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CAPITOLO I 
                                NOZIONI GENERALI 
 
1. L’origine storica del delitto. 
La necessità, per l’uomo, di scambiare beni e servizi affonda le sue radici fin 
dalle origini della storia. 
La nascita delle più rudimentali forme di organizzazione sociale ha posto il 
problema del superamento dell’autosufficienza del singolo individuo e ha contribuito 
alla genesi della ricerca delle varie modalità attraverso le quali è possibile lo scambio 
del risultato produttivo individuale. 
Il tema è tanto più importante e articolato quanto maggiore è la complessità e 
l’evoluzione di una determinata organizzazione sociale. Nelle società più sviluppate, 
siccome caratterizzate da una accentuata specializzazione dei vari segmenti 
produttivi e del ruolo di ciascun individuo, si deve registrare l’inesistenza di qualsiasi 
forma di autosufficienza produttiva e la necessità, per ciascuno, di ottenere dagli altri 
la grandissima parte dei beni e servizi a lui necessari. In quest’ottica di continuo 
mutamento, di progressiva emersione di nuove modalità di scambio, l’evoluzione 
storica ci palesa la costante presenza di condotte poste in essere da soggetti, agenti in 
quello che oggi definiamo mercato
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, tese ad alterare ed abusare dello stesso. 
                                                           
1
 Sull’evoluzione del concetto di mercato DI AMATO, Diritto penale dell’impresa, Milano, 
2011, pp. 3-5.
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Se la ricerca della genesi storica delle varie figure criminose è sempre utile, in 
quanto consente di evidenziare quella che è la loro essenza e il loro fondamento, 
questa indagine si rileva di particolare importanza soprattutto in riferimento alle 
condotte criminose che si sono esercitate e si esercitano nell’ambito del mercato. 
Cercare l’origine di un determinato istituto significa individuare il tempo e il 
modo secondo i quali una determinata condotta emerge con una sua individualità e 
giunge a maturazione. E’ un processo necessario nel quale occorre, innanzitutto, 
comprendere lo sfondo sociale ed economico sul quale la condotta prende vita e 
successivamente far emergere il momento nel quale questa si rende palese nella 
coscienza sociale fino a giungere alla sua tipizzazione normativa. 
Per quanto attiene all’oggetto della nostra analisi, l’origine storica del delitto di 
bancarotta è da collocare sicuramente nel Medioevo.
2
 Il fiorire delle attività 
commerciali che seguì la formazione dei liberi Comuni, insieme all’intenso 
movimento di circolazione di beni e la incessante ripresa dei traffici commerciali, 
furono le ragioni principali per le quali nacque l’esigenza di una più rigorosa tutela 
dei diritti di credito. Questa tutela doveva incentrarsi non solo nell’assicurare la 
regolare formazione del contratto contro la frode del contraente, ma anche tutelarne 
la sua successiva esecuzione. 
I glossatori e gli statutari dell’epoca
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 partirono dal concetto romanistico di 
furto e, mediante finzioni giuridiche, nella prospettiva di affermare in determinati 
                                                           
2
 SANTARELLI, Storia del fallimento nell’Italia dell’età intermedia, Cedam, I ed.,1964, pp. 21-25 
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 Vedi fra tutti BALDO DEGLI UBALDI, Consilia, Venezia, 1575; BENVENUTO 
STRACCA, Decisiones et tractatus varii de mercatura, Lione, 1553.
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casi l’appartenenza ad altri di cose che erano già passate in possesso dell’acquirente, 
contribuirono a delineare l’autonomia concettuale del delitto di bancarotta.
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Diverse sono le fonti dalle quali è possibile rintracciare questa prima 
elaborazione dottrinale. Tra quelle più interessanti troviamo certamente il 
“Constitutum usus pisanae civitatis”, nel quale è contenuta una norma che appare 
dettata per chi, essendo debitore di più persone, non abbia un patrimonio sufficiente 
allo scopo ovvero è insolvente, disponendo della cd. “cessio bonorum”, che deve 
avere per oggetto l’intero patrimonio del debitore
5
. Inoltre il testo ci fornisce un’altra 
norma molto importante. Vi si legge, infatti, che i beni del debitore vengono ripartiti 
tra i creditori col privilegio concorsuale. Risulta sufficientemente chiara la presenza 
del principio della par condicio creditorum anche nel XIII secolo che opera come 
regola generale.  
E’ da sottolineare come queste norme appena accennate non si riscontrano 
solamente nella fonte sopra citata ma numerosi altri Statuti si rilevano accorti nella 
disciplina delle prime forme di bancarotta. 
Difatti, sia lo Statuto di Vercelli del 1241, sia gli Statuti dei mercanti di 
Piacenza, sia lo Statuto di Bologna del 1245 e anche quello del Capitano del popolo 
di Firenze degli anni 1322-1325, dedicano parte del testo alla configurabilità e 
punibilità del delitto di bancarotta. 
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  Per una ricostruzione della storia ANTOLISEI, Manuale di diritto penale: leggi 
complementari, Giuffrè editore, 12 Ed. 2008, pp 14-15 e DELITALA in Studi sulla bancarotta, 
Padova, 1926, pp. 11-12. 
5
 Infatti la norma cui si fa riferimento dispone “de illis qui non habent unde solvant 
creditoribus” 
6
 SANTARELLI, Storia del fallimento nell’Italia dell’età intermedia, Cedam, I ed., 1964, pp. 
26-39
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Il primo sembra occuparsi del caso in cui il fallito non riesca a rispondere dei 
debiti con tutto il suo patrimonio, con la previsione di uno specifico procedimento 
riguardante sia la sua persona che i suoi beni. Il secondo dispone, invece, delle 
sanzioni di natura processuale penale contro chi fugge dalla città senza pagare i suoi 
debiti. Sullo stesso tema anche la terza e quarta fonte, dove i compilatori parlano dei 
“cessante et fuggitive”
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 ovvero coloro che, esercitando la marcatura, fuggono o 
comunque si assentino essendo debitori di cose o danaro, disponendo l’avvio di una 
severissima indagine, nel corso della quale si potrà anche ricorrere a tortura, per 
poter ritrovare le cose e il denaro dei terzi che avevano fatto credito a tali fuggitivi.  
Accanto alla sempre più evoluta elaborazione dottrinale e normativa, è corretto 
sottolineare anche il cambio di prospettiva dalla quale si osserva la figura del fallito
8
.  
Nei primi statuti medievali è facile osservare, specie nello Statuto di Genova, 
come i falliti fossero definiti “banca ruptores” e a tutti era attribuita la qualifica di 
frodatori. Al fallimento si accompagnava infatti una presunzione di frode che, come 
visto, era pressoché assoluta nei casi di fuga. A questa rigida posizione, che trova 
nella sua direttiva anche il celebre Baldo degli Ubaldi, che scriveva: “nec excusantur 
ob adversam fortunam: est decoctor ergo fraudator”
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, non tardarono a manifestarsi 
                                                           
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 Firenze Capitano 1322, Lib. II, R.XXV 
(p.108) << Statutum est quod potestas et capitaneus florentie habeant pienum arbitrium et 
teneantum cogere et ad tormenta ponere et omni alia via investigare quoscunque mercatores et 
omnes alios qui pro eurum ministeris publicis consueverunt recipere pecuniem bel mercantia ad 
scripturam libri aufuglentes et se absentantes cum pecuniam bel rebus aliquorum ad requisitionem 
suorum creditorum, ut possint invenire et investigare et havere libros predictorum creditorum  et 
alias res mobiles et immobiles eorumdem. Predicto etiam modo procedatur contra sotios, discipulos 
et factores cui negotia sotietatis et sotiorum seu magistrorum gesserint vel se absentaverint, 
nolentes de hiis cue gesserint reddere rationem>>  
8
 ANTOLISEI; Manuale di diritto penale: leggi complementari, Giuffrè editore, 12 ed., 2008, 
p. 16 
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 BALDO DEGLI UBALDI; Consilia, Venezia, 1575
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le prime reazioni. Tra tutti Benvenuto Stracca 
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che opera la distinzione tra falliti 
colpevoli e falliti incolpevoli, specificando anche quali siano i comportamenti del 
commerciante dal quale si debba presumere la frode, indicando anche i seguenti fatti: 
mancanza e distruzione della contabilità, sottrazione e dissimulazione delle 
mercanzie, compimento di atti di disposizione in pericolo sospetto e, infine, artifici o 
mezzi dilatori del fallimento imminente.  
Questa rapida e approssimativa sintesi delle fonti medievali ci consente, ora, di 
sottolineare come, nell’arco di un secolo, la figura della bancarotta si sia separata 
nettamente sia dallo schema del furto di origine romana che dall’appropriazione 
indebita, configurandosi con un’autonomia concettuale e conseguentemente 
normativa senza precedenti.  
In questo modo, si rende possibile un ulteriore passo, spinto dalle incessanti 
necessità di una più efficiente tutela del credito attraverso la previsione delle prime 
forme di bancarotta semplice, le quali comprendono casi dei debitori che dilapidano 
le loro sostanze per prodigalità, lusso od incuria oppure le sperperano in operazioni 
imprudenti.  
In definitiva, l’elaborazione dottrinale giunge alla previsione di una fattispecie 
forgiata sul modello casistico con la tipizzazione delle diverse condotte punibili 
secondo i modelli della bancarotta fraudolenta o semplice.  
Da questo momento in poi l’evoluzione sembra arrestarsi. Le leggi successive, 
sino alla legislazione vigente, ricalcano il modello casistico previsto dai compilatori 
medievali, sia pure con la specificazione di ulteriori fatti rivelatori della frode o 
                                                           
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 B. STRACCA; Decisione et tractatus varii de mercatura, Lione, 1553
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dell’imprudenza. Difatti, la disciplina vigente della bancarotta, contenuta nella legge 
fallimentare (R. D. 16 marzo 1942, n. 267), si muove nella scia della tradizione. Le 
norme di cui gli articoli 216 ss. si riallacciano alle corrispondenti norme del codice di 
commercio del 1882 
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, che a sua volta prende in riferimento il codice Albertino, il 
quale sembra ispirarsi al codice di commercio francese del 1807.  
 
 
2. L’attuale quadro normativo. 
 
La disciplina del fallimento e delle altre procedure concorsuali, nonché delle 
disposizioni penali connesse contenute nel R.D. 16 marzo 1942 n. 267, è rimasta 
sostanzialmente invariata per diversi anni.  
Solo in tempi recenti, l’emergere di una diversa coscienza sociale, sorta sulla 
scia degli scandali finanziari che hanno coinvolto e minato una larga parte del tessuto 
industriale italiano, ha costretto il legislatore a prendere atto dell’insufficienza, o 
                                                           
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 Art. 856 cod. com.: “E’ colpevole di bancarotta semplice il commerciante che ha cessato di 
fare i suoi pagamenti, e si trova in uno dei casi seguenti:  
1)Se le sue spese personali, o quelle della sua famiglia, furono eccessive rispetto alla sua condizione 
economica;  
2)Se ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o 
manifestamente imprudenti; 
3)Se ha lo scopo di ritardare il fallimento ha fatto compere coll’intenzione, seguita dal fatto, di 
rivendere al di sotto del valore corrente, ovvero ha fatto ricorso a prestiti, a girate di effetti o altri 
mezzi rovinosi di procurarsi i fondi; 
4)Se dopo la cessazione dei pagamenti ha pagato qualche creditore a danno della massa; 
5)Se non ha tenuto i libri prescritti o almeno il libro giornale”. 
Art. 860: “ E’ colpevole di bancarotta fraudolenta il commerciante fallito che ha sottratti o 
falsificati i suoi libri, distratto, occultato o dissimulato parte del suo attivo, e il commerciante (…) ha 
esposto passività insussistenti, ovvero nei libri o nelle scritture od in atti autentici o privati, ovvero 
nel bilancio si è fraudolentemente riconosciuto debitore di somme non dovute”.
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quantomeno dell’inadeguatezza, della disciplina fallimentare
12
. Nell’arco di pochi 
anni sono seguiti diversi interventi legislativi tesi a flessibilizzare e modernizzare la 
disciplina previgente. Le modifiche più incisive sono dovute, principalmente, a tre 
diversi interventi legislativi.  
Il primo, quando si diede luogo alla novellazione con D.l. 14 marzo 2005 n. 35 
convertito poi in Legge il 14 maggio 2005 n. 80. Questa riforma è stata realizzata 
lungo due direttrici
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; da un lato, ci si è mossi nella prospettiva di garantire gli 
accordi con i creditori, che si possono ora porre in essere sia in forma giudiziale (con 
il cd concordato preventivo: art. 160), sia in forma giudiziale attenuata (tramite gli 
accordi di ristrutturazione dei debiti: art. 182 bis) che, infine, in forma stragiudiziale 
(accordo stragiudiziale: art. 67 c.1 lett. d). Dall’altro lato, si è intervenuti con la 
riforma della disciplina del concordato preventivo. A questo istituto, la L.267/42 
dedica l’intero Titolo III e la riforma del 2005 interviene rinnovandolo 
completamente. L’art. 160 dispone che: “L'imprenditore che si trova in stato di crisi 
può proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano che può 
prevedere:  
a) la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi 
forma, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, 
ivi compresa l'attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di 
azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti 
finanziari e titoli di debito;  
                                                           
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 Sull’evoluzione del sistema economico ed industriale M. VIETTI, presentazione libro di 
CATTANEO; Riforma del diritto fallimentare: “vecchia” e “nuova” normativa a confronto, Egea, 
2006, pp. XV-XXIX 
13
 CATTANEO; op. ult. cit., p. XVI