VI
Pertanto, al fine di evitare una sterile e pur tuttavia affannosa 
ricostruzione dell’evoluzione di questo diritto, nella mia ricerca seguirò 
una linea teorica che guardi innanzitutto agli aspetti inerenti il discorso 
politico sul diritto di ospitalità. Il quadro teorico di riferimento sarà 
costituito dal dibattito che ha come poli d’attrazione i temi dell’identità e 
della cittadinanza. 
Muovendomi infatti sul terreno della politica, qui intesa soprattutto come 
arte della convivenza e dell’organizzazione degli spazi di una data 
comunità per rispondere a fini generali, i due poli sopra citati sembrano 
essere una sorta di fiume carsico nei discorsi sul tema dell’ospitalità. 
Coerentemente con questa scelta, nella mia indagine non esiterò dunque 
a ricorrere al prezioso contributo fornitomi da altre discipline quali la 
filosofia politica, l’antropologia, l’etnologia e la sociologia, al fine di 
svelare quali siano gli interrogativi ricorrenti e sottostanti il diritto di 
ospitalità. Ci si accorgerà allora della continua e costante presenza di 
determinate fattispecie concettuali, ed in particolare: la questione dello 
straniero, l’idea del confine, l’ambito dei diritti umani, le logiche 
identitarie dell’appartenenza alla comunità, le pratiche del 
riconoscimento/esclusione, la tensione tra differenza/diversità, 
l’esperienza dell’integrazione ed il campo delle migrazioni. 
 VII
Dopo aver cercato di fornire una definizione del problema dell’ospitalità, 
l’indagine muoverà i passi da una ricostruzione diacronica del diritto. 
La selezione di spunti teorici offerti da alcuni importanti pensatori come 
Francisco de Vitoria, Ugo Grozio,  Samuel Pufendorf, e Adam Smith,  
sarà la premessa per giungere all’analisi della questione in Immanuel 
Kant, tappa obbligata e ideale anello di congiunzione tra il dibattito 
precedente e quello successivo. 
Gli spunti offerti dal “progetto filosofico” Per la pace perpetua del 
1795, ci condurranno alle soglie di un interrogativo attualissimo e molto 
presente nel dibattito contemporaneo: è possibile oggi parlare di un 
diritto di ospitalità?  
Un tentativo di risposta a questa domanda ci verrà offerto dall’approccio 
seguito da un autore francese, Jacques Derrida, e dalle sue riflessioni sul 
tema “dell’Altro”. 
Per tornare alla metafora iniziale, mi piace immaginare il mio come un 
viaggio di ritorno in cui, dopo aver esplorato numerosi porti e territori, ci 
sia lo spazio per la riflessione. Resta tuttavia aperto un problema: quale 
casa troverà il viaggiatore al ritorno? Troverà ancora Hermes la sua 
fedele amica Hestia o avrà egli stesso maturato una rinnovata identità?  
 
 VIII
Desidero infine rivolgere un sincero ringraziamento a tutti coloro che, in 
questi mesi di letture e ricerche, hanno trovato modo e tempo di 
prestarmi ascolto. 
Spesso infatti, in maniera consapevole o meno, sono stati proprio gli 
spunti scaturiti da queste proficue conversazioni a dare forma alla mia 
ricerca, alimentando di volta in volta il mio desiderio di approfondire i 
temi dell’ospitalità e dell’incontro fra esperienze diverse che mi 
accompagna ormai da alcuni anni. 
A loro e ai miei genitori è dedicata questa tesi. 
 
 
 
 1
CAPITOLO I 
 
I CONFINI DELL’OSPITALITA' 
 
 
1.1 Una definizione “politica” di ospitalità: un problema di metodo 
 
Affrontare lo studio dell’ospitalità è un po’ come avere tra le mani un 
prisma di cristallo, le cui facce cambiano colore a seconda del punto di 
osservazione che si decide di privilegiare. 
Ben si comprende, allora, che un tentativo di definire l’ospitalità deve avere 
come scopo innanzitutto quello di fornire una dichiarazione di intenti, il 
perno intorno al quale possano ruotare i vari elementi che la compongono. 
Il primo passo da compiere è dunque quello di procurarsi un filtro che 
consenta di scomporre il problema nei suoi elementi essenziali e al tempo 
stesso di mantenere una continua e coerente visione d’insieme. 
Quello che intendo utilizzare nella mia ricerca sarà prevalentemente un 
filtro di carattere storico-politico, o per meglio dire, inerente alla storia del 
pensiero politico. Nell’affermare questo, condivido le parole di Tzvetan  
Todorov: 
 2
[…] Non considero le dottrine del passato pura espressione degli interessi dei loro 
autori: riconosco loro anche una certa dimensione di verità; passare attraverso i discorsi 
per accedere al mondo è forse una via traversa, ma non per questo meno efficace […] i 
discorsi sono, anch’essi, avvenimenti, i motori della storia e non soltanto le sue 
rappresentazioni. Bisogna evitare qui l’alternativa del tutto o niente. Le idee da sole non 
fanno la storia, agiscono anche le forze sociali ed economiche; ma le idee non sono un 
effetto meramente passivo. Anzitutto rendono possibili le azioni; poi permettono di farle 
accettare: si tratta, dopotutto, di azioni decisive.
1
 
 
Per poter operare efficacemente a questo livello, ritengo opportuno fornire 
prima un’analisi per così dire “linguistica” del problema, disegnando così 
una mappa concettuale che consenta di muoversi più agevolmente sul 
terreno dell’ospitalità e delle sue implicazioni “politiche”.  
 
 
                                                 
1
 Tzvetan TODOROV, Noi e gli altri. La riflessione francese sulla diversità umana, Torino, Giulio 
Einaudi editore, 1991, pp. XV-XVI. 
 3
 
1.2 Spazio politico ed ospitalità: descrizione di un cammino comune 
 
I discorsi sull’ospitalità e le problematiche ad essa connesse accompagnano 
la storia dell’umanità da millenni: d’altra parte, evitando riferimenti 
temporali troppo precisi, è chiaro che il problema dell’ospitalità, seppur in 
forma primitiva, si presenta già a partire dai primi modelli organizzati di 
comunità.  
Per modello organizzato di comunità, mi riferisco anche, lato sensu, alla  
attitudine delle prime società stanziali di organizzare la vita all’interno del 
gruppo secondo i canoni del dentro/fuori, cercando, attraverso la difesa del 
territorio, un continuo sfruttamento delle risorse che rendesse possibile la 
sopravvivenza della comunità stessa.
2
 
 
Se focalizziamo lo sguardo sul lessico della culla della civiltà occidentale, 
l’antica Grecia, notiamo come la stessa parola νόµος – nella duplice 
accezione di “consuetudine” e di “legge”- affondi le proprie radici nel 
mondo della pastorizia, e nella legittima pretesa da parte di coloro che 
conducevano le greggi, considerate in genere proprietà collettive, di 
                                                 
2
 Evidentemente, il problema delle prime forme di comunità organizzate, qui estremamente semplificato, 
risulta assai più articolato e coinvolge gran parte delle scienze sociali. Per alcuni spunti sintetici in 
un’ottica demografica, si veda Luigi DI COMITE , Eros MORETTI, Geopolitica del Mediterraneo, 
Roma, Carocci editore, 1999, pp. 19-20 e pp. 37-38. 
 4
insediarsi in un territorio e di prenderne possesso, stabilendo confini e 
ponendo regole di condotta.
3
 
Ora, per comprendere come l’ospitalità entri in azione nella definizione 
degli spazi politici, occorre considerare quali siano i soggetti partecipanti 
alla retorica dell’ospitalità stessa. 
Per ospitalità intendiamo genericamente l’accoglienza di uno o più 
individui che può variare nelle sue forme a seconda della disponibilità e dei 
sistemi culturali propri di colui che ospita. I soggetti dell’ospitalità sono 
pertanto al minimo due: l’ospitante e l’ospitato. 
 A partire proprio da queste semplici considerazioni, si intuisce come il 
contenuto stesso dell’oggetto in esame vari a seconda del punto di vista 
contemplato. Il soggetto ospitante, come vedremo nel paragrafo dedicato 
alle retoriche dell’ospitalità, tenderà essenzialmente a considerare le sue 
come concessioni, anche se, in alcuni casi, esse possano essere considerate 
in qualche modo “concessioni dovute”
4
. Al contrario, dal punto di vista 
opposto, si tenderà a considerare l’ospitalità come una richiesta. 
                                                 
3
 In realtà la stessa radice *nem/nom, con un simile ambito di significato, è rintracciabile nelle varie 
lingue del ceppo indoeuropeo (si pensi, ad esempio, al latino “nummus”, moneta). Per il greco, si veda 
Lorenzo ROCCI Vocabolario Greco-Italiano, Roma, Dante Alighieri ed., 1998 alle voci νέµω e νόµος. 
Per una ricostruzione politica del termine come fondamento di ogni ordinamento economico-sociale, si 
veda Carl SCHMITT, Le categorie del politico, Bologna, Il Mulino, 1972. 
 Seguire la storia delle parole, aldilà delle facili e a volte fuorvianti suggestioni, può fornire preziosi 
spunti di ricerca anche per chi si occupa della storia delle idee.  
4
La giustapposizione di due termini antitetici si riferisce qui al fatto che spesso l’ospitalità, nell’ottica del 
soggetto ospitante, si tramuta in un generico dovere di sopportazione, legittimato dalla situazione 
temporanea insita nel concetto stesso di ospitalità, come vedremo meglio più avanti. 
 5
Il soggetto ospitante ha, come requisiti essenziali, la stanzialità e il 
possesso di una dimora, mentre colui che è accolto, si caratterizza ed è 
definito innanzitutto proprio dall’assenza di queste qualità.  
Esemplare, a tal proposito, è lo scambio di battute fra i personaggi di 
Antigone, Edipo e il corifeo nella tragedia sofoclea Edipo a Colono: 
   
ANTIGONE: E’ bene adeguarci, o padre, agli usi della gente del posto: cedere 
e obbedire, se occorre. 
EDIPO: Allora prendimi per mano. 
ANTIGONE: Ecco, la tengo stretta. 
EDIPO: Non infliggetemi qualche torto, o stranieri, se mi sono fidato di voi e 
ho lasciato il mio rifugio. 
CORIFEO: Non temere: nessuno, o vecchio, ti caccerà con la forza di qui.
5
 
 
Nella tensione fra colui che ha/colui che non ha, fra ospitante/ospitato, ci 
sono già tutti i presupposti per lo sviluppo di un rapporto che si configura 
come rapporto di superiorità/inferiorità, che spesso sfocia nella sin troppo 
facile, e purtroppo drammatica conseguenza, che il diritto di proprietà che 
il soggetto ospitante rivendica nei confronti della sua dimora (diritto reale, 
sulla   cosa,   caratterizzato  dall’assolutezza,    cioè valido   erga omnes   e  
                                                 
5
 SOFOCLE, Antigone, Edipo Re ,Edipo a Colono, Milano, Rizzoli, 1989 trad. it. di Franco Ferrari, p. 
287. 
 6
dall’esclusività, cioè come uno ius excludendi alios che permette al titolare 
di escludere gli altri dal godimento del bene stesso) venga avanzato a 
giustificazione di un diritto di disporre sulla persona stessa dell’ospitato (ce 
lo insegnano la storia del colonialismo e, senza andare indietro nel tempo, 
le pagine dei nostri quotidiani). 
In realtà, è proprio attraverso questo gioco di contrasti che si realizza il 
carattere specifico dell’ospitalità: essa costituisce la conditio sine qua non 
della comunicazione, il punto di partenza per un incontro tra diversi, 
aprendo le porte ad una continua negoziazione fra diritti e doveri. 
Riferendosi all’Odissea, Alain Montandon fa giustamente notare come 
l’ospitalità sia in qualche modo la porta d’accesso per la conoscenza 
umana: 
     L’Odissea è un viaggio di esplorazione dei limiti dell’umano. A ogni lido a cui 
si approda gli si pone la questione degli esseri umani incontrati, che è definita 
attraverso l’ospitalità.
6
 
 
 Nella cultura greca, in età arcaica come in età classica, le logiche di 
appartenenza ad una comunità, la manifesta volontà di tracciare confini fra 
il dentro e il fuori e l’esperienza dell’Altro, sembrano trovare nel tema 
dell’ospitalità il suo naturale punto di fuga.  
                                                 
6
 Alain MONTANDON, I limiti dell’ospitalità, in “Ágalma”, n. 7-8, Meltemi, marzo 2004, p. 8. 
 7
Ne sono testimonianza i tantissimi riferimenti letterari, le narrazioni di 
personaggi mitici, il culto per le divinità poste a guardia dei doveri di 
ospitalità, quasi fossero  “leggi non scritte” (άγραπτα νόµεις) ma non per 
questo meno vincolanti.
7
 
 L’ospitalità, come istituto e come attitudine, fornisce di volta in volta gli 
spunti necessari per riaffermare il dominio sullo spazio abitato, pubblico e 
privato. 
Come vedremo meglio nella parte dedicata alle relazioni tra ospitalità e 
identità, l’attività politica, definendo lo spazio come luogo (Ortung),  mira 
continuamente a mettere in atto i meccanismi di delimitazione dei confini a 
protezione dell’ordine (Ordnung). In questo senso, come osserva Danilo 
Zolo, lo spazio politico può essere considerato come “metafora 
esplicativa”, il cui ruolo nasce dalla volontà e dalla decisione di separare 
uno spazio (anche territoriale) “interno” da uno spazio ambientale 
“esterno”, concentrando all’interno la fiducia, la lealtà, la solidarietà, la 
complicità, i pregiudizi collettivi, la moralità e una specifica superstizione 
                                                 
7
 Molteplici sono i personaggi e le vicende mitiche inerenti il tema dell’ospitalità, si pensi, solo per 
citarne qualcuno, al mito di Bellerofonte, al personaggio di Medea dell’omonima tragedia di Euripide, al 
già citato “Edipo a Colono” di Sofocle, alle raffigurazioni della coppia Hestia-Hermes, la prima 
simboleggiante l’interno, il chiuso, il fisso, il ripiegarsi del gruppo umano su se stesso e il secondo 
l’esterno, la mobilità, l’apertura, il contatto con l’altro da sé.  
Per avere un quadro più dettagliato e completo, nonché interessanti riflessioni di psicologia storica sul 
mondo greco, si veda, Jean-Pierre VERNANT, Mythe et pensée chez les Grecs. Etudes de psicologie 
historique, Paris, Libraire François Maspero S.A., 1965 (Trad. it. Mito e pensiero presso i Greci. Studi di 
psicologia storica, Torino, Giulio Einaudi editore, 1970. Per ulteriori spunti mitologici, si veda il classico 
Károl KERÉNYI, Die Mythologie der Griechen. Die Götter- und Menschheitsgeschichten, Darmstadt, 
1958 (trad. it. Gli déi e gli eroi della Grecia. Il racconto del mito, la nascita della civiltà, Milano, Il 
Saggiatore, 2001). 
 8
(per mezzo di rituali, celebrazioni collettive e meccanismi di riproduzione 
culturale), e respingendo verso l’esterno ogni possibile  fattore di rischio: le 
diversità, i comportamenti e i soggetti “devianti”, gli stranieri, i nemici, 
l’immoralità, le divinità pagane, la barbarie (si pensi, una volta di più, al 
personaggio di Medea dell’omonima tragedia di Euripide, straniera in una 
terra straniera che pure l’aveva ospitata ma che in seguito, a causa dei suoi 
comportamenti devianti, diviene “άπολις”, senza patria, ed “έρηµος”, 
sola
8
).
9
 
 
                                                 
8
 Cfr. Luigi BARBERO, Civiltà della Grecia antica. Storia letteraria e testi, Milano, Mursia Editore, 
1994, p. 308. 
9
 Cfr. Danilo ZOLO, Gli spazi della politica, in Politica, consenso, legittimazione. Trasformazioni e 
prospettive, a cura di Raffaella Gherardi, Roma, Carocci, 2002, p. 
 9
1.3 La funzione sociale e le “retoriche” dell’ospitalità 
 
Dopo aver cercato di fornire una definizione generica di ospitalità, resta ora 
da considerare la sua funzione per così dire sociale. 
Come abbiamo visto precedentemente, l’ospitalità funge da anello di 
congiunzione tra un “dentro” e un “fuori”, tanto che chi si occupa di 
xenosofia, ovvero di riflessione sulle leggi di ospitalità, preferisce accostare 
l’intero dibattito all’immagine della porta, come limite tra due mondi, una 
soglia come tappa decisiva assimilabile ad un’iniziazione. 
L’ingresso di uno straniero/ospite all’interno di una comunità chiusa 
comporta necessariamente un atto di intrusione, di sconfinamento. Compito 
dell’ospitalità è pertanto innanzitutto quello di limitare l’aspetto per così 
dire “violento” dello sconfinamento nel dominio dell’Altro, di ciò che non 
è proprio. A questo scopo, si parla a tutti gli effetti di “prossemica” 
dell’ospitalità, cioè ci si riferisce a tutto un insieme di regole di 
comportamento, di gesti, di usi che l’ospitalità mette in atto per diminuire 
gli aspetti di ostilità e per trasformare il carattere di aggressività insito nello 
sconfinamento in una piacevole accoglienza. 
Chiaramente, al pari del soggetto ospitante, anche il soggetto ospitato sarà 
tenuto a mantenere alcune regole di condotta, legate in particolare alla 
discrezionalità, al rimanere confinato in determinati spazi, a rispettare la 
 10
dimora altrui, al non fare richieste eccessive, a limitare a poco tempo il 
proprio soggiorno.  
In quest’ottica si ricordi la cosiddetta “regola dei tre giorni”, presente in 
moltissime culture, simbolicamente atta a significare un giorno per 
l’accoglienza, uno per il soggiorno, uno per la partenza. A questo 
proposito, si pensi al Miles Gloriosus di Plauto, in cui l’ospite che resta più 
di tre giorni viene definito odiosus.
10
 
Ancora Montandon fa notare come “il paradosso del gesto ospitale è di 
dover offrire avendo cura di mantenere la distanza pur instaurando una 
presenza”
11
. 
 Dunque da un punto di vista antropologico il gesto di ospitalità è 
innanzitutto il mezzo necessario per accogliere lo straniero, preservandolo 
nella sua identità e non il mezzo per avviare una forma di integrazione nella 
società ospitante.  
In questo contesto, l’elemento temporale (la breve durata del soggiorno) si 
propone di colmare la frattura spaziale che l’evento dell’ingresso di uno 
straniero porta con sé.  
 
                                                 
10
 “Nam hospes nullus tam in amici hospitium devorti potest, quin, ubi triduum continuum fuerit, iam 
odiosus siet”. “Nessun ospite può alloggiare presso un amico senza infastidirlo con la sua presenza dopo 
tre giorni”.  Plaute, Menaechmi, mercator, miles gloriosus, Paris, Société d’édition “Les belles lettres”, 
1963, p. 222. Per la versione italiana si veda  Plauto,  Le Commedie, a cura di Carlo Carena, Torino, 
Giulio Einaudi Editore, 1975, p. 581.  
11
 A. MONTANDON, I limiti dell’ospitalità, in “Ágalma”, n. 7-8, Meltemi, marzo 2004, p. 15. 
 11
1.4  Ospitalità come istituto e oggetto di dibattito storico-politico 
 
In realtà la prossemica dell’ospitalità non viene messa in atto ogni volta che 
uno straniero si presenti all’ingresso di una comunità, poiché non sempre il 
gesto dell’ingresso è accompagnato da una richiesta di accoglimento e da 
un corrispondente invito/concessione a soggiornare. 
Per questi motivi ogni comunità politica ha sviluppato nel tempo delle 
regole di comportamento per l’ingresso e il soggiorno all’interno della 
comunità di appartenenza, e la riflessione storico-politica si è preoccupata 
non solo di elencarne i limiti e di precisare i diritti spettanti allo straniero, 
ma anche, e soprattutto, di fornire delle argomentazioni filosofiche per 
legittimare e ancorare i diritti dello straniero a principi più universali di 
rispetto per l’uomo in quanto tale. 
Sotto la spinta commerciale e con il miglioramento delle vie di 
comunicazione, l’ospitalità ha assunto in moltissime culture una forma 
giuridica, riconosciuta e tutelata attraverso dei veri e propri istituti. Sarebbe 
inutile e per giunta riduttivo ripercorrere i molteplici riferimenti giuridici 
presenti nel mondo greco e romano circa l’ospitalità, ma basterà qui 
ricordare come ad esempio nell’antica Roma attraverso concessioni 
particolari sia di diritto pubblico che di diritto privato, lo straniero potesse 
compiere atti giuridici tipici dello ius civile come il matrimonio o la