2
mutualistico, giuridicamente inteso, sul dibattito sorto in merito all’esistenza di un 
diritto soggettivo dei soci al ristorno. 
In tal modo si dovrebbe disporre di strumenti idonei per scegliere quale 
atteggiamento assumere nei confronti delle varie questioni sorte intorno al 
ristorno; in specie, si suggerirà l’adozione di una prospettiva concreta, al fine di 
evidenziare un problema giuridico sul quale la dottrina non sembra essersi mai 
soffermata. 
Una volta apprezzata la dimensione del problema, alla luce del collegamento di 
autorevoli teorie sulla natura della partecipazione societaria con i principi e le 
consuetudini mutualistiche, si dovrebbe riuscire a soppesarne i risvolti economici, 
cioè l’effettiva consistenza nell’ambito della disciplina del ristorno. 
Il fine che ci si pone, in sostanza, è di fissare l’attenzione di chi legge su di uno 
specifico interrogativo: se una disciplina del ristorno coerente con le linee qui di 
seguito suggerite possa dare piena valorizzazione al lavoro, come strumento di 
tensione alla massimizzazione dell’efficienza e quindi del profitto, in modo da 
consentire alle imprese imperniate sul lavoro, appunto le cooperative, di 
svilupparsi in futuro in piena autonomia e con successo. 
A tal fine sarà fondamentale chiarire il ruolo dello scopo mutualistico. 
E’ necessario precisare che si è consapevoli che il capitale è comunque necessario 
al fine di intraprendere qualsiasi attività economica: quello che ci si vuole 
domandare è tuttavia se la produzione di un’adeguata remunerazione del capitale 
possa avvenire solamente attraverso la valorizzazione dello stesso capitale, tramite 
dividendo, ovvero se possa avvenire anche attraverso la valorizzazione 
dell’apporto mutualistico, tramite ristorno. 
  
3
CAPITOLO PRIMO 
RISTORNO E SCOPO MUTUALISTICO 
 
SOMMARIO: 
1.1 Ristorno e vantaggio mutualistico........................................................... 3 
1.2 Scopo mutualistico e scopo di lucro. La disciplina civilistica delle 
cooperative .............................................................................................. 6 
1.3 Le leggi speciali sulla cooperazione ..................................................... 12 
1.4 Le cooperative nell’art. 45 della costituzione ....................................... 15 
1.5 L’assenza del fine di speculazione privata............................................ 22 
1.6 Le modalità di gestione cooperativa e la speculazione privata ............. 26 
1.7 La mutualità nel codice civile e nelle leggi speciali ............................. 31 
1.8 L’oggetto sociale cooperativo e l’elemento personale.......................... 37 
 
1.1 Ristorno e vantaggio mutualistico 
L’inesistenza di un’espressa definizione legislativa del ristorno  costringe a 
ricostruire tale fattispecie sulla base delle consuetudini cooperative, in forza 
dell’art. 9 lettera a) del decreto legislativo n. 1577 del 14 Dicembre 1947, recante 
provvedimenti per la cooperazione, secondo il quale “l’esatta osservanza delle 
norme legislative, regolamentari,  statutarie e mutualistiche” è oggetto di 
ispezione da parte delle associazioni di rappresentanza riconosciute, in 
collaborazione con il Ministero del lavoro; è evidente che tale disposizione 
conferisce rilevanza giuridica alle norme mutualistiche, nel rispetto dell’art. 8, 
primo comma, delle Disposizioni sulla legge in generale:  
“Nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti gli usi hanno efficacia solo 
in quanto sono da esse richiamati”.  
Naturalmente l’ordine posto dal citato art 9 lettera a) vale anche gerarchicamente: 
le consuetudini mutualistiche perdono efficacia se contrastano con le leggi e i 
regolamenti dello Stato, nonché, secondo alcuni autori, con lo statuto societario; 
in assenza di detto contrasto la loro efficacia è però automatica, 
indipendentemente dall'eventuale recepimento legislativo: queste sono dunque usi  
  
4
secundum legem
2
. 
Ora non si vuole trarre da dette norme conseguenze rivoluzionarie in ordine allo 
studio della disciplina cooperativa, secondo quella che è invece l’opinione 
sostenuta da autorevole dottrina: qui preme esclusivamente fornire una 
definizione giuridicamente fondata di ristorno. 
In prima approssimazione, i ristorni sono dei rimborsi che la società cooperativa 
opera a favore dei soci, in proporzione alle somme da loro pagate in più o ad essi 
corrisposte in meno al momento degli scambi cooperativi.
3
 
Come si vede, la definizione qui resa è minimale; nel prosieguo saranno illustrate 
le tesi esistenti (forse non tutte, essendo la produzione in merito molto cospicua) 
riguardo i vari problemi che la disciplina dei ristorni può implicare.  
Per dovere di completezza si deve ricordare che il suddetto art. 9 lettera a) è stato 
integrato dall’art. 2, secondo comma, del decreto del Ministero del lavoro 7 
Dicembre 1967, sulle ispezioni ordinarie e straordinarie alle cooperative e loro 
consorzi, il quale impone di rilevare “le inosservanze della legge e dello statuto 
nonché le deviazioni dai principi della cooperazione”, conferendo valenza 
giuridica anche ai principi della cooperazione, ovvero allo spirito che anima la 
normazione consuetudinaria sulle cooperative; ciò pone seri problemi applicativi 
ai giuristi, sul piano della corretta e imparziale ricostruzione storica di tali 
principi, ma soprattutto in merito alla loro compatibilità col sistema del diritto 
cooperativo italiano.  
Al riguardo, la lettera dell’art. 9 delle Disposizioni sulla legge in generale:  
“Gli usi pubblicati nelle raccolte ufficiali degli enti e degli organi a ciò 
autorizzati si presumono esistenti fino a prova contraria”, permette di risalire ai 
documenti stilati dall’I.C.A. (International Co-operative Alliance),
4
 
organizzazione internazionale non governativa che riunisce decine di 
confederazioni cooperative nazionali, tra le quali vi sono anche tre delle quattro 
associazioni riconosciute dal governo italiano, alle quali spettano i succitati poteri  
                                                 
2
 E. Cusa, I ristorni nelle società cooperative, Milano, 2000, pp. 8-16: in particolare l’Autore 
sostiene che alla luce delle disposizioni contenute nelle preleggi, le norme mutualistiche, ove 
considerate inderogabili, prevarrebbero sull’autonomia statutaria. 
3
 G. Capo, Le società cooperative e lo scopo mutualistico, in AA.VV, Società cooperative e mutue 
assicuratrici, a cura di A. Bassi,  Torino, 1999, p. 90. 
4
 Il sito ufficiale dell’I.C.A. è http://www.coop.org/ica/index.html , dove è possibile consultare, tra 
le altre cose, gli studi e le dichiarazioni ufficiali sui principi cooperativi. 
  
5
e doveri di controllo sul movimento cooperativo in Italia
5
.  
La fondatezza storiografica dei principi e delle consuetudini cooperative ricostruiti 
dall’I.C.A. è riconosciuta pressoché unanimemente dalla dottrina, la quale risulta 
però divisa in merito alla loro rilevanza ai fini interpretativi. 
Il ristorno, come precedentemente definito, è una modalità di attribuzione 
dell’eventuale utilità economica derivante dalla partecipazione alla società 
cooperativa, la quale utilità può consistere, prendendo ad esempio le due tipologie 
di cooperative più diffuse (quella di consumo e quella di produzione e lavoro), 
rispettivamente in un risparmio di spesa ovvero in un’integrazione della 
rimunerazione.  
Detto vantaggio economico si consegue evitando il ricorso all’intermediazione 
commerciale tipica nel settore dei prodotti di consumo ed edilizio, ovvero 
ridistribuendo ai soci lavoratori ciò che nelle società non cooperative contribuisce 
a determinare il reddito della gestione.  
Tali benefici economici sono riconosciuti come tipici della cooperazione e 
rientrano nella generale definizione di vantaggio mutualistico.  
Il ristorno è pertanto una modalità di attribuzione del vantaggio mutualistico, 
ovvero un rimborso di quanto non è stato erogato al socio al momento degli atti di 
scambio intrattenuti con la cooperativa; ne deriva che l’alternativa al ristorno è 
l’erogazione immediata del vantaggio mutualistico ai soci, realizzata, per quel che 
riguarda la società cooperativa di consumo, praticando agli stessi un minor prezzo 
al momento dell’acquisto del bene e, nella cooperativa di lavoro, corrispondendo 
una maggiorazione dello stipendio all’atto del pagamento dello stesso. 
Il ristorno deve rispondere ad esigenze di prudenza, economicità e stabilità 
finanziaria della gestione, dunque la sede della sua assegnazione, nella prassi 
economica, è l’approvazione del bilancio, al termine dell’esercizio; tuttavia si 
ritiene che esso possa essere corrisposto anche nel corso dell’anno sociale. 
Pertanto, la problematica relativa al ristorno è strettamente connessa al vantaggio  
                                                 
5
 Tali organizzazioni sono: l’Associazione Generale Cooperative Italiane, la Confederazione 
Cooperative Italiane e la Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue; l’altra organizzazione 
riconosciuta dal governo, ovvero l’Unione Nazionale Cooperative Italiane, non aderisce all’I.C.A. 
Per quel che riguarda il riconoscimento governativo, questo viene concesso, su domanda, alle 
Associazioni cui aderiscano almeno mille cooperative, con d.M. Lavoro che conferisce alle stesse 
anche personalità giuridica (fonte: http://www.minlavoro.it/cooperazione/coopvigi.htm,  sito web 
ufficiale del Ministero del Lavoro, Febbraio 2001). 
  
6
mutualistico, termine che richiama l’idea stessa di mutualità che, comunemente, è 
associata al concetto di cooperazione.  
Il vuoto legislativo al riguardo ha generato vigorosi dibattiti in dottrina e 
giurisprudenza a fronte dell’idea, prospettata da molti, secondo cui il vantaggio 
mutualistico costituirebbe un diritto soggettivo del socio cooperatore, o perlomeno 
uno speciale interesse legittimo assistito da qualche  particolare forma di tutela, la 
cui configurazione risulta tuttavia incerta;
6
 a questa opinione si oppone 
vigorosamente la corrente secondo cui:  
“La legge non riconosce al socio cooperatore un diritto soggettivo al ristorno più 
di quanto non riconosca al socio delle società di capitali un diritto alla 
distribuzione degli utili, subordinando nell’uno e nell’altro caso le aspettative del 
socio alle deliberazioni dell’assemblea”.
7
 
Le ragioni di un così evidente contrasto si rinvengono nelle diverse concezioni, 
che i due schieramenti sostengono,  riguardo alla natura dello scopo mutualistico 
sottostante al contratto di società cooperativa, il che alimenta una disputa che 
investe le stesse previsioni costituzionali in merito alla tutela della cooperazione; 
pertanto chi si voglia pronunciare in merito alla tesi dell’atipicità dell’interesse del 
socio cooperatore al vantaggio mutualistico ed al ristorno, non può esimersi dal 
considerare i numerosi contributi apportati, in oltre cinquant’anni di studi e 
dibattiti, sul significato giuridico dell’espressione scopo mutualistico. 
 
1.2 Scopo mutualistico e scopo di lucro. La disciplina civilistica delle 
cooperative 
L’art. 45 della Costituzione afferma:  
“La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di 
mutualità e senza fini di speculazione privata”. 
Questa disposizione costituisce il presupposto della disciplina civilistica della 
cooperazione, la cui funzione sociale non scaturisce dal dettato legislativo, ma è, 
secondo la stessa Costituzione, ad esso preesistente.  
                                                 
6
 D. Preite, La destinazione dei risultati nei contratti associativi, Milano, 1988, pp. 312-318 
7
 Cass. Civ. 8/9/1999, n. 9513, in Società, 1/2000, p. 45 
  
7
Il riconoscimento costituzionale di  tale funzione è fondato sul suo carattere di 
mutualità, la quale assume perciò la massima rilevanza giuridica.  
Tuttavia, è un fatto che la legge non definisce né la mutualità, né lo scopo 
mutualistico e neppure il significato dell’assenza del fine di speculazione privata: 
non è dato di sapere cosa si intenda per speculazione, cosa possa distinguere la 
speculazione pubblica da quella privata e perché quest’ultima debba essere 
assente in un contratto di società cooperativa.  
Il codice civile definisce le società cooperative all’art. 2511, disponendo che: “Le 
imprese che hanno scopo mutualistico possono costituirsi come società 
cooperative”.  
La definizione civilistica è completata dall’art. 2515, secondo comma: 
“L’indicazione di cooperativa non può essere usata da società che non hanno 
scopo mutualistico”.  
Leggendo attentamente il combinato dei due articoli, risulta evidente che le 
imprese che hanno scopo mutualistico possono adottare uno schema diverso da 
quello della cooperativa; d’altro canto le cooperative sono necessariamente 
“imprese che perseguono uno scopo mutualistico”.  
Essendo la nozione civilistica di impresa fornita indirettamente dall’art. 2082, si 
evince che la causa del contratto di cooperativa ha in comune con quella del 
contratto di società lucrativa lo svolgimento di un’attività d’impresa.  
Ciò che le differenzia, stando al dato letterale, è lo scopo: nel primo caso è 
mutualistico, nel secondo consiste nella divisione degli utili.  
Il problema è accertare se lo scopo mutualistico sia effettivamente antitetico alla 
divisione degli utili, costituendo, dunque, la causa del contratto di società 
cooperativa,  oppure se esso sia un mero motivo, irrilevante nello schema causale 
di tale contratto, la cui specificità sarebbe relegata, allora, alle sole modalità di 
gestione dell’impresa. 
In altre parole, ci si domanda se la distinzione che il codice civile esprime tra 
società lucrative e società cooperative sia giuridicamente effettiva, o confinata 
all’ambito letterale. 
Per taluni aspetti la cooperativa è sicuramente diversa dalle altre società, 
cosiddette ordinarie, ma è da definire se tale distinzione operi anche sul piano 
  
8
delle finalità, e se queste ultime abbiano davvero un valore causale contrapposto 
alla divisione degli utili tra i soci, il che implicherebbe una disciplina speciale del  
vantaggio economico mutualistico. 
Le scopo mutualistico indicato dall’art 2511 c.c. consiste, secondo la relazione al 
codice civile ( n. 1025 ), “ prevalentemente nel fornire beni o servizi od occasioni  
di lavoro direttamente ai membri dell’organizzazione, a condizioni più 
vantaggiose di quelle che otterrebbero dal mercato”.  
Tale definizione identifica la cosiddetta gestione di servizio a favore dei soci, che 
si contrappone alla gestione di resa, tipica delle società cosiddette ordinarie, i cui 
membri sono interessati ad ottenere non i prodotti fisici o i servizi oggetto 
dell’attività esercitata,  bensì gli utili conseguibili attraverso l’alienazione o la 
prestazione, rispettivamente, degli stessi prodotti  e servizi. 
Tuttavia la relazione al codice civile non è legge,  dunque non è su di essa che si 
possa individuare la definizione giuridicamente esatta di scopo mutualistico.  
La definizione di cui all’art. 2511 c.c. contrappone lo scopo mutualistico a quello 
di dividere gli utili e l’art. 2518, n.9) c.c., con un’espressione ambigua, stabilisce 
che l’atto costitutivo della società cooperativa indichi “la percentuale massima 
degli utili ripartibili”.  
Pur senza imporre alcun limite effettivo a tale percentuale, il legislatore manifesta, 
con quest’ultima disposizione, l’intenzione di impedire la realizzazione di un 
lucro soggettivo elevato in capo ai singoli soci; tuttavia non è in alcun modo 
limitato il conseguimento del lucro oggettivo in capo all’ente, ovvero è consentita 
la massimizzazione dell’utile.  
Questo è solo uno degli elementi che dimostrano come il sistema di legge 
cooperativo  tenda a delineare una disciplina sostanzialmente diversa da quella 
prevista per le società ordinarie, nell’intento di favorire la produzione, da parte 
delle società cooperative, di utilità economiche di varia natura, ovvero dei 
vantaggi mutualistici, secondo l’interesse comune ai soci. 
La questione ancora aperta è contemperare quest’interesse legittimo con quelli, 
parimenti legittimi, alla produzione e ripartizione dell’utile, per delineare 
l’eventuale corrispondente assetto di diritti soggettivi. 
  
9
Come per l’art. 2518, motivi di perplessità sorgono anche dalla lettura dell’art. 
2516 c.c., secondo il quale, alle società cooperative si applicherebbero le norme 
delle società per azioni, “in quanto compatibili con le disposizioni seguenti e con 
quelle delle leggi speciali”, tra le quali, secondo l’art. 9 l. a) d. lgs. C.p.S. 
1577/47, sono comprese le non meglio specificate norme mutualistiche: ciò 
potrebbe far pensare che l’applicabilità delle norme sulle S.p.A. sia subordinata 
alla compatibilità con le consuetudini cooperative.  
Carattere inequivocabilmente tipico della società cooperativa è la rilevanza 
dell’elemento personale.  
L’art. 2521 istituisce i limiti ai conferimenti di ogni socio, i quali si attestano, 
dopo l’ultima modifica apportata dall’art. 3 l. 31 Gennaio 1992, n.59, in ottanta 
milioni, elevati a centoventi milioni per le cooperative agricole e di produzione e 
lavoro. 
L’art. 2532, secondo comma, attribuisce ad ogni socio un voto, qualunque sia il 
valore della sua quota o il numero delle azioni da esso possedute.  
Ogni socio può farsi rappresentare in assemblea esclusivamente da altri soci (art. 
2534) e gli amministratori devono essere anch’essi soci (art. 2535).  
Le cooperative operanti in più comuni, le quali abbiano più di cinquecento soci, 
possono  istituire assemblee parziali convocate nelle località ove risiedano almeno 
cinquanta soci, le quali nominano dei delegati che parteciperanno alle assemblee 
generali (art. 2533).  
Altro tratto marcante delle cooperative è la variabilità del capitale: l’art. 2520 c.c. 
permette la variazione del numero dei soci e dell’ammontare del capitale senza 
che debba essere modificato l’atto costitutivo; tuttavia l’entrata di nuovi soci è 
subordinata alla delibera di accettazione della domanda di ammissione da parte 
degli amministratori (art. 2525, primo e secondo comma); nonostante l’art. 2518, 
n 7) stabilisca che l’atto costitutivo debba indicare le condizioni per l’ammissione 
di nuovi soci, non si ritiene sussistere, in capo dell’aspirante che risponda ai 
requisiti fissati dallo statuto, alcun diritto soggettivo all’acquisizione della qualità 
di socio
8
. 
                                                 
8
 T. D’Amaro, I profili patrimoniali delle società cooperative, in  AA.VV, Società cooperative e 
mutue assicuratrici, cit.,  Torino, 1999,  pp. 313-317. 
  
10
Ne consegue che la cessione di quote o azioni della cooperativa, pur essendo 
valida tra  cedente e cessionario, non produce effetti nei confronti della società, 
finché non si abbia l’autorizzazione degli amministratori, salvo il diritto di recesso 
in capo al cedente (art. 2523).  
La disciplina del trasferibilità delle quote e delle azioni cooperative dell’art 2523 
permette di scegliere tra due opzioni alternative: divieto di alienazione delle azioni 
che giustifica il recesso legale: ne risulta l’omogeneità del capitale, a scapito della 
sottocapitalizzazione; libera circolabilità delle azioni, a scapito dell’omogeneità 
della compagine sociale ma a favore della capitalizzazione della stessa. 
Il consiglio d’amministrazione ha una certa discrezionalità nel decidere in merito 
al trasferimento di quote e dunque alla sostituzione di un socio con un altro, che 
risulta amplificata qualora lo statuto non fissi i requisiti personali dei soci o una 
regolamentazione delle cessioni, discrezionalità che però incontra il limite della 
motivazione.  
Dunque non sarebbero valide delibere di diniego immotivate, finalizzate 
esclusivamente a penalizzare il socio che voglia uscire dalla società e l’aspirante 
nuovo socio.  
Questo in quanto l’attribuzione al consiglio d’amministrazione  della competenza 
a decidere su questa materia ha la funzione di evitare una facile elusione delle 
norme inderogabili sui requisiti personali dei soci.  
In mezzo a questi due estremi possono essere redatte varie clausole limitative 
della circolabilità delle azioni, che tuttavia non possono sottoporre la stessa al 
mero gradimento, il che giustificherebbe il recesso legale. 
Il consiglio d’amministrazione deve valutare l’ottima misura del capitale che, in 
quanto variabile, deve essere dimensionato agli sbocchi del mercato e dunque alla 
redditività della cooperativa. 
L’art. 2527 c.c. disciplina un istituto tipico delle società personali, ovvero 
l’esclusione del socio, la quale può avvenire di diritto, per il socio fallito o per 
quello il cui creditore particolare abbia ottenuto la liquidazione della quota; 
oppure per perdita dei requisiti personali, per inadempimento o impossibilità 
sopravvenuta di adempiere al conferimento, o alle prestazioni mutualistiche; si 
  
11
ritiene che le deliberazioni di esclusione debbano essere oggettivamente motivate, 
pena l’illegittimità.
9
 
Per quanto attiene al regime della responsabilità, l’art. 2513 prevede la 
responsabilità illimitata, in base alla quale alla responsabilità della società si 
aggiunge, solamente in caso di liquidazione coatta amministrativa o fallimento, 
quella sussidiaria, illimitata e personale dei soci; l’art. 2514, primo comma,  
disciplina la responsabilità limitata, nella quale, delle obbligazioni sociali 
risponde solamente la società con il proprio patrimonio; questo è l’unico tipo di 
società cooperativa in cui le quote dei soci sono rappresentate da azioni. 
Il secondo comma del medesimo articolo prevede la responsabilità sussidiaria 
multipla, la quale si caratterizza per il fatto che l’atto costitutivo può stabilire che 
ciascun socio risponda sussidiariamente per una somma multipla della propria 
quota, solo in caso di procedura concorsuale: dunque non si ha una vera e propria 
responsabilità personale illimitata, in quanto l’atto costitutivo deve indicare il 
multiplo applicabile, cui si deve conformare l’eventuale piano di riparto di cui 
all’art. 2541, primo comma, c.c.; qualora l’atto costitutivo non fornisca detta 
indicazione, tale multiplo è applicato in misura pari al minimo di legge, 
corrispondente al doppio della quota del socio.
10
  
L’art. 2536 (modificato dall’art. 8, l. 31 Gennaio 1992, n.59), stabilisce regole 
ferree per l’accantonamento a riserva legale, alla quale, per ogni esercizio, al 
contrario che nelle società per azioni, si deve accantonare il 20% degli utili netti 
annuali.  
Il secondo comma dispone che una quota degli utili netti annuali sia corrisposta ai 
fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, mentre 
l’ultimo comma prevede che gli utili residui, non destinati ad altre riserve o a 
rivalutare quote o azioni, possano essere utilizzati a  “fini mutualistici”. 
I controlli dell’autorità governativa sulle cooperative sono previsti alla sezione 
VII del codice: l’art. 2542 rinvia alle disposizioni delle leggi speciali, l’art. 2543 
prevede perfino il commissariamento delle cooperative gestite irregolarmente e 
                                                 
9
 V. Giorgi, Scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio, in AA.VV, Società 
cooperative e mutue assicuratrici, cit., pp. 353-362 
10
 T. Milano, 6/5/1981, in Fallimento, 1991, p. 1282, con nota di Ruggeri. 
  
12
l’art. 2544 regola lo scioglimento coatto delle cooperative che “non sono in 
condizione di raggiungere gli scopi per cui sono state costituite”. 
 
1.3 Le leggi speciali sulla cooperazione 
La disciplina civilistica delle cooperative è integrata da numerose leggi speciali, la 
prima delle quali, in ordine di tempo, è la cosiddetta l. Basevi, ovvero il  decreto 
legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 Dicembre 1947, n. 1577,  che 
regola principalmente la vigilanza sulla cooperazione effettuata dall’autorità 
amministrativa, nella figura del Ministero del lavoro e della previdenza sociale.  
A tale vigilanza sono sottoposte tutte le cooperative, eccetto particolari tipologie, 
quali le casse rurali e le cooperative di assicurazione, le mutue assicuratrici, le 
cooperative edilizie a contributo erariale.  
Le ispezioni ordinarie, che hanno luogo almeno ogni due anni (art. 2), sono 
delegate alle associazioni nazionali riconosciute, mentre le ispezioni straordinarie, 
eseguibili ogniqualvolta se ne presenti l’opportunità, sono affidate a funzionari del 
ministero, i quali si occupano anche delle cooperative che non aderiscono alle 
associazioni riconosciute (art. 3).  
Secondo l’art 9, l’attività ispettiva verifica: a) l’osservanza delle norme sulle 
cooperative; b) il rispetto delle condizioni per la fruizione delle agevolazioni 
tributarie; c) la corretta tenuta della contabilità; d) l’effettivo perseguimento 
dell’oggetto sociale; e) la consistenza patrimoniale dell’ente.  
Le ispezioni devono rivestire anche una funzione ausiliatrice e di indirizzo della 
gestione, non devono cioè avere carattere vessatorio;
11
 le cooperative devono 
contribuire alle spese per le ispezioni, versando contributi all’associazione 
nazionale di appartenenza; le cooperative non aderenti ad alcuna associazione 
riconosciuta devono versare i contributi di cui sopra in un fondo costituito dal 
Ministero del Lavoro presso un istituto di credito (art. 8, primo e secondo 
comma). 
L’art. 10 disciplina i poteri e gli obblighi degli ispettori, i quali possono richiedere 
tutte le documentazioni e le informazioni  necessarie ai fini dell’ispezione, al 
                                                 
11
 V. Giorgi, Vigilanza e controlli, in AA.VV, Società cooperative e mutue assicuratrici , cit, p. 
550. 
  
13
termine della quale devono redigere il processo verbale, che deve riportare anche 
le eventuali osservazioni dell’ente ispezionato, integrabili non oltre quindici giorni 
dalla data del verbale stesso. 
Qualora dall’ispezione risulti l’inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 9, il 
Ministero diffida l’ente a regolarizzare la propria posizione entro un determinato 
termine, scaduto inutilmente il quale scattano le sanzioni previste dagli artt. 2543, 
2544 e 2545 c.c., oltre alla cancellazione dal registro prefettizio delle cooperative  
(art. 11, primi due commi).  
In giurisprudenza vi sono pronunce contrastanti in merito alla necessità di adottare 
la diffida, mentre non v’è dubbio che l’adozione dei provvedimenti sanzionatori 
debba essere motivata nel verbale.
12
 
Il capo II concerne l’iscrizione nei registri prefettizi e nello schedario generale 
della cooperazione, necessarie per l’ottenimento dei benefici fiscali e di altra 
natura previsti a favore delle cooperative, nonché a fini statistici.
13
 
Il capo III istituisce: le Commissioni provinciali (art. 17), con finalità di vigilanza 
sul rispetto dei requisiti per la fruizione dei benefici fiscali; la Commissione 
centrale per le cooperative (art.18 e art. 20), il cui compito principale è fornire 
indicazioni e proposte riguardo i progetti di legge sulle cooperative; il Comitato 
(art. 19), interno alla Commissione centrale, il quale esprime principalmente 
pareri sui ricorsi contro i provvedimenti di cui all’art.11. 
Il capo IV si apre con l’art. 22, che impone il numero minimo di 9 soci (così come 
modificato dall’art. 1 della l. 17 Febbraio 1971, n.127) per la costituzione, norma 
che non trova riscontro negli altri tipi societari e che è considerata un riflesso della 
natura mutualistica delle cooperative, anche con riferimento ai  predetti benefici 
fiscali, la cui attribuzione è necessariamente condizionata alla sussistenza di una 
consistente base sociale.  
L’art. 23, disciplinando i requisiti necessari per acquisire la qualità di socio di tre 
tipi specifici di cooperative, sancisce due importanti principi: i soci devono avere 
la qualifica professionale o esercitare effettivamente l’attività oggetto dell’impresa 
                                                 
12 
V. Giorgi, op . ult. cit.,p. 554 
13
 M. Sarno, La costituzione della società cooperativa, in AA.VV., Società cooperative e mutue 
assicuratrici, cit., pp. 266-270 
  
14
cooperativa, inoltre non devono svolgere un’altra attività concorrente con quella 
della società cooperativa di cui fanno parte.  
Tuttavia è consentita l’ammissione come soci degli elementi tecnici ed 
amministrativi necessari per una buona gestione (terzo comma). 
L’art. 26 presume esistenti, “agli effetti tributari”, i requisiti mutualistici qualora 
lo statuto della società vieti la distribuzione dei dividendi in  misura maggiore del 
2% alla remunerazione dei buoni postali fruttiferi, nonché la distribuzione delle 
riserve tra i soci durante la vita sociale ed impone la devoluzione del patrimonio  
sociale a fini mutualistici all’atto dello scioglimento della società.  
Nonostante la funzione puramente tributaria di detto articolo, parte della 
giurisprudenza fonda l’accertamento della mutualità della società sulla presenza di 
tali disposizioni nello statuto.
14
 
L’art 29bis impegna il Ministero del lavoro e della previdenza sociale a favorire lo 
sviluppo della cooperazione e la diffusione dei principi cooperativi, attraverso 
l’opera delle associazioni nazionali riconosciute.  
Quest’ultimo articolo è stato aggiunto dalla l. 17 febbraio 1971, n. 127, avente ad 
oggetto la modifica della stessa legge Basevi. 
Eccettuate le disposizioni tributarie, la più importante norma contenuta nella l. 
127/71 è rappresentata dall’art. 14, secondo il quale le società cooperative non 
possono essere trasformate in società ordinarie,  anche  se   tale   trasformazione   
sia   deliberata all'unanimità. 
Con l’art. 17, ultimo comma, della l. 19 Marzo 1983, n.72, fu introdotta la 
limitazione all’erogazione del dividendo: il capitale sociale non deve essere 
remunerato in misura superiore al limite che l’art. 6bis d.l. 31 Ottobre 1980, n. 
693 (convertito in legge dall’art 1 l. 22 Dicembre 1980, n. 891) pone all’interesse 
sui prestiti sociali, come condizione per godere delle agevolazioni tributarie 
previste a favore delle cooperative dall’art. 13 del d.P.R. 29 Settembre 1973, n. 
601. 
I prestiti sociali sono contratti dalla cooperativa con i propri soci e rappresentano 
una tradizionale forma di finanziamento nel settore cooperativo: l’art. 12, ultimo 
                                                 
14
 G. Capo, op. cit., pp. 70-73 
  
15
comma, l. 17 Febbraio 1971, n.127, impone alle cooperative di regolarne 
statutariamente le modalità di applicazione. 
Il limite che il suddetto art. 13, d.P.R. 600/73 fissava pari al rendimento dei buoni 
postali fruttiferi, attualmente è aumentato di 2,5 punti percentuali, secondo il 
citato art. 6bis d.l. 31 Ottobre 1980, n. 693. 
Dunque il legislatore ha limitato l’erogazione del dividendo rinviando ad una 
norma di diritto tributario: ciò spinge alcuni interpreti a ritenere che tale 
limitazione rappresenti una mera condizione, da rispettare per la fruibilità della 
agevolazioni tributarie, modificando  il limite fissato dall’art. 26, lettera a), d. lgs. 
C.p.S. 14 Dicembre 1947, n.1577; quest’interpretazione sussiste nonostante il 
tenore letterale del suddetto art. 17, ultimo comma, l. 19 Marzo 1983, n.72, che, 
seppur inserito in un complesso di disposizioni tributarie, non fa menzione di 
alcun beneficio fiscale cui collegare i vincoli posti al dividendo.
15
 
Sono state emanate numerose altre leggi speciali, che tuttavia sono attinenti ai 
profili tributari o a specifiche tipologie di società cooperative.  
Attinente la disciplina generale è la l. 31 Gennaio 1992, n.59, recante disposizioni 
volte ad innovare le forme di finanziamento delle cooperative, la quale sarà 
esaminata in seguito. 
 
1.4 Le cooperative nell’art. 45 della costituzione 
In dottrina ed in giurisprudenza  non è stato ancora chiarito se la cooperazione, cui 
fa riferimento l’art. 45 della Costituzione, sia quella disciplinata dagli articoli 
2511 e seguenti del codice civile. 
Alcuni autorevoli giuristi, studiando il significato della funzione sociale, attribuita 
alle cooperative dall’art. 45, sono giunti a sostenere che queste organizzazioni 
rientrerebbero nella categoria delle associazioni, in quanto l’attività 
imprenditoriale cooperativa sarebbe meramente strumentale alla realizzazione di 
altre finalità, di carattere non economico, cui sarebbe rivolto il riconoscimento 
costituzionale.
16
 
                                                 
15
 G. Capo, op. cit., p. 111. 
16
 P. Verrucoli, La società cooperativa, Milano, 1958.