INTRODUZIONE Che cos’è la paternità? Questa domanda mi affascina ormai da 
parecchi anni, forse perché è facile descrivere cos’è la maternità, 
perché una donna con il pancione o una mamma che tiene in 
braccio il suo bambino è qualcosa di speciale e senza dubbio 
un’immagine consolidata nella nostra cultura.
Il padre è, invece, meno visibile, la sua gravidanza non è vissuta 
in prima persona e non comporta modificazioni fisiche ma da 
sempre sostengo fortemente che il suo ruolo e la sua funzione sono 
essenziali per la vita del bambino.
Di padri nella mia carriera lavorativa, sono un’educatrice di nido, 
ne ho visti parecchi e di tutti i tipi, dai padri autoritari e forse molto 
tradizionalisti, ai padri “amiconi” e giocherelloni, con cui è 
impossibile fare un discorso “da adulti”, ai padri materni, molto 
preoccupati della cura del bambino, del pasto, del sonno, 
concludendo con i padri che “semplicemente” sono padri, 
nell’accezione più esistenziale, filosofica, amorevole, autorevole e 
speciale del termine.
L’intenzione di approfondire il tema della paternità 
probabilmente nasce anche dalla forte curiosità  che, come donna, 
ho dell’universo maschile e del suo mondo emotivo e dall’interesse 
nel conoscere meglio passo passo le modificazioni che la paternità 
ha subito negli anni.
Durante l’elaborazione della tesi, in un programma televisivo, ho 
sentito questa affermazione dello psichiatra Jacques Lacan che mi 
ha colpito molto: “Prendete il Papa, sdraiatelo sul lettino dello 
psicanalista… dopo cinque minuti è già li che vi parla di suo 
padre”.  
Credo proprio che non ci sia nulla di più vero, il padre è sempre 
stato e sempre sarà soggetto di scontro per il figlio e a differenza 
della madre con cui si instaura naturalmente un legame biologico e 
affettivo, l’affetto del padre da parte del figlio va conquistato e la 
relazione va costruita con impegno e sacrificio da parte di entrambi, 
2
quindi proprio per questo motivo, può essere piena di conflitti da 
risolvere e di momenti di difficoltà da superare insieme.
Chiunque prima o poi deve entrare in conflitto con il proprio 
padre, è necessario per crescere, per recidere quel cordone 
ombelicale che ci tiene agganciati alla famiglia, ma come in ogni 
conflitto è poi essenziale “ritrovarsi” e scoprire insieme un nuovo 
modo di essere padre e figlio.
Questa premessa mi è stata utile per sottolineare come la nuova 
paternità, quella partecipe dove il padre entra in sala parto, si 
occupa della crescita del figlio e si confronta con lui in adolescenza, 
sia argomento complesso e controverso.
Nella mia tesi ho cercato di analizzare come si sia modificata nel 
tempo la figura paterna, come il suo ruolo e la sua funzione abbiano 
acquisito progressivamente sempre più importanza per la crescita 
del bambino e per il benessere della coppia.
Inoltre ho voluto indagare cosa significa essere padri oggi, tra 
fatiche, sensi di colpa e cambiamento.
Per questo ho sviluppato il mio lavoro partendo dalla figura del 
padre nei tempi, dove ho analizzato il cambiamento avvenuto nella 
paternità dalla preistoria ad oggi; soffermandomi e approfondendo 
questo tema nella mitologia classica principalmente attraverso le 
figure di Ettore, Ulisse ed Enea.
Nel secondo capitolo ho trattato il tema dell’importanza del ruolo 
e della funzione paterna cercando di dare un breve accenno teorico 
per poi individuare il significato dell’essere genitore oggi e 
specialmente dell’essere  padre nella nostra società.
Il terzo capitolo invece è caratterizzato dall’analisi attenta della 
paternità in varie fasi della vita del bambino e della coppia 
genitoriale, dalla gravidanza e parto, alla nascita e dall’infanzia 
all’adolescenza.
Ho cercato di osservare questi momenti di grande cambiamento 
dal punto di vista maschile paterno, esaminando le modifiche che 
avvengono nel padre, nel figlio, nella coppia e le implicazioni 
emotive che ne derivano, cercando di portare alla luce l’importanza 
del padre nella vita del figlio.
3
Ho voluto concludere questo capitolo esaminando il padre da un 
altro punto di vista, quello mediatico: analizzando come cinema, 
televisione e pubblicità presentino al pubblico il padre e come negli 
anni anche i mass media abbiano influenzato e si siano lasciati 
influenzare dal progressivo cambiamento dell’immagine paterna.
Infine nell’ultimo capitolo ho voluto capire quali implicazioni 
affettive, emotive e psicologiche potesse creare nel bambino e nella 
famiglia l’assenza paterna.
Trattando questo argomento ho capito come l’assenza soprattutto 
oggi, nella nostra società, non sia sempre definitiva o lineare.
Certo esistono situazioni in cui il padre è realmente assente per 
esempio in caso di morte prematura, oppure in cui è assente dal 
quotidiano, per esempio la separazione dei coniugi, ma esistono 
anche tipologie di assenza più dinamiche che si possono connotare 
con il termine presenza-assenza.
Rientrano in questa categoria tutte quelle relazioni familiari dove 
il padre fisicamente esiste, ma o non partecipa alla vita del figlio 
oppure è rappresentato nella quotidianità da altre figure che 
possiamo definire “sostituti paterni” e che alla luce delle forti 
modificazioni familiari a cui la nostra società ci ha sottoposti, 
possono essere vari, per esempio nuovi compagni della madre, 
nuove compagne della madre, zii che spesso si affiancano al padre 
biologico ricoprendo anche essi la sua funzione maschile paterna.
La mia speranza e il mio obiettivo nello scrivere questa tesi è 
quella di capire meglio “il mondo paterno”, cercando di esaltare al 
massimo l’importanza  del suo ruolo e il mio auspicio è che i nuovi 
padri possano essere pienamente consapevoli di se stessi e delle 
loro potenzialità, e che le loro compagne vedano in essi un 
importante tassello nell’esperienza del essere genitore.
  
  
 
4
CAPITOLO 1
LA FIGURA DEL PADRE NEI TEMPI La mia ricerca sul padre partirà dalle origini più lontane che sarà 
possibile rintracciare, dalla preistoria, cercando poi di percorrere i 
tempi giungendo fino ad oggi.
Il filo conduttore sarà la ricerca di cosa significa realmente il 
termine “padre”. 
Da dove ha origine questa figura?
Come si è modificata nel tempo?
Cosa nel padre è istinto e cosa invece è insegnato dalla società?
Quando l’uomo si è comportato per la prima volta da padre?
Immergendoci nel mondo preistorico, soprattutto attraverso 
l’aiuto e il sostegno dei graffiti, si nota come gli uomini e le donne 
venivano tendenzialmente dipinti come figure isolate o gruppi, ma 
non come coppie, è difficile capire come e se esisteva per loro una 
famiglia. Certamente più semplice è capire come cacciavano o 
sopravvivevano piuttosto che intuire i loro legami di coppia.
Questo fa vacillare l’idea che la famiglia esista dall’inizio dei 
tempi e ci fa porre delle domande, soprattutto è necessario chiedersi 
quale sia l’anello di congiunzione tra scimmia e uomo e quando e 
perché lo scimpanzé iniziò ad essere chiamato uomo?
Sicuramente la nostra mente deve essere passata da scimmia a 
uomo con estrema lentezza e questa transizione deve essere durata 
milioni di anni, ma a differenza dell’evoluzione del corpo, 
l’evoluzione della psiche è difficile da recepire e osservare 
concretamente. Possiamo vederne il risultato solo quando si è 
finalmente passati dalla parola alla scrittura e alle rappresentazioni 
grafiche, ma tutto ciò che è avvenuto prima è solo intuibile, non 
concretamente osservabile.
Idealmente all’orizzonte della famiglia e del padre possiamo 
collocare l’Australopiteco, uomo-scimmia che non evolveva più 
solo nel corpo “…è come se questo pre-uomo avesse ora delle 
intenzioni: il suo sguardo vuole vedere più lontano; la sua mano 
5
vuole liberarsi per impugnare oggetti, la bocca vuole comunicare 
qualcosa che non è un semplice grido.”
1
Questo pre-uomo non agiva più solo sulla base di istinti, ma 
iniziò a coordinare le azioni, a sviluppare un pensiero, un progetto, 
iniziò a sviluppare una mente.
Proprio all’interno di questa grande mutazione ne avvenne 
un’altra molto importante, la distinzione e definizione dell’uomo e 
della donna uno rispetto all’altra e la conseguente formazione di 
una società umana, contraddistinta dalle prime forme di coppia che 
si andarono a sostituire all’irregolare accoppiamento animale.
Quindi possiamo far corrispondere la nascita della famiglia 
all’australopiteco e alla sua trasformazione psichica, ma per quel 
che riguarda la nascita del padre?
Sicuramente il ruolo del padre nasce come conseguenza alla 
famiglia o meglio, nel momento in cui si passa da un’idea di 
sessualità promiscua, animalesca, che aveva come unico scopo 
generare più “cuccioli” possibili per consentire la prosecuzione 
della specie e per soddisfare l’istinto primordiale, ad un’idea di 
monogamia, di casa e di sessualità intesa come “lavoro psichico”,
2 
come generatore di legame tra donna e uomo, oltre che come 
procreazione. L’uomo non era solo interessato a generare più figli 
possibili, ma iniziò a capire l’importanza della famiglia, di un 
legame stabile, dell’occuparsi dei propri figli e della propria 
compagna.
L’uomo iniziò quindi a sperimentare l’appartenenza ai luoghi e 
alle persone, sperimentò il ritorno, cioè l’allontanamento da “casa” 
per cacciare e quindi procurare cibo alla sua famiglia per poi 
tornare da loro e iniziò così inconsapevolmente a comportarsi da 
padre.
Non genererà più solo cuccioli ma metterà al mondo figli di cui 
si occuperà e si preoccuperà. 
“Per raggiungere ciò, l’attività mentale dei maschi aveva dovuto 
farsi più complessa, spingersi nel futuro, raggiungere un certo 
livello di astrazione.
1
 L. Zoja, “ Il gesto di Ettore. Preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre ”, Bollati Boringhieri, Torino, 2000, 
p.38.
2
 Ivi, p.47.
6
Seppure non esplicitamente, essi avevano dovuto formulare 
l’intenzione di alimentare una famiglia e quella di non attaccare i 
propri pari.
Non solo la sessualità, anche l’aggressività aveva subìto una 
deviazione funzionale: sottratta alla competizione fra maschi per le 
femmine, era incanalata utilmente nella caccia, laboratorio di 
cooperazione e nuova ricchezza alimentare. Prima di essere 
inventata da un sistema di leggi, la monogamia stava vincendo la 
battaglia della sopravvivenza.” 
3
Questo “nuovo uomo” inizia quindi a muoversi all’interno di una 
famiglia in un’ottica di padre e compagno e i primi grandi esempi di 
patriarcato occidentale li troviamo nell’antica Grecia.
I Greci erano un popolo patriarcale e guerriero, le donne o erano 
venerate come dee dai comportamenti ineguagliabili o venivano 
poco considerate e comunque le loro qualità materne non venivano 
assolutamente esaltate, a differenza di quello che accadeva per il 
padre.
A questo proposito è interessante vedere come alle grandi madri 
del periodo neolitico,  il popolo greco sostituiva la figura di Zeus, 
capo degli Dei forte e predominante, che arriverà addirittura a 
partorire dalla testa la figlia della Dea Metis, da lui 
precedentemente inghiottita.
L’uomo era colui che aveva il ruolo dominante e che decideva la 
sorte di moglie e figli, le donne non potevano istruirsi, dovevano 
dedicarsi solo alla casa e non potevano possedere un patrimonio 
personale, le loro proprietà, infatti, erano gestite dal marito, che era 
anche il loro tutore legale.
Secondo Stramaglia l’agire genitoriale degli antichi greci non si 
declinava in termini di paternità educativa, ma secondo i criteri 
della pederastia iniziatica.
4
Questa particolare forma educativa nasceva a partire dal VII 
secolo a.C. e si instaurava tra adolescenti di sesso maschile e adulti, 
attraverso relazioni erotiche molto incisive per l’avvenire del 
giovane greco, tanto da porre in secondo piano la presenza 
educativa del padre biologico.
3
 Ibidem, p. 51.
4
 M.Stramaglia, “ I nuovi padri. Per una pedagogia della tenerezza”, Eum editore, Macerata, 2009, p. 38.
7
Questa forma di educazione virile non aveva come obiettivo 
l’eros, ma l’emancipazione dal mondo dell’infanzia alla vita adulta, 
utilizzando come mezzo, culturalmente connotato, la sessualità.
A sostegno di questa tesi cito il pensiero dello storico Claude 
Calame: ”L’omosessualità nell’adolescenza si limita ad introdurre, 
con la sua funzione pedagogica, all’eterosessualità adulta; come ha 
ben dimostrato uno scienziato ellenista e rappresentante 
dell’etnopsichiatria , i Greci hanno semplicemente sviluppato ed 
utilizzato culturalmente un tratto caratteristico dell’adolescenza: 
l’ambiguità sessuale. Il famoso amore greco può essere compreso 
solo come iniziazione, ad un tempo, allo sviluppo del sentimento 
amoroso, alle relazioni normali istituite dal matrimonio e 
all’esercizio delle qualità dell’adulto maturo.”
5
Secondo Aristotele la famiglia era il fondamento della Polis 
greca. Attraverso il termine greco òikos , il filosofo, designava una 
sorta di organizzazione economica comprendente una donna, figli, 
beni materiali e schiavi. All’interno dell’òikos la funzione 
riproduttiva era garantita dall’unione tra moglie e marito; 
l’economia domestica era amministrata unicamente dall’uomo e 
dagli schiavi, mentre il mantenimento della struttura famigliare era 
garantito dall’attività di cura della donna e degli schiavi.
6
 
Nella casa greca ruoli e funzioni apparivano chiari ad eccezione 
della funzione paterna. Era evidente lo stile educativo autoritario 
che il padre utilizzava con i figli, ma non i metodi attraverso cui lo 
metteva in pratica.
Faceva eccezione la pratica dell’” esclusione ”, che poteva essere 
messa in atto dal padre, già dalla nascita, quando cioè il neonato 
veniva abbandonato a se stesso e il padre non lo riconosceva come 
figlio. Questo poteva avvenire per molte ragioni, per esempio 
perché il padre nutriva dubbi sulla propria paternità, oppure per 
l’estrema miseria dei genitori che non erano in grado di allevare un 
altro figlio, oppure perché quel bambino era il frutto di un’unione 
illegittima.
5
 Ivi, p. 41,
6
 Aristotele, “ Politica” , a cura di R, Laurenti, Laterza, Roma-Bari, 2000 p. 3-5.
8
In ogni caso il piccolo era destinato alla morte o ad una vita da 
schiavo. 
Questa pratica era molto frequente con la nascita di figlie 
femmine in quanto una donna non sposata era ritenuta dalla 
famiglia un’autentica sventura, ma per trovare marito una ragazza 
doveva possedere una dote, requisito che non tutti i genitori 
potevano garantire.
Anche per i genitori benestanti allevare una figlia era considerato 
una specie di lusso: si riteneva infatti che la discendenza fosse 
garantita solo dagli eredi maschi. Appena sposata una figlia era 
inoltre quasi come perduta, perché i rapporti con la famiglia di 
origine diventavano molto sporadici.
7
Il padre se decideva di riconoscere il figlio, doveva fargli 
conservare da adulto la sua stessa posizione sociale e, per garantire 
ciò, era necessario fornirgli maestri che lo seguissero fino ad 
almeno i sedici anni. Inoltre il patrimonio paterno veniva diviso in 
parti uguali tra gli eredi maschi e così facendo ogni nuova nascita 
comprometteva le risorse economiche dei fratelli. Per tutelare questi 
ultimi, molti padri decidevano di sacrificare il neonato.
L’esposizione dei bambini era sicuramente una pratica 
drammatica, ma i Greci non erano genitori crudeli, semplicemente 
tutelavano e salvaguardavano i diritti di chi era già nel pieno della 
vita (ad esempio i fratelli maggiori), contro quelli di chi alla vita si 
era appena affacciato (ad esempio i neonati).
Roma e il popolo di Roma nei secoli assorbì quanto poteva della 
cultura greca e soprattutto portò avanti l’idea di famiglia tipica del 
mondo ellenico.
Il “pater familias” romano era il capofamiglia e, come del resto 
succedeva anche per il popolo greco, aveva un potere assoluto su 
tutto e tutti. Questo potere (patria potestas) era davvero enorme: 
egli esercitava funzioni disciplinari che si estendevano fino alla 
pena di morte e amministrava, senza alcuna limitazione, il 
patrimonio domestico.
Prima grande differenza tra il popolo greco e quello romano la 
troviamo nel fatto che il padre romano era la colonna portante 
7
 J.P. Vernant, “ L’uomo greco ”, Laterza, Roma-Bari, 1991, p. 87-120.
9
dell’ordine pubblico e della famiglia, diversamente da quello greco 
che invece era piuttosto assente tra le pareti domestiche.
L’essere padre a Roma non era solo un fatto biologico, ma era 
soprattutto un fatto sociale e legale ben definito e soprattutto 
formalizzato, in cui il bambino si iniziava alla condizione di figlio e 
l’uomo alla condizione di padre.
8
Essere padre non significava solo aver concepito un figlio, ma 
dar segno pubblico, attraverso la sua elevazione ed esposizione alla 
società, dell’avvenuta assunzione di responsabilità.
Il padre romano si occupava totalmente del bambino e soprattutto 
diventava il suo maestro per la vita, esercitando su di lui diritto di 
vita o morte.
Il genitore compiva un atto di volontà che segnava il suo 
percorso e quello del figlio, che riceveva dalla madre il dono della 
vita fisica e dal padre quello della vita sociale.
Secoli più tardi Giustiniano e il diritto canonico sancirono che in 
nome della tutela del bambino e della famiglia legittima, ogni figlio 
nato all’interno del matrimonio aveva automaticamente come padre 
il marito della madre.
Questa pratica sicuramente diede alla famiglia maggiori garanzie, 
ma il padre perse così la possibilità di svolgere il suo rito che lo 
portava all’acquisizione di una responsabilità paterna.
Questo rituale era per l’uomo una vera e propria scelta, 
un’assunzione di consapevolezza che gli permetteva di abbandonare 
le vesti di giovane per divenire padre e assumersi le responsabilità 
del caso, eliminandolo l’uomo si ritrovò sprovvisto di una modalità 
condivisa e riconosciuta per l’introduzione del figlio alla socialità.
L’avvento del Cristianesimo rappresenta una tappa molto 
importante nella storia della paternità, in quanto, si sviluppa per la 
prima volta il pensiero che il padre sia una divinità spirituale che 
può condurre l’uomo alla salvezza.
Con la venuta del Messia, il padre minaccioso e burbero descritto 
nell’Antico Testamento diventerà benevolo e protettivo nei 
confronti dei suoi figli. Stramaglia individua in Sant’Agostino il 
santo fondatore di una pedagogia della tenerezza per i padri, che 
8
P. Ariès, G. Duby, “ La vita privata dall’impero romano all’anno mille ”, Laterza, Roma- Bari, 1986, cap.1.
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