12
Nel terzo caso, infine, prevale un atteggiamento di cautela e attenzione alle 
interazioni fra uomo e ambiente, poiché l’instabilità strutturale dei sistemi naturali e 
sociali non permette di fondare le decisioni sulla conoscenza certa degli eventi futuri.  
 
1.1.1 La fase della riparazione/protezione 
 
In questa prima fase la coscienza ambientale non era particolarmente diffusa, 
poiché i problemi della ricostruzione postbellica e della ripresa economica sottraevano 
risorse economiche, tecnologiche e scientifiche all’ampliamento delle conoscenze sui 
processi ecologici e alla messa a punto di sistemi produttivi più compatibili con 
l’ambiente. 
Fino agli anni ’70, dunque, le preoccupazioni ambientali restarono focalizzate su 
fenomeni di inquinamento puntuali, direttamente osservabili e imputabili a cause ben 
identificate, quali: gli effetti dell’inquinamento sulla salute pubblica, il rischio di 
estinzione di alcune specie e i danni dell’urbanizzazione sulla qualità estetica di alcuni 
ambienti naturali. Parallelamente, sul piano della ricerca e delle politiche, gli obiettivi 
erano limitati al trattamento degli scarichi, alla dispersione/allontanamento degli 
inquinanti, alla protezione di ambiti spaziali circoscritti o di specie in via di estinzione. 
La lotta contro i rifiuti indesiderati è considerata necessaria, ma non sono messi in 
discussione né il ritmo di industrializzazione e urbanizzazione né gli stili di vita e i 
comportamenti sociali che sono all’origine della produzione dei rifiuti stessi; e così tale 
lotta si traduce spesso nell’allontanamento dei rifiuti dalle aree ritenute più sensibili, 
anche se la dispersione si è verificato essere uno strumento estremamente costoso, sia in 
termini ambientali sia economici. 
In termini economici, il danno ambientale è assegnato alla categoria delle 
esternalità negative del processo produttivo, ed i costi delle politiche ambientali sono 
attribuiti all’intera comunità: in un certo senso, dunque, il danno ambientale sembra 
essere un prezzo collettivo da pagare per lo sviluppo economico, accettando comunque 
un compromesso fra ecologia e crescita economica. 
 
 13
1.1.2 La fase della previsione/prevenzione 
 
Negli anni ’70, la percezione della questione ambientale è andata 
progressivamente migliorando, sia in termini di conoscenze scientifiche che di 
sensibilizzazione pubblica: fondamentale è il contributo di alcuni avvenimenti di 
risonanza internazionale, quali la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente 
(Stoccolma, 1970) e la pubblicazione del rapporto del MIT al Club di Roma (Meadows, 
1972). 
Dinanzi all’aggravarsi dei problemi connessi all’urbanizzazione e alla crescita 
demografica, il depauperamento delle risorse è giudicato più grave dell’inquinamento. 
L’attenzione delle politiche ambientali si sposta dunque dalla protezione dei soli oggetti 
naturali rari o in via di estinzione al mantenimento dell’intero capitale naturale, 
riconoscendo dunque un valore economico all’ambiente. Tale atteggiamento si pone 
come obiettivo quello di indurre la riduzione del danno o il minor consumo di risorse in 
modo indiretto, riportando i costi ambientali all’interno del meccanismo dei prezzi. 
Dalla logica del compromesso ambiente/sviluppo si passa a quella 
dell’”ecosviluppo”, ossia alla logica dell’utilizzazione intelligente, efficace e razionale 
delle risorse umane e naturali. 
Le risposte sul piano tecnologico ed organizzativo sono in genere procedure e 
dispositivi che consentono il recupero e il riciclaggio dei rifiuti, la riduzione dei 
consumi e della produzione di rifiuti, nonché l’aumento della produttività, ma tale 
strategia di efficienza incontra un notevole ostacolo nei costi e nei tempi di sviluppo e 
adozione delle nuove tecnologie. 
 
 14
1.1.3 La fase della gestione 
 
Dalla metà degli anni ’80 si è cominciato a riconoscere il carattere onnipresente 
e relativamente insolubile dell’inquinamento ambientale. L’attenzione è decisamente 
spostata dai danni certi e visibili ai rischi probabili, incerti e spesso controversi, 
riconoscendo, di fatto, l’impossibilità di circoscrivere nel tempo e nello spazio tanto le 
cause quanto gli effetti. Si sfumano di conseguenza le categorie classiche di 
“responsabile del danno” e di “danneggiato”, e si delinea il principio della 
responsabilità delle generazioni attuali verso quelle future. 
I programmi di ricerca inerenti alla questione ambientale sembrano orientati 
verso un miglioramento delle capacità di controllo e misurazione dei fenomeni, ma ciò 
nonostante il mondo scientifico è chiamato a formulare previsioni e a suggerire 
soluzioni rispetto a problemi situati ai limiti delle conoscenze attuali e comunque 
caratterizzati da incertezza. Di fronte a quest’ultima, due atteggiamenti complementari 
vanno emergendo nel campo delle politiche ambientali:  
 
- la cautela nell’azione 
- la continuità nelle scelte strategiche. 
Un atteggiamento di cautela risulta indispensabile qualora si debba decidere 
riguardo a fenomeni di cui non è possibile prevedere l’evoluzione. La continuità 
temporale nelle scelte è invece una delle condizioni essenziali per garantire l’efficacia 
delle politiche. 
 
 15
1.1.4 Conclusione 
 
Esiste oggi un ampio consenso sulle linee-guida da assumere in una politica del 
territorio che voglia muoversi nell’ottica del così detto “sviluppo sostenibile”. 
Un primo punto riguarda la necessità di definire strategie di vasta scala e a lungo 
termine, al fine di fornire un riferimento continuo e flessibile. 
Un secondo principio impone di adottare un approccio intersettoriale nella 
pianificazione e nella gestione del territorio: la definizione di soluzioni ottimali 
all’interno dei singoli settori non garantisce, infatti, la sostenibilità all’interno del 
sistema territoriale. 
Terzo principio è di incentivare la cooperazione e il coordinamento all’interno 
del settore pubblico come pure tra amministrazioni pubbliche e private, per definire 
soluzioni che tengano conto dei conflitti d’interesse esistenti. 
Il quarto punto consiste nello stabilire e far rispettare degli standard ambientali 
minimi, al fine di proteggere le diverse componenti ambientali dall’azione dei singoli o 
dei gruppi. 
Il quinto principio incita infine a limitare l’uso di risorse non rinnovabili e ad 
incrementare piuttosto quello di risorse rinnovabili. 
Il mutamento dei modi di produzione, dei comportamenti sociali e individuali, 
delle scale di valori e di priorità, insiti nella lista dei principi qui enunciati, non può 
essere repentino e richiede anzi tempi lunghi come qualsiasi mutamento tecnologico, 
sociale ed etico. Ciò nonostante è indispensabile fin d’ora per lo meno una 
consapevolezza della dimensione dei fenomeni in gioco. 
 
 
 
 
 
 
 16
CAPITOLO 1 
UNO SGUARDO D’INSIEME 
 
1.1 PREMESSA 
 
La filosofia della politica ambientale dei giorni nostri si basa sulla presa di 
coscienza che la salvaguardia dell’ambiente dev’essere considerata un elemento di 
gestione d’importanza pari alla redditività: nei piani d’intervento è cioè presente un 
quadro di valutazione economica che evidenzi sul piano economico ciò che è necessario 
sul piano ambientale. Nonostante quanto è stato raggiunto in decenni di politica 
ambientale, il compito risulta ancora molto arduo, soprattutto perché non è del tutto 
maturata la consapevolezza che la tutela dell’ambiente è essenziale per garantire una 
solida e duratura base economica. 
Per dar forza a quest’affermazione si riportano di seguito alcuni dati relativi ad 
un’indagine dell’ISTAT relativa alla ricerca scientifica svolta nel settore della Pubblica 
Amministrazione e presso le imprese pubbliche e private. 
 
Tab. 1.1  Spese dell’Amministrazione Pubblica in ricerca scientifica per obiettivi di 
interesse ambientale (milioni di lire). Anno 1996. 
  
1996 
SPESE CORRENTI SPESE IN CONTO 
CAPITALE 
OBIETTIVI 
Totale 
di cui: per 
retribuz. 
Totale 
TOTALE 
Tutela e prevenzione dell’ambiente     
Ricerche a carattere generale 
Inquinamento idrico 
Inquinamento atmosferico 
Inquinamento del suolo e del sottosuolo 
Rumori e vibrazioni 
Inquinamento radioattivo 
Inquinamento da rifiuti solidi 
Altre ricerche sull’inquinamento dell’ambiente 
93.838 
12.752 
83.666 
7.599 
10.736 
13.840 
25.618 
58.390 
56.886 
7.808 
49.586 
4.662 
6.432 
8.488 
14.981 
38.466 
19.244 
1.207 
9.433 
1.390 
1.150 
1.179 
2.071 
5.001 
113.082 
13.959 
93.099 
8.989 
11.886 
15.019 
27.689 
63.391 
TOTALE 306.439 187.309 40.675 347.114 
Produzione, distribuzione e uso razionale 
dell’energia 
    
Ricerche a carattere generale 
Combustibili fossili e derivati 
Fissione nucleare 
Fusione nucleare 
Fonti di energia rinnovabili 
Uso razionale dell’energia 
Altre ricerche  
13.469 
840 
92.869 
70.431 
76.545 
57.270 
3.905 
9.130 
548 
53.011 
40.534 
44.997 
33.646 
2.609 
2.364 
210 
8.429 
20.377 
30.996 
4.170 
562 
15.833 
1.050 
101.298 
90.808 
107.541 
61.440 
4.467 
TOTALE 315.329 184.475 67.108 382.437 
Fonte: ISTAT – Statistiche della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica. 
 17
Tab. 1.2  Spese dell’Amministrazione Pubblica in ricerca scientifica per obiettivi di 
interesse ambientale (milioni di lire). Anno 1997. 
 
1997 
SPESE CORRENTI SPESE IN CONTO 
CAPITALE 
OBIETTIVI 
Totale 
di cui: per 
retribuz. 
Totale 
TOTALE 
Tutela e prevenzione dell’ambiente     
Ricerche a carattere generale 
Inquinamento idrico 
Inquinamento atmosferico 
Inquinamento del suolo e del sottosuolo 
Rumori e vibrazioni 
Inquinamento radioattivo 
Inquinamento da rifiuti solidi 
Altre ricerche sull’inquinamento dell’ambiente 
65.593 
25.809 
61.890 
13.025 
15.267 
20.200 
16.790 
49.424 
37.619 
13.193 
36.272 
5.025 
6.607 
10.321 
6.801 
31.312 
10.740 
2.261 
8.755 
1.096 
1.254 
1.857 
1.835 
5.849 
76.333 
28.070 
70.645 
14.121 
16.521 
22.057 
18.625 
55.273 
TOTALE 267.998 147.150 33.647 301.645 
Produzione, distribuzione e uso razionale 
dell’energia 
    
Ricerche a carattere generale 
Combustibili fossili e derivati 
Fissione nucleare 
Fusione nucleare 
Fonti di energia rinnovabili 
Uso razionale dell’energia 
Altre ricerche  
13.575 
820 
64.230 
85.917 
68.168 
59.520 
3.289 
9.144 
517 
30.612 
42.376 
46.446 
35.482 
2.169 
1.909 
150 
10.499 
19.225 
11.911 
7.267 
507 
15.484 
970 
74.729 
105.142 
80.079 
66.787 
3.796 
TOTALE 295.519 166.746 51.468 346.987 
Fonte: ISTAT – Statistiche della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica. 
 
 
Come si può notare, le risorse (spese e personale) impiegate nell’attività di 
ricerca scientifica sono andate diminuendo anziché essere incrementate, e ciò testimonia 
quanto ancora sia difficile capire che attività che non garantiscono un immediato ritorno 
economico, come la tutela dell’ambiente, possono essere alla base dell’attività 
economica stessa. 
Tra i vari problemi di protezione ambientale, quelli connessi con lo smaltimento 
dei rifiuti solidi urbani è uno tra i più rilevanti. 
 
 18
1.2 I RIFIUTI: L’ALTRA FACCIA DEL PROGRESSO 
 
 L’aumento dei rifiuti, così come una miriade di altri fenomeni, sono il rovescio 
di quella medaglia chiamata progresso, che si traduce concretamente in energia elettrica, 
in riscaldamento domestico, in prodotti preconfezionati… 
Questo ed altro è il progresso ma, superato un certo limite, difetti inizialmente 
sottovalutati e marginali iniziano ad assumere dimensioni sempre più preoccupanti: le 
risorse cominciano rapidamente a scarseggiare e quasi tutte si esauriranno nell’arco di 
pochi decenni (fluoro, zinco, mercurio, petrolio, uranio, zolfo, metano, piombo, 
tungsteno, stagno) o secoli (rame, nichel, cobalto, manganese, fosfati, ferro, cromo, 
alluminio, potassio, vanadio). Da sempre, infatti, l’uomo ha impiegato energie 
rinnovabili: nel passato il legno, l’energia dell’acqua e del vento sono stati i principali 
fornitori di energia, insieme con gli animali e lo sforzo muscolare dell’uomo. Con la 
rivoluzione industriale, invece, tutte queste forme di energia sono risultate 
quantitativamente insufficienti ed economicamente non convenienti. 
 Inoltre il continuo aumento della produzione e, conseguentemente, del consumo 
di energia hanno provocato un enorme aumento delle emissioni di carbonio 
nell’atmosfera. Se a questo si aggiungono altri fenomeni planetari, quali la 
deforestazione, la desertificazione, l’aumento demografico e l’urbanesimo crescente, si 
può capire l’urgenza di passare dalla logica del massimo (aumentare al massimo i 
bisogni, produrre in funzione del massimo guadagno) alla logica del minimo 
(soddisfare i bisogni col minimo dispendio possibile). 
Soltanto ora, dunque, ci si rende conto dello sbaglio commesso dall’uomo nel 
considerare l’ambiente come un insieme di fonti inesauribili sfruttato fino agli eccessi e, 
sebbene non si sia ancora in presenza di una situazione irreversibile, modelli di crescita 
poco oculati potrebbero portare a situazioni di difficile gestione. 
 
 19
1.3 LO SMALTIMENTO DEI RIFIUTI SOLIDI NEGLI ULTIMI 
VENT’ANNI IN ITALIA 
 
1.3.1 Lo stato confusionale 
 
Nel 1976 una fuga di diossina dallo stabilimento ICMESA di Meda, in provincia 
di Milano provocò un grave inquinamento della vicina cittadina di Seveso. In seguito 
all’episodio, i cui effetti si rivelarono fortunatamente inferiori a quel che si era temuto, 
fu avviato  un grosso dibattito a livello di Comunità europea, che portò molti anni dopo 
al varo di un’apposita legislazione di garanzia, atta a stabilire sia forme di controllo 
esterne, sia una maggiore capacità di autocontrollo da parte dei soggetti industriali. 
Prima di quest’episodio la situazione presentava: 
 
- un consistente numero di impianti di incenerimento di grandi, medie e piccole 
dimensioni, per la maggior parte senza recupero di calore; 
- alcuni ripetuti tentativi di trasformazione in compost, quasi tutti conclusisi con un 
fallimento; 
- la prevalente parte dello smaltimento operato in discariche non controllate. 
 
Tutte queste forme di smaltimento e trattamento erano operate con modalità tali 
da provocare danni o pericoli di danni ambientali, allora non sempre percepiti o 
percepiti con criteri oggi largamente ritenuti non più ammissibili. 
Quando nel 1977, un anno dopo l’incidente di Seveso, giunse anche in Italia la 
notizia che ricercatori olandesi, incaricati dal governo olandese di ricercare possibili 
fonti di produzione delle diossine, ne avevano rilevato la presenza anche nelle emissioni 
di fumi e gas da forni di incenerimento di rifiuti solidi urbani, la reazione dell’opinione 
scientifica pubblica ed italiana, già scossa dai fatti di Seveso, fu immediata e categorica: 
l’incenerimento fu considerato pratica non più accettabile. 
Tutti i piani ed i progetti di nuovi impianti del genere furono bloccati, i contratti 
già in essere furono disdetti, molti forni furono chiusi: l’incenerimento fu considerato, 
in definitiva, non più ammissibile. 
Più o meno nello stesso periodo anche gli impianti di riciclaggio che erano stati 
realizzati e gestiti per la città di Roma dall’iniziativa privata, e che tanto interesse 
avevano destato in tutto il mondo, si dimostrarono non adeguati a fornire una risposta 
alle esigenze di smaltimento, soprattutto per le difficoltà che il mercato poneva al 
 20
recepimento dei vari materiali prodotti riciclati, anche per gli standard qualitativi non 
rispondenti a quanto era richiesto per un’utilizzazione senza danno degli stessi. 
Gli impianti di compost fallivano uno dopo l’altro, per analoghi motivi connessi 
ad una scadente qualità del prodotto e, di conseguenza, ad un rifiuto da parte del 
mercato (cioè dell’agricoltura). 
Restavano le discariche e poiché restavano, anzi aumentavano anche i rifiuti, 
esse rappresentarono la sola possibilità di smaltimento alla quale ricorrere 
necessariamente, mentre l’onda anti-inceneritori trovava vigoroso sostegno dai 
movimenti di opinione, giustamente intransigenti rispetto alle soluzioni tecnologiche 
fino ad allora applicate, ben poco rispettose dell’ambiente. Non valsero a risolvere il 
problema le proposte di improbabili soluzioni basate solo sul riciclo integrale dei rifiuti, 
o meglio, sulla non produzione degli stessi. Il risultato non poteva che essere quello che 
fu: i rifiuti continuavano a prodursi (anzi aumentavano al crescere del PIL), il recupero 
non veniva attuato, il riciclaggio si dimostrava ai fatti quantitativamente irrilevante, gli 
inceneritori non bruciavano più, i rifiuti finivano indistintamente nelle discariche per la 
maggior parte non controllate. La situazione di necessità creava così le premesse per il 
business dell’ecomafia e la criminalità organizzata, in alcune regioni, s’infiltrava nelle 
attività economiche connesse in vario modo con la gestione dei rifiuti. 
Il business potenziale annuo collegato al traffico illegale dei rifiuti ed alle 
discariche abusive è stato valutato pari a 6mila miliardi (sulla base dei dati raccolti dal 
Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri con la Guardia di Finanza, il Corpo 
Forestale dello Stato e la Polizia di Stato). 
Nonostante, nel frattempo, si fosse andata sviluppando una normativa tecnica 
abbastanza severa per quanto concerne la realizzazione delle discariche controllate, in 
molte aree regionali la normativa rimase inapplicata, provocando danni ambientali 
anche maggiori di quelli che si sarebbe inteso evitare cancellando l’incenerimento dal 
novero dei sistemi di smaltimento ammissibili. 
Le reazioni negli altri paesi europei non furono così drastiche come quella 
italiana: riconosciuto che i forni di incenerimento di allora non garantivano emissioni 
entro limiti di sicurezza si studiarono e si svilupparono nuove tecnologie che, sia pure 
progressivamente, portarono a quei miglioramenti che hanno consentito di poter fare 
affidamento su impianti con tutte le volute garanzie di rispetto ambientale. 
Da questo sviluppo l’Italia è rimasta esclusa e, oggi che si vorrebbe ricorrere a 
queste nuove tecnologie, l’industria italiana, priva di qualsiasi esperienza in merito, è 
 21
praticamente assente dal mercato ove spadroneggiano solo nomi, marche, ditte e know 
how stranieri. 
 
1.3.2 Il decreto Ronchi 
 
Il 1997 è stato un anno di innovazioni nella legislazione sui rifiuti: in questo 
anno, infatti, con l’approvazione del decreto legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997, 
modificato col decreto legislativo n. 389 dell’8 novembre 1997, la normativa italiana in 
materia di rifiuti ha compiuto un indicativo passo in avanti verso l’adozione di una 
politica più adeguata ad una società industriale avanzata, e verso l’armonizzazione con 
il resto dell’UE, dando attuazione alle direttive comunitarie sui rifiuti (91/156/CEE), sui 
rifiuti pericolosi (91/689/CEE) e sugli imballaggi e rifiuti da imballaggio (94/62/CEE).  
Obiettivo centrale della legge è la definizione di una strategia per la 
modernizzazione della gestione dei rifiuti sia sotto il profilo dell’igiene urbana che di 
quello del conseguimento degli obiettivi ambientali definiti dalla CEE. Cambia di 
conseguenza la filosofia tradizionale, che ha visto per anni il dominio dell’usa e getta 
come indicatore di sviluppo della società senza per altro garantire la capacità di 
soddisfare al meglio le esigenze tradizionali di allontanamento dei rifiuti dalle città, 
come testimoniano le situazioni di crisi più o meno endemiche che affliggono specie il 
mezzogiorno. 
Cambia anche il modo di considerare il rifiuto che da cosa ingombrante e 
pericolosa, di cui bisogna disfarsi prima possibile, diventa fonte di “ricchezza”, 
favorendo il passaggio dalla discarica allo sviluppo ed all’applicazione di tecnologie di 
riduzione, recupero e riutilizzo di materiali e di energia, finalizzati al raggiungimento 
degli obiettivi comunitari ed al livellamento degli standard europei. 
Il cambiamento più importante che contraddistingue il nuovo decreto riguarda il 
passaggio da una politica di gestione dei rifiuti finalizzata alo smaltimento ad una nuova 
politica centrata sulla valorizzazione economica dei rifiuti come materia prima e come 
fonte di energia. Per giungere a tanto sarà gioco forza spingere  sul recupero, riutilizzo e 
riciclo dei rifiuti, riservando ad un ruolo sempre più marginale la scelta di puro e 
semplice smaltimento. In questi termini va letto il termine del 1° gennaio scorso a 
partire dal quale potranno andare in discarica solo i rifiuti inerti e quelli che residuano 
dalle operazioni di riciclaggio, recupero e smaltimento. 
 22
Un altro cambiamento di notevole portata, introdotto dalla nuova disciplina, 
riguarda la classificazione dei rifiuti che, pur confermando la distinzione, quanto a 
provenienza, tra rifiuti urbani e speciali, introduce la nuova categoria di rifiuti pericolosi 
al posto di quella più ristretta di rifiuti tossici e nocivi. 
Infine, tra le competenze che la nuova legge attribuisce agli enti locali, 
emergono con particolare rilievo quelle riservate alle regioni: esse sono chiamate a 
determinare le modalità di realizzazione dei piani di smaltimento favorendo la raccolta 
differenziata e le soluzioni di smaltimento che consentono il riutilizzo, il riciclaggio e 
l’incenerimento con recupero di energia, assegnando incrementi di recupero e termini 
temporali ben definiti. 
Sulla portata delle norme contenute nel decreto è certo inutile ritornare, dopo la 
gran mole di discussioni e contributi che si sono susseguiti in passato. Va comunque 
sottolineato come, al di là di qualche inevitabile critica, ad esso siano stati riconosciuti 
molti aspetti positivi, quali: il proponimento di obbiettivi ragionevoli e sufficientemente 
flessibili, un sistema di regolazione che supera molti degli impacci burocratici del 
passato e un decisivo spostamento dalla logica command and control (in cui le azioni di 
politica ambientale sono decise e gestite direttamente dall’amministrazione pubblica) 
alla logica dell’incentivazione e degli strumenti volontari. 
E così, anche in Italia la tematica dei rifiuti si trasferisce definitivamente dal 
dominio dell’igiene urbana e dell’ordine pubblico al dominio delle politiche ambientali: 
i rifiuti sono cioè vissuti come un problema strutturale legato all’uso del territorio e 
delle risorse naturali. 
 
 23
1.4 L’EVOLUZIONE DELLA STRATEGIA EUROPEA SUI RIFIUTI: 
DALLO SMALTIMENTO ALLA GESTIONE INTEGRATA DEI 
RIFIUTI  
 
Dall’avvento della Rivoluzione Industriale, le società contemporanee furono 
chiamate a misurarsi col problema dei rifiuti. Esso, tuttavia, ha assunto nel tempo 
connotazioni diverse, che hanno inciso profondamente sulle strategie seguite per 
affrontarlo. 
Inizialmente si presentò come un problema di sanità pubblica: mentre le 
comunità rurali non vi si erano mai imbattute, poiché i pochi residui generati – quasi 
esclusivamente organici – erano riutilizzati come concimante, la città industriale ruppe 
per la prima volta questo equilibrio e si trovò costretta a provvedere affinché gli scarti 
fossero allontanati. L’istituzione dei primi servizi di nettezza urbana si fondò su ragioni 
igienico-sanitarie e di decoro urbano, ma del destino dei rifiuti poco ci si preoccupava in 
questa fase: in molti casi, essi venivano smaltiti alle porte della città; in altri casi le 
attività estrattive fornivano la disponibilità di spazi dismessi presso i quali collocarli. 
D’altra parte questo tipo di soluzioni risultava compatibile con quantitativi in gioco 
limitati, caratterizzati da una pericolosità ridotta o comunque non avvertita. 
Dagli anni ’60, sorse un problema nuovo: la difficoltà di reperire siti per lo 
smaltimento. A causa dell’aumento della quantità dei rifiuti e del loro potenziale 
inquinante, le conseguenze devastanti per l’ambiente di uno smaltimento artigianale e 
selvaggio cominciarono a risultare evidenti. 
Negli anni ’70, il problema dei rifiuti cambiò nuovamente volto: mentre a livello 
internazionale la parola d’ordine del riciclaggio cominciava ad affermarsi, a livello 
“micro” le pratiche di smaltimento tradizionali si rivelano portatrici di gravi impatti sul 
territorio. A livello europeo, questa nuova consapevolezza si tradusse nella direttiva 
91/156, che stabilì i nuovi principi su cui doveva ispirarsi la gestione dei rifiuti: 
 
• il principio di prossimità (i rifiuti devono essere smaltiti il più possibile vicino ai 
luoghi in cui sono stati generati); 
• il principio di autosufficienza (la Comunità nel suo insieme, ed i singoli Stati 
membri al proprio interno, devono tendere all’autosufficienza nello smaltimento dei 
rifiuti); 
• il principio inquinatore-pagatore (il costo dello smaltimento dev’essere sostenuto 
da colui che genera i rifiuti); 
 24
• il principio delle “4R” (occorre seguire un preciso ordinamento di priorità, che vede 
al primo posto la riduzione dei volumi di rifiuto e della loro pericolosità; il riuso; il 
recupero diretto di sottoprodotti; la riduzione dell’impatto inquinante delle 
tecnologie di smaltimento finale). 
 
Col Decreto Ronchi, anche l’Italia è entrata in questa “ultima generazione” di 
problemi, che ha comportato una vera e propria transizione tecnologica, carica di effetti 
duraturi non solo sull’industria di questo settore, ma sulle stesse abitudini di vita e di 
consumo. 
Il decreto imposta la disciplina dei rifiuti in un quadro complessivo che vede la 
protezione dell’ambiente e la creazione di controlli efficaci affiancarsi alla gestione dei 
rifiuti, intesa come regolazione dell’intero ciclo di vita del rifiuto. Per quanto riguarda la 
gestione dei rifiuti, che costituisce a tutti gli effetti un’attività di pubblico interesse, 
vengono definiti precisi indirizzi, ponendo in particolare l’accento sulla necessità di 
ridurli alla fonte, sulla raccolta differenziata, sul riutilizzo e riciclaggio e su altre forme 
di recupero, attribuendo mero carattere di residualità allo smaltimento.  
Dunque, nel dare una risposta sistematica al problema della “valorizzazione” dei 
rifiuti, che tenga conto di tutte le fasi che caratterizzano il ciclo merci/rifiuti, 
s’impongono alcune priorità secondo il seguente ordine gerarchico: 
 
1. la prevenzione, intesa come riduzione al minimo della produzione di rifiuti e delle 
loro caratteristiche di pericolosità; 
2. il recupero, onde ridurre il quantitativo dei rifiuti destinati allo smaltimento e 
risparmiare risorse naturali in particolare mediante reimpiego, riciclo, compostaggio 
e recupero di energia: il reimpiego ed il riciclo dovrebbero essere considerati in 
generale preferibili, poiché hanno un effetto positivo sulla prevenzione, salvo 
verifiche di futuri progressi scientifici e tecnologici, di sviluppi delle analisi del 
ciclo di vita (LCA) e comunque tenendo sempre presente che la scelta della migliore 
opzione va confrontata nel caso specifico ai concreti effetti ambientali ed 
economici; 
3. lo smaltimento finale dei rifiuti che non possono essere recuperati, con il minor 
rischio per l’ambiente e comunque ridotto al minimo; 
 
Per non ingenerare confusione, è bene fin d’ora intendere correttamente i termini 
sopra utilizzati, specificando che si possono intendere tre fondamentali tipologie di 
riciclaggio: 
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1) il riutilizzo diretto (o riuso), nel caso in cui il bene di consumo, nell’essere 
riutilizzato, viene destinato allo stesso tipo di funzione per il quale era stato 
concepito. Il riuso può avvenire direttamente da parte dell’utente ovvero da parte di 
società che organizzano in proprio la raccolta differenziata dei beni di consumo da 
riutilizzare (tipico è l’esempio della raccolta delle bottiglie mediante sistema “a 
deposito”, con restituzione della cauzione versata dal consumatore all’atto 
dell’acquisto). In entrambi i casi si tratta di una modalità di controllo della 
produzione dei rifiuti che si basa sull’annullamento del concetto stesso di rifiuto, dal 
momento che si tratta di beni per i quali non è avvenuto alcun deterioramento tale da 
farne perdere le caratteristiche e la funzionalità originarie; 
2) il riutilizzo indiretto del rifiuto (o riciclaggio), nel caso in cui, grazie ad eventuali 
trasformazioni, esso diventi utilizzabile come input in altri processi di produzione o 
di consumo,  con la sua funzione originaria o per altri fini; 
3) il riutilizzo energetico (o recupero), nel caso in cui i rifiuti subiscano una 
trasformazione (termica, chimica, fisica o biologica), in modo da produrre materiali 
e/o energia di cui sia reso possibile l’utilizzo diretto. In tale particolare modalità di 
riutilizzo si può scontare anche una consistente perdita di valore del bene di 
consumo di partenza ma, nonostante ciò, il recupero di materia e/o di energia trova 
convenienza economica ed ambientale nel fatto che può comportare un ragionevole 
sfruttamento delle risorse residue contenute nel bene di consumo prima del suo 
eventuale smaltimento finale.