2 
finanziari hanno subito una profonda evoluzione: sono andati verso 
l’integrazione, ovvero verso la globalizzazione. Questo è stato 
sicuramente favorito dalla progressiva liberalizzazione dei movimenti 
di capitale, e ciò ha così favorito il libero accesso a tutti i mercati 
mondiali, sia da parte degli investitori istituzionali che parte dei 
soggetti privati. In questo modo, grazie all’enorme crescita degli 
investimenti esteri, i rendimenti e i prezzi delle attività dei singoli paesi 
risultano essere sempre più correlati positivamente dalle domande ed 
offerte internazionali. Una importante  conseguenza di quanto appena 
detto è la maggiore omogeneità tra gli andamenti dei vari mercati. 
Per evidenziare il discorso fatto fino a questo punto, viene proposta 
la seguente tabella: 
 
Tabella 1 – Attività verso l’estero del settore privato (valori di fine anno in 
% del PIL) 
 
1970 1975 1980 1985 1990 1995 
Italia (*) 
• Investimenti 
diretti 
• Investimenti di 
portafoglio 
 
n.d 
. 
n.d. 
 
n.d. 
 
n.d. 
 
n.d. 
 
n.d. 
 
3,7 
 
1,5 
 
5,2 
 
5,5 
 
9,6 
 
18,0 
Germania (*) 
• Investimenti 
diretti 
• Investimenti di 
portafoglio 
 
1,9 
 
2,4 
 
2,3 
 
1,5 
 
3,1 
 
1,9 
 
4,3 
 
5,9 
 
6,0 
 
10,3 
 
7,3 
 
13,0 
Regno Unito (*) 
• Investimenti 
diretti 
• Investimenti di 
portafoglio 
 
12,5 
 
10,3 
 
11,2 
 
5,9 
 
13,7 
 
7,9 
 
19,1 
 
27,1 
 
22,8 
 
33,3 
 
30,5 
 
47,4 
Usa 
• Investimenti 
diretti 
• Investimenti di 
portafoglio 
 
n.d. 
 
n.d. 
 
n.d. 
 
n.d. 
 
13,6 
 
2,2 
 
9,2 
 
2,7 
 
10,8 
 
4,0 
 
14,9 
 
12,2 
Giappone 
• Investimenti 
diretti 
• Investimenti di 
portafoglio 
 
0,7 
 
0,1 
 
1,6 
 
0,8 
 
1,7 
 
1,8 
 
2,8 
 
9,2 
 
6,0 
 
16,8 
 
6,3 
 
17,9 
       (*) = al netto delle banche 
 Fonte: Università Cattolica, Osservatorio Monetario, 2/1997  
 3 
Dalla tabella si può subito notare come sia gli investimenti diretti 
che gli investimenti di portafoglio, siano aumentati costantemente per 
tutti i cinque paesi considerati, il tutto a suffragare l’ipotesi di 
globalizzazione. Si deve, inoltre, aggiungere, che se si prendesse a 
riferimento il decennio 1985 – 1995 si noterebbe che il paese che ha 
fatto lo sforzo maggiore in termini di aumento degli investimenti diretti 
ed investimenti di portafoglio è l’Italia: i primi sono aumentati di circa 
tre volte, mentre i secondi di dodici volte. A mio avviso questo sforzo 
deve essere interpretato alla luce del gap che si era venuto a creare tra 
Italia e gli altri paesi, dovuto alla presenza in Italia di un sistema 
finanziario scarsamente sviluppato, ovvero l’esatto contrario di ciò che 
c’era in Germania, Regno Unito, USA e Giappone. 
Nonostante sia in atto questa globalizzazione, succede spesso che si 
verifichino dei fenomeni opposti alla globalizzazione: si suole 
comprendere questi fenomeni sotto il nome di “fenomeni di home 
bias”.  
In precedenza si era detto che se un mercato ha la possibilità di 
condividere il rischio interno con investitori stranieri, il costo del 
capitale era destinato a diminuire. Ma la evidenza empirica ha smentito 
la teoria economica, infatti il calo del costo del capitale è minore di 
quello che era stato teorizzato. Il motivo per cui non si ha il calo 
sperato è da ricercare nel fenomeno dell’home bias: gli investitori 
stranieri hanno una maggiore preferenza per i titoli del loro paese (titoli 
domestici), ciò a discapito della diversificazione internazionale. 
Questa premessa di carattere storico-finanziario era necessaria al 
fine di poter introdurre gli argomenti trattati nella tesi: home bias, 
integrazione e correlazione dei mercati finanziari. 
La tesi è strutturata in quattro parti, oltre alla parte conclusiva. A 
primo impatto sembrerebbe che queste parti non siano fra di loro 
collegare, invece non è così: già l’ordine di trattazione degli argomenti 
è un chiaro indice di collegamento tra le parti. 
 4 
Per una migliore comprensione di quanto appena detto si osservi il 
seguente schema: 
 
 
     
                                          
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Lo schema appena presentato individua anche la struttura della tesi. 
La prima parte del lavoro analizza, difatti, l’home bias: si parte dalla 
sua definizione, vengono poi analizzate le cause che lo determinano, 
con particolare attenzione alle asimmetrie informative ed ai costi di 
transazione. Infine facendo ricorso alla letteratura economica presente 
HOME BIAS 
SEGMENTAZIONE 
dei mercati finanziari 
INTEGRAZIONE 
dei mercati finanziari 
MISURA DEL GRADO DI 
CORRELAZIONE 
dei mercati finanziari 
Se esiste Se non esiste, o è di 
scarsa rilevanza 
CORRELAZIONE NON 
SIGNIFICATIVA,         
OPPURE              
CORRELAZIONE 
NEGATIVA                     = 
SEGMENTAZIONE 
CORRELAZIONE 
SIGNIFICATIVAMENTE 
POSITIVA 
= 
INTEGRAZIONE 
 5 
in materia, si forniscono una serie di dati che testimoniano la presenza 
dell’home bias. 
La seconda parte di tesi analizza l’integrazione e segmentazione dei 
mercati finanziari. Anche qui si è fatto largo uso della letteratura 
economica, proponendo anche alcuni importanti risultati che alcuni 
economisti hanno trovato studiando l’integrazione e la segmentazione. 
Viene inoltre proposta una digressione storica sullo sviluppo dei 
mercati finanziari, al fine di potere capire meglio il presente dei mercati 
finanziari. Infine sono stati proposti alcuni modi che solitamente 
vengono utilizzati per la misurazione dei fenomeni economici in 
questione. 
Nella terza parte si è voluto analizzare la correlazione dei mercati 
finanziari, in quanto questa misura statistica è considerata essere uno 
dei modi più idonei per misurare l’integrazione o segmentazione. I 
risultati proposti provengono tutti dalla letteratura economica 
contemporanea, e sono relativi a diversi ambiti di studio: la 
correlazione dei mercati finanziari dei paesi più industrializzati, dei 
paesi emergenti, di una coppia di paesi, e di una certa area geografica. 
Infine, abbiamo la quarta parte. Questa è caratterizzata da tre miei 
studi. Il primo, che ricalca in parte il lavoro svolto da E.Freimann
2
 
proposto nella terza parte, analizza in termini di correlazione 17 mercati 
finanziari tra i più importanti del mondo, in un arco temporale di 
trent’anni. Nel secondo lavoro ho voluto analizzare la correlazione 
esistente del titolo di Telecom Italia con tre indici statunitensi (Nasdaq, 
Dow Jones e S&P500) e tre titoli azionari statunitensi. Infine 
nell’ultima analisi, vi è lo studio della correlazione che esiste tra i 
quattro maggiori operatori telefonici europei con se stessi e con il 
Nasdaq. L’arco temporale che si è voluto prendere a riferimento parte 
dal 01/01/1980 e arriva fino al 13/09/2000; ovviamente parlando di 
titoli azionari si deve tenere conto delle diverse date di quotazione che 
non sempre coincidono. 
                                                 
2
 Il lavoro di E.Freimann considera solamente sei paesi, e tutti europei. 
 6 
Alle quattro parti di tesi esposte prima, si deve aggiungere un 
capitolo finale relativo alle conclusioni. Qui vengono riassunti e 
commentati i risultati più importanti, a cui talvolta ho offerto una mia 
personale interpretazione. 
Capitolo primo 
 
Il fenomeno dell’Home 
Bias 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 8 
1.1 – Le cause dell’home bias 
 
L’home bias, come già anticipato in precedenza, è la propensione 
degli investitori a predilire titoli domestici a titoli esteri per la 
composizione del proprio portafoglio. Questo fenomeno è in contrasto 
con ciò che il CAPM (capital asset pricing model) dice, ovvero che gli 
investitori dovrebbero diversificare i loro investimenti con attività 
internazionali. 
Per fissare meglio le idee sull’home bias, viene proposta di seguito 
una tabella nella quale, facendo riferimento ai cinque maggiori mercati 
mondiali, si evidenzia la struttura dei portafogli dei cinque paesi. Si 
noterà come la percentuale di titoli domestici detenuta sia molto alta, 
nonostante questi paesi siano fra i più evoluti, e fra i più 
tecnologicamente attrezzati. 
 
Tabella 2 – La preferenza dei titoli domestici (1996) 
PAESE % TITOLI DOMESTICI IN 
PORTAFOGLIO 
Canada 88,8 
Giappone 94,7 
UK 77,5 
USA 90,0 
Germania 81,8 
        
 
R.Portes e H.Rey (2000) hanno cercato di analizzare il problema 
dell’home bias dal punto di vista degli investimenti effettuati oltre 
confine. Hanno rilevato come il flusso di capitali verso investimenti 
 9 
esteri dipenda dalla dimensione del mercato
1
 e dal costo di trading, 
quest’ultimo determinato dal grado di informazione e dalla qualità 
tecnologica della transazione. La variabile distanza influenza solo il 
costo per ottenere l’informazione, ma l’aspetto più importante dei 
risultati della loro analisi riguarda il fatto che la localizzazione 
geografica dell’informazione è l’elemento che meglio riesce a spiegare 
le transazioni internazionali, a dispetto del concetto di diversificazione 
che invece ha un piccolissimo impatto sulle scelte d’investimento 
d’oltre confine.  
Grazie a questi risultati si può già dire che i mercati sono segmentati 
per via delle asimmetrie informative, e tale segmentazione è più forte 
nei paesi in via di sviluppo, dove vi sono minori (o addirittura non vi 
sono) regole di trasparenza informativa. 
 
 
1.2 – Gli elementi che determinano l’home 
bias 
 
Dopo aver delineato il concetto di home bias, occorre capire quali sono 
le motivazioni di fondo che favoriscono il suo sorgere. Cooper e 
Kaplanis (1994) affermano che l’home bias non può essere spiegato né 
dalla ricerca di copertura contro il rischio di inflazione e né dai costi 
direttamente osservabili degli investimenti internazionali. A spiegare 
l’home bias sono stati apportati numerosi motivi, in particolare: 
 
COSTI DI TRANSAZIONE: l’investimento in titoli esteri è gravato da 
spese più alte. Infatti gli intermediari richiedono delle commissioni più 
alte, e quindi risulta evidente che a fronte di uno stesso guadagno lordo 
fra investimento domestico ed investimento estero, il secondo avrà un 
                                                 
1
 Con dimensione del mercato s’intende sia il mercato da dove provengono i capitali 
(la fonte), che anche il mercato dove arrivano i capitali (la destinazione). 
 10 
minore guadagno netto in quanto gravato da maggiori costi di 
transazione. Tuttavia questo motivo non viene universalmente 
accettato, infatti da alcune evidenze empiriche
2
 si è potuto notare come 
gli alti costi di transazione non sembrano impedire gli investimenti in 
titoli esteri. Di tale risultanza empirica si parlerà in modo dettagliato 
nel capitolo 3. 
 
RISCHIO DI VALUTA: un altro motivo, è relativo al pericolo derivante 
dall’uso di diverse valute. In questo caso si può avere che un eventuale 
cospicuo guadagno in c/capitale, derivante da titoli esteri, venga 
drasticamente ridotto per via della perdita di valore della valuta con cui 
si è operato. 
 
MANCANZA DI CONOSCENZA DEI MERCATI STRANIERI: si fa 
riferimento a particolari vincoli stringenti di tipo legale e/o 
istituzionale, che possono non favorire un libero accesso a valori 
mobiliari esteri. Va ricordato, a tal proposito, il diverso trattamento 
fiscale a cui si viene assoggettati comprando dei titoli esteri. E talvolta 
si è di fronte a gravi distorsioni, come la doppia tassazione, che si 
manifesta ogniqualvolta il reddito di un investimento viene tassato sia 
nel paese fonte del reddito e sia nel paese in cui ha la residenza 
l’investitore. Per evitare questa doppia tassazione, esistono due 
modelli: 
• principio di residenza, dove il reddito viene tassato nel paese 
dell’investitore; 
• principio della fonte, ovvero l’esatto contrario. 
C’è da ricordare, inoltre, il tentativo di alcuni paesi (soprattutto di area 
euro) di cercare di armonizzare il loro sistema fiscale attraverso 
l’instaurazione di un sistema di tassazione comune fra di loro, e che per 
certi aspetti è una soluzione intermedia rispetto ai loro sistemi fiscali 
                                                 
2
 Tesar e Werner (1995). 
 11 
interni. Tale tentativo è, comunque, di difficile applicabilità nel caso 
della tassazione sui capitali, per via delle differenze anche strutturali.  
 
ASIMMETRIE INFORMATIVE: l’informazione asimmetrica viene 
considerata il principale motivo che genera l’home bias. In particolare 
si ha che l’asimmetria informativa favorisce gli investitori locali a 
scapito di quelli esteri, i quali ultimi non saranno in grado di effettuare, 
in modo ottimale, le previsioni sui rendimenti attesi dei titoli esteri, a 
differenza invece della migliore precisione che avranno gli investitori 
domestici. La diretta conseguenza di questa scarsa precisione nelle 
previsioni, la si avrà nell’aumento del rischio circa il possesso di titoli 
esteri, i quali titoli avranno, così, una più alta volatilità e saranno quindi 
sottopesati nei portafogli degli investitori domestici. L’asimmetria 
informativa può essere generata sia da problemi di “costo di 
reperimento delle informazioni” e sia da problemi di “comprensione” 
dei bilanci e notizie societarie straniere. Infatti, riguardo all’ultima 
causa, i bilanci societari dovrebbero essere interpretati alla luce delle 
convenzioni legali ed economiche presenti in una particolare comunità, 
che sono diverse da quelle presenti in altri stati.  
Un esempio di problema generato dall’asimmetria informativa, 
riguarda i managers dei fondi d’investimento. I fondi esteri sono 
sicuramente penalizzati rispetto a quelli domestici, per ciò che concerne 
l’accesso all’informazione locale e ai contatti con i partecipanti del 
mercato locale. Infatti i managers dei fondi esteri possono avere anche 
difficoltà nell’ “incontrare” i managers di quelle società dove stanno 
investendo o vorrebbero investire, oppure possono avere difficoltà con 
il sistema finanziario locale nel suo complesso (broker, SIM, banche 
d’investimento) nell’ottenere trattamenti preferenziali in termini di 
ricerche, esecuzione degli ordini ed accesso alle IPO. 
Questi motivi elencati si ripercuotono in modo negativo, sulla 
performance dei portafogli azionari di titoli esteri. 
 
 12 
1.3 – L’asimmetria informativa 
 
Come abbiamo già visto, l’asimmetria informativa è reputata essere 
una delle principali cause che impedisce la diversificazione di 
portafoglio a livello internazionale, che invece permetterebbe di avere 
dei guadagni in termine di diminuzione dei rischi specifici del paese. 
Quanto appena detto, è in contrasto con l’idea classica del CAPM 
(Sharpe 1964, Lintner 1965) infatti l’ipotesi centrale è l’informazione 
simmetrica circa i possibili rischi e guadagni di ogni titolo; il modello 
implica, anche, che gli investitori dovrebbero detenere una stessa 
composizione di attività rischiose (ad esempio il portafoglio di 
mercato). 
Tuttavia esistono almeno due meccanismi che permettono di ridurre 
gli svantaggi dell’asimmetria informativa. 
Il primo metodo si basa sull’idea di assumere dei managers 
specializzati locali che si prendano cura degli stessi portafogli locali. 
Questa soluzione deve, comunque, tenere conto del possibile 
conseguente problema di agenzia il quale consiglia di non assegnare 
troppa responsabilità per i portafogli locali al, seppur bravo, manager. 
A tal proposito vale ricordare due episodi in cui si manifestarono questi 
problemi di agenzia: la debacle della Barings, e successivamente della 
Morgan-Grenfell, entrambe accomunate dal fatto che i manager a cui 
avevano affidato la gestione di portafogli locali, non avevano osservato 
le norme di prudenza, e avevano così allocato la maggior parte delle 
risorse in una sola impresa. 
Il secondo metodo riguarda, invece, l’idea di investire in indici. 
Infatti un contratto futures su di un indice di un mercato azionario 
locale è di più facile osservabilità rispetto al paniere di particolari 
azioni locali. Gorton e Pennacchi (1993) sottolineano difatti la enorme 
valenza informativa dei futures sugli indici. In particolare osservano 
come la natura composita dei futures sugli indici azionari, possa 
 13 
garantire un basso tasso di volatilità rispetto a quello che si avrebbe con 
i singoli titoli. 
Nelle evidenze empiriche possiamo ritrovare numerosi casi di 
asimmetria informativa. Kang e Stulz (1997) osservarono che gli 
investimenti esteri nel Giappone erano concentrati nelle società di più 
larga dimensione, questo poiché gli investitori esteri avevano una più 
facile accessibilità alle informazioni riguardanti queste grandi società 
rispetto alle piccole società. Ancora, Levy e Livingston (1995) 
dimostrarono che la superiorità dell’informazione locale, che può 
essere espressa sia da una più bassa standard deviation o da più alti 
ricavi attesi,  poteva diventare un valido motivo a non diversificare. 
Carlos e Lewis (1995), invece, asserirono che l’elemento 
“informazione” è determinante per spiegare gli investimenti britannici 
nelle ferrovie canadesi nel diciannovesimo secolo. Infine, Chuhan 
(1992) sottolinea come la limitata informazione sui paesi in via di 
sviluppo, sia il maggiore impedimento agli investimenti esteri in tali 
mercati. 
La principale conseguenza dell’asimmetria informativa è la diversa 
performance dei portafogli: infatti gli investitori che possono godere di 
una migliore informazione avranno anche dei maggiori guadagni 
rispetto a quelli che subiscono l’asimmetria informativa.  
La diversa performance degli investimenti, può essere facilmente 
verificata facendo ricorso a diversi indici di misure di performance. In 
particolare abbiamo: 
INDICE DI SHARPE (1966): 
σ
p
fp
p
RR
SI
−
= , dove 
R
p
 è la media 
dei guadagni di portafoglio; 
R
f
 indica il tasso medio privo di 
rischio; 
σ
p
è la deviazione standard dei guadagni del portafoglio. 
 
 14 
INDICE DI TREYNOR (1965): 
β
p
fp
p
RR
TI
−
= , dove la diversità dal 
precedente indice sta nel fatto che il denominatore, 
β
p
, indica il 
rischio sistematico del portafoglio. 
 
JENSEN ALPHA (1969): ( )( )   
RRRR
JA
fmpfp
p
−+−=
β
 , 
dove 
Rm
 indica la media dei guadagni nel mercato. 
 
 
1.4 – I costi di transazione rispetto 
all’home bias 
 
Come già accennato nel capitolo 1, l’home bias è causato da diversi 
motivi, e fra questi viene incluso anche il costo delle transazioni. 
Tuttavia da alcune evidenze empiriche si è potuto vedere come questo 
non sia vero. Tesar e Werner (1995), infatti, sottolineano il fatto che 
relativamente ai titoli esteri detenuti da investitori domestici, si può 
notare un alto tasso di turnover rispetto al medesimo tasso di turnover 
dei titoli domestici. 
L’evidenza empirica di Tesar e Werner è stata svolta facendo 
riferimento a cinque grandi mercati finanziari: Canada, Germania, 
Giappone, UK, USA. Al termine del loro lavoro arrivano ad enunciare 
tre importanti conclusioni: 
 
1. nei portafogli di investimento internazionali vi è una marcata 
presenza dell’home bias, a dispetto dei potenziali guadagni 
che potrebbero derivare dalla diversificazione internazionale. 
A suffragare questa conclusione, possiamo citare i dati che 
French e Poterba (1991) hanno raccolto sul mercato 
 15 
americano. Infatti il 94% dei trader americani, sceglie di 
allocare i propri fondi in titoli domestici, nonostante il 
mercato dei capitali statunitense copra poco meno il 48% del 
mercato mondiale dei capitali. 
 
2. la composizione dei portafogli con attività straniere non 
sembra seguire la logica della diversificazione del rischio; 
infatti si è notato come talvolta si scelga la diversificazione 
in titoli esteri dei paesi vicini (es.: il Canada negli USA).    
Più generalmente, gli investitori possono avere una 
preferenza per quei titoli che rispondono al requisito di 
prossimità geografica. Per esempio, gli investitori si possono 
sentire più sicuri ad investire in imprese locali o limitrofi, di 
cui sentono parlare molto, oppure possono essere spinti a tali 
investimenti da un desiderio psicologico ad investire nella 
comunità locale dove vivono.                                         
Da una ricerca effettuata da J.D. Coval e T.J. Moskowitz 
(1999) proprio su questo tema, si può notare come 
mediamente i manager dei fondi statunitensi decidano di 
investire in società che sono poste nel raggio di 160-184 km; 
inoltre una società su dieci viene scelta poiché ubicata nella 
stessa città del manager. Coval e Moskowitz spiegano questo 
fenomeno adducendo che le preferenze dei fondi sono 
strettamente legate a tre importanti caratteristiche delle 
imprese: dimensione, indebitamento, commerciabilità del 
prodotto aziendale. In particolare, le società su cui i fondi 
tendono ad investire, mediamente sono piccole, altamente 
indebitate ed il loro prodotto non è commercializzato su scala 
internazionale.