2 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
 3 
CAPITOLO 1 
LE SOCIETÀ DI CALCIO PROFESSIONISTICHE.  
NASCITA E MOTIVI DELLA CRISI 
 
1.1  Premessa 
 
Il gioco del Calcio è uno sport di tipo associativo, che ha radici antiche nella storia dell’uomo. 
Tracce di giochi simili sono rintracciabili in diversi luoghi e diverse epoche.  
Antichi giochi con la palla erano praticati già in Cina e Giappone verso l’XI secolo a.C., 
mentre in Europa le prime testimonianze risalgono al IV secolo a.C., in Grecia, durante i giochi 
olimpici. 
Altre tracce si possono rinvenire durante il Medioevo sia in Inghilterra sia nella splendida 
Firenze dei Medici, ma erano ancora rozzi tentativi di divertimento più che giochi organizzati. 
Il Calcio moderno, per come lo conoscono tutti, trova le sue radici al termine dell’Ottocento 
nel Regno Unito e venne esportato rapidamente in tutto il Mondo, tra cui anche Italia, dove ebbe 
un rapido successo. 
Nel nostro Paese si decise di utilizzare subito gli usi, i costumi e anche l’impianto normativo 
nato in Inghilterra. 
Così, nelle maggiori città italiane a cavallo del secolo, nacquero le prime associazioni sportive: 
Genoa, Vercelli, Udinese, Juventus, Torino e Lazio. 
A queste compagini se ne aggiunsero altre e furono così organizzati i primi tornei a carattere 
nazionale. 
Sin dai primi anni del Novecento, questo sport era visto e vissuto come mezzo associativo 
attraverso il quale gli uomini potevano occupare il tempo libero e divertirsi.  
Con il passare del tempo il Calcio, a differenza di altri sport, prese piede e cominciò ad avere 
una massiccia diffusione su tutto il territorio, tanto che le formazioni cittadine iniziarono a 
organizzarsi con l’intento di vincere le competizioni nazionali cui partecipavano, aumentando di 
fatto, il tasso tecnico dei tornei e il livello agonistico delle competizioni.  
Con queste premesse viene a mancare il carattere ludico di questo gioco e si tende ad 
aggregarsi in associazioni, non più con il solo scopo di partecipare a una manifestazione, ma con 
il successivo obiettivo di raggiungere la vittoria. 
 
 
  
 4 
1.2  Fatti rilevanti fino al 1981 
 
  Tabella 1.1 – Evoluzione del sistema calcio italiano 
PERIODO 
 
MOTIVO 
DELLA CRISI 
RAPPORTO DI 
LAVORO 
FONTI 
LEGISLATIVE 
EFFETTI 
 
DAL 1966 
AL 1980 
Crescita 
economica 
generalizzata dei 
club 
Management 
impreparato 
Calciatore non è 
più associato, bensì 
professionista 
 
Delibere della 
FIGC 
Trasformazione 
delle associazioni 
sportive in S.p.A. 
Nasce il 
professionismo 
sportivo 
DAL 1981 
AL 1995 
Assenza dello 
scopo di lucro 
La società di calcio 
è vista come 
investimento 
pubblicitario 
Introduzione 
dell’Indennità di 
Preparazione e 
Promozione (IPP), 
grazie 
all’eliminazione del 
vincolo sportivo 
Legge n.91/81 
Riconoscimento 
del professionismo 
a livello giuridico 
DAL 1996 
AL 
GIORNO 
D’OGGI 
Sentenza Bosman 
Incremento 
notevole di diritti 
televisivi e ingaggi 
Libera circolazione 
dei giocatori 
comunitari 
Svincolo effettivo 
al termine del 
contratto 
Sentenza Bosman 
della Corte 
Europea 
(C415/93) 
Legge n. 586/1996 
Legge n. 27/2003 
Crescita potere 
contrattuale 
calciatore 
Crescita ricavi 
Riconoscimento 
allo scopo di lucro 
   Fonte: nostra elaborazione sui fatti più rilevanti accaduti nel mondo del calcio italiano 
 
All’inizio degli anni Sessanta, le spese di gestione di questo sport1 erano molto contenute: si 
impiegava denaro unicamente per acquistare il materiale da adoperare sul campo da gioco 
(indispensabile per svolgere l’attività sportiva). Gli atleti, allenatori e altre persone che 
accompagnano la squadra non erano remunerati. Le compagini dell’epoca si organizzavano sotto 
                                                 
1
 <<Lo sport, [ ], all epoca era riguardato come  un impulso generoso e liberissimo , come uno  sforzo 
lussuoso che si profonde a piene mani senza speranza di ricompensa alcuna , con la conseguenza che ven iva 
considerato tale solo quello dilettantistico, mentre quello professionistico appariva una sua forma impura ed 
anomala se non, addirittura, una sua indesiderata manifestazione degenerativa. [ ]. Avery Brundage, al lora 
presidente del CIO con una frase  Sport is Sport, B usiness are Business  ha comportato, in quel period o 
storico, non solo la messa al bando del professionismo e la rigida applicazione delle regole olimpiche in tema di 
ammissione e di esclusione dai giochi, ma anche l espresso divieto, sia per le societ  che per gli atl eti, di fare   
disdicevole commercio della loro immagine >>, DE SILVESTRI A., in AA.VV., Diritto dello sport, Le 
Monnier Universit , Firenze, 2004, p.6. 
 
  
 5 
la forma di associazioni sportive, dirette da un’unica figura, che non si può ancora chiamare 
imprenditore, bensì mecenate. Egli era l’unico responsabile della squadra, e si sobbarcava 
interamente i costi di gestione dell’associazione; altri membri che componevano l’associazione 
erano i calciatori, ma essi avevano il solo compito di giocare le partite e non dovevano 
preoccuparsi di altre questioni.  
Dalla seconda metà del decennio, in concomitanza con l’organizzazione di tornei sia nazionali 
sia internazionali, nei campi di gioco cominciava ad accendersi l’agonismo, veicolo necessario per 
arrivare alla vittoria, e anche fuori dai campi, i dirigenti delle squadre cercavano di allestire “rose” 
sempre più competitive con il fine di raggiungere il massimo risultato sportivo.   
Questo circolo virtuoso accompagna un problema economico molto importante. I costi di 
gestione iniziavano ad aumentare vertiginosamente e le spiegazioni sono intuitive: aumentano il 
numero e la distanza delle trasferte (dato che incide ancor di più per chi decide di avventurarsi in 
competizioni internazionali) e si cerca di raggiungere accordi per integrare le rose con i calciatori 
dalle migliori caratteristiche tecniche, sia italiani, sia stranieri. Ciò, porta a una conseguenza 
piuttosto indicativa: in pratica sparisce la figura dell’atleta-associato, e si giunge a una primitiva 
forma di atleta professionista. 
Il mecenate si trovò in difficoltà di fronte a questa lievitazione spropositata delle spese, così 
l’assetto dirigenziale dovette essere modificato per far fronte a tutti questi nuovi problemi. 
Attorno al presidente, si affiancarono dei nuovi soggetti finanziatori, che condividevano le 
perdite. 
Tutti questi motivi messi assieme, formavano dei vincoli letali per l’associazione sportiva, che, 
tra l’altro, cercava sempre più di assumere una forma imprenditoriale. 
Nel 1966, la FIGC, prese in mano la situazione e approvò una serie di provvedimenti per 
cercare di tamponare l’emorragia che andava propagandosi nel mondo del calcio. Il programma di 
risanamento ha avuto due tappe principali: 
1. Delibera del Consiglio Federale della FIGC del 16 settembre 1966; 
2. Delibera del Consiglio Federale della FIGC del 21 dicembre 1966. 
 
La prima tappa, prevedeva la nomina di un commissario straordinario2, il quale aveva pieni 
poteri gestionali per l’intera durata del mandato, e il suo scopo era di mettere in liquidazione 
                                                 
2
 In quel periodo, venne nominato un commissario straordinario per ciascuna associazione calcistica 
professionistica, ovvero quelle di serie A e B. 
  
 6 
l’associazione sportiva di competenza, per poi costituire una società per azioni3. La seconda tappa 
invece prevedeva la scrittura di uno statuto tipo per ogni singola società. 
Le precedenti delibere vennero bloccate in un primo momento dal Consiglio di Stato e dalla 
Corte di Cassazione, che ne contestavano la legittimità. Infatti, secondo questi organi, la FIGC 
(organo esterno) non poteva portare le associazioni (organi privati) allo scioglimento coattivo. 
Alla fine, la trasformazione in S.p.A. voluta dalla Federazione venne compiuta. 
La riforma progettata, obbligava le Società per Azioni di nuova costituzione a modificare il 
loro modo di rendicontazione gestionale. Nel periodo di crisi, i presidenti erano abituati a un 
sistema di tipo finanziario, in altre parole venivano contabilizzate unicamente le entrate e le uscite 
monetarie4. Il disavanzo che risultava da tale rendiconto, veniva appianato dal Presidente e dagli 
altri soci finanziatori. Il nuovo sistema presupponeva invece, il metodo economico-patrimoniale, 
quindi una rilevazione di costi e ricavi, e la suddivisione della vita dell’azienda (che si presuppone 
infinita) in periodi amministrativi. In questo modo, si iniziava a tener conto del valore contabile 
dei calciatori, che facevano parte del patrimonio della società. 
 
La costituzione dello statuto societario porta altre novità rilevanti: 
-  oggetto sociale: per la prima volta si stabiliva che la società ha per oggetto la formazione, la 
preparazione e la gestione delle squadre di calcio, ed anche la promozione e l’organizzazione di 
gare, tornei e ogni altra manifestazione calcististica, anche giovanile. Da questo articolo dello 
statuto, per il momento si escludeva qualsivoglia attività diversa dall’organizzazione di gare o 
manifestazioni sportive, perciò si voleva evitare che il calcio fosse usato come “mezzo” per 
arrivare alla realizzazione di business alternativi; 
- assenza di scopo di lucro (soggettivo): lo statuto stabiliva la possibilità dell’impresa di generare 
utili, grazie all’esercizio dell’attività calcistica (lucro oggettivo), mentre viene dichiarata illegittima 
la distribuzione di utili tra i soci azionisti (lucro soggettivo); 
- rappresentanti esterni tra i soci e partecipazioni azionarie: viene riconosciuta alla FIGC, la 
possibilità di acquisire un massimo del 5% del capitale sociale della società. Viene inoltre vietata 
l’acquisizione di quote azionarie in società con il medesimo oggetto sociale (ovvero altre società 
calcistiche); 
                                                 
3
 A norma dell art. 2247 c.c. 
4
 <<Al termine di ciascuna stagione sportiva si era soliti a procedere alla formazione di un rendiconto 
finanziario, nel quale erano schematicamente riportate per classi compendiose, le entrate e le uscite monetarie 
dell esercizio. Pertantonel rendiconto non figuravano generalmente nØ la capitalizzazione dei costi d acquisto 
del patrimonio giocatori, nØ gli ammortamenti degli oneri aventi carattere pluriennale>>, DE VITA G.,  Il 
bilancio di esercizio nelle societ  professionistic he, Fondazione Artemio Franchi, Firenze, 1998, p.21. 
  
 7 
- controllo esterno sulle scelte di gestione: la riforma prevede la preventiva approvazione, da 
parte degli organi federali, per tutti quegli atti che riguardano le assunzioni di mutui, fideiussioni o 
ogni altro finanziamento. 
Le precedenti novità non portano, però, agli effetti sperati e alla fine degli anni Sessanta, la 
situazione economica delle società rimane disastrosa e ciò ha delle motivazioni ben precise. 
Innanzitutto, considerando che i vari club continuavano a registrare gravi perdite, chi si 
avventurava alla guida degli stessi, dovevano necessariamente ricercare una remunerazione 
indiretta. Siccome questo sport, iniziava ad avere un palcoscenico mediatico importante, 
Presidenti e azionisti, cercavano soprattutto di avere un ritorno d’immagine, che potesse giovare, 
sia alla propria persona, che eventualmente, ad altre imprese di proprietà. 
Le persone che stavano a capo delle società calcistiche, la maggior parte delle volte non 
avevano ricevuto l’adeguata formazione imprenditoriale per gestire al meglio le risorse che 
avevano a disposizione, perciò effettuavano scelte, fortunate o sfortunate, frutto d’intuizioni 
casuali. La diretta conseguenza del concetto appena espresso è elementare; i conti delle società 
facenti parte del panorama calcistico italiano erano pesantemente deficitari, poiché non si 
prestava attenzione all’equilibrio economico-finanziario. Non c’era motivo di preservare tale 
equilibrio, anche perché la riforma aveva vincolato i dirigenti a non usufruire della ricchezza 
creata, grazie al divieto di lucro soggettivo. 
Un modo semplice per sopperire alle gravi perdite subite per la lievitazione dei costi di 
gestione diretti e indiretti delle società di calcio, era quello di raggiungere la vittoria dei tornei, 
soprattutto quelli internazionali, poiché ne derivava un cospicuo premio in denaro. Per non 
parlare del prestigio che si poteva raggiungere. Perciò in quel periodo ci fu una sfrenata rincorsa 
al successo calcistico, con ogni mezzo, poiché portava visibilità e popolarità alla squadra e ai suoi 
dirigenti5. 
Terminando, questo trend può essere raffigurato grazie ad alcuni dati: nel 1972 le perdite 
erano di 18 miliardi di lire (9,5 milioni di euro), mentre nel 1980 erano aumentate a 86 miliardi di 
lire (circa 44 milioni di euro)6. La sola trasformazione da associazione sportiva in società di 
                                                 
5
 <<Il successo ed il prestigio sportivo si sono storicamente dimostrati il motore che ha spinto l impresa [ ] ad 
investire nello sport professionistico e nel calcio professionisticoin particolare: ma il perseguimento dei risultati 
sportivi non si pone come l obbiettivo finale dell attivit , ma semplicemente come l obbiettivo strume ntale per il 
conseguimento di profitti in via mediata e indiretta, proprio perchØ la gestione dell impresa sportiva, sia a 
livello nazionale che a livello locale, si Ł sempre dimostrata uno straordinario veicolo pubblicitario per 
l imprenditore e la sua impresa>>,  DE VITA G., cit, p.27. 
6
 Dati che riguardavano le societ  di A e B, fonte w ww.figc.it. 
  
 8 
capitali, non poteva bastare a risanare il si stema, soprattutto mantenendo il divieto della 
distribuzioni di utili, che come vedremo è rimasto per molti anni. 
 
1.3 Le conseguenze all’approvazione della Legge n. 91/81 
 
La legge n. 91/81 è l’unico atto normativo volto a regolare lo sport professionistico in Italia, 
ed è nata con l’unico intento di contrastare la crescente crisi economica, che le precedenti delibere 
federali avevano provato ad arginare. Era un intervento ritenuto doveroso dallo Stato, e 
soprattutto dai dirigenti delle società, anche perché proprio nell’estate del 1978 la Pretura di 
Milano aveva deciso di bloccare il calciomercato. Il motivo non erano le ingenti perdite delle 
imprese calcistiche, bensì la violazione della legge n. 1369/60, riguardante la manodopera, che 
vietava l’intervento di mediatori nella fase di stipulazione del contratto di lavoro subordinato (al 
tempo, era ancora considerato lavoro subordinato, il rapporto tra sportivo professionista e 
società), dunque nessun procuratore poteva trattare la cessione del proprio assistito ad alcuna 
società. 
Il Governo si impegnò a far svolgere regolarmente il campionato italiano, promettendo di 
regolamentare a breve la normativa per quanto riguarda il mondo dello sport professionistico. 
Così, il 23 marzo del 1981 venne emanata la legge n. 91, intitolata “Norme in materia di rapporti tra 
società e sportivi professionisti”. Quest’ atto normativo colma le lacune del mondo del calcio, che 
avevano portato al blocco del calcio mercato nel 1978, per quanto riguarda il rapporto di lavoro 
tra atleti e i loro datori di lavoro. Inoltre si cercava di regolamentare alcuni aspetti di bilancio delle 
società, tentando di dettare linee guida per migliorare la gestione delle imprese. Nel testo della 
legge in questione si trovavano dei provvedimenti atti a regolare in modo definitivo i seguenti 
temi:                          
•  la forma giuridica della società sportiva professionistica e il suo oggetto sociale; 
• il rapporto tra atleta e società; 
• i trasferimenti degli atleti tra le varie società; 
• il sistema dei controlli federali. 
Innanzitutto il legislatore aveva introdotto una novità importante nella forma giuridica delle 
società in esame, perché da quel momento anche le Società a Responsabilità Limitata possono 
svolgere l’attività sportiva professionistica, non solo le S.p.A. 
Analogamente alla precedente riforma federale, nell’oggetto sociale era vietata la distribuzione 
degli utili, mentre era previsto l’obbligo di reinvestire gli stessi per il sostenimento dell’attività