5
pregiudizio, poiché se  c’è va argomentata, dal momento che non si tratta affatto di una cosa 
ovvia. Forse addirittura, 
 
per esprimere le intuizioni avute da filosofi (…) in merito ai limiti di una razionalità 
esclusivamente logica e soprattutto alla rilevazione di certi aspetti del mondo che non 
sembrano percepibili senza la partecipazione dell’elemento affettivo, il cinema ci offre un 
linguaggio più appropriato rispetto al linguaggio scritto
2
.  
 
 Questo avviene perché il cinema utilizza una ragione logo-patica appunto, e non 
solamente “logica”, poiché la componente emotiva non schiaccia la razionalità, bensì la 
ridefinisce, veicolando, oltre alla consueta esperienza estetico-sociale che concerne la visione 
di un film, anche una valenza di natura cognitiva, argomentativa. Pertanto non parrà 
eccessivo vedere nel linguaggio del cinema un’alternativa forma di espressione utile per 
immaginarci simboli e figure di concetti quali il principio d’indeterminazione di Werner 
Heisemberg, che costituisce il leit motiv e l’oggetto unificante del percorso proposto.  
 La struttura prevede un capitolo che tratta in maniera piuttosto dettagliata della 
pellicola dei Coen, L’uomo che non c’era (2001), che ha rappresentato la spinta principale 
alla presente ricerca. L’analisi è inframmezzata da una lunga parentesi, di carattere il più 
possibile scientifico ma parimenti riassuntivo, sulla meccanica quantistica e sulle sue 
ripercussioni sul pensiero occidentale contemporaneo, ovvero i nuovi orizzonti dettati dalla 
crisi del determinismo. La prima sezione, evidentemente di segno introduttivo, ha il portante 
obiettivo di orientare la successiva analisi nei film proposti dalla seconda sezione, la quale 
analisi, per evitare la pedante ripetizione dei concetti fisici suddetti, citerà al minimo la 
valenza indeterministica delle storie, suggerendo quindi una lettura maggiormente intuitiva. 
Rashomon (A.Kurosawa,1958), L’année dernière à Marienbad (A.Resnais, 1961), Before the 
rain (M.Manchevski, 1994), Agnes of God (N.Jewison, 1985), sono le tappe di questo 
viaggio che servono a rappresentare vari aspetti complementari del principio di Heisemberg. 
Le varie analisi dei film (possibili letture fra molte) seguono la strategia di isolare quei punti 
riconducibili al problema filosofico, che siano caratteristiche a livello narrativo o di 
contenuto (per esempio la labilità del concetto di verità in Rashomon), o formale (per 
esempio la manipolazione dello spazio e del tempo in Marienbad). 
 La linea metodologica precedentemente riportata da Julio Cabrera ricalca appieno il 
nostro modo di procedere, dunque l’invito è quello di considerare le esposizioni che 
seguiranno non certo permanenti e indiscutibili, ma al contrario come una sorta di 
                                                 
2
 J.Cabrera, Da Aristotele a Spielberg : capire la filosofia attraverso i film, a cura di M.Di Sario, 
Milano, Mondadori, 2000, pag.7 
 6
avviamento a un dialogo, aperto. Coerentemente nondimeno ci si potrà imbattere nel corso 
della lettura in cambiamenti di rotta: per esempio una metafora (il cerchio), che in un primo 
tempo verrà giudicata perfetta ad immaginarci la cosiddetta filosofia dei quanti, verrà 
successivamente rimaneggiata e, attraverso il film di Manchevski, progressivamente 
“modificata”. In altre parole anche la forma del nostro testo tenderebbe a riflettere un 
carattere portante del tema in discussione. 
 Chiudendo il presente avvertimento sull’arbitrarietà e la forzatura del percorso 
suggerito e sull’eventuale carenza di rigore riguardo ad assunti strappati a fisica e mondo 
umanistico, possiamo ancora sottolineare il prospettivismo dell’intento: accedere a questi 
mondi eterogenei, dalla fisica alla celluloide, dal punto di vista dell’indeterminismo, nella 
convinzione che questa avviante ed emotivamente “impattante” esperienza che è il cinema 
dica qualcosa sul mondo, sebbene dica qualcosa che appartiene più all’ordine della 
“Possibilità” piuttosto che a quello della “Necessità”.  Tuttavia questo aspetto è 
fondamentale, perché se non conserviamo questo valore difficilmente potremmo parlare, 
secondo un senso profondo e non solo figurato, di Filosofia nel Cinema, o attraverso il 
Cinema
3
. Da ciò il motivo del titolo: “Heisemberg al Cinema”.  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                 
3
 J.Cabrera, Da Aristotele a Spielberg : capire la filosofia attraverso i film, a cura di M.Di Sario, 
Milano, Mondadori, 2000, pag.11 
 7
 
 
1. Parte prima.  
    Introduzione al principio d’indeterminazione. 
 
 
“The more you look, the less you really know” 
(Freddy Riedenschneider, cfr.fig.2) 
 
“Io, taglio solo i capelli” 
(Ed Crane) 
 
 
1.1 Dead man smoking 
 
 “The man who wasn’t there” (Joel & Ethan Coen, U.S.A., 2001) 
Scritto e diretto da Joel & Ethan Coen 
Interpreti: 
Ed Crane-Billy Bob Thornton,  
Doris Crane-Frances McDormand,    
Big Dave-James Gandolfini, 
Frank-Michael Badalucco, 
Walter Abundas-Richard Jenkins,  
Birdy Abundas-Scarlett Johansson,  
Tolliver-Jon Polito,  
Freddy Riedenschneider- Tony Shaloub,  
Ann Nirdlinger-Katherine Borowitz  
 
 
          “Io non vedo nessuno, e nessuno vede me”: Ed Crane perverrà nel corso del film a 
definirsi entità invisibile e immateriale, una sorta di fantasma, in coerenza con la prima 
rappresentazione con cui ci viene presentato: in ralenti e immerso in una costante coltre di 
fumo.  Un grigiore riflesso dai suoi capelli, dagli abiti fuori moda.  Così aspetterà nella sua 
cella la morte, consapevole di essere già da parecchio tempo uscito dalla vita, perfino forse di 
non esservi mai entrato.  L’uomo che non c’era è un aiuto-barbiere di una provincia, 
indifferente apatico e di poche parole, flemmatico, un “looser”, rassegnato alla sconfitta, 
introverso, emotivamente represso, indulgente verso le sigarette (secondo la più tipica 
tradizione noir
4
, del quale genere il film si configura come manipolazione metanarrativa
5
).  
                                                 
4
 Chiara l’ascendenza “mistery” che il film esibisce: dai romanzi neri di Hammet, Chandler, e Cain  
portati al grande schermo, da “La Fiamma del peccato” a “Il postino suona sempre due volte”, da 
Hawks, Welles, Hitchcock, Wilder, Siodmak e Fritz Lang, da Montgomery Clift o Humphrey Bogart: 
per cui ad esempio è facile ritrovare il tema/topos della donna padrona-maschio irretito o rivedere 
nella riflessiva voce-off  di Thornton quella, in qualità di uomo morto che parla, di William Holden 
sul suo “Viale del tramonto”(B.Wilder, 1950), senza contare i curiosi espliciti riferimenti disseminati 
 8
Nella vita si è barricato in un’inattiva maschera di spettatore, passivo assistente: nel negozio 
del cognato, nel nucleo familiare, nelle relazioni interpersonali.  Inciampa nelle cose, subisce 
le scelte altrui (come nel caso del matrimonio), tanto che pure l’assassinio non sarà frutto 
della sua volontà, ma un gesto non premeditato e dettato dalla casualità.  Lui, taglia solo i 
capelli.  Fuma.  Ascolta.  Per Crane il mondo esterno esiste come un attore su un palco, è lì 
ma è un’altra cosa, direbbe Pessoa.  
          1949, Santa Rosa (la stessa de L’ombra del dubbio, A.Hitchcock, 1944): Crane (che 
vive in zona residenziale da tipica classe media americana) lavora dal cognato (di origini 
italiane) ed ha una moglie, Doris, contabile dell’emporio dell’amico Big Dave (che ha 
intestato alla moglie Nirdlinger il locale).  La volontà di riscatto
6
 che cova Ed si concretizza 
quando può ricattare proprio Big Dave, in quanto supposto amante di sua moglie, per 
guadagnare abbastanza soldi per investire nell’ambizioso affare del futuro: il “lavaggio a 
secco”, propostogli dall’ambiguo tracagnotto Tolliver, improbabile imprenditore in cerca di 
un socio finanziatore.  Fallisce il piano (con tanto di lettera anonima minatoria), uccide per 
legittima difesa l’amante-rivale Big Dave, il quale era risalito attraverso il denaro al connubio 
tra Ed e  Tolliver, ma in prigione va però Doris, una volta rilevate le irregolarità contabili 
all’emporio.  Nonostante l’avvocato di grido F.Riedenshneider abbia un asso nella manica 
per salvarla dalla pena di morte, (per l’appunto il principio d’indeterminazione applicato alla 
legge grazie al concetto di “ragionevole dubbio”), la moglie tuttavia si suicida.  Aspettava un 
figlio dall’amante.   
 Crane vive un progressivo ulteriore svuotamento della propria esistenza, segnato da 
alienazione e solitudine: ipotecato il negozio, si reinventa, in una parentesi di sapore 
lolitesco, pigmalione di Birdy, ragazzina studentessa di piano, tutta tecnica ma senza talento.  
                                                                                                                                                       
lungo la pellicola: l’Hobert Arms dove alloggia Tolliver porta lo stesso nome di quello di Marlowe ne 
Il grande sonno (H.Hawks, scritto da Chandler, 1946), e Riedenschneider è colui che confeziona il 
colpo in Giungla d’asfalto (J.Huston, 1950).  Nirdlinger (moglie di Big Dave) porta il nome di una 
protagonista di un romanzo di Cain sopraccitato. (cfr. L.Aimeri, G.Frasca, Manuale dei generi 
cinematografici, Milano, Utet, 2002) 
5
 Riguardo l’autoriflessività del testo accantoniamo l’argomento che per il suo approfondimento ci 
porterebbe fuori strada: rimandiamo alle pagine monografiche di L.Aimeri, G.Frasca, Manuale dei 
generi cinematografici, Milano, Utet, 2002, pag.279. 
6
 Ed tenta di imprimere alla sua vita una svolta, innanzitutto economica, nell’obiettivo di un balzo 
sociale. Si potrebbe fare tutto un discorso a parte riguardo alla critica della cultura consumistica 
americana, allo sbeffeggiamento che il film fa indirettamente al Sogno Americano, cioè il credere che 
il proprio modello di vita vada solo un po’ aggiustato per poter funzionare in maniera corretta, cioè il 
raggiungimento dello stesso livello (di consumo), anelando al momento del “salto” di qualità 
definitivo.  L’ottimismo del benessere, la comodità della propria poltrona da barbiere e la sua nicotina 
illudono Crane: ma la possibilità del grande salto non esiste, o peggio: se ci provi puoi svelare la 
truffa, ma il massimo che poi ti è concesso è continuare a viverla osservandola, o di morire per il 
motivo sbagliato.  Così L’uomo che non c’era è un perfetto esempio di cinema anti-interattivo: 
neanche l’eroe riesce a far modificare le cose, potendo solo imprimere ciechi spostamenti 
all’inevitabile che comunque si ritorcono contro di lui.   
Cfr.L.Persiani, La tragedia desaturata, (www.offscreen.it). 
 9
E come il protagonista del modello di riferimento, Il postino suona sempre due volte 
(T.Garnett, dal romanzo di Cain,1946), un incidente automobilistico (al ritorno con Birdy da 
un provino fallimentare finisce fuori strada quando lei intende “ringraziarlo”) marca il 
cosiddetto ”innost cave”, l’inversione di rotta del cerchio del “viaggio dell’eroe” verso il 
finale, un passaggio attraverso la morte, l’introduzione in una dimensione onirica cui 
corrisponde una differente impostazione linguistica dell’ultimo atto del film, nel quale i fatti 
scivoleranno sintetizzati tra voce-over e immagini, attraverso un punto di focalizzazione 
sempre più interno;  infine i piani del racconto si confonderanno, perché dopo l’incidente (le 
immagini si avvitano come in una centrifuga) siamo definitivamente nella testa di Ed 
7
.        
Al risveglio verrà condannato alla sedia elettrica per un omicidio che non ha 
commesso (è stato probabilmente Big Dave ma non si può dimostrare), cioè l’assassinio della 
“mammola” del lavaggio a secco, l’improbabile imprenditore, che si era volatilizzato dopo 
l’adescamento di Crane; documenti di quest’ultimo vengono trovati addosso a Tolliver al 
momento del suo ripescaggio, pestato a morte, dal fondo di un lago
8
.  E frattanto avverranno 
fenomeni grotteschi e paranormali, come l’apparizione di dischi volanti, sulla scia dei 
fantomatici eventi di Roswell dell’epoca.  La voce-off, che ripercorre all’indietro l’intera 
vicenda sotto forma di racconto venduto a una rivista (una di quelle che si leggono dal 
barbiere), è quella di Crane-Thornton nel braccio della morte.  La trama, insomma, ricca di 
digressioni, si presenta d’impatto come qualcosa che dal punto logico confonde, e, incerta tra 
l’oggettività dei fatti e il filtro onirico del protagonista, tende a spiazzare. 
    I Coen disseminano fin dall’inizio chiavi di lettura attraverso elementi infradiegetici: la 
colonnina da barbiere su cui indugiano i titoli di testa
9
.  La spirale sembra salire, secondo un 
moto perpetuo, ma naturalmente è un’illusione ottica. La narrazione tende allo stesso effetto, 
resta inchiodata a se stessa, in una beffarda circolarità che vanifica le speranze e le azioni dei 
protagonisti.  L’inesorabilità di questo eterno ritorno, questo superamento del tempo lineare 
e causale, riemerge in ogni simbolo circolare, dal cerchione al ralenti dell’incidente al disco 
volante, alla luce in fronte del dottore…  Dunque che razza di uomo è Ed Crane?
10
  E’ 
l’uomo dei nostri tempi, spiega alla giuria popolare il principe del foro dal cognome crucco, 
incolpabile perché non c’era, sperduto in un regno caotico, in un relativismo gnoseologico 
dalle traiettorie indecifrabili, inconoscibili, indeterminabili: che l’unica maniera di 
descriverle diviene appunto il cerchio, cioè un moto paradossalmente immobile.  Dove il 
                                                 
7
 L.Aimeri, G.Frasca, Manuale dei generi cinematografici, Milano, Utet, 2002, pag.284 
8
 La scena esplicita la citazione di un altro classico noir: La morte corre sul fiume (Laughton, 1955) è 
riletta parodicamente attraverso l’aggiunta del parrucchino che fluttua. 
9
 L.Gandini, Alle radici del noir, “Cineforum”, n°411, 2002, pag.17. (Cfr.fig.1) 
10
 La domanda (-what kind of man are you?-)  è rivolta allo stesso protagonista nel corso del film: una 
prima volta da parte di Big Dave che ha appena invitato Ed Crane all’emporio perchè ha scoperto la 
truffa, una seconda volta da parte di suo cognato in tribunale  mentre gli imputa la colpa di ogni cosa. 
 10
movimento c’è e allo stesso tempo non c’è.  Possiamo vedere come la spirale ingannevole 
palesi proprio l’impossibilità di cogliere simultaneamente posizione e moto della luce che 
innesca e produce l’effetto girevole nella colonnina.  Ora, risulterebbe estremamente difficile 
trovare una rappresentazione metaforica più pertinente di questa riguardo alla scoperta 
scientifica di Heisemberg. 
           Si riterrà necessario illustrare e contestualizzare il problema, attraversando una breve 
descrizione divulgativa dell’argomento d’ordine fisico e le ripercussioni a tutto campo nella 
storia della filosofia contemporanea del ‘900. 
 
 
1.2 Cenni di fisica quantistica. 
 
           A cavallo dei secoli diciannovesimo e ventesimo nel paesaggio della fisica classica  si 
aprì un crepaccio insanabile: alcune scoperte, dall’enunciazione della Teoria della Relatività 
alla formulazione della Teoria dei Quanti, rivelarono le lacune e la pretestuosità delle leggi 
della meccanica classica di Newton, conformi a realtà finquando applicate a corpi del nostro 
ordine di grandezza.  Antiche posizioni da sempre considerate sicure ed immutabili vennero a 
ribaltarsi l’una dopo l’altra sull’onda dei rinvenimenti scientifici sul mondo subatomico che 
si susseguirono con ritmo impressionante agli albori del secolo.  
    Si comincia a parlare di “radioattività”
11
: la pietra più salda della fisica moderna, la 
legge di conservazione dell’energia, sembra già venir meno se consideriamo il fallimento 
delle teorie sull’a-tomo inerte ed immutabile, entità sempre uguale a se stessa.  Ora si 
comincia piuttosto a parlare d’elettroni nell’ottica di una materia almeno parzialmente in 
perenne evoluzione spontanea, dunque non più entità stabile ma al contrario in grado di 
mutare e liberare energia senza il rispetto rigoroso delle leggi di conservazione.  
           1902, il fisico tedesco Max Planck introduce per primo l’idea per la quale l’ emissione 
di onde elettromagnetiche, invece che continua, sia costituita di un flusso di quantità discrete 
di energia in sorta di pacchetti, i quanta.  In pratica l’energia è “granulare”.  Di lì a poco un 
altro grande dogma sta per cadere, la continuità del mondo fisico, per cui “natura non facit 
saltus”, come affermava Leibniz nel Settecento.  In realtà, sostiene Planck, siamo indotti a 
pensare che la natura inversamente non faccia altro che salti, seppure impercettibili. Albert 
Einstein, fra i primi a intuire l’importanza della scoperta, contribuisce grandemente allo 
sviluppo della teoria e alla sua conferma sperimentale, attraverso gli studi sul cosiddetto 
effetto fotoelettrico (torneremo un secondo momento sul fatto che sia l’ideatore Planck sia lo 
                                                 
11
 La scoperta della radioattività risale agli studi dei coniugi Curie, in particolare alle analisi del 1898. 
(cfr. Bergia, G. Dragoni, G. Gottardi. Dizionario biografico degli scienziati e dei tecnici, Bologna, 
Zanichelli, 1999) 
 11
stesso Einstein, per tutta la loro vita, si rifiutarono di accettare come entità reali quei 
pacchetti di energia, da essi chiamati quanti o fotoni).   
 I fotoni (lichtquanten) si rivelano però, sperimentalmente, entità reali e quindi 
misurabili;  dotati di una doppia natura ondulatoria e corpuscolare: essi si comportano, cioè, 
in alcuni casi come onde ed in altri come particelle, a seconda degli esperimenti cui vengono 
sottoposti. Solo che, mentre le particelle “materiali” (elettroni, protoni e neutroni, con i loro 
componenti e derivati) hanno una massa, i fotoni essendo atomi di luce sono pura energia.  
      La meccanica quantistica da quel momento consisterà allora nella branca della scienza 
fisica atta a descrivere questi comportamenti, corpuscolare e ondulatorio insieme, delle 
particelle elementari dotate di massa.  A livello molecolare, atomico e sub-atomico, nucleare 
e sub-nucleare, la natura non sopporta più di fatto le leggi della meccanica classica: gli 
oggetti “quantistici” (atomi, elettroni, quanti di luce, ecc.), ovvero quegli oggetti che 
eravamo abituati a considerare solidi, anche se ultra-microscopici, si trasformano ora 
piuttosto in fenomeni probabilistici.  Si trovano in altre parole in stati indefiniti, che possono 
essere descritti solo da equazioni matematiche (come la “funzione d'onda” di Schrödinger).  
Soltanto l’atto della misurazione da parte di un soggetto sperimentatore, fornisce un valore 
reale; ma finché la misura non viene eseguita, l’oggetto quantistico resta in uno stato astratto 
e indefinito, “nebuloso”, sebbene sia matematicamente definito: esso descrive cioè solamente 
una “potenzialità” dell’oggetto o del sistema fisico in esame, ovvero contiene l’informazione 
relativa ad una “rosa” di valori possibili (rappresentati dalle diverse soluzioni delle 
equazioni), ciascuno con la sua probabilità di divenire reale ed oggettivo all’atto della 
misura.  Nel linguaggio della meccanica quantistica, ci ricorda Bruno Valentini, si dice che al 
momento della misura lo stato “collassa” in uno dei tanti possibili stati dotati di un valore 
definito. 
            Eccoci dunque all’importanza dell’intuizione del fisico teorico Werner Heisenberg
12
 
(1901-1976) espressa nel 1927 col celebre "Principio di Indeterminazione” (dalla 
pubblicazione delle cosiddette “Relazioni di incertezza”), per il quale non è possibile 
prevedere, in alcun modo, quale valore effettivo si avrà all’atto della misura delle 
caratteristiche di un sistema fisico, ma ci si dovrà accontentare soltanto di una rosa di 
probabilità su certi valori matematicamente definiti.  Egli afferma che misurando con grande 
precisione la posizione di una particella, avremo, in linea di principio in maniera 
inversamente proporzionale, una certa approssimazione sulla sua velocità, e viceversa.  
Questo fenomeno alteratorio sarà descritto col termine “perturbazione”, vale a dire che il 
tentativo di diminuire l'incertezza della misurazione di una delle due coordinate è destinato 
                                                 
12
 Tra gli scritti di Heisemberg (Nobel per la Fisica nel 1932): Principi fisici della teoria quantistica 
(1930),  Raggi cosmici (1946), Fisica e filosofia (1958), Introduzione alla teoria unificata delle 
particelle elementari (1967). 
 12
allo scacco, poichè interagirebbe con l'elettrone in maniera da aumentare l'incertezza con la 
quale si può misurare l'altra coordinata.  La precisione nella misurazione di una coordinata 
canonica va necessariamente a discapito della precisione nella misurazione dell'altra.
 13
 
           L’atto di osservazione influenza il fatto; le proprietà reali ed oggettive di un sistema 
fisico, definite dunque solo quando vengono misurate, vengono inautenticate dall’atto di 
misura.  La realtà è creata in parte dall'osservatore cosciente
14
.   Heisenberg, dimostrò in 
altre parole che qualsiasi misura effettuata su un complesso fisico, chimico o biologico, era 
affetta da un errore che può essere intuito sulla base di un semplice esperimento suggerito da 
M.Guidotti
15
.  Immaginiamo di voler misurare la temperatura dell’acqua contenuta in una 
vasca.  Per far ciò abbiamo bisogno di un termometro.  Lo immergiamo nell’acqua e dopo un 
po’ leggiamo sulla scala graduata la temperatura dell’acqua. In effetti, l’esperimento che 
appare molto semplice non è proprio tale.  In realtà, quella che abbiamo letto è la temperatura 
del mercurio che, ricevendo calore dall’acqua, ha aumentato la sua temperatura e si è dilatato 
lungo la scala graduata.  Se però ha ricevuto calore dall’acqua, allora l’acqua ha diminuito la 
propria temperatura, sicché quella che leggiamo sul termometro è la temperatura di equilibrio 
acqua-mercurio.  Allora immergendo il termometro in acqua ne abbiamo alterato la 
temperatura.  D’accordo, in sostanza la cosa ha poca importanza: dopo tutto, l’acqua avrà 
ridotto la sua temperatura in misura trascurabile.  E’ vero, ma se con lo stesso termometro 
avessimo misurato la temperatura dell’acqua contenuta in una tazzina da caffè, l’errore non 
sarebbe stato trascurabile.  
 In sostanza, quel che Heisenberg ha dimostrato, è che qualsiasi misura induce un errore 
sull’oggetto osservato.  Il limite denunciato dal principio di Heisenberg non deriva da 
difficoltà tecniche, è indipendente dai particolari di qualunque strumento e procedimento di 
misura.  Esso non può essere superato da alcun progresso tecnologico: “l’impossibilità di 
                                                 
13
 Per esempio se si cerca di determinare con precisione assoluta la posizione di un elettrone in un 
dato istante facendolo scontrare con una lastra fotografica che ne registra l'arrivo, l'urto con la lastra 
consente effettivamente di annullare l'incertezza circa la misurazione della posizione, ma 
contemporaneamente altera del tutto il movimento della particella e dunque preclude la possibilità di 
ottenere informazioni su quella che era la velocità dell'elettrone nel momento in cui giungeva sulla 
lastra.  L'indagine sulle procedure sperimentali possibili per gli oggetti atomici condusse perciò 
Heisenberg a enunciare un principio di indeterminazione: nella misura delle coordinate canoniche di 
un oggetto atomico l'incertezza dei risultati di misura non si può rendere piccola a piacere.  Il prodotto 
delle incertezze nelle misurazioni delle coordinate canoniche non può scendere sotto un limite 
inferiore.  Perciò la diminuzione dell'incertezza, ovvero l’aumento di precisione nella misurazione di 
una coordinata, provoca necessariamente un aumento di imprecisione nella misurazione dell'altra. 
Non è possibile conoscere contemporaneamente con precisione assoluta i valori di due coordinate 
canoniche. Cfr. La meccanica quantistica e la filosofia (www.istitutotorno.it/bellone/ 
lameccanicaquantistica.htm) 
14
 Cfr.B.Valentini, Logos, (www.fisicamente.it)  
15
 Cfr. M.Guidotti, L'uomo la scienza e... i media, (www.nemesi.net)