10 
 
 La seconda parte della tesi di laurea descrive e confronta i 
risultati della ricerca sul campo. Per una definizione più 
accurata della stessa, delle ipotesi di lavoro e della metodologia 
utilizzata si rimanda al capitolo IV, che introduce la seconda 
parte dell’elaborato.    
Attraverso l'analisi delle risposte date, sono risalita alle 
caratteristiche dei clienti e, quindi, ai fattori che indirizzano 
l'acquirente verso un negozio e che lo portano a preferire un 
determinato prodotto piuttosto che un altro.  
Nel corso della trattazione vengono descritte le 
caratteristiche comuni e le diversità dei profili e nei 
comportamenti dei consumatori.  
Il campione, dal punto di vista socio-demografico, non possiede 
caratteristiche particolari in un negozio rispetto all’altro, al 
contrario dei comportamenti di consumo riscontrati, infatti, sono 
estremamente diversificati alla Pam e notevolmente più omogenei da 
Exaequo. Parimenti si osserva che nel primo negozio i fattori che 
guidano le scelte di acquisto si diversificano per diversi gradi 
di importanza secondo le caratteristiche degli intervistati. Da 
Exaequo, invece, i fattori di scelta presentano caratteristiche 
più uniformi e sembra che i clienti li tengano tutti in 
considerazione, cosicché tutti i diversi elementi risultano 
importanti. Nell'esposizione dei dati si andrà a verificare 
l’esistenza di legami tra le caratteristiche sociodemografiche, le 
tipologie di negozi frequentati, le abitudini di spesa (budget, 
tempo di spesa e frequenza) e le scelte di acquisto (fattori di 
scelta).  
I frequentatori della bottega mostrano in genere la stessa 
tendenza  di comportamento per quanto riguarda il tempo dedicato 
alla spesa ed il budget, al contrario di quanto avviene nella 
grande distribuzione. 
Dall'indagine emerge che le abitudini di spesa, nei loro valori 
medi, sono tra loro strettamente connesse e che la frequenza di 
spesa è collegata alla variabilità nella scelta del negozio (chi 
frequenta più tipi di negozi tende ad andare spesso a fare la 
11 
 
spesa e viceversa). Inoltre, gli intervistati si suddividono in 
due gruppi: coloro che vanno spesso a fare la spesa, spendendo 
poco, e coloro che ci vanno raramente, spendendo un po’ di più e 
impiegando più tempo. 
I clienti di Exaequo diversificano acquisti e luoghi di consumo 
mentre alla Pam solo alcuni agiscono in questo modo e solo in 
determinate circostanze.  
I dati empirici raccolti testimoniano che per i consumatori 
scegliere il prodotto più adatto significa riuscire a ponderare le 
caratteristiche qualitative al prezzo. Il fattore “marca” in 
questo contesto assume un discreto interesse, ma ad esso viene 
associato un valore velatamente negativo. Un altro dato 
significativo inerente ai comportamenti d'acquisto è che nel 
supermercato si prova una novità se ha un prezzo conveniente, 
mentre da Exaequo se già se ne possiede una conoscenza indiretta. 
Complessivamente emerge che i clienti della bottega, al momento 
dell'acquisto, tengono in considerazione una serie più ampia di 
fattori, guardando con occhio “globale” alla merce che si trovano 
di fronte, di conseguenza le loro scelte appaiono più consapevoli. 
Le differenze tra le risposte degli intervistati dimostrano che 
le clientele dei due negozi in genere agiscono con motivazioni 
d’acquisto diverse.  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
12 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Parte I 
 
 
Il consumo alimentare 
è uno stile culturale 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
13 
 
 
CAPITOLO I 
 
Il consumo nella letteratura sociologica: un breve 
excursus 
 
1. Le teorie sul consumo  
 
Il consumo è un fenomeno largamente dibattuto in sociologia e 
sfaccettato perché consente una pluralità di approcci possibili. 
Gli studiosi che se ne sono occupati hanno di volta in volta 
evidenziato le molteplici caratteristiche, che si collegano a  
discipline sia scientifiche che sociali: l’economia, la 
sociologia, la psicologia, l’antropologia, la semiotica e, 
addirittura, la letteratura e la geografia. V. Codeluppi
1
 ha 
evidenziato alcune possibili prospettive di studio. A teorie 
classiche, che interpretano la società in modo sistemico e danno 
al consumo un ruolo più o meno centrale nella riproduzione della 
realtà, si possono affiancare ambiti di indagine inerenti le 
influenze sociali sul consumo (gruppi, stili di vita, cultura), 
oppure si possono studiare i processi all'origine al fenomeno.  
La nascita del consumo, o meglio della società dei consumi,  è 
strettamente collegata  all’avvento della produzione e della 
distribuzione di massa dei beni. Lo sviluppo dell'economia a sua 
volta è correlato allo stile di vita della società, che, peraltro, 
dipende dai comportamenti individuali. L’industrializzazione non 
ha semplicemente portato a cambiamenti culturali, ma è stata resa 
possibile dagli stessi, che sovente l’hanno addirittura  
preceduta.   
Mukerji
2
 e Capuzzo
3
 hanno analizzato storicamente, ma con 
prospettive diverse, la nascita della società dei consumi moderna 
                                                 
1
V. Codeluppi, La sociologia dei consumi, teorie classiche e prospettive 
contemporanee,  Carrocci, Roma, 2002 
2
 in V. Codeluppi, ibidem 
3
 P. Capuzzo, (in Culture del consumo, Il Mulino, Bologna, 2006) sostiene che la 
borghesia e la classe operaia dalla rivoluzione industriale del ‘900 sono stati 
14 
 
ed entrambi sostengono che la rivoluzione commerciale europea del 
XV e XVI secolo ha sviluppato una cultura sociale di stampo 
materialista, che ha stimolato la mobilità personale e che nel 
tempo ha formato, quella che Weber chiamerà "etica protestante".   
Mi sembra particolarmente interessante e significativo lo 
studio di R. Paltrinieri
4
 che, nella ricerca di una teoria 
sistemica, interpreta il fenomeno del consumo  come un mediatore 
simbolico, anzi un vero e proprio linguaggio, un codice 
“riproduttore delle logiche del capitale di produzione”. Questa 
corrente di pensiero si sviluppa  negli anni ’70, ma trova le 
proprie radici già in autori classici, come C. Marx, G. Simmel, M. 
Weber e T. Veblen. Nei paragrafi successivi , tenendo presente la 
tesi di Paltrinieri, mi propongo di ripercorrere le tappe 
fondamentali che hanno portato alle attuali teorie interpretative 
del fenomeno del consumo, prendendo in considerazione, oltre agli 
autori sopra riportati, anche i contributi di J. Baudrillard e P. 
Bourdieu, gli antropologi M. Douglas, B. Isherwood, G. Mc Cracken, 
per giungere, infine, ai lavori di E. Di Nallo, R. Paltrinieri e 
della già citata P. Parmigiani. 
 
 
                                                                                                                                                                  
i protagonisti delle metamorfosi dei sistemi economici, politici e sociali. Il 
focus della sua riflessione è la costruzione della  dimensione globale del 
consumo, che secondo l’autore, è la caratteristica che differenzia questa 
società dalla precedente. Il processo è iniziato secoli prima della nascita 
della società industriale, già nel XV – XVI secolo, quando le classi agiate 
europee iniziarono a importare beni di lusso (bevande, vestiario, oppio) 
dall’Asia e dall’America. La possibilità di reperire risorse materiali fuori 
dall’Europa ha rappresentato un momento di cambiamento delle culture del consumo 
e la mobilitazione dell’economia. I nuovi beni importati dalle colonie, 
affermarono nel corso del ‘700 nuovi consumi. Essi modificarono le forme di 
socializzazione (ricordiamo il ruolo svolto dai salotti mondani), smontarono la 
dottrina cattolica dell’austerità e promossero la mobilità sociale. Le variegate 
forme di acquisto dei consumatori dimostrano la portata del processo di 
produzione di senso nella realtà quotidiana. Notiamo però che accanto  ai beni 
“di socialità” si diffusero anche altri fenomeni: gli armamenti, la depredazione 
delle risorse, la deportazione della manodopera. È chiaro che il rinnovamento 
dei consumi europei si innesta a una modifica dei rapporti globali di potere. 
Nell’800 la famiglia borghese diviene il centro dei processi di consumo. E tra 
l’800 e il ‘900, quando  la classe operaia acquista potere,  inizia l’era della 
“democratizzazione dei consumi”, .nasce l’industria della cultura di massa, cioè 
la commercializzazione massificata dei prodotti, la loro spettacolarizzazione, 
la sollecitazione della dimensione immaginativa del consumatore. 
4
R. Paltrinieri, Il consumo come linguaggio, Franco Angeli, Milano, 1998. 
15 
 
 
 
2. Il consumo: dalla teoria economica ai padri della sociologia 
  
Il fenomeno del consumo ha una matrice economica (vedi 
Paltrinieri nota 4), in quanto consumare è la soddisfazione di un 
bisogno tramite l’uso di un bene, conformemente al proprio 
reddito. Secondo i principi  dell’economia classica il consumo, 
come ogni altro agire umano, segue i dettami dell’utilità. 
L’utilitarismo
5
 sostiene che il comportamento dell’uomo, in quanto 
"Homo Oeconomicus", è determinato da una serie di calcoli atti a 
ottenere il massimo piacere e evitare il dolore. Per questa teoria 
l’utilità, o meglio l’interesse, è visto come l’unico motore della 
società, che pertanto risulta costituita da individui  razionali, 
calcolatori e profondamente egoisti. A. Marshall
6
 rivoluziona, in 
parte, questa visione postulando che la scelta del consumatore 
riesce ad orientare la produzione mediante l'acquisto di un 
paniere di beni piuttosto che di un altro. Questo principio di 
matrice prettamente economica, che sancisce la "sovranità del 
consumatore", seppur inconfutabile, è però riduttivo rispetto alla 
complessità del fenomeno. Saranno necessari parecchi anni prima 
che la sociologia riesca a delimitare il proprio campo d’azione, 
rendendosi autonoma dall’economia. 
A partire da Hegel, o meglio dalla sua critica al denaro, si  
è iniziato a considerare lo scambio economico indipendente dal 
lavoro dei produttori e dai bisogni che i beni devono soddisfare. 
                                                 
5
Le premesse dell’utilitarismo si trovano già nell’illuminismo di D. Hume, 
secondo il quale l’origine dei comportamenti morali si rintraccia nel 
collegamento tra le esperienze di piacere e di dolore e i comportamenti che le 
provocano. Con J. Bentahm, J. S. Mill, A. Smith l’utilitarismo diventa il nodo 
centrale della disciplina economica. L’utilitarismo è, in sintesi, il processo 
di razionalizzazione del mondo, e questo avviene secondo due modalità: da un 
lato tramite il progressivo dominio teorico della realtà mediante concetti 
astratti, e dall’altro tramite il comportamento umano, capace di analizzare e 
calcolare i mezzi più adatti per raggiungere i fini preposti. 
6
Come scrive Paltrinieri (ibidem, Cfr Dasgupta, La teoria economica da Smith a 
Keynes, Il Mulino, Bologna, 1987)“La rivoluzione marginalista nasce come sfida 
all’economia classica, essa può essere compresa tra il 1871 e il 1936, cioè tra 
le pubblicazioni di di Jevons (Teoria dell’economia politica) e di Menger 
(Teoria generale)”.  
16 
 
Il denaro viene identificato, e quindi può essere scambiato, con 
tutte le merci senza alcuna specificità. La merce acquista così  
significato in quanto valore intrinseco della relazione di 
scambio.  
C. Marx segue la tradizione hegeliana: per lui tutti gli 
oggetti, in quanto merci, hanno un significato relazionale, con un 
preciso “valore di scambio”. Per Marx nelle società capitaliste il 
“valore d’uso” perde importanza a causa della capacità del denaro 
a produrre equivalenze tra oggetti. La significatività degli 
scambi che stanno alla base della società civile viene ridotta a 
mera forza - lavoro umana, con la conseguenza di alienare i 
rapporti sociali, togliere umanità ai rapporti interpersonali e 
ridurre tutto a uno scambio economico. All'interno di queste 
considerazioni si configura la  “teoria del feticismo”, in cui gli 
oggetti assumono un potere ed una coscienza personali, tanto da 
essere sacralizzati. La sovrastruttura ideologica della società 
(valori, istituzioni, norme) viene così ad essere condizionata 
dagli interessi economici, che la rispecchiano e che finiscono per 
dominare tutta la vita sociale, avvilendo i rapporti 
intersoggettivi (alienazione). Le relazioni economiche che si 
instaurano fra gli individui dividono la società in gruppi 
contrapposti fra loro in conflitto, le classi sociali. 
L’analisi di Marx fornisce ancora oggi una valida spiegazione 
di come funziona lo scambio economico delle merci, ma la sua 
analisi risulta poco articolata per quanto riguarda la spiegazione 
del rapporto che il consumatore instaura con la merce stessa una 
volta acquistata. Egli infatti prende in considerazione unicamente 
due aspetti del rapporto uomo - merce, o meglio, delle relazioni  
mediate dagli oggetti, l’alienazione e il feticismo.  
Anche  G. Simmel considera i rapporti che si instaurano tra 
oggetti e persone e riconosce che l’individuo prende coscienza di 
sé attraverso ciò che crea e che consuma. Al posto del feticismo 
di Marx si trova il concetto di "oggettività reificata", nel senso 
che i rapporti fra individui non avvengono più in modo diretto, ma 
sono mediati dalle cose, e che l’evoluzione sociale è conseguenza 
17 
 
del rapporto con gli oggetti. La variabilità e i cambiamenti di 
gusto nei consumi (egli studia in particolare la moda) sono dovuti 
alla spinta insita in ogni individuo a differenziarsi, a esprimere 
la propria unicità, originalità e creatività, che si collettivizza 
per la necessità del gruppo di condividere obbiettivi ideologici e 
manifestazioni esteriori. Per Simmel l’identità di ognuno è 
infatti il risultato di un’ambivalenza, il prodotto di due 
sentimenti, facce della stessa medaglia: la tendenza 
all’imitazione e la ricerca di differenziazione. Uguaglianza e 
mutamento. L’individuo dimostra di appartenere ad una collettività 
comportandosi in modo omologo ai suoi simili, ma al contempo si 
gratifica sperimentando aspetti originali. E’ da notare che le 
tendenze sociali di omologazione avvengono, per Simmel, solo per 
quanto concerne gli aspetti esteriori, che sono quindi una forma 
di schema con cui dimostrare la propria appartenenza sociale, il 
proprio status. La dimensione interiore dell’individuo invece è 
considerata assolutamente libera da ogni forma di costrizione o 
condizionamento. In questo contesto la moda è vista essenzialmente 
come il risultato della divisione della società in classi 
organizzate gerarchicamente e omogenee al proprio interno.  
Considero questa visione della società un po’ troppo rigida, 
anche perché Simmel prevede un modello emulativo unicamente 
dall’alto verso il basso.  
Analogo al concetto simmeliano di “diffusione verticale delle 
mode” è la definizione di T. Veblen di "consumo vistoso".  Egli 
sostiene che il motore dei processi di consumo (e quindi di 
produzione), dall’era industriale in poi, non è più rintracciabile 
nel mero soddisfacimento dei bisogni biologici. Il consumo altro 
non è che la volontà delle classi agiate di ostentare il proprio 
status sociale, pavoneggiando oggetti materiali futili, oziando e 
sprecando tempo (la cosiddetta "agiatezza vistosa"). Contrappone 
l’ozio delle classi agiate al lavoro delle classi povere. Per 
questo autore chi ha ricchezza dimostra il suo potere attraverso 
lo spreco di risorse, che diventa indice di prestigio e onore e di 
fatto esclude la “base della piramide” da una possibile emulazione 
18 
 
della “cima”.  Veblen muove una critica feroce alle classi agiate 
che, nella sua visione, non sanno far progredire la logica della 
produzione e dell’innovazione tecnica, ma si trastullano in 
inutili dimostrazioni del loro prestigio sociale. Seppur estrema, 
questa teoria non è priva di fascino.  
Anche M. Weber considera il consumo quale indicatore del ceto 
sociale dell’individuo, ma non condivide l'impostazione 
deterministica del rapporto, usando termini marxiani, tra 
struttura economica e sovrastruttura. La struttura immateriale non 
è solo una conseguenza dei beni posseduti e del lavoro svolto: gli 
ideali, la cultura, la sfera sentimentale contribuiscono 
attivamente a formare l’identità dell’individuo e quindi anche i 
suoi consumi. Tale assunto, sostiene l'autore,  trova conferma 
nell’influenza che l’ethos calvinista ha avuto rispetto alla 
nascita della società capitalista, perché senza la moralità 
protestante, la sua dedizione al lavoro e all’impegno nella 
attività economica sarebbe stata improbabile una tale evoluzione 
economica. E’ quindi impensabile interpretare in un banale 
rapporto di causa – effetto i legami tra idee e comportamento, tra 
consumo e produzione, tra società e individuo, tra economia, 
società e politica. Essi sono tutti fattori legati da rapporti 
circolari che si influenzano reciprocamente in un moto continuo. 
Al di là delle diverse prospettive d’analisi e delle 
interpretazioni originali di ognuno, questi autori hanno 
costituito un corpus metodologico di innegabile importanza. Hanno 
contestualizzato la fenomenologia del consumo nelle società 
industriali, chiarendo che il consumo ha valenza sociale e che 
esso riflette, e allo stesso tempo contribuisce a determinare, le 
dinamiche socioculturali in cui è inserito. Non è il semplice 
risultato di incroci di reddito e preferenze economiche. Gli 
autori hanno evidenziato la molteplicità e la complessità della 
differenziazione sociale, i cambiamenti degli equilibri, le 
differenze tra classi e ceti. Marx, nel concetto di alienazione, 
considera la vita umana subordinata alla produzione e inserisce il 
consumo nel rapporto di forza tra le classi sociali. Veblen vede 
19 
 
il consumo come manifestazione delle ineguaglianze socioculturali. 
Per la prima volta viene assegnata valenza simbolica agli oggetti 
e si riconosce che  il dominio delle classi forti non è solo 
economico, ma che è anche frutto dei loro status symbol. Con 
Simmel la mobilità sociale si lega ai fenomeni di appartenenza e 
differenziazione e la moda viene vista come rincorsa all’ascesa 
sociale. Con Weber, infine, viene introdotto il rapporto di 
reciprocità fra fenomeni sociali ed economici. 
Queste prime teorie sociologiche considerano il consumo un 
fenomeno essenzialmente negativo. Secondo E. Di Nallo (in 
Paltrinieri, op. cit.) ciò è dovuto al fatto che le sopra citate 
teorie affidano ad una razionalità di tipo strumentale la 
scientificità dei propri modelli, senza però riuscire a scinderla 
dallo stesso modello produttivo – economico che criticano. Il 
fenomeno del consumo viene riconosciuto multidimensionale, ma 
finisce per essere valutato come se fosse unicamente economico. La 
Di Nallo sostiene che è la razionalità economica utilitaristica a 
connotare negativamente i processi sociali, che appaiono pertanto 
dissonanti. Per l’autrice è quindi necessario trovare nuovi 
modelli interpretativi, ma questo aspetto sarà oggetto di una 
successiva analisi. 
Ritengo che tutte queste teorie possano anche aiutare ad 
analizzare i problemi derivanti dallo sviluppo dell'economia 
capitalista su scala mondiale. Le profonde disparità nella 
distribuzione delle risorse sono causa della ingiusta allocazione 
delle ricchezze fisiche, strutturali e di conoscenza, di una 
situazione ecologica sempre più precaria, di condizioni di vita 
sempre più instabili, di guerre sempre più feroci e frequenti. 
Tutti i tentativi fatti sino ad ora per una migliore distribuzione 
delle risorse (teorie di sviluppo, piani di aiuto, sovvenzioni..) 
sono inesorabilmente falliti. Il motivo di ciò, secondo i teorici 
del movimento antiglobalizzazione, è che non è cambiata 
l’impostazione di fondo del sistema politico e economico, che 
resta fondamentalmente bipolare (forte – debole, ricco – povero, 
20 
 
padrone – servo, sfruttatore - sfruttato
7
) e che viene propagandato 
come l’unico, o almeno il migliore possibile, cioè “il male 
minore”. È facile però che la stessa natura chiusa e autarchica 
del sistema diventi la sua condanna a morte. Il sistema mondiale 
deve, quindi, evolversi aprendosi verso tutti “gli angoli del 
globo” e moltiplicando le sue funzioni. Più un sistema è aperto e 
partecipato, infatti, più è ricco di risorse. Sarebbe auspicabile 
una revisione dal basso del dominio up-down globale, mediante la 
nascita di reti sociali locali interconnesse, così da evitare la 
settorializzazione di ogni micro-sistema. Tarozzi
8
, infatti, 
 
parla 
di “localismo cosmopolita reticolare” e di società civile 
transnazionale come “soluzione” all’impasse che la società civile 
si trova a fronteggiare. 
 
3. Dall’approccio differenzialista ai socio-antropologi  
 
Continuando a seguire la direzione tracciata da Paltrinieri, 
passo ad esaminare alcuni studiosi che possono essere definiti 
"differenzialisti", i quali  hanno considerato gli oggetti come 
simboli (segni) della comunicazione tra attori sociali (classi).  
Il principale merito dell’approccio differenzialista è la 
definizione che dà di consumo: un codice strutturato, quasi una 
sorta di sintassi, tra attori che condividono significati, 
classificazioni, strategie sociali e comportamentali. Il consumo 
si contestualizza in processi di differenziazione, ma al contempo 
si apre a nuove discipline quali la semiotica e l’antropologia e 
viene problematizzato il concetto vebleniano di consumo come atto 
di volontà. 
                                                 
7
 Questo in un’accezione a tutto campo, i paesi ricchi sfruttano le risorse dei 
“paesi in via di sviluppo” impedendo di fatto la possibilità di uno sviluppo 
autonomo, e all’interno di uno stesso paese si sta assistendo all’impoverimento 
di chi è già debole e all’arricchimento di chi è già ricco.  
8
A. Tarozzi, Ambiente, migrazioni, fiducia : ingerenze e autoreferenza, reti e 
progetti, L'harmattan Italia, Torino, 1998.  
21 
 
L’opera di J. Baudrillard s’ispira alla corrente 
strutturalista
9
, in particolare a C. Lévi-Strauss. Quest’ultimo  
fu, infatti, il primo ad applicare all’etnologia la prospettiva 
strutturale, allo scopo di evidenziare le caratteristiche e le 
prescrizioni (anche non scritte) che particolarizzano e 
distinguono le società. Per Lévi-Strauss gli oggetti sono veicoli 
dei rapporti interpersonali. Scambiandoli si crea reciprocità e si 
comunicano valori simbolici (è evidente il richiamo alla tematica 
del “dono” di M. Mauss). Sulla scia di queste innovazioni 
Baudrillard disegna il rapporto tra struttura sociale e struttura 
economica e concepisce il consumo come riproduttore delle logiche 
di potere. Gli individui consumano non solo per esteriorizzare il 
loro status (come già scriveva Veblen), ma anche perché hanno 
interiorizzato una serie di regole comportamentali e le merci sono 
riconosciute come segni che si scambiano, come fossero parole. In 
pratica Baudrillard respinge la prospettiva d’analisi ereditata 
dall’economia, secondo cui i beni servono al soddisfacimento dei 
bisogni
10 
e abbraccia l’idea di consumo come concetto ideologico, 
creato per “mascherare la realtà delle cose”
11. 
Mascherare la realtà 
dei fatti va a vantaggio delle classi dominanti, le quali creando 
continuamente nuovi desideri nelle masse, impediscono la 
democratizzazione della società. Il consumo diventa strumento di 
controllo sociale. Le classi superiori  confidano sul fatto che 
                                                 
9
 Lo strutturalismo è un movimento pluridisciplinare nato negli anni ’60. E’ una 
rivoluzione metodologica che si è estesa dalla linguistica alle scienze sociali. 
Secondo R. Boudon e F. Bourricaud (Dizionario critico di sociologia,Armando 
Editore, Roma, 1991) il movimento nasce con F. de Saussure, secondo il quale 
sono le regole grammaticali (struttura profonda) a dare vita a un linguaggio, 
che preesiste alle parole e che dona significato alle stesse in base alla 
strutturazione di differenze tra concetti interrelati. Successivamente 
Jackobson, cercando la “struttura profonda” delle lingua, rintraccia una serie 
di “tratti distintivi” che si combinano secondo regole precise. Con questo 
movimento si  parla di “rivoluzione” in quanto la prospettiva di analisi passa 
da diacronica (studiare l’evoluzione) a sincronica (studiare i collegamenti 
causali tra gli elementi).  
10
Anche perché non si spiegherebbe perché i bisogni  umani sono sempre più 
complessi e articolati, l’origine dei bisogni, innati e non, risiederebbe non 
nell’individuo ma nelle attività di marketing e pubblicità delle aziende 
(Codeluppi, op. cit).  
11
 Di Nallo (Razionalità, simulazione, consumo, in “Sociologia della 
comunicazione”, n. 6, 1984) analizza il rapporto tra razionalità strumentale e 
funzione simulatoria, che specificherò successivamente. 
22 
 
l’interiorizzazione del codice di consumo porta gli individui a 
percepire i rapporti sociali in termini di differenze e non di 
contrapposizioni, così la mobilità sociale è di fatto impedita e 
le disparità sociali si moltiplicano. La logica nascosta è la 
produzione e la riproduzione delle distinzioni di sociali, ossia 
un processo di conservazione del potere. La manipolazione dei 
desideri diventa un aspetto precipuo della funzione ideologica del 
consumo. Per meglio chiarire il concetto, Baudrillard ritiene che 
i comportamenti di consumo non siano più regolati da in sistema 
“naturale” di bisogni, ma vengano artificialmente costruiti, o 
meglio condizionati dalla cultura. Dogana
12
 descrive questo 
fenomeno definendolo la “perversione del consumismo”. Per questo 
autore vi è una “deformazione motivazionale” che manipola i 
bisogni  moltiplicandoli esponenzialmente, in quanto i beni sono 
investiti da proiezioni emotive: ad esempio si comprano beni 
connotati di  prestigio sociale per compensare frustrazioni 
psicologiche.  Un altro autore, Fabris
13
, analizza un aspetto della 
nevrosi del sistema dei bisogni. Egli osserva gli effetti dei 
messaggi pubblicitari, che invadono gli spazi individuali, 
sollecitando i desideri fino a trasformarli in esigenze e descrive 
lo “shopping” come un’attività di acquisto rivolta non ad un 
singolo bene, ma verso l’acquisto in generale. Non esiste quindi 
il bisogno concreto di quel bene particolare, ma il soggetto si 
muove secondo comportamenti “extra-razionali”.  
Personalmente ritengo che non sia proficuo estremizzare questa 
posizione, nonostante sia facile notare come l’uomo venga sovra-
stimolato dalla pubblicità. Infatti non tutti i bisogni sono 
indotti, dal momento che esistono necessità concrete di acquisto 
ed i consumatori, inoltre, non comprano tutto ciò che “sono spinti 
a desiderare”. La manipolazione dei desideri è comunque da 
considerare come un aspetto importante della funzione ideologica 
del consumo. E’ da notare che per Baudrillard la funzione 
                                                 
12
 Dogana F., Psicopatologia dei consumi quotidiani, Franco Angeli Editore, 
Milano, 1993, p. 217. 
13
 Fabris P., Socologia dei consumi, Hoepli, Milano, 1997 (cfr. Dogana, ibidem) 
23 
 
ideologica non si manifesta nell’alienazione e nella 
mistificazione dei contenuti, come sostenevano invece i critici 
della società di massa – la Scuola di Francoforte
14
 - ma 
nell’immobilismo del codice di scambio che, ripeto, maschera i 
rapporti di forza. 
 
La logica della differenziazione del consumo non è quindi 
assimilabile a quella dello scambio simbolico (logica 
dell’ambivalenza). Nello scambio simbolico lo scambio di oggetti è 
transitivo, perché l’oggetto (simbolo) rinvia alla relazione tra 
due individui e trasmette al ricevente un preciso messaggio. Lo 
scambio economico è invece intransitivo: la merce - segno, che 
viene scambiata, perde il legame con la relazione interpersonale 
ed acquisisce senso solo dal rapporto di differenziazione con le 
altre merci - segni. In altri termini si parla di consumo quando 
gli oggetti godono di autonomia in quanto segni differenziali e 
sistematizzati. Lo scambio economico è significativo solo entro un 
                                                 
14
 La S.F. si forma dal 1922, attorno all'Istituto per la ricerca sociale, 
fondato da F. Weil e diretto da K. Grünberg. Horkkheimer, Adorno e Marcuse sono 
gli esponenti più famosi del movimento. Tutte le elaborazioni teoriche della 
scuola devono essere messe in rapporto ai tre fenomeni principali dell'epoca: 1) 
il nazifascismo in Europa occidentale (che stimola la problematica 
dell'autorità) 2) lo stalinismo nella Russia sovietica (visto come l'altra 
faccia del capitalismo odierno), 3) la moderna società tecnologica e opulenta 
americana (di qui gli studi sull'industria culturale e sul pragmatismo 
americano: il concetto di verità sostituito con quelli di probabilità e 
utilità.). La scuola sviluppa una teoria critica sia al capitalismo e sia al 
comunismo sovietico. Mira a smascherare le contraddizioni dei due suddetti 
sistemi e auspica un modello, purtroppo utopico, alternativo a entrambi. 
Horkheimer, ma soprattutto Adorno, constatano che uno degli aspetti 
caratteristici dell'odierna società tecnologica è la creazione dei un gigantesco 
apparato mass-mediatico. Essi lo ritengono il più subdolo strumento di 
manipolazione usato dal sistema socio - politico per conservare se stesso, 
tenendo sottomessi gli individui. E' subdolo perché illude il consumatore 
convincendolo di essere il soggetto di tale industria, mentre in realtà ne è 
semplice oggetto. L'industria, in realtà, è al servizio delle minoranze 
facoltose, che mirano a determinare i consumi e suscitare nuovi bisogni nelle 
masse, imponendo determinati valori e modelli. Gli individui sono ridotti a una 
massa informe (una “spugna”). Attraverso i media passa l'ideologia vitale del 
neocapitalismo: l'idea della "bontà" del sistema e della "felicità" degli 
individui che lo costituiscono. Per Marcuse il sistema fa apparire razionale ciò 
che è irrazionale: il concetto di pluralismo (politico, culturale...) illude che 
il soggetto sia libero, mentre in realtà le decisioni sono sempre nelle mani di 
pochi. La critica dell'industria culturale verrà portata avanti da J. Habermas, 
il quale affermerà che “l'opinione pubblica”, che in origine la borghesia aveva 
usato per far valere i propri diritti contro le politiche assolutistiche, ha 
ormai perso ogni funzione critica, ed essa, da quando è stata istituzionalizzata 
negli organi dello Stato, è diventata strumento di manipolazione. 
(www.it.wikpedia.org)