5
Questo complesso di caratteristiche psicologiche e comportamentali viene espresso dal soggetto 
quasi sempre in modo automatico, in tutti i contesti della sua vita. 
In psicologia questo stesso concetto viene utilizzato per indicare quel complesso di caratteristiche 
proprie della persona (biologiche, psicologiche, comportamentali, ecc.) che la rendono unica, e 
differente da tutte le altre, e che consentono al tempo stesso di riconoscerla. Considerata quindi la 
difficoltà di giungere a una definizione univoca e l'impossibilità di utilizzare un'unica e sola 
prospettiva di indagine, si preferisce parlare di un «costrutto ipotetico che ha significati e 
implicazioni diverse nelle differenti teorie. Con essa si designa un tessuto di problemi più che una 
realtà di fatto»
2
. Ciò che risulta fondamentale quindi, è prendere le mosse da una teoria di 
riferimento piuttosto che ricercare categorie generali, le quali non solo risultano particolarmente 
complesse, ma si rivelano peraltro scarsamente utili da un punto di vista pratico. 
Se è vero d'altra parte, che il costrutto ipotetico trova accezioni diverse a seconda della teoria di 
riferimento, non si può trascurare che formulare una panoramica completa delle diverse teorie della 
personalità risulterebbe un'impresa impossibile. Sembra quindi opportuno ricorrere ad una 
classificazione arbitraria, che prevede quattro diversi raggruppamenti, con l'avvertimento però che 
si tratta di categorie i cui confini non sempre possono essere definiti netti e invalicabili. 
 
Si fa riferimento a: 
¾ Le teorie tipologiche. 
¾ Le teorie e dei tratti, dei fattori e delle dimensioni della personalità. 
¾ Le teorie psicodinamiche. 
¾ Le teorie cognitive e comportamentali. 
 
 Prendiamo brevemente in esame gli aspetti fondamentali di ciascuna di esse. 
 
Le teorie tipologiche 
Queste teorie distinguono le persone in base ad alcuni fattori facilmente individuabili i quali 
risultano poco o per nulla modificabili nel corso della vita. Il fine principale delle stesse è racchiuso 
nel tentativo di limitare ad un numero ristretto di categorie la molteplicità delle strutture di 
personalità, anche se, occorre dire che molte volte questa riduzione non ha condotto a risultati felici, 
e talvolta ha assunto la connotazione di stereotipo. Le teorie di cui si tratta possono essere distinte 
ulteriormente in somatiche, funzionali e psicologiche.  
                                                 
2
 Caparra e Gennaro. Ibidem, p. 22. 
 6
Sulla base dei modelli somatici la classificazione delle diverse tipologie di personalità deve fondarsi 
su fattori di distinzione presenti nella costituzione. morfo-fisiologica del soggetto. Tra i 
rappresentanti principali di questo movimento attualmente si possono citare lo psichiatra tedesco E. 
Kretschmer e lo psicologo americano W. Shelfdon. 
Al centro delle teorie tipologiche funzionali si pone invece la funzionalità dei sistemi 
neurovegetativo ed endocrino. Primo a formulare questa teoria può essere considerato I. Pavlov, il 
quale si è soffermato, attraverso la ricerca sistematica delle differenze individuali, sulla 
comprensione della diversa suscettibilità di condizionamento, giungendo alla classificazione di tre 
differenti tipologie di personalità: irritabile, equilibrato, inibito. 
Portavoce della teoria tipologica psicologica può essere considerato C. G. Jung. Tralasciando lo 
studio sia degli elementi di natura morfologica, sia di quelli di natura funzionale egli ha posto 
l'attenzione sull'individuo, e sul suo atteggiamento nel rapporto con l'oggetto, arrivando a 
identificare la cosiddetta polarità "introversione-estroversione", in base alla quale è possibile una 
classificazione delle persone in due tipi psicologici: il tipo introverso, ossia orientato verso il mondo 
interno (quindi con un atteggiamento autoriflessivo) ed il tipo estroverso, cioè orientato verso il 
mondo esterno. Successivamente lo studioso è tornato su tale classificazione, proponendo ulteriori 
definizioni delle due tipologie introverso ed estroverso, in base a delle specifiche funzioni 
psicologiche, che possono essere più o meno sviluppate. Ciò che sembra importante capire in questa 
sede è che l'intenzione di Jung non fu mai quella di ridurre la complessità delle differenze 
individuali, ma, al contrario, quella di poter favorire una maggiore comprensione delle dinamiche 
affettive e relazionali che formano il substrato della personalità di tutti gli individui. 
 
 
Teorie dei tratti, dei fattori e delle dimensioni della personalità 
Le teorie dei tratti hanno tentato di definire la personalità attraverso una "profilo psicologico" e, per 
fare ciò, si sono basate su una visione empirica. A fondamento delle stesse infatti, troviamo metodi 
statistici necessari ad analizzare i diversi fattori e ad esaminare le interazioni tra gruppi di variabili 
(tratti, comportamenti, sintomi). Il fine principale di queste teorie è identificare, attraverso le 
modalità di analisi suddette, i fattori costitutivi a base della personalità, e cercare di raggrupparli in 
combinazioni ordinate corrispondenti alle diverse descrizioni di personalità. Gli studiosi che si sono 
dedicati all'elaborazione di queste teorie sono accomunati dalla convinzione dell’esistenza di una 
struttura latente di tratti capace delle diverse manifestazioni psicologiche degli individui. 
Ognuno di questi ha però fornito un contributo diverso. 
 7
G. Allport, ad esempio, ha definito la personalità come un "organizzazione dinamica" in relazione 
con l'ambiente sociale e influenzata da fattori psicologici e biologici. 
Secondo Cattell invece la personalità è "ciò che ci permette di predire quello che una persona farà in 
una determinata situazione", e, grazie all'analisi fattoriale, riesce a individuare un elevato numero di 
tratti (intesi come dimensioni stabili dell'individuo determinanti una certa coerenza di condotta), e a 
quantificare l'incidenza di ognuno di essi. L'autore inoltre opera una distinzione fra tratti superficiali 
e tratti originali. Mentre i primi sono identificabili anche grazie solo ad un'attenta osservazione 
dell'individuo, per i secondi occorre servirsi, al contrario, di tecniche di comparazione e analisi 
fattoriale. 
Murray fu il primo tra questi a ritenere fondamentale il vissuto di una persona, il passato personale 
per la formazione della personalità. Ritiene inoltre quest'ultima non corrispondente semplicemente 
alla descrizione del comportamento dell'individuo, non riducibile cioè a facili schematismi. 
Lo studioso che più di altri si adoperò nell'elaborazione di queste teorie fu il fattorialista  Eysenck, 
nel tentativo di creare un modello della personalità che fosse in grado di offrire una collocazione 
anche alle componenti biogenetiche. Egli adottò tuttavia un sistema caratterizzato da un ristretto 
numero di dimensioni: la dimensione introversione-estroversione, la dimensione stabilità-
instabilità, e la dimensione dello psicoticismo. 
Negli ultimi anni, inoltre, si è avvertita l'esigenza di combinare l'operatività dei modelli nati in 
ambito clinico con la complessità di quelli di origine fattorialista e psicolessicale. Ciò ha portato 
alla creazione di modelli teorici di grande successo, alcuni dei quali si fondano su cinque grandi 
fattori (Five Factors Models), sulla cui definizione i diversi autori concordano, fatta qualche 
eccezione per l'ultimo di questi. 
I cinque fattori sono: 
 
1. Estroversione (vs introversione): caratterizzato da aspetti quali attività, ricerca di stimoli e 
sensazioni, assertività, predilezione per la compagnia di altri individui e predisposizione 
favorevole per le relazioni interpersonali. 
2. Gradevolezza (vs ostilità): caratterizzato da aspetti quali fiducia negli altri, altruismo 
affettività, empatia. Per quanto riguarda il polo inverso troviamo egoismo, indifferenza e 
astiosità. 
3. Coscienziosità: in questo fattore si ritrovano senso del dovere, organizzazione, ordine, 
scrupolosità e autodisciplina, ma anche perseveranza e ponderatezza. 
 8
4. Stabilità emotiva (vs instabilità emotiva): il primo comprende elementi quali sicurezza, 
calma, stabilità; mentre il secondo si caratterizza per insicurezza, ansietà e vulnerabilità 
emotiva. 
5. Per quanto riguarda l'ultimo fattore troviamo definizioni non pacifiche: alcuni autori 
utilizzano il termine "cultura", altri "intelletto", altri ancora usano invece l'espressione 
"apertura all'esperienza". Ad ogni modo in esso sono compresi elementi come la fantasia, la 
creatività, la curiosità e l'originalità. 
 
 
Teorie psicodinamiche 
Un fondamentale contributo per lo sviluppo delle teorie della personalità è stato offerto dalla teoria 
psicoanalitica, nell'ambito della quale l'oggetto dell'indagine diviene la scoperta della dimensione 
inconscia della mente. 
Secondo Freud la personalità è il risultato dell'interazione di forze contrastanti tra differenti fattori 
presenti nell'individuo e nella realtà in cui vive, e da un gioco di forze generato da una sorgente 
energetica originaria, la pulsione. Risulta fondamentale per Freud porre l'attenzione sulle esperienze 
passate dell'individuo, le quali incidono in misura radicale sul funzionamento della personalità dello 
stesso. La teoria psicoanalitica evidenzia l'importanza delle esperienze vissute nei primi anni di vita 
del bambino (i primi cinque), quelli cioè segnati da una successione di fasi dinamiche, individuabili 
a seconda della zona del corpo maggiormente interessata dall'eccitamento sensoriale in un dato 
periodo. Il mancato o incompleto superamento di uno o più aspetti nell'ambito di una certa fase, 
determina secondo tale teoria la fissazione a quella specifica fase, comportando inevitabili 
conseguenze sul carattere dell'individuo. 
Per quanto riguarda i modelli che hanno studiato più specificatamente gli aspetti relazionali del 
funzionamento psichico
3
 si possono distinguere due fondamentali movimenti. 
Semplificando, il movimento della cosiddetta prospettiva interpersonale
4
  ha ritenuto fondamentale 
nella formazione della personalità il contesto sociale e culturale in cui l'individuo cresce e matura, e 
l'indagine si focalizza di conseguenza sulle configurazioni relazionali che caratterizzano l'ambiente. 
Nell'ambito del movimento definito scuola delle relazioni oggettuali, invece, Klein ha evidenziato 
l'importanza della formazione del mondo interno del bambino a cominciare dalle primissime 
relazioni (fantasmatiche) con gli oggetti parziali e, successivamente, ovviamente con le figure 
genitoriali. Altri autorevoli studiosi come Winnicott hanno poi ritenuto che l’Io risulta sempre 
                                                 
3
 Come  è noto mentre nell'impostazione psicoanalitica classica è prevalso l'interesse per la dimensione storico-
evolutiva della personalità, successivamente l'attenzione si è invece spostata sulla cosiddetta dimensione relazionale. 
4
 Esponenti  di questo movimento sono ad esempio Sullivan, Fromm e Horney. 
 9
legato agli oggetti, che l'impulso coesiste fin dal principio con la relazione oggettuale, e che il 
bambino fin dalla nascita ha bisogno degli altri. 
Le ricerche più recenti, tuttavia, nell'ambito della psicologia evolutiva fanno tutte riferimento alla 
cosiddetta teoria dell'attaccamento, elaborata da John Bolby alla fine degli anni 60, e a cui sarà 
riservato un paragrafo a parte.
5
 
 
 
Teorie cognitive e comportamentali 
Queste teorie, com'è facile capire, focalizzano l'attenzione sul comportamento osservabile, e sulle 
interpretazioni possibili come risposta a determinati stimoli. Di conseguenza la personalità viene 
intesa come quell’insieme che comprende le risposte e le abitudini comportamentali osservabili con 
cui l'individuo ha imparato a reagire agli stimoli ambientali. 
A partire dagli anni 50 si fanno strada le cosiddette teorie dell'apprendimento sociale, nell'ambito 
delle quali oggetto dell'indagine risultano essere le differenze individuali e i processi cognitivi che 
mediano tra ambiente e persona. 
Rotter ritiene in particolare, nell'ambito di una concezione sistemica della personalità, che lo 
sviluppo di questa derivi dalla particolare interazione tra  l'individuo e l'ambiente soggettivamente 
percepito. Secondo lo studioso un ruolo centrale vengono ad assumere le   mete e le aspettative 
dell'individuo,  intese  come agenti motivanti del comportamento.  Alcune aspettative,  secondo 
questa teoria, possono divenire talmente importanti e radicate  per il soggetto,  da trasformarsi in 
fattori assimilabili a quelli che,  altri  autori, definiscono tratti di personalità.  La  teoria 
dell'apprendimento sociale di Bandura, invece, definisce la condotta come il risultato di 
un'interazione multipla tra l'ambiente, l'individuo e il suo comportamento. Nel processo interattivo 
delineato da questo studioso il ruolo principale e affidato alle strutture cognitive che  modulano 
l'esperienza, regolano la condotta e assicurano la coerenza delle stesse
6
. 
Sempre in ambito cognitivo troviamo poi autori (Markus e al.) che elaborano dei veri e  propri 
schemi del sé. Quest'ultimo avrebbe un nucleo che contiene le rappresentazioni più significative per 
l'individuo, le sue relazioni interpersonali fondamentali e una valutazione affettiva tanto del sé 
quanto di tali relazioni. 
                                                 
5
 Per  ora è importante dire che questa teoria postula l'esistenza di una tendenza innata dell'individuo a ricercare la 
protezione di una figura di riferimento quando si trova in situazioni di pericolo, paura o sofferenza. Di fondamentale 
importanza risulta la reazione della figura protettiva (caregiver) che accudisce il bambino, e cioè le modalità di risposta 
rispetto al desiderio di vicinanza e protezione, perché dalla messa in atto di queste risposte possono derivare, come si 
vedrà, diversi stili di attaccamento. È proprio infatti lo stile appreso dalle prime relazioni di attaccamento ad incidere in 
misura considerevole e diversificata sia sull'organizzazione della personalità, sia sul concetto che il bambino avrà di sé e 
degli altri. 
6
 La  personalità si identifica per lo più con queste strutture cognitive. 
 10
Neisser, in particolare, sostiene che la conoscenza relativa a se stessi si articoli in cinque modi, di 
cui, i primi due esistenti già dai primi periodi di vita. 
 
¾ Un sé ecologico: questo si identifica con l'informazione che ciascuno ha di se stesso, la 
quale in ogni momento risulta dalla percezione e dall'azione nella realtà circostante. 
¾ Un sé interpersonale: questo viene percepito nelle interazioni sociali caratterizzate 
affettivamente o, comunque, a valenza comunicativa. 
¾ Un sé esteso: questo viene a costituirsi sulla base delle informazioni contenute nella 
memoria autobiografica, attraverso la capacità umana di rievocare gli eventi del proprio 
passato. 
¾ Un sé privato: questo concerne la propria interiorità, ma anche altre esperienze che si 
manifestano in qualche modo non collegate alle circostanze attuali (sogni). 
¾ Un sé concettuale: questo sé si forma sulla base della comunicazione verbale ed è 
costituito da quelle teorie relative ai ruoli sociali, ai modelli che riguardano il corpo e la 
psiche e attraverso autoattribuzioni di tratti sulla base di dimensioni culturalmente 
stabili. 
 
Ad ogni modo, come si è detto, i tratti che definiscono lo stile di vita di una persona e il suo modo 
di relazionarsi tendono a presentarsi in modo stabile e duraturo.  
Non solo. I tratti distintivi di una personalità "dovrebbero" possedere anche un'altra caratteristica 
fondamentale: la flessibilità. Quest'ultima consente infatti all'individuo di adattarsi in modo 
funzionale alle diverse circostanze che la vita gli prospetta, e di non sentirsi a disagio quando la 
situazione contingente non soddisfa le sue aspettative. Così ad esempio, in alcune circostanze sarà 
più utile e funzionale al soggetto assumere un atteggiamento di dipendenza, in altre invece sarà più 
utile essere sospettoso, in altre ancora seducente. In alcuni casi, tuttavia, il soggetto tende a 
presentarsi sempre in un determinato modo, cioè a mettere in atto sempre la stessa modalità 
comportamentale (ad esempio ad assumere un atteggiamento sospettoso) a prescindere dalla 
situazione nella quale viene a trovarsi, rendendo in questo modo estremamente difficile, se non 
impossibile, la gestione delle emozioni avvertite in quel momento. 
Quando i tratti della personalità di un individuo si caratterizzano per la particolare rigidità e 
inflessibilità anche nelle situazioni meno opportune, si parla di Disturbi della Personalità. Viene 
diagnosticato un disturbo della personalità, in particolare, solo quando il funzionamento sociale 
dell'individuo risulta significativamente compromesso, proprio a causa di amplificazioni 
patologiche dei tratti. 
 11
Si tratta di un complesso di disturbi psichici di non univoca definizione, considerate le grandi 
difficoltà incontrate nell'operare una distinzione netta tra personalità sane e personalità patologiche. 
Al riguardo si può sostenere che vi sia una relazione continua tra  tratti e  di disturbi di personalità, 
«dove i disturbi rappresentano l'estremo di un continuum»
7
. In altri termini i disturbi della 
personalità vengono a configurarsi quando i tratti si presentano come non adattivi (rigidi appunto) e 
ciò genera non solo un grande sofferenza per l'individuo affetto dalla patologia, ma anche una 
significativa compromissione funzionale dello stesso, e cioè del suo "funzionamento" nell'ambito 
della società in cui vive. 
Occorre da subito rilevare che queste particolari modalità di percepire e di rapportarsi a se stessi e 
all'ambiente diventano, per il soggetto, stabili, consuete, e ciò comporta che le stesse persone che ne 
soffrono non si rendono conto di porre in essere comportamenti inadeguati alla circostanza del 
momento, e da cui scaturiscono le reazioni negative degli altri. Il soggetto affetto da un disturbo di 
personalità, pur subendone le gravi conseguenze, non sa di essere malato e, proprio per questo, 
difficilmente ricorre all'aiuto di cui ha bisogno, e raramente accetta le cure che gli vengono fornite, 
anzi, molto spesso, si percepisce come la "vittima" della situazione vissuta
8
, fatto questo che rende 
ancor più gravosa la patologia in questione. 
 
 
Cenni storici. I sistemi internazionali di classificazione dei 
Disturbi di Personalità 
 
Per quanto riguarda la classificazione dei diversi Disturbi di Personalità, a partire dagli anni ‘20 del 
secolo scorso fu proposta la prima grande distinzione tra nevrosi e psicosi, da subito ritenuta però, 
per molti aspetti, molto riduttiva. Nell'ambito della prima categoria venivano comprese tutte quelle 
patologie caratterizzate dalla conservazione di un contatto con la realtà (depressione, ansia, ecc.). 
Nell'ambito della categoria delle psicosi invece, venivano considerate tutte quelle malattie che si 
caratterizzano per un distacco completo con la realtà. Si tratta, tuttavia, di una distinzione 
ampiamente criticata, giacché, come si vedrà meglio in seguito, la patologia border-line presentava 
sintomi di entrambe, non potendo essere definita più precisamente. 
                                                 
7
 LINGIARDI V., La personalità e i suoi disturbi, cit., p. 23 
8
 Situazione  questa, come si vedrà, avvertita soprattutto in alcune tipologie di disturbo di personalità. 
 12
L'esigenza di portare avanti una classificazione il più possibile generale delle diverse patologie si è 
comunque conservata, e ha portato alla possibilità di ricorrere a due
9
 fondamentali sistemi 
internazionali di classificazione dei disturbi di personalità: il DSM, Diagnostic and Statistic Manual 
of Mental Disorders
10
 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali
11
) a cura 
dell'Associazione Psichiatrica Americana (APA), sicuramente il più utilizzato in ambito clinico, in 
quanto fornisce i criteri diagnostici per ogni Disturbo (giunto oggi alla sua quarta edizione); l’ICD, 
International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems (La classificazione 
statistica internazionale delle malattie e dei problemi di salute relativi) a cura dell'Organizzazione 
Mondiale Della Sanità (OMS) il quale presenta una classificazione mista (eziologica e descrittiva) 
nella quale a ciascun Disturbo viene attribuito un codice alfanumerico. 
In passato i criteri diagnostici utilizzati per l'individuazione dei Disturbi di Personalità erano 
sicuramente meno elaborati. Il DSM-I distingueva i disturbi di personalità in cinque grandi 
categorie: disturbo della struttura di personalità, disturbo dei tratti di personalità, sociopatia, 
disturbo reattivo di personalità, disturbi di personalità reattivi alla situazione. Il DSM-II ha ridotto 
moltissimo il numero effettivo dei disturbi di personalità esistenti, inoltre non erano forniti criteri 
diagnostici ben definiti, e la classificazione non era fondata su approfondite indagini cliniche. 
Peraltro non era chiara la distinzione tra disturbi basati su sintomi (Asse I) e disturbi di personalità 
veri e propri (Asse II). Il DSM-III prendeva in considerazione undici disturbi di personalità: 
antisociale, evitante, borderline, ossessivo-compulsivo, dipendente, istrionico, narcisista, paranoide, 
passivo-aggressivo, schizoide, schizotipico; questi erano compresi in tre grandi categorie: 
eccentrici, drammatici-teatrali, ansiosi. 
Il DSM-III-R , mantenendo invariata tale classificazione, ha aggiunto all'elenco due disturbi, quello 
sadico e quello auto-frustrante. 
Questi ultimi sono stati poi eliminati nel DSM-IV, che ha proposto il Disturbo di Personalità 
Depressivo, relegandolo però, insieme al Disturbo Passivo-Aggressivo nella categoria dei Disturbi 
Di Personalità Non Altrimenti Specificati.  
                                                 
9
 Non  verrà preso in considerazione in questa sede il sistema di classificazione francese, che si basava sull'osservazione 
e la raccolta dei sintomi (XIX secolo) 
10
 Il DSM-IV-TR definisce il Disturbo di Personalità come un «modello di esperienza interiore e di comportamento che 
devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell'individuo, è pervasivo e inflessibile, esordisce 
nell'adolescenza o nella  prima età adulta, è stabile nel tempo, e determina disagio o menomazione» e «si manifesta in 
almeno due delle seguenti aree: cognitività, affettività, funzionamento interpersonale o controllo degli impulsi (Criterio 
A)». American Psychiatric Association, Diagnostic and Statistic Manual of Mental Disorders, Fourth Edition, Text 
Revision, 2000, p. 729-730. International Version with ICD-10 codes, 1995. La  prima edizione del Manuale 
diagnostico è del 1952 e, grazie ai risultati ottenuti attraverso la ricerca scientifica, è stato nel corso del tempo 
migliorato e arricchito, anche per quanto concerne la sezione dedicata ai Disturbi di Personalità. 
11
 A  cui principalmente si farà riferimento nella trattazione dei singoli Disturbi di Personalità.