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CAPITOLO I 
Obbligo di diligenza 
SOMMARIO: 1. La diligenza come misura della prestazione. -2.. L’interesse dell’impresa e 
l’interesse della produzione nazionale. -3. Contenuto del dovere di diligenza. -4. Conseguenze 
disciplinari e risarcitorie della violazione del dovere di diligenza.  
 
 
 
 
1. La diligenza come misura della prestazione. 
Il primo obbligo del lavoratore, individuato dall’articolo 2104 cod. civ.
2
, è senza 
dubbio quello di diligenza che, rispetto all’obbligazione di rendere la prestazione 
lavorativa fissata dall’art. 2094 cod. civ.
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, non si pone come autonomo ma, anzi, 
costituisce uno dei parametri sulla cui base il datore può valutare il corretto 
adempimento dell’obbligazione del proprio dipendente.  
Come è noto, in forza dell’art. 1176 cod. civ., il debitore nell’adempimento delle 
obbligazioni in generale deve adottare il parametro della “diligenza del buon padre 
di famiglia” e, con riguardo all’adempimento delle obbligazioni aventi ad oggetto 
un’attività professionale, quello della diligenza occorrente “secondo la natura 
dell’attività esercitata”. 
Una specificazione di tale norma, in materia di lavoro e con riferimento alla 
posizione del lavoratore dipendente, si trova nell’art. 2104 cod. civ. che indica il  
                                                           
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 Art. 2104 cod. civ. – Diligenza del prestatore di lavoro – Il prestatore di lavoro deve usare la 
diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello 
superiore della produzione nazionale. 
Deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite 
dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende. 
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 Art. 2094 cod. civ. – Prestatore di lavoro – E’ prestatore di lavoro chi si obbliga mediante 
retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle 
dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore. 
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tipo di diligenza cui il lavoratore deve attenersi per il corretto e puntuale 
espletamento della sua attività, diligenza che deve essere pari a quella “richiesta dalla 
natura della prestazione dovuta”, concretando quindi un riferimento al tipo di lavoro 
prestato. 
Sarà sicuramente diversa, ad esempio, la diligenza richiesta ad un dirigente 
responsabile di un intero ramo o stabilimento aziendale rispetto a quella richiesta 
ad un semplice operaio o ad un addetto alla catena di montaggio
4
. 
Per il collegamento instaurato da tale articolo tra diligenza dovuta e natura 
della prestazione, è evidente che la prima cambia in relazione all’attività dedotta 
nel contratto, alle mansioni svolte, alla qualifica ed alle competenze professionali 
del lavoratore
5
.  
Di conseguenza, un eventuale cambiamento delle mansioni non può che 
influire direttamente anche sulla valutazione dell’adempimento dell’obbligo di 
diligenza, considerando quindi la scrupolosità e l’esattezza seguite nello 
svolgimento del proprio lavoro
6
. 
Come già visto, la formula contenuta nell’articolo 2104 cod. civ. specifica, con 
riferimento all’obbligazione lavorativa, il generale criterio di diligenza fissato per 
l’adempimento delle obbligazioni dall’articolo 1176, comma II, cod. civ.: non basta 
che il lavoro sia eseguito con la diligenza media del buon padre di famiglia, ma è 
necessario che il lavoratore debitore sia in possesso delle cognizioni e delle 
esperienze necessarie affinchè la prestazione corrisponda all’interesse dell’impresa. 
                                                           
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 G. FERRARO, I contratti di lavoro, CEDAM, 1998, pag. 32. 
5
 M. DE NICOLÒ, Diritti ed obblighi del datore e del prestatore di lavoro tra giurisprudenza di merito e 
giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Giur. Ita., 1996. 
6
 La Cassazione nella sentenza n. 6664 del 22 maggio 2000 considera il grado di diligenza mutevole 
in relazione alla posizione del dipendente, alla qualifica professionale, alle mansioni ed alla loro 
natura, nonché al contesto ambientale in cui tali mansioni vengono tipicamente adempiute. 
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Tale criterio, pertanto, deve essere costantemente adattato e specificato in 
relazione ai singoli casi, valutando la posizione del dipendente con particolare 
riferimento alla sua qualifica professionale, alla natura delle incombenze affidategli, 
nonché alle situazioni ambientali ed aziendali nelle quali esplica le sue mansioni, 
ma senza considerare mansioni definite in via astratta
7
. 
 Una eventuale violazione del dovere posto dall’articolo 2104 cod. civ., può 
comportare, come conseguenza in capo al dipendente, oltre alla responsabilità 
disciplinare, anche la sua responsabilità generale per inadempimento delle 
obbligazioni, soggetta al regime posto dall’articolo 1218 cod. civ.
8
.  
In questo caso il giudice del merito, nel caso di denunciato inadempimento 
contrattuale, deve ricercare, ai fini dell’accertamento della relativa responsabilità, il 
nesso di causalità fra il comportamento addebitato al lavoratore ed il danno 
risentito dal datore, valutando la posizione del dipendente in relazione alla 
qualifica professionale e agli altri indici
9
. 
Pertanto, solo se è in grado di fornire la prova che il mancato adempimento 
dell’obbligo di diligenza è dovuto ad una causa a lui non imputabile, il lavoratore 
può superare tale responsabilità contrattuale
10
. La responsabilità, invece, sussiste 
quando il fatto esterno, che ha provocato il danno, è stato reso possibile o 
comunque agevolato dalla condotta colposa del dipendente dovuta a negligenza, 
                                                           
7
 Come specificato da SCOGNAMIGLIO, in Diritto del lavoro, Napoli, 1997, pag. 409. 
8
 Cassazione, 21 ottobre 1991, n. 11107. 
9
  Sarà determinante il contributo fornito dalla direzione legale della società nella gestione del 
contenzioso con i dipendenti. Il legale interno in questo caso, dopo aver sentito consultato la 
direzione del personale, ad esempio, dovrebbe comunicare al legale esterno eventuali osservazioni in 
merito all’oggetto della controversia.  
10
 DE NICOLO’, Diritti ed obblighi del prestatore di lavoro tra giurisprudenza di merito e 
giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Giurisprudenza Italiana, 1996. 
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imprudenza o a violazione di specifici obblighi contrattuali o istruzioni 
legittimamente impartitegli dal datore di lavoro. 
 
1. L’interesse dell’impresa e l’interesse della produzione nazionale. 
L’obbligo di diligenza si sostanzia nell’obbligo di rispettare tutte le 
prescrizioni concrete connesse alla prestazione, comprese quelle fissate dalle 
norme di legge e di contratto collettivo applicabili al rapporto.  
L’articolo 2104, comma I, cod. civ. individua ben due specifici parametri da 
utilizzare ai fini della valutazione, sul piano della diligenza, del corretto 
adempimento della prestazione.  
Il primo parametro richiama l’interesse dell’impresa e di tale criterio in dottrina 
vengono fornite due differenti interpretazioni. 
Secondo la prima lettura, tale parametro va inteso in senso oggettivo, come 
interesse dell’impresa in sé, che può anche prescindere dal riferimento alla persona 
dell’imprenditore. 
Per l’opposta lettura, invece, il parametro relativo all’interesse dell’impresa va 
inteso in senso soggettivo, come riferito all’interesse del singolo datore di lavoro ad 
utilizzare le prestazioni di lavoro in coerenza con uno specifico contesto 
organizzativo e produttivo. Ciò implica che la prestazione dovuta dal lavoratore 
deve essere valutata in relazione alle particolari esigenze dell’organizzazione in cui 
il rapporto si inserisce.  
Tale lettura è stata confermata dalla giurisprudenza, secondo la quale il 
lavoratore, per adempiere al proprio obbligo di diligenza, non può limitarsi a 
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mettere a disposizione le proprie energie di lavoro, ma deve avere un 
comportamento tale da permettere all’impresa di utilizzare in modo effettivo e 
proficuo le sue energie. In altri termini, la prestazione può dirsi effettuata con 
diligenza solo se la stessa può essere integrata e coordinata con il lavoro degli altri 
dipendenti. 
Successivamente, l’articolo 2104 cod. civ. specifica, come secondo parametro 
per valutare l’obbligo di diligenza, l’interesse della produzione nazionale.  
Per la gran parte della dottrina il rinvio contenuto in tale norma non ha oggi 
alcun rilievo giuridico, in quanto non farebbe altro che richiamare il soppresso 
ordinamento corporativo.  
Per un altro orientamento meno convincente, invece, la norma farebbe rinvio ai 
principi costituzionali dell’utilità sociale dell’attività privata e della 
programmazione economica, fissati dall’articolo 41 Cost. 
Tuttavia, alla luce di quanto detto, risulta evidente come la valutazione della 
diligenza da parte del datore di lavoro costituisce l’esercizio di un suo potere in 
gran parte discrezionale, specialmente nel momento in cui si guarda al concetto di 
“interesse dell’impresa”. L’unico limite si può ricavare dal generale obbligo, operante 
anche con riferimento alla valutazione della prestazione lavorativa, di osservare i 
principi civilistici di buona fede e di correttezza.