umana. 
Essi hanno trovato origine nella prassi e nelle regole 
spontaneamente introdotte nelle fiere e nei mercati ed applicate e 
fatte osservare dalle associazioni mercantili attraverso l’attività 
giurisdizionale dei loro consoli. 
L’uso costituisce perciò, se non la fonte esclusiva, quella 
prevalente nella produzione del diritto di quest’epoca e si deve ad 
esso la formazione di molti istituti che ancora oggi, sia pure con 
le inevitabili innovazioni introdotte dalla successiva evoluzione, 
costituiscono strumenti fondamentali dell’attuale vita 
economica
3
. 
Esigenze di certezza indussero ben presto alla redazione di testi 
di leggi e di norme statutarie; ma tali elaborati non furono 
all’inizio che semplici raccolte di usi con carattere 
essenzialmente ricognitivo.  
                                     
3
 PAVONE LA ROSA, voce Consuetudine (usi normativi e usi negoziali), in Enciclopedia del 
diritto, IX, Milano, 1961. 
 11
Solo più tardi, quando con la formazione dello Stato moderno la 
funzione legislativa viene considerata come prerogativa 
dell’autorità statuale, si afferma la prevalenza della legge rispetto 
all’uso e la disciplina dei rapporti umani tende ad assumere 
prevalentemente la forma legislativa. 
Le codificazioni dei secoli XVIII e XIX riconoscono perciò agli 
usi solo una funzione riflessa ed indiretta, negandole il valore di 
fonte originaria; ma ancora nel codice di commercio del 1882 
all’articolo 1, con una regola che veniva poi recepita dal vigente 
codice della navigazione, è riservata agli usi mercantili una 
funzione di particolare rilievo, sancendosi la loro preminenza 
rispetto alle norme del diritto civile. 
Nella vigente legislazione la disciplina delle fonti normative è 
stata unificata e si è attribuito all’uso, nella gerarchia delle fonti, 
una posizione subordinata alla legge (salvo che diversamente 
stabiliscano le singole disposizioni che fanno rinvio all’uso). Ciò 
risponde del resto, alle particolari finalità dell’attuale indirizzo 
legislativo; l’unificazione della disciplina delle obbligazioni e dei 
contratti, con l’accoglimento e la generalizzazione di istituti e di 
principi più evoluti ed aderenti alle moderne esigenze, e la 
conseguente necessità di mantenere tale unità di disciplina, hanno 
invero reso necessario l’abbandono del principio di cui all’art. 1 
cod. comm. 
 12
1.2 I requisiti degli usi. 
 
Gli usi in ogni società, e specialmente nelle società primitive, 
sono una delle principali fonti di regole di condotta. 
Le regole sociali nascono o dalla tradizione, o da autorità 
pubbliche costituite e riconosciute, o dalla necessità o natura 
delle situazioni; le regole consuetudinarie sono, invece, quelle 
che nascono dalla forza della tradizione
4
. 
La dottrina giuridica
5
 si è soffermata con particolare attenzione 
sugli usi che, secondo l’opinione prevalente, consistono in quei 
comportamenti reiterati, seguiti in certi tempi, luoghi e ambienti 
sociali, con la coscienza di fare cosa doverosa. 
Constano pertanto di due elementi: il primo materiale od 
oggettivo, consistente nel comportamento esteriore osservabile 
(cosiddetto usus), ed il secondo psicologico o soggettivo 
consistente nella convinzione di osservare una norma giuridica 
(cosiddetta opinio iuris ac necessitatis). 
                                     
4
 BOBBIO, voce Consuetudine (teoria generale), in Enciclopedia del diritto, IX, Milano, 
1961, p. 428. 
5
 RESCIGNO, Manuale di diritto privato italiano, Napoli, 1989; CRISAFULLI, Variazione sul 
tema delle fonti con particolare riguardo alle consuetudini, in Scritti in memoria di 
Antonio Giuffrè, III, Milano, 1967; PIZZORUSSO, Fonti del diritto, in Commentario al 
codice civile a cura di Scialoja e Branca, Bologna, 1977; BOBBIO, La consuetudine come 
fatto normativo, Padova, 1942; FRANCESCHELLI, voce Consuetudine (diritto moderno), in 
Novissimo Digesto Italiano, Appendice, 1981; ROMANO, Consuetudine, in Frammenti di 
un dizionario giuridico, Milano, 1947; TESAURO, La consuetudine, in Rass. dir. pubbl., 
1955, I; BALOSSINI, Il diritto delle consuetudini e degli usi, Milano, 1974. 
 13
La dottrina, analizzando gli usi in quanto generatori di regole di 
condotta, ha fissato alcuni requisiti che essa considera come 
determinanti per la formazione di una regola consuetudinaria e, 
quindi, come delimitanti l’ambito di validità di una regola 
consuetudinaria ai fini della sua applicazione nei tribunali. 
Si tratta della dottrina dei cosiddetti requisiti esterni, che 
costituiscono l’elemento materiale degli usi. 
Il principale di tali requisiti è il decorso del tempo, ovvero il fatto 
che i comportamenti, oggetto della regola, sono stati ripetuti per 
un certo periodo di tempo. Che il decorso del tempo, idoneo alla 
produzione di una regola consuetudinaria, debba essere 
quantitativamente determinato, non è regola costante; il giudizio 
sulla vetustà dell’uso è lasciato al libero apprezzamento del 
giudice. 
Vari, e non sempre coincidenti, sono i requisiti della ripetizione 
dei comportamenti. Una certa concordanza esiste 
nell’accoglimento dei seguenti: 1) generalità; 2) uniformità; 3) 
costanza; 4) frequenza; 5) pubblicità. 
Per generalità s'intende che il comportamento ripetuto non deve 
essere di una sola persona, ma di più persone, della maggior parte 
delle persone che si trovano nella situazione prevista; per 
uniformità che quella generalità di persone deve comportarsi, 
nella situazione prevista, in modo identico o perlomeno simile; 
per costanza che la ripetizione non deve essere interrotta; per 
frequenza che la ripetizione deve manifestarsi a brevi intervalli; 
 14
per pubblicità che il diritto di cui si chiede il riconoscimento, in 
base alla regola consuetudinaria, non sia stato esercitato 
segretamente. 
Questi requisiti sono stati elaborati dalla dottrina nei confronti 
degli usi che si formano tra privati, per esempio negli usi del 
commercio e dell’agricoltura. 
La situazione è diversa per quanto riguarda gli usi nel diritto 
pubblico o nel diritto internazionale; qui il discorso del tempo ha 
minore importanza e in nessun caso è richiesta la longi temporis 
praescriptio. 
Via via che si passa, per quel che riguarda gli utenti, dai privati 
agli organi dotati d'impero, la formazione della regola 
consuetudinaria diventa sempre più rapida
6
, sino al caso limite 
degli organi legislativi supremi, come il Parlamento, in cui può 
bastare talora un solo atto innovativo per dare vita ad una norma 
costituzionale non scritta. 
                                     
6
 Esiste una tesi che nega ogni valore all’elemento temporale degli usi e vi sostituisce 
l’elemento spaziale, sostenendo che “la ripetizione uniforme della data condotta non è 
necessario che si diluisca nel tempo, quando sia estesa nello spazio, cioè nella società, sia 
essa professionale o territoriale”. FERRARI, Introduzione ad uno studio sul diritto pubblico 
consuetudinario, Milano, 1950, p. 67. 
 15
1.3 Gli usi nelle disposizioni sulla legge in generale. 
 
Gli usi costituiscono fonte di diritto non in quanto previsti e 
disciplinati dalla Costituzione, ma in virtù di una disposizione di 
rango legislativo; infatti, l’art. 1 disp. prel. cod. civ. dispone che 
“sono fonti del diritto: 1) le leggi; 2) i regolamenti; 3) le norme 
corporative
7
; 4) gli usi”. 
Ne consegue che gli usi occupano una posizione di grado 
inferiore rispetto alle fonti normative scritte ed è esclusa 
l’ammissibilità della consuetudine cosiddetta contra legem, come 
pure della desuetudine. Una conferma di ciò è data dall’art. 15 
disp. prel. cod. civ., il quale dispone che “le leggi non sono 
abrogate che da leggi posteriori”; è quindi escluso, in linea di 
principio, che una legge possa essere abrogata mediante 
desuetudine, ossia in forza di una consuetudine in contrasto con 
la legge stessa. 
Inoltre, l’art. 8 disp. prel. cod. civ. stabilisce che “nelle materie 
regolate dalle leggi e dai regolamenti gli usi hanno efficacia solo 
in quanto sono da essi richiamati”. 
Occorre dunque distinguere: le materie o fattispecie disciplinate 
da leggi e regolamenti, dalle materie o fattispecie che non 
trovano disciplina nelle fonti scritte
8
. 
                                     
7
 Abrogate per incompatibilità a seguito della soppressione dell’ordinamento corporativo, 
avvenuta con il d. l. 23 novembre 1944, n. 369. 
8
 GUASTINI, Le fonti del diritto e l’interpretazione, Milano, 1993, p. 261 ss. 
 16
Per ciò che concerne le materie o fattispecie disciplinate da 
norme legislative e/o regolamentari (ossia quasi tutte le materie 
sulle quali può sorgere controversia), la consuetudine è idonea a 
produrre effetti giuridici se, e solo se, ad essa si fa espresso rinvio 
nelle leggi o nei regolamenti, come previsto dall’art. 8 disp. prel. 
cod. civ. 
In tal caso la consuetudine è detta secundum legem ed ha 
efficacia limitata a quei rapporti ed a quegli aspetti della relativa 
disciplina per i quali la legge od il regolamento ad essa 
espressamente rinvia. 
Conviene avvertire, peraltro, che il rinvio alla consuetudine è 
precluso in materie coperte da riserva di legge, le quali non 
possono essere disciplinate da fonti diverse dalla legge; sicchè, in 
tali materie, una legge che facesse rinvio alla consuetudine 
sarebbe costituzionalmente illegittima. 
Per quanto riguarda le (rare) materie o fattispecie non disciplinate 
in alcun modo da fonti scritte, nulla è espressamente disposto. 
Argomentando a contrario dall’art. 8 disp. prel. cod. civ. si 
ritiene che in queste materie sia consentito ricorrere agli usi, al 
fine di colmare le lacune del diritto; la consuetudine non 
richiamata da fonti scritte, e impiegata per completare la 
disciplina delle fonti scritte, è comunemente detta praeter legem. 
 17
D’altro canto, va osservato che l’art. 12, c. 2, disp. prel. cod. civ. 
prevede espressamente, quali tecniche d'integrazione del diritto 
lacunoso, l’analogia e il ricorso ai principi generali del diritto, 
non menzionando affatto la consuetudine. 
Sulla base di tale disposizione si può sostenere che il ruolo della 
consuetudine praeter legem è estremamente ridotto in quanto vi è 
consentito il ricorso solo quando il caso in esame non possa 
essere deciso mediante analogia, e neppure ricada sotto alcun 
principio generale. 
L’ultima disposizione riguardante gli usi è l’art. 9 disp. prel. cod. 
civ., il quale stabilisce che “gli usi pubblicati nelle raccolte 
ufficiali degli enti e degli organi a ciò autorizzati si presumono 
esistenti fino a prova contraria”. 
Tale presunzione di esistenza, che ha il grande pregio di riversare 
l’onere della prova su chi contesti l’esistenza dell’uso certificato 
dalla raccolta camerale, assiste quegli usi la cui pubblicazione sia 
stata preceduta dall’accertamento secondo le modalità previste 
dalla legge.