5
professionisti, spregiatori di legge, polizia, pubblici ministeri e
giudici. Per gli imprenditori, i funzionari statali per lo più non sono
altro che politicanti e burocrati, e le persone autorizzate ad
indagare sulla loro attività nient’altro che ‘ficcanaso’” (v.
SUTHERLAND, Il crimine dei colletti bianchi, cit., 290 ss.).
Chiara risulta dunque la pericolosità di tali comportamenti
criminosi, tanto più che “è la stessa collettività a non considerare
l’uomo d’affari un criminale; l’uomo d’affari, cioè, non rientra
nello stereotipo del ‘criminale’”.
I reati che saranno oggetto di indagine in questo lavoro in tale
categoria possono essere ricompresi: si potrebbe dire che nella
problematicità di questa stia il senso della complessità delle
questioni sollevate da quelli.
L’intento di questo lavoro, tuttavia, non sarà tanto quello di
esporre l’ennesima (fin troppo facile, verrebbe quasi da dire)
critica alle disposizioni concernenti i reati di false comunicazioni
sociali così come modificate dal decreto legislativo 61/2002, e
successivamente dalla legge 262/2005, quanto quello di porre lo
sguardo a come le peculiari questioni sollevate da tale disciplina
abbiano fornito lo spunto alla dottrina ed alla giurisprudenza per
interrogarsi su problemi di ben più ampio respiro, primo fra tutti,
come suggerito dal titolo di questa indagine, quello dei rapporti fra
il diritto penale interno e l’Ordinamento comunitario.
Solo di recente gli studiosi di diritto penale hanno ritenuto di
soffermarsi sulle complesse interazioni fra i due ordinamenti in un
ambito, come quello penalistico, che assai più di altri, per note
6
ragioni, è rimasto ancorato ad una visione rigidamente
nazionalistica del fenomeno giuridico.
In queste pagine dunque, chiarite le principali questioni
interpretative concernenti la vigente disciplina italiana dei reati di
false comunicazioni sociali, posto velocemente lo sguardo sui
problematici rapporti fra diritto penale interno e diritto
comunitario, ci si soffermerà più attentamente sui casi “clinici”
nell’ambito dei quali gli organi giurisdizionali nazionali e
comunitari si sono trovati, pur tra molte difficoltà, a dover
“dialogare”.
Il ruolo ed il futuro della riserva di legge in materia penale a fronte
del crescente peso delle istituzioni comunitarie; gli atti attraverso i
quali si esplica l’indiretta influenza dell’Ordinamento comunitario
sul diritto penale interno; l’esistenza o meno di obblighi
comunitari di tutela penale; le modalità di influenza e gli effetti
dell’applicazione in ambito penale delle direttive comunitarie in
materia di pubblicità dei conti societari; la sindacabilità delle
norme penali di favore da parte della Corte costituzionale; il ruolo
del principio della retroattività della legge penale più favorevole e
le possibilità di una sua deroga a fronte di norme
“comunitariamente illegittime”. Queste sono solo alcune delle
molte questioni sollevate dal tema qui in discussione.
A ciascuna verrà fatto cenno, nella consapevolezza
dell’impossibilità, innanzi a siffatta complessità, di ragionare “per
compartimenti stagni”, e nell’auspicio che, nel contempo, sia
sempre possibile rinvenire nelle speculazioni sulle problematiche
7
generali la cifra del “particolare” dal quale si muoveranno i primi
passi.
8
Capitolo I
Artt. 2621 e 2622 c. c. : i reati di false comunicazioni
sociali
SOMMARIO: 1. Evoluzione della fattispecie. – 2.
Interessi tutelati.– 3. Soggetti attivi.– 4. Veicoli della
condotta: bilanci, relazioni ed altre comunicazioni
sociali.– 5. Condotta ed evento di danno.– 6.
Elemento soggettivo.– 7. Il problema delle soglie di
punibilità; il falso qualitativo; le riserve occulte.– 8.
Perseguibilità; consumazione; tentativo.– 9.
Sanzioni.– 10. Questioni di diritto intertemporale.–
11. Aspetti comparatistici.
1. Evoluzione della fattispecie
Prima di volgere lo sguardo al nucleo centrale di questo lavoro,
ovvero la configurazione dei rapporti fra diritto penale interno e
diritto comunitario nella vicenda della riforma che ha coinvolto il
reato di false comunicazioni sociali, è di particolare importanza
svolgere qualche pur compendiosa considerazione circa
quest’ultima e le sue implicazioni per il nostro Ordinamento
penale.
La disciplina delle false comunicazioni sociali è stata di recente
radicalmente modificata dal d. lgs. 11 aprile 2002 n. 61 (Disciplina
degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le società
9
commerciali)
1
, emanato dal Governo in base alla delega conferita
dall’art. 11 della l. 3 ottobre 2001 n. 366, nonché ulteriormente
ritoccata dall’art. 30 della l. 28 dicembre 2005 n. 262 (Disposizioni
per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari).
Per comprendere le ragioni che hanno portato alla tanto discussa (e
discutibile) riforma, i pregi ed i difetti della stessa, è necessario
fare un passo indietro e soffermarsi brevemente sull’evoluzione
storica di questa tormentata figura di reato. Il reato di false
comunicazioni sociali fece la sua prima comparsa nel Codice di
Commercio del 1882, all’art. 247 n. 1
2
, punito semplicemente con
pena pecuniaria sino a cinquemila lire.
La marginalità cui tale fattispecie apparve inizialmente relegata fu
superata in considerazione delle gravi ripercussioni determinate
anche in Italia dalla crisi del ’29: il legislatore fascista, sulla scorta
tra l’altro di una visione accentuatamente pubblicistica del bene
1
L’art. 1 co. 1 del decreto sostituisce l’intero Titolo XI (Disposizioni penali
in materia di società e di consorzi) del Libro V del Codice Civile,
dall’articolo 2621 al 2641.
2
Il cui testo così recitava: “Sono puniti… 1. I promotori, gli amministratori, i
direttori, i sindaci e i liquidatori delle società che nelle relazioni o nelle
comunicazioni d’ogni specie fatte all’assemblea generale, nei bilanci o nelle
situazioni delle azioni abbiano scientemente enunciato fatti falsi sulle
condizioni della società, o abbiano scientemente in tutto o in parte nascosti
fatti riguardanti le condizioni medesime”. Bisogna tuttavia rilevare che “può
affermarsi che la falsità nei bilanci o comunque nelle scritture delle società
commerciali sia sempre stata una condotta penalmente rilevante, in
considerazione del fatto che in ogni Ordinamento penale la falsità in atti
costituisce da sempre un illecito riconducibile all’area del diritto penale
convenzionale”: così ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell’economia,
Milano, 2008, 122. L’Autore considera dunque le false comunicazioni sociali
come una peculiare forma di mendacio, la cui maggior gravità rispetto alla
fattispecie codicistica (artt. 479 ss. c.p.) sarebbe dovuta all’idoneità lesiva non
solo nei confronti della pubblica fede, ma anche del “funzionamento del
sistema economico e la sfera patrimoniale” degli attori della vita economica.
Per ogni altra considerazione sul bene giuridico tutelato dalle norme in
questione si veda amplius il prossimo paragrafo.
10
giuridico protetto
3
, provvide con il r.d.l. 30 ottobre 1930 n. 1459,
convertito in l. 4 giugno 1931 n. 660, il cui articolo 2 n. 1
riformulò la predetta fattispecie prevedendo la ben più aspra pena
della reclusione da tre a dieci anni e la multa da diecimila a
centomila lire
4
.
La legge del 1931 fornì la base dell’art. 2621 n. 1 del nuovo codice
civile del 1942, in vigore fino al 2002, il quale così recitava:
“Salvo che il fatto costituisca un reato più grave, sono puniti con
la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire diecimila
a centomila
5
: 1) i promotori, i soci fondatori, gli amministratori, i
direttori generali, i sindaci e i liquidatori, i quali nelle relazioni,
nei bilanci o in altre comunicazioni sociali fraudolentemente
espongono fatti non rispondenti al vero sulla costituzione o sulle
condizioni economiche della società o nascondono in tutto o in
parte i fatti concernenti le condizioni medesime.”.
3
Come scrisse un importante autore all’epoca, tali fatti vengono puniti “in
quanto ledono o possono ledere gli interessi del pubblico, che sono gli
interessi stessi della economia della Nazione”: così AZZARITI, Le
disposizioni penali relative alle società commerciali (r.d.l. 30 ottobre 1930, n.
1459, convertito nella legge 4 giugno 1931, n. 660), in Annali di diritto e
procedura penale, 1932, 23, e così del resto chiaramente la Relazione del
Guardasigilli al Re, riportata in Rivista di diritto commerciale, 1930, I, 751.
Di nuovo, si veda il prossimo paragrafo.
4
L’articolo punisce “i promotori, gli amministratori, i direttori, i sindaci e i
liquidatori delle società commerciali che nelle relazioni o comunicazioni fatte
al pubblico o all’assemblea o nei bilanci, fraudolentemente espongono fatti
falsi sulla costituzione o sulle condizioni economiche della società o
nascondono in tutto o in parte fatti concernenti le condizioni medesime”. Si
noti la maggior cura nell’elaborazione della fattispecie rispetto a quella del
1882, e la sostituzione dell’avverbio scientemente con fraudolentemente,
termine quest’ultimo, trasfuso successivamente nell’art. 2621 n. 1 c.c. 1942,
su cui tanto si sarebbero affaticate dottrina e giurisprudenza.
5
Poi aumentata in multa da lire 2.000.000 a 20.000.000.