8 
 
PARTE PRIMA: SOSTENIBILITA’ 
1.1) LO SVILUPPO SOSTENIBILE: CENNI TEORICI E STORICI 
Per gli economisti classici le risorse ambientali sono un elemento fondamentale della 
produzione
6
. Il fattore “terra”, disponibile in quantità limitata, era il vincolo da cui 
scaturiva la rendita, secondo David Ricardo, ed il freno ad una crescita demografica 
esponenziale perpetua, secondo Thomas Robert Malthus. Nonostante la possibilità del 
progresso tecnologico, la scarsità assoluta di terra avrebbe portato in un futuro imprecisato 
il sistema economico ad uno stadio di stazionarietà. Karl Marx inserì la qualità ambientale 
tra le determinanti del conflitto tra le classi sociali. La contraddizione nasceva dalla 
decisione dei capitalisti di adottare tecniche produttive inquinanti, cosiddette “labour 
saving”, la cui conseguenza era la richiesta da parte dei lavoratori di salari maggiori per 
poter pagare le cure sanitarie, conseguenza delle malattie derivanti dal degrado. 
Il neoclassicismo, fondato sull‟individualismo metodologico, trascurò questo tema insieme 
al concetto stesso di crescita, per elaborare una scienza esatta basata sull‟equilibrio a cui 
tenderebbe naturalmente il mercato. La terra scompariva dalla funzione di produzione, per 
essere inglobata nel capitale. I prezzi erano interpretati come la spia e la guida di ogni 
comportamento razionale degli operatori: la qualità dell‟ambiente era quindi adeguata alle 
preferenze dei singoli verso tale bene. Con la rivoluzione keynesiana tornò in auge l‟idea 
di crescita, ma i teorici si occuparono soprattutto delle manovre di politica economica per 
garantirla in senso illimitato, con l‟aiuto di una tecnologia in evoluzione continua. Negli 
anni „70, in seguito alla presa di coscienza, a livello prima scientifico e poi sociale, del 
crescente impatto dell‟attività umana sulle risorse del pianeta, prese forma il pensiero 
ambientalista. I pionieri di questo nuovo orientamento in economia furono Kenneth 
Boulding e Nicholas Georgescu-Roegen. Il primo contrappose il comportamento 
predatorio degli uomini, come cowboys in una prateria sconfinata, alla realtà di una 
comunità mondiale che può disporre solo di risorse limitate, come se si trovasse all‟interno 
di un‟enorme astronave
7
. Il secondo introdusse la disciplina della bioeconomia 
sottolineando l‟interdipendenza tra attività economica ed ecosistema, analizzando la 
trasformazione ed il consumo di energia da parte della popolazione, teorizzando infine 
l‟inevitabilità dell‟esaurimento delle risorse e dell‟estinzione della razza umana, date le 
medesime condizioni di partenza, seppure in un futuro lontano
8
. Tale conclusione deriva 
dalla constatazione che ogni processo in natura risponde alle leggi della termodinamica; in 
particolare la seconda legge dimostra come ogni processo produttivo non diminuisce (e 
                                                           
6
 Per la storia della problematica ambientale nella teoria economica si è fatto riferimento essenzialmente a: 
Pearce .W., 
Turner R.K. (1991) “Economia delle risorse naturali e dell‟ambiente”, Il Mulino, Bologna, pagg.17-40  
7
 Tale modello è conosciuto come Earth Spaceship Model. 
8
 Georgescu-Roegen N. (1982) “Energia e miti economici”, Bollati Boringhieri, Torino
9 
 
quindi incrementa irreversibilmente o lascia invariata) l‟entropia del sistema-Terra”. La 
reazione della gran parte degli economisti all‟allarmismo suscitato da queste nuove visioni 
del problema si è cristallizzata nella divisione tra tecnocentristi (o antropocentristi) ed 
ecocentristi, così come proposto da D.W. Pearce e R.K. Turner. 
Il tecnocentrismo assegna un valore strumentale ai beni naturali rispetto all‟obiettivo del 
soddisfacimento dei bisogni umani. All‟interno di questo approccio possiamo distinguere 
una visione “estrema”, che associa al piano o al mercato una fiducia assoluta nella 
risoluzione del problema della scarsità, ed una visione “accomodante”, che attribuisce alla 
conservazione delle risorse, cioè al loro utilizzo razionale, un ruolo decisivo nella dinamica 
dello sviluppo economico. L‟ecocentrismo, a sua volta, associa un valore intrinseco alla 
natura, indipendente da valutazioni della capacità di produrne reddito. Anche questo fronte 
può essere suddiviso tra una fazione più moderata, i comunitaristi, che propugnano la 
preservazione delle risorse come vincoli conseguenti alla crescita, ed una frangia più 
estremista rappresentata dai seguaci della “deep ecology” i quali, richiamandosi a principi 
bioetici, sperano in un ritorno all‟uso minimo dell‟ambiente da parte dell‟uomo, come nei 
secoli precedenti alla rivoluzione industriale.  
Una panoramica alternativa a quella presentata da David Pearce e R.K. Turner è data da 
P.A. Victor sulla base dei diversi approcci alla teoria del capitale naturale (Kn )
9
. Si 
possono distinguere le seguenti correnti, tra le più significative:  
• Scuola neoclassica: definisce il capitale come “tutto ciò che genera un flusso di servizi 
produttivi nel tempo e che è soggetto al controllo nei processi produttivi”
10
; sono compresi 
nella definizione quindi solo le risorse naturali utilizzate nella produzione. Le risorse non 
rinnovabili non costituiscono un limite alla crescita se sono sufficientemente sostituibili 
con capitale fisico
11
; 
• London school: sostiene che il capitale naturale non è assimilabile a quello fisico, in 
quanto la sostituibilità non è completa. Incertezza ed irreversibilità inducono a mantenere 
uno stock costante di capitale naturale (D. Pearce e G. Atkinson);  
• Scuola termodinamica: si tratta dell‟approccio già visto che deriva da K. Boulding e N. 
Georgescu-Roegen, il quale auspica una contabilità delle risorse impiegate e disponibili, al 
fine di valutare il relativo grado di entropia raggiunto. 
                                                           
9
 Victor P.A. (1991) “Indicators of sustainable development: some lesson from capital theory”, Ecological 
Economics, 
n.4, pagg.191-213 
10
 cit. in Victor A.P. (1991), op. cit., pag.193, tratta da Herfindahl O., Kneese A.V. (1974) “Natural theory of 
natural 
resources”, Charles E. Merill, Columbus, OH. 
11
 In questa sede, il capitale fisico comprende anche un generico fattore denominato fiducia nel progresso 
tecnico.
10 
 
Questa panoramica ovviamente non esaurisce tutte le sfumature dei possibili approcci al 
problema ambientale in ambito economico, ma fornisce una rapida visione delle diverse 
opinioni e soluzioni proposte. La questione ambientale apparve all‟attenzione dell‟opinione 
pubblica agli inizi degli anni sessanta. In precedenza, l‟ondata di nuovi prodotti immessi 
sul mercato, grazie all‟avvento della petrolchimica, e la ripresa economica postbellica, 
dovuta al progetto Manhattan ed alla diffusione dell‟economia di mercato in europa, 
avevano dato l‟impressione dell‟inizio di un periodo di crescita incondizionata e senza 
conseguenze negative. In “Primavera Silenziosa” (Silent Spring – 1962), Rachel Carson 
suggerì che l‟accumulo nell‟ambiente dei pesticidi chimici (DDT) per fini agricoli potesse 
danneggiare la salute animale ed umana. Questa ipotesi, seppur ampiamente contestata 
all‟epoca da diversi soggetti, quali la Monsanto e la American Cyanamid, fu considerata un 
punto di svolta nella comprensione scientifica e, a seguire, nella costruzione di un‟opinione 
pubblica sensibile all‟interdipendenza tra attività economiche, salute ed ambiente. 
Nei primi anni settanta, gli organismi internazionali iniziarono ad inserire le tematiche 
ambientali nei documenti di cooperazione allo sviluppo, in seguito alle prime richieste di 
sfruttamento autonomo delle risorse naturali sollevate dagli stati dell‟emisfero meridionale. 
Il concetto di sviluppo ebbe un importante trasformazione: venne riconosciuto che 
l‟obiettivo di un‟equa distribuzione della ricchezza non poteva ignorare il degrado 
ambientale, inteso come “barriera allo sviluppo”. Questo tipo di considerazioni iniziavano 
a farsi strada anche nei Paesi occidentali, portando alla creazione di enti e di organismi 
quali il Natural Resources Defense Council (USA 1970) e l‟International Institute for 
Environment and Development (UK 1971), preposti allo studio ed alla prevenzione degli 
impatti ambientali più gravi. La risposta a queste preoccupazioni arrivò con la Conferenza 
sull‟Ambiente convocata dall‟ONU a Stoccolma nel 1972, dalla quale emerse la necessità 
di elaborare una strategia comune per la tutela ambientale e lo sfruttamento delle risorse, in 
un contesto di forte tensione tra blocco occidentale e blocco orientale. Nel documento 
finale fu riconosciuto che “lo sviluppo economico e sociale deve essere integrato dal 
miglioramento dell‟ambiente” e, a seguire, venne fondata l‟UNEP (United Nations 
Environment Programme), che negli anni successivi stimolò la nascita di numerose agenzie 
nazionali per la protezione dell‟ambiente. Il carattere compromissorio della dichiarazione 
fu contestato da autori come J. Schumacher, la cui critica investì l‟intero sistema 
industriale dei grandi impianti, accusati di violenza nei confronti della natura e 
dell‟umanità, e H.E. Daly che, rifacendosi alla conclusioni di J.S. Mill, invocò lo stato 
stazionario per evitare i danni e le irreversibilità della crescita
12
. Questi effetti negativi del 
capitalismo (di mercato e di stato) furono considerati come un sottoprodotto della scarsa 
attenzione prestata dalle società moderne alle tematiche comunitariste e solidariste. 
Herman Daly accusò la teoria economica contemporanea di trascurare il volume fisico 
                                                           
12
 Daly H.E., Cobb jr. J.B. (1990) “For the common good”, Green Print, London
11 
 
della produzione e di concentrarsi esclusivamente sulla sua allocazione e distribuzione
13
. 
Mentre i prezzi ed i trasferimenti possono costituire mezzi idonei per affrontare queste 
ultime due problematiche, essi sono ritenuti inadeguati per gestire i flussi di energia da e 
verso l‟ambiente, le cui risorse non sono illimitate. A questo fine, viene sviluppato negli 
anni „80 dall‟economia ecologica il concetto di carrying capacity, definita come “il limite 
massimo di individui che l‟ambiente e le risorse sono in grado di sostenere” dallo statistico 
belga Verhulst nel 1838, occupato a fornire una formalizzazione matematica del modello 
demografico malthusiano
14
. 
Nel 1972, inoltre, venne pubblicato il Rapporto del Club di Roma, redatto per conto di 
quest‟ultimo dal System Dynamics Group del MIT. All‟interno di questo documento 
vengono definiti, per la prima volta in maniera rigorosa, i limiti fisici alla crescita. Le 
conclusioni del rapporto furono che: 
 Se l‟attuale tasso di crescita demografico, dell‟industrializzazione, 
dell‟inquinamento, della produzione alimentare e dello sfruttamento delle risorse 
naturali continuerà inalterato, i limiti dello sviluppo saranno raggiunti entro i 
prossimi cento anni, a cui seguirà un declino improvviso ed incontrollabile della 
popolazione e della capacità produttiva; 
 È possibile modificare i tassi di sviluppo e giungere ad una condizione di stabilità 
ecologica ed economica, sostenibile anche nel lontano futuro. Lo stato di equilibrio 
globale dovrebbe essere progettato in modo che le necessità di ciascuna persona 
siano soddisfatte e ciascuno abbia uguali possibilità di realizzare il proprio 
potenziale umano. 
Da queste asserzioni scaturisce la raccomandazione di politica economica secondo la quale 
occorrerebbe aggiungere un vincolo al calcolo economico, che tenesse conto 
dell‟esaurimento delle risorse naturali non rinnovabili. Questo concetto si pone alla base 
dell‟idea di sviluppo sostenibile e la sua evoluzione parte proprio da questa importante 
assunzione.  
Un ulteriore passo avanti avvenne nel 1987, seguendo due strade parallele. Da una parte 
abbiamo il Rapporto Bruntland, conosciuto anche come Our Common Future, rilasciato 
dalla Commissione Mondiale sull‟Ambiente e sullo Sviluppo (WCED) in cui il concetto di 
sviluppo sostenibile veniva definito come “uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente 
senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”. 
                                                           
13
 Daly H.E. (1992) “Allocation, distribution, and scale: towards an economics that is efficient, just, and 
sustanaible”, Ecological Economics, n.6, pagg.185-193 
14
 Tibaldi E. (1992 ) “Quanto può sostenere un ambiente? Quanto può sopportare una popolazione?”, Caos, 
n.2, pag.14
12 
 
Da questo deriva il concetto di equità intergenerazionale
15
, che si aggancia indirettamente 
alla tutela dell‟ambiente e che aggiunge una nuova dimensione etica alle attività umane. 
Dall‟altra parte, invece, abbiamo il Protocollo di Montreal, con il quale la comunità 
internazionale ha definito un piano per la progressiva dismissione della produzione e 
dell‟impiego delle sette categorie di idrocarburi alogenati considerati responsabili dei danni 
allo strato di ozono, tra cui i clorofluorocarburi e gli halons. 
Successivamente, nel 1992, a Rio de Janeiro si tiene la nota Conferenza organizzata 
dall‟UNCED (United Nations Conference on Environment and Development), che si 
chiude con la redazione della  cosiddetta Agenda 21 e di altri documenti quali la Carta 
della Terra, la Convenzione sulla Biodiversità, la Convenzione sui Cambiamenti Climatici 
ed i Forest Principles. La Carta della Terra si propone come una dichiarazione contenente 
i principi etici fondamentali per la costruzione di una società globale giusta, sostenibile e 
pacifica nel 21° secolo. La Convenzione sulla Biodiviersità è un trattato avente lo scopo di 
tutelare la diversità biologica, l‟utilizzazione dei suoi elementi e la ripartizione equa dei 
vantaggi che ne derivano. La Convenzione sui Cambiamenti Climatici costituisce il quadro 
generale di un programma per la riduzione delle emissioni dei gas serra, il cui più 
importante protocollo di aggiornamento è costituito dal Protocollo di Kyoto del 1997.  
I cosiddetti Forest Principles hanno l‟obiettivo di disciplinare lo sfruttamento delle risorse 
forestali e di promuovere azioni per la loro salvaguardia. Infine, l‟Agenda 21 rappresenta 
un programma dedicato allo sviluppo sostenibile nel 21° secolo, definito da una 
pianificazione completa delle azioni da intraprendere a livello mondiale, nazionale e locale 
dall‟ONU, dai governi e dalle amministrazioni in ogni area in cui l‟attività umana ha 
impatti ambientali significativi. Dalla conferenza emerge quindi la riaffermazione di 
posizione, filosofia e politica del rapporto Bruntland, sottolineando però la difesa delle 
ragioni della sovranità nazionale, anche nelle questioni ambientali. Nel documento finale, 
la Dichiarazione di Rio, viene espressamente denunciato il rischio di tenere tra loro 
separate questione economica ed ecologica. 
Il 1997 costituisce un punto di svolta, in quanto l‟equilibrio tra le due dimensioni viene 
rimesso in discussione. Al Vertice di Kyoto del medesimo anno viene riaffermata quella 
logica di separazione tra questione economica ed ecologica che era stata abbandonata nella 
Conferenza di Rio. I delegati alla “Convenzione delle Nazioni Unite sul Cambiamento 
Climatico” sottoscrivono un Protocollo in base al quale i Paesi industrializzati dell‟OECD 
si impegnano a ridurre le loro emissioni di gas ad effetto serra, provocati per la maggior 
parte dall‟uso massiccio di combustibili fossili, del 5,2%, in media, rispetto ai livelli del 
1990 sull‟arco temporale 2008-2012. La vera novità del Protocollo di Kyoto è che, mentre 
                                                           
15
 Con essa si intende l‟ applicazione del principio di equità tra generazioni presenti in periodi temporali 
diversi. In altre parole, la sua applicazione implica la parità di accesso alle risorse per tutte le generazioni 
presenti e future.
13 
 
nessun vincolo viene imposto alle emissioni generate dai Paesi in via di sviluppo, ai Paesi 
avanzati, per mitigare i costi legati all‟implementazione dell‟accordo, vengono concessi 
alcuni strumenti flessibili: 
 il Clean Development Mechanism
16
,  
 la Joint Implementation
17
, 
  l‟Emission Trading
18
. 
Negli anni a seguire sono stati compiuti numerosi sforzi per mantenere alta l‟attenzione 
mondiale sulle tematiche ambientali e per concretizzare gli interventi e le correzioni 
richieste per una radicale implementazione di politiche sostenibili. Tra queste è importante 
ricordare l‟Appello di Joahnnesburg, nel 2002, convocato in un clima di frustrazione per 
l‟assenza di processi di iniziativa governativa, in cui fu rinnovato l‟appello a tutti i Paesi di 
aumentare gli sforzi verso una direzione sostenibile condivisa, e l‟Aalborg plus Ten, che 
rappresenta una significativa iniziativa europea, tra le altre intraprese da diversi Paesi in 
tutto il mondo, per trasformare l‟Agenda 21 in Azione 21, ossia per concretizzare i 
propositi precedentemente definiti con un piano di azione effettivo. Secondo i rapporti 
annuali “State of the World” del Worldwatch Institute, diretto da L.R. Brown, diverse zone 
della Terra avrebbero già superato, o sarebbero sul punto di farlo, la propria carrying 
capacity, come dimostrato dalle carestie, dalla desertificazione e dal fenomeno 
dell‟erosione del suolo
19
.  
 
1.2) I PRIMI INTERVENTI ED IL CONCETTO DI GREENWASHING
20
 
Come primo passo per portare l‟auspicato cambiamento nell‟attuale modello di società, 
occorre quindi prendere atto che la politica attuale non può continuare con la stessa 
filosofia. Uno dei primi tentativi, a livello globale, di introduzione dell‟ambiente come 
fattore rilevante nelle transazioni commerciali è stata l‟istituzione dei progetti di “carbon 
offsetting”. L‟idea alla base della compensazione delle emissioni si basa su un equazione in 
                                                           
16
 Esso consente ai Paesi industrializzati di realizzare progetti nei Paesi in via di sviluppo che producano 
benefici ambientali in termini di riduzione delle emissioni di gas-serra e di sviluppo economico-sociale dei 
Paesi in oggetto, generando al tempo stesso quote di emissione per i Paesi che promuovono gli interventi. 
17
 Esso consente ai Paesi industrializzati di realizzare progetti per la riduzione delle emissioni, detti Joint 
Implementation Projects, in altri Paesi dello stesso gruppo (tali gruppi sono definiti dal Protocollo di Kyoto), 
in alternativa alla riduzione interna di emissioni. Da notare che questo strumento coinvolge solo Paesi che, in 
base all‟accordo, hanno obblighi di riduzione delle emissioni. 
18
 Esso permette lo scambio di quote di emissione tra Paesi industrializzati e ad economia di transizione 
(Paesi ad economia pianificata in trasformazione ad economia di mercato). Un paese che abbia conseguito 
una diminuzione delle proprie emissioni di gas serra superiore al proprio obiettivo può, in questo modo, 
cedere tali quote ad un paese che non sia stato in grado di rispettare i propri impegni sulla riduzione delle 
emissioni.  
19
 Brown L.R., Wolf B. (1988) “Lo sviluppo insostenibile”, in WWI “State of the world 1988”, Isedi, Milano, 
pagg.231-232 
20
 “The Carbon Neutral Myth: Offset Indulgences For Your Climate Sins” – Kevin Smith
14 
 
cui, da un lato abbiamo le emissioni di CO
2
, mentre dall‟altro occorre identificare 
l‟ammontare di emissioni presumibilmente neutralizzato con la strategia di compensazione 
scelta. Occorre sottolineare la difficoltà di quest‟ultima operazione poiché non esistono 
metodi di calcolo adeguati che rendano il modello affidabile. Inoltre, riguardo ai progetti 
basati sulla riforestazione, la conoscenza del ciclo naturale del carbonio è, ad oggi, troppo 
limitata per essere in grado di quantificare con precisione quanta CO
2
 sia effettivamente 
assorbita dagli alberi. Queste osservazioni sono valide per tutti i progetti di 
compensazione, anche se basati sull‟efficienza energetica o sull‟energia alternativa, in 
quanto risulta difficile quantificare con esattezza l‟ammontare di CO
2
 che sarebbe immesso 
in atmosfera in assenza di questi. 
 Il primo progetto in questo senso fu creato nel 1989 negli USA, quando la Applied Energy 
Services ottenne il permesso per costruire una centrale elettrica a carbone da 183 
megawatt, in parte grazie al suo pionieristico piano di compensazione, il quale prevedeva il 
rimboschimento con 50 milioni di alberi nel Guatemala. Questo progetto iniziale fu colpito 
da buona parte dei problemi che avevano sempre afflitto tutti i progetti di compensazione 
fino a quel momento: gli alberi collocati inizialmente, infatti, risultarono inadatti 
all‟ecosistema locale e causarono la degradazione del territorio, mentre gli abitanti del 
luogo videro criminalizzate le loro quotidiane attività per la sussistenza, quali la raccolta di 
legna per il riscaldamento. Dopo 10 anni dall‟inizio del progetto, gli esperti dichiararono 
che l‟obiettivo era ben lontano dall‟essere stato raggiunto. 
Successivamente, nel 1996, nacque la società Future Forests. Nonostante numerose 
opinioni negative in anni più recenti, tale società si impose come la prima impresa di alto 
profilo per i progetti di compensazione, ottenendo così grande notorietà presso la stampa, 
grazie all‟appoggio di pop star ed attori famosi, che costituivano il principale veicolo 
pubblicitario utilizzato. Nei primi anni del 2000, iniziarono ad emergere numerose opinioni 
critiche, le quali mettevano in discussione sia la validità scientifica dei progetti di 
compensazione, che l‟impiego effettivo in tali progetti delle risorse a disposizione 
dell‟impresa. In una lettera inviata ai maggiori clienti della società, nel maggio 2004, da un 
gruppo di ambientalisti, tra cui la Carbon Trade Watch, si mette in evidenza come la 
differenza tra piantare alberi per migliorare il clima e piantare alberi come parte di un 
programma che sostiene l’ ulteriore consumo di combustibili fossili, fosse la differenza tra 
green action e greenwashing. Il termine greenwashing viene utilizzato nella sua 
definizione attuale proprio in questa circostanza per la prima volta ed acquisirà un 
significato ben preciso nei periodi successivi. Essa è la pratica di riconoscersi fuorvianti 
meriti riguardo i benefici ambientali di un prodotto, servizio, tecnologia o processo 
utilizzato. Questa pratica può far apparire un‟impresa più virtuosa, da un punto di vista
15 
 
ambientale, di quello che effettivamente è inducendo in errore i consumatori e 
differenziandosi artificialmente dai concorrenti con autodichiarazioni inconsistenti
21
. 
Nel settembre 2005, Future Forests cambiò nome in Carbon Neutral Company, poiché 
l‟attività della società si era ampliata oltre alla sola attività di riforestazione, includendo 
consulenze sui cambiamenti climatici, progetti di compensazione basati sull‟efficienza 
energetica e sulle energie rinnovabili. Uno dei possibili motivi di questo cambio di identità 
è probabilmente collegabile alla pubblicità negativa che i tradizionali progetti di 
compensazione tramite riforestazione hanno subìto negli anni. Questa società, assieme ad 
altre che operano nel medesimo settore, promettono di “assicurare che saranno creati e 
gestiti con cura numerosi boschi per almeno 99 anni”. Numerosi autori
22
 hanno sollevato 
obiezioni e critiche a queste attività. Alcuni sostengono che tali contratti a lungo termine 
vogliano evidenziare come la compensazione non sia fatta solo ad uso e consumo presente, 
ma impongano anche dei vincoli al futuro, in quanto non è chiaro quanto tempo 
impieghino gli alberi a bilanciare le emissioni di anidride carbonica. Inoltre si sostiene che 
questi progetti non siano gestibili nel tempo, per via della velocità a cui l‟espansione 
umana converte territori liberi a fini diversi, soprattutto agricoli. Risulta evidente a questo 
punto come tutte le precedenti critiche stiano mettendo in discussione la validità e 
l‟efficacia dei progetti basati sulla riforestazione, spostando quindi l‟attenzione da una 
parte verso progetti basati sulle energie rinnovabili e sull‟efficienza, dall‟altra verso nuove 
strade ed opportunità per ridurre l‟impatto dell‟attività umana sull‟ambiente. 
 
1.3) LO SCENARIO ATTUALE PER IL BUSINESS 
Il problema ambientale quindi, sia che se ne riconosca o meno l‟esistenza e la potenziale 
minaccia per l‟ecosistema, sta cambiando sempre più le esigenze del mercato: i 
consumatori manifestano bisogni sempre più sofisticati e chiedono prodotti che siano 
rispettosi dell‟ambiente, più precisamente eco-compatibili. I prodotti verdi, e le sfide 
ambientali che tentano di affrontare, costituiscono sempre meno nicchie di mercato ed il 
mondo dell‟industria ha mostrato, come abbiamo visto nel caso della compensazione delle 
emissioni, la volontà di affrontare queste nuove richieste del mercato, nonostante non tutte 
le imprese abbiano ancora chiaro se e come gestire questa nuova sfida.  
Le più grandi imprese multinazionali e non hanno iniziato già da alcuni anni ad anticipare 
il nuovo trend. Per esempio, l‟amministratore delegato della General Electric, Jeff Immelt, 
                                                           
21
 Il tema del Greenwashing è stato trattato ampiamente da diversi autori e da gruppi indipendenti. In 
particolare, il report annuale “Don’t be fooled” del gruppo Earth Day Resources riporta una classifica delle 
10 peggiori aziende. 
22
 “Carbon Trading: A Critical Conversation On Climate Change, Privatization and Power” – Larry Lohmann
16 
 
annunciò
23
 una nuova iniziativa, chiamata “ecoimagination”, che impegnava l‟impresa a 
raddoppiare i suoi investimenti in prodotti ecologici, dalle lampadine a basso consumo ai 
sistemi industriali di depurazione dell‟acqua fino ai motori per jet ad alta efficienza. 
Supportato da una campagna pubblicitaria massiccia, Immelt ha cercato di trasformare 
l‟immagine della GE, proponendola come una cura per i mali ambientali del mondo. 
Ancora, in un discorso tenuto a Bentonville, Arkansas, dell‟amministratore delegato di 
Wal-Mart, Lee Scott definisce il proprio modello di “leadership per il ventunesimo 
secolo”. Il nocciolo del suo manifesto è l‟impegno verso il miglioramento della 
performance ambientale dell‟impresa: Wal-Mart, nei prossimi anni, ridurrà del 30% l‟uso 
di energia, mirando ad impiegare energia rinnovabile al 100% e raddoppiando l‟efficienza 
della sua enorme flotta di veicoli da trasporto. In definitiva, il progetto consiste 
nell‟investire 500 milioni di dollari all‟anno in queste attività. Inoltre, Wal-Mart ha 
intenzione di lavorare sempre più a contatto con i propri fornitori per creare prodotti 
sempre più ecologici: una quota crescente del pesce venduto dalla multinazionale sarà 
acquistato da pescherie sostenibili ed i fornitori di cotone impiegati dovranno utilizzare 
cotone prevalentemente biologico. Il gigante della distribuzione ha, inoltre, sviluppato una 
scheda di valutazione degli imballaggi per giudicare gli sforzi dei fornitori verso la 
riduzione dei rifiuti e dei consumi di combustibili fossili. Tutte queste attività, secondo Lee 
Scott, “renderanno Wal-Mart più competitiva ed innovativa”. 
Le imprese citate costituiscono un emblema di quello che sta accadendo nel mondo 
industriale. Molti si sono domandati perché delle società così affermate, che 
apparentemente non hanno bisogno di investimenti miliardari per ristrutturare e 
sconvolgere la propria organizzazione interna ed esterna, decidano di affrontare a viso 
aperto le sempre più numerose questioni ambientali. La risposta è semplicemente che 
devono farlo: le forze che premono sulle imprese sono sempre più concrete e numerose, e 
come qualsiasi rivoluzione, questa nuova “onda verde” rappresenta una sfida senza 
precedenti per il mondo dell‟impresa. Dietro questa nuova tendenza risiedono due fonti di 
pressione principali: la prima è data dai limiti fisici del mondo naturale che potrebbero 
vincolare le operazioni di business e minacciare la salute del pianeta, la seconda  è 
costituita da tutti gli stakeholder dell‟impresa che sono preoccupati dell‟ambiente. Il 
riscaldamento globale, la non rinnovabilità di molte risorse, la scarsità di acqua, la perdita 
di biodiversità, la crescente presenza di sostanze tossiche in uomini ed animali: tutto ciò ed 
altre questioni stanno inevitabilmente influenzando il funzionamento della società e dei 
mercati, offrendo a coloro che trovassero la migliore soluzione la possibilità di guidare il 
proprio mercato. Alcuni di questi problemi, naturalmente, quali il deterioramento dello 
strato di ozono e la scarsità di acqua, sono chiari ed i loro effetti ben visibili. Su altre 
questioni, principalmente i cambiamenti climatici, ci sono numerose incertezze sulla 
                                                           
23
 L‟inizio del progetto risale al 2005 e si stima che abbia incrementato il valore del marchio di 6 miliardi di 
dollari.
17 
 
velocità e sul potenziale impatto dell‟evento; ma le prove raccolte ed il consenso di 
numerosi ambiti scientifici sono sufficientemente forti da richiedere un‟azione 
immediata
24
.   
Su questi problemi, quindi, si sta assistendo ad un allargamento delle base di operatori ed 
attori coinvolti nella loro gestione. I governi, ad esempio, stanno seriamente considerando 
la questione da molti punti di vista ed in varie parti del mondo industrializzato, tramite 
regolamenti per il controllo delle emissioni e per punire gli inquinatori per i danni che 
causano. Altri soggetti, quali le Organizzazioni Non Governative, i clienti ed i dipendenti 
delle imprese, chiedono sempre più a gran voce che l‟industria assuma una posizione 
decisa ed affronti questi eventi in modo efficace. Un esempio è dato dalla Hewlett-Packard 
(HP): nel 2007, oltre 12 miliardi di dollari del volume d‟affari della società sono scaturiti 
dalle risposte della stessa alle richieste dei clienti riguardo alla sua performance sociale ed 
ambientale. Come sostenuto da Pat Tiernan, responsabile HP di ambiente e sostenibilità, 
questi nuovi elementi possono essere critici nelle decisioni di approvvigionamento ed, in 
alcuni casi, equiparabili ai criteri tradizionali quali prezzo, consegna e qualità. Gli 
stakeholder, quindi, da un lato portano a mutazioni nei mercati, creando nuovi rischi di 
business ma, dall‟altro, creano numerose opportunità per le imprese preparate ad affrontare 
la sfida. 
 
1.4) I DRIVER NATURALI: RISCHI ED OPPORTUNITA’ 
A metà degli anni 90, i dirigenti della Unilever hanno intravisto una grande minaccia 
all‟orizzonte ad una delle loro linee di prodotto: la fornitura per i bastoncini di pesce 
congelato era a rischio per via della sempre maggiore scarsità di pesce negli oceani. Preso 
atto del problema, la società decise di intervenire: in associazione con il Wolrd Wildlife 
Fund, essa costituì un organizzazione indipendente, il Marine Stewardship Council, per 
promuovere la pesca sostenibile nel mondo, certificando le società che praticano la pesca 
sostenibile. Per creare il giusto incentivo ed avviare l‟operazione, l‟Unilever si impegnò ad 
acquistare tutto il suo pesce da fonti sostenibili. Tale impegno non ha a che fare con 
ambizioni ambientaliste dell‟impresa, bensì si tratta di tutelare il proprio business dalle 
minacce potenziali ed assicurarsi un futuro con minori rischi. Uno degli amministratori, 
Antony Burgmans, infatti, dichiaro che, essendo la società una dei maggiori acquirenti 
mondiali di pesce, l‟eliminazioni di metodi che distruggerebbero le sue scorte naturali 
costituisce un preciso interesse commerciale della società. 
                                                           
24
 Si ricorda come l‟ex vice presidente USA, Al Gore, e l‟Intergovernmental Panel on Climate Change 
(IPCC) abbiano ricevuto nel 2007 il Premio Nobel per la Pace per avere chiarito l‟importanza di questi eventi 
ed il bisogno di una risposta veloce e decisa.
18 
 
Questo punto di vista è abbastanza ovvio, ma avere una visione chiara degli impatti di altri 
fattori, quali la scarsità futura delle risorse non rinnovabili e l‟inquinamento atmosferico, 
non è così semplice. Una parte del mondo sociale e scientifico ha evidenziato 
negativamente l‟aspetto allarmistico del problema, mentre altre ne hanno a stento 
riconosciuto l‟esistenza. Ad ogni modo, nel 2005 le Nazioni Unite si sono espresse in 
modo inequivocabile attraverso il Millenium Ecosystem Assessment, uno studio estensivo 
su 24 sistemi naturali di supporto. Ognuno di questi è in declino, dalla disponibilità di 
acqua potabile alla degradazione dei terreni al rischio di cambiamenti climatici: i problemi 
sono pervasivi e richiedono urgentemente attenzione, onde evitare che siano irreversibili 
nel momento della loro manifestazione. Perciò, mentre il mondo dell‟impresa si sta 
progressivamente rendendo conto della limitatezza di molte risorse naturali, allo stesso 
tempo sta emergendo come i limiti possono creare opportunità. La trasformazione del 
pensiero ambientale, in questo senso, in un vantaggio competitivo richiede quindi risorse, 
conoscenze e capacità per unire tutti questi fattori in una soluzione vincente. I fattori 
ambientali hanno un diverso impatto su ciascuna realtà organizzativa ed, inoltre, questi 
tendono ad evolversi nel tempo, in linea con la progressiva comprensione scientifica dei 
fenomeni: alcuni prodotti, basati su un certo tipo di risorse, possono essere sostituiti da 
altri, così come le preferenze ed i gusti dei consumatori si modificano frequentemente. 
Occorre quindi che le imprese ed i loro manager conoscano a fondo le dinamiche 
ambientali per poterne valutare l‟impatto sulle loro operazioni. 
Di seguito, vengono presentate le più importanti questioni ambientali ed il loro impatto 
potenziale sul mondo dell‟impresa. 
 RISCALDAMENTO GLOBALE 
Questo fenomeno, tristemente famoso, porta con se una serie di altri effetti quali 
l‟innalzamento del livello dei mari, la modifica della frequenza delle piogge, fenomeni 
atmosferici più dannosi ed intensi e la diffusione di malattie non autoctone
25
. 
Naturalmente, molti scettici puntano il dito contro le sue basi scientifiche, indicandone la 
scarsa solidità: nonostante questo, ormai ci sono alcuni punti consolidati che non sono 
quasi più oggetto di contestazione. Innanzitutto, i gas serra nell‟atmosfera intrappolano 
calore che altrimenti verrebbe disperso nello spazio
26
, ma l‟attività umana ha senz‟altro 
favorito nel tempo un accumulazione di tali gas oltre a quanto necessario a garantire la 
salute del pianeta. Dal periodo pre-industriale, il livello di anidride carbonica nell‟aria è 
cresciuto da 280 ppm a quasi 400 ppm: sapendo che i campioni dei ghiacci artici hanno 
dimostrato come tale livello non abbia mai superato le 300 ppm, il problema è da prendere 
in considerazione. Il consenso scientifico, inoltre, è in costante crescita, con la 
                                                           
25
 Si pensi alla malaria, la quale si sta diffondendo in luoghi che un tempo non erano sufficientemente caldi. 
26
 L‟effetto serra è infatti essenziale a garantire una temperatura che renda abitabile il pianeta.
19 
 
mobilitazione di numerose personalità ed organizzazioni quali l‟IPCC
27
, che nel 2007 ha 
dichiarato l‟inequivocabilità del collegamento tra uomo e cambiamenti climatici. 
Naturalmente nessuno ha dati certi riguardo a velocità, forza e distribuzione degli impatti; 
tuttavia, numerosi studi, tra cui quello introdotto nel riquadro 1, forniscono una 
panoramica delle minacce future.  
Per quanto riguarda le temperature, i picchi di calore sono sempre più frequenti dal 1998, 
con il 2005 come anno più caldo. L‟onda di calore del 2003 ha ucciso in Europa circa 
25000 persone e parte di ogni estate potrebbe essere così calda entro il 2040. I ghiacci si 
stanno sciogliendo un po‟ ovunque: le Rocky Mountains americane hanno perso il 16% 
della neve annuale, mentre il Kilimanjaro ha perso l‟80% dei suoi ghiacci perenni. La 
probabile conseguenza è un innalzamento di qualche metro dei mari entro un centinaio di 
anni, con la scomparsa di isole e l‟allagamento di numerose aree costiere, con un grande 
problema di migrazioni umane dalle aree colpite a quelle risparmiate. Allo stesso modo, gli 
eventi catastrofici come gli uragani sono destinati ad aumentare in termini di numero, 
intensità e raggio di azione, come conseguenza di una temperatura maggiore dei mari. 
Infine, anche gli ecosistemi subiranno probabilmente duri colpi, mentre alcune specie 
animali migreranno in aree non adatte ad ospitarle e viceversa: ad esempio, le temperature 
più elevate hanno permesso ad alcune specie di coleotteri di spostarsi ed adattarsi in Alaska 
e nella Columbia Britannica, distruggendo centinaia di acri di foreste
28
.  
I cambiamenti climatici, quindi, costituiscono una tematica politicamente controversa che 
potrebbe costare molto sia se affrontata subito che nel caso contrario. Infatti, la Stern 
Review del governo britannico sostiene che il fallimento nella gestione dei cambiamenti 
climatici potrebbe infliggere un danno economico a livello globale pari a circa il 5% del 
PIL. In alcuni scenari meno ottimistici, tale perdita raggiungerebbe il 20% del PIL 
mondiale. Al contrario, il costo di contenimento delle emissioni di gas serra potrebbe 
essere limitato ad appena l‟1% del PIL annuale. Naturalmente, il controllo dei gas serra è 
collegato al consumo di combustibili fossili, per cui è necessario prendere provvedimenti 
su un fronte più ampio che quello strettamente industriale. L‟aumento delle temperature e 
gli altri imprevedibili effetti atmosferici potrebbero seriamente influenzare un ampio 
numero di imprese e di esseri viventi, basti pensare a come la modifica nella frequenza 
delle piogge può danneggiare gli agricoltori. In effetti, alcuni settori, in particolare le 
assicurazioni, stanno già subendo le conseguenze di alcuni dei fattori citati in precedenza: 
il costo economico dei disastri naturali è aumentato di 10 volte dal 1950. Nella prospettiva 
di rischi ed incertezza sempre maggiori, alcune compagni di riassicurazione come la Swiss 
Re e la Munich Re stanno spingendo attivamente per una risposta più decisa a questi 
problemi ambientali. Un‟altra conseguenza importante per le imprese, diretta conseguenza 
                                                           
27
 Intergovernal Panel on Climate Change 
28
 “Limits to Growth: the 30-Year Update” – D. Meadows
20 
 
della crescente intensità dei problemi climatici, è data dall‟impatto in bilancio delle sempre 
più stringenti norme sulla salvaguardia dell‟ambiente, ormai presenti in tutte le legislazioni 
dei Paesi sviluppati. Il controllo sulle emissioni genera quindi dei costi per l‟industria: le 
tasse sui combustibili e sul carbonio emesso in atmosfera sono già presenti in Europa e 
Giappone. Questi elementi generano il bisogno di cambiamenti su larga scala e creano 
numerose opportunità: i consumatori, le comunità e le imprese necessiteranno di nuove 
tecnologie, prodotti e servizi mentre si adattano ai cambiamenti climatici e ad un contesto 
di consumi vincolati. 
ENERGIA 
Nel 2005, la Chevron Texaco ha iniziato a pubblicizzare sulle maggiori riviste americane 
alcuni slogan quali “l’era del petrolio facile è finita”. Con il petrolio che ha più volte 
superato la soglia dei 100 dollari al barile, si è trattata di un intuizione corretta. Nonostante 
ciò, ancora non si è certi di quando si raggiungerà il picco del petrolio a livello globale, 
mentre alcuni sostengono che questo evento si sia già verificato
29
. Indipendentemente da 
quale sia il punto di vista corretto, l‟energia del futuro non proverrà dalle stesse fonti del 
passato. L‟energia non costituisce propriamente un problema ambientale, ma ogni società 
ne ha bisogno ed il modo in cui la si produce fa una grande differenza in termini di impatto 
sull‟ecosistema. I combustibili fossili creano inquinamento durante il loro utilizzo e perfino 
fonti più pulite, come quella idroelettrica, hanno un qualche effetto dannoso sull‟ambiente. 
Chiaramente, il percorso energetico della società è ancora incerto, ma qualsiasi forma 
assuma l‟impatto sul mondo dell‟impresa sarà senz‟altro profondo. Per fare un esempio, ad 
oggi i 2/3 dell‟energia prodotta negli USA è ottenuta con combustibili fossili
30
. Con 
l‟aumento costante della domanda di energia, in particolare nelle aree a rapida crescita 
come la Cina e l‟India, il prezzo di questi carburanti rimarrà certamente elevato per molto 
tempo. La buona notizia è, però, che il mercato sta spingendo l‟attenzione verso fonti 
rinnovabili quali eolico a terra, eolico in mare, solare, geotermico e biocombustibili, le 
quali stanno diventando sempre più competitive sul prezzo. In alcune regioni, l‟eolico ha 
già conquistato una fetta di mercato interessante, come dimostrato dalla crescita recente 
delle imprese operanti nel settore. Allo stesso modo è cresciuto il supporto all‟energia 
nucleare, poiché non genera inquinamento aereo a livello locale, fermo restando il discusso 
problema della sicurezza e dello smaltimento delle scorie.  
Inevitabilmente, le modifiche nel quadro energetico creano nuove pressioni competitive. 
Per i settori a maggior impiego di energia, quali la manifattura e i trasporti, la produttività 
della stessa può diventare un punto di vantaggio strategico. In un contesto di prezzi 
                                                           
29
 Il modello di Hubbert costituisce l‟esempio più chiaro dei problemi creati dal superamento del picco di 
estrazione petrolifera, pur avendo subito negli anni numerose critiche ed avendo scarsi dati sulla sua 
correttezza. 
30
Più precisamente: 51% dal carbone, 17% dal gas naturale e 3% dall‟olio combustibile
21 
 
energetici elevati, l‟efficienza energetica e la sua conservazione è già una priorità per quasi 
tutti i settori industriali. Anche la domanda di energia rinnovabile è in aumento: più di 20 
stati americani, inclusa la California e l‟intero Nordest, richiedono infatti che una certa 
percentuale della fornitura elettrica provenga da fonti rinnovabili. Alcune imprese stanno 
addirittura avendo un comportamento proattivo, come l‟AMD che si è impegnata ad 
acquistare solo energia rinnovabile per il funzionamento di tutto il suo stabilimento di 
Austin, Texas, per 10 anni. Ancora, Google ha lanciato una nuova iniziativa che mira a 
sviluppare un giga watt di potenziale elettrico da energia rinnovabile ad un costo inferiore 
a quello del carbone. Altri esempi sono dati da Starbucks, FedEx Kinko‟s e Johnson & 
Johnson, le quali acquistano dal 5% al 20% della loro energia da fonti rinnovabili.  
Appare evidente, quindi, come le imprese operanti nell‟energia rinnovabile stiano 
diventando attraenti per i venture capitalist grandi e piccoli, proiettando l‟immagine di un 
futuro radicalmente diverso dal passato. I più grandi operatori della Silicon Valley, inclusi 
i celebri investitori Kleiner Perkins, hanno avviato dei fondi “clean tech” che investono 
principalmente in rinnovabili. Allo stesso modo stanno nascendo altri fondi di investimento 
orientati all‟ambiente quali il Generation Investment Management di Al Gore, Mission 
Point Capital e Good Energies
31
. Le prospettive di questo mercato sono molto buone, 
secondo tutte le previsioni. Le Nazioni Unite hanno evidenziato in uno studio che i fondi 
impiegati nelle tecnologie pulite supereranno i 10 miliardi di dollari. Dalle celle solari alle 
turbine eoliche ai veicoli ad idrogeno, il mondo dell‟impresa sta lavorando per rendere 
vincente la propria soluzione. Ovviamente non tutte avranno successo, ma molti profitti 
futuri si nascondono in questo settore e nelle sue applicazioni esterne. 
ACQUA 
L‟acqua costituisce la fonte della vita, nonché un input critico per l‟agricoltura e per molti 
processi industriali. I limiti nell‟accesso all‟acqua appaiono sempre più concreti, in un 
contesto di crescita demografica e di economie in crescita esponenziale nel sudest asiatico. 
Inoltre, anche dove l‟acqua è abbondante e disponibile, l‟inquinamento idrico costituisce 
un serio problema. Per le imprese, la sfida riguarda perciò la quantità e la qualità 
dell‟acqua disponibile.  
Negli Stati Uniti ed in altre nazioni sviluppate, la qualità è migliorata notevolmente dagli 
anni passati
32
. Ciò nonostante le acque sono ancora minacciate dai deflussi industriali ed 
agricoli, oltre che dalla contaminazione derivante da attività estrattive, edili e private. Nel 
mondo in via di sviluppo, quasi il 90% dei liquami ed il 70% dei deflussi industriali 
finiscono nei fiumi senza depurazione. Con la crescente stretta dei governi 
                                                           
31
 Quest‟ultimo è un importante fondo di investimento in energie rinnovabili e tecnologie pulite, 
caratterizzato da una filosofia innovativa che lo ha reso uno dei più importanti nel settore in cui opera. 
32
 Si ricorda l‟episodio del fiume Cuyahoga a Cleveland nel 1969, quando le acque del fiume si incendiarono 
per via dell‟accumulo di scorie infiammabili industriali.