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da parte delle più svariate organizzazioni criminali di tutto il mondo che, in meno di qualche 
decennio, hanno messo su un’immensa azienda che opera nella più assoluta illegalità, il cui giro 
d’affari totale supera di gran lunga i bilanci di molti stati sovrani.  
In questo senso l’esperienza di un film sul fenomeno della droga acquista un’alta responsabilità che 
è strettamente connessa con la numerosità e la tipologia del target cui si riferisce, ed è per questo 
motivo che si è scelto di passare in rassegna tutti i film del genere, operando naturalmente una 
selezione che ha privilegiato quelle pellicole che hanno “preso di petto” l’argomento, escludendo 
anche lungometraggi in cui vi sono riferimenti alla droga assai espliciti ma il cui tema centrale resta 
fondamentalmente un altro. 
Subito dopo una prima analisi dei film inclusi nella “lista”, un dato significativo è emerso: la 
maggiorparte dei registi ha messo strettamente in relazione il fenomeno della droga con il disagio 
della società moderna. Questo disagio, come vedremo dalle diverse storie che andremo ad 
analizzare, ha colpito giovani ed adulti, ricchi e poveri, è stato individuato dietro i più svariati 
motivi ed è stato interpretato ed esposto in altrettanti diversi modi.  
Nel valutare un lungometraggio che si pone l’obiettivo di affrontare il fenomeno della droga a 
qualsiasi livello sono stati tenuti in considerazione i criteri sopraelencati, inoltre, si è prestata molta 
attenzione alla capacità di ogni singola pellicola di sviluppare situazioni e soggetti che stimolino il 
dibattito e la riflessione, che propongano soluzioni costruttive o che evidenzino incoerenze e 
malfunzionamenti nel sistema cui fanno riferimento. Infatti, ogni pellicola assume un determinato 
valore in riferimento al contesto storico e culturale in cui è stata prodotta ed è appunto per questo 
motivo che si è ritenuto opportuno procedere ad un metodo di esposizione di tipo diacronico, in 
modo da risaltare anche alcuni aspetti dell’evoluzione del fenomeno della droga. 
Questo excursus attraverserà l’intera storia del cinema soffermandosi sui punti che sono stati 
ritenuti più significativi, verranno quindi sintetizzate le considerazioni più importanti in dei brevi 
discorsi trasversali. Inoltre, a conclusione di quest’iter, ho ritenuto opportuno aggiungere una 
postfazione che faccia brevemente il punto sulla situazione attuale del fenomeno stesso. 
 
 
 
 
 
 
II. 
Come già detto, è stata operata una grande selezione fra le migliaia di pellicole che hanno affrontato 
in qualche modo il tema della droga, per ragioni sia concettuali che di spazio si è preferito 
selezionare soltanto i titoli più emblematici e che danno un particolare risalto al fenomeno. Tuttavia 
vi sono dei “grandi esclusi” che meritano comunque d’essere anche solamente menzionati, sono 
esposti di seguito accompagnati da un commento che ne spiega brevemente l’esclusione: 
 
Sono state esclusi i film che trattano di traffico e assunzione di stupefacenti ma che si avvicinano 
più prettamente al genere del gangster-movie quali Il Padrino del 1972, Scarface del 1983, Quei 
Bravi Ragazzi del 1990, King of New York del 1990, Carlito’s Way del 1993, Casinò del 1995, 
Bullet Ballet del 1998, Lock and Stock del 1998 e City of God del 2002. 
 
Sono state esclusi film biografie di rockstar o personaggi famosi che hanno abusato di stupefacenti 
e che meriterebbero più che altro una trattazione a parte, tra questi The Wall del 1982 dedicato ai 
Pink Floyd, Syd e Nancy del 1986 dedicato a Syd Vicious bassista dei Sex Pistols morto per 
overdose di eroina, The Doors del 1991 dedicato a Jim Morrison morto per overdose di eroina, 
Basquiat del 1996 dedicato all’omonimo pittore morto per overdose di eroina, Last Days del 2005 
dedicato a Kurt Cobain, cantante e chitarrista dei Nirvana. 
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Sono stati esclusi i film che trattano il fenomeno della droga in relazione all’uso che di questa si fa 
negli eserciti in situazioni di guerra e di pace, ad esempio, Apocalypse Now del 1979 oppure 
Allucinazione Perversa del 1990. 
 
Sono stati esclusi i film indipendenti che si basano prettamente sulla sperimentazione di 
allucinogeni in voga negli anni ’60-’70 quali The Trip del 1967, Performance del 1970 e Stati di 
Allucinazione del 1980. 
 
Sono stati escluse anche alcune pellicole sicuramente molto valide ma il cui riferimento alla droga 
non risulta determinante ai fini di questa tesi, ad esempio, Arancia Meccanica del 1971, J’Entends 
Plus la Guitarre del 1991, Il Pasto Nudo del 1991, Il Cattivo Tenente del 1992, Pulp Fiction del 
1994, Jackie Brown del 1997 Paura e Delirio a Las Vegas del 1998, L’Erba di Grace del 2000, La 
Venticinquesima Ora del 2002, A Scanner Darkly del 2006. 
 
Una lista completa dei film in cui vi è riferimento alla droga si può consultare all’interno del sito 
The Internet Movie Database al seguente indirizzo: http://www.imdb.com/keyword/drugs/ 
 
 
 
 
 
III. 
Non è ovviamente compito di questa tesi prendere posizioni sull’enorme dibattito che è 
perennemente in corso intorno alla questione delle droghe, tuttavia, nell’analizzare criticamente 
quello che i registi hanno mostrato a proposito degli stupefacenti, si è posto il problema di stabilire 
un punto di riferimento neutrale, obiettivo e soprattutto aggiornato con cui poter realizzare 
puntualmente un confronto. 
Ho scelto di fare riferimento alle molteplici e robuste informazioni disponibili su Wikipedia, 
enorme enciclopedia online a contenuto open-source che, propria per questa sua caratteristica, è in 
grado di dare un punto di vista abbastanza obiettivo sui temi più importanti e controversi. Le pagine 
sui diversi tipi di droga sono curate decisamente bene e non cedono mai a strumentalizzazioni o 
banalizzazioni ma si attengono semplicemente ai dati scientifici più aggiornati e maggiormente 
verificati e sono frutto del confronto di migliaia di utenti, spesso su posizioni diametralmente 
opposte. Ci si può documentare sulla politica editoriale di Wikipedia direttamente dalla sua pagina 
principale: http://it.wikipedia.org. 
Tutti i tipi di droga menzionati in questa tesi sono presenti nelle pagine di Wikipedia ed alle 
informazioni contenute in queste fanno riferimento. 
 
Bibliografia 
David Bordwell - Kristin Thompson, Cinema come arte, Collana: Il castoro cinema 2006 
Per consultare l’intero testo del saggio di Casetti sull’Esperienza Filmica e le relative note alle teorie a cui Casetti fa 
riferimento: http://www.francescocasetti.net/saggi/EsperienzaFilmica.pdf 
Vedi Postfazione per i riferimenti al mercato della droga. 
 
 
 
 
 
 
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Il caso degli USA nella prima metà del XX secolo: fra autocensura 
hollywoodiana ed exploitation movies 
 
 
 
Sfogliando gli immensi archivi dei film made in Hollywood si potrà notare come il primo film a 
trattare l’argomento arrivò solamente nel 1955 e fu L’Uomo dal Braccio d’Oro di Otto Preminger. 
Com’è possibile? Nei primi anni del novecento, la diffusione dell’uso dell’eroina negli Stati Uniti 
era già considerato un fenomeno assolutamente allarmante che portò alla messa al bando della 
famigerata sostanza nel 1925, risulta allora decisamente strano che a nessuno sia venuto in mente di 
trarre uno sceneggiato sull’argomento. La risposta è semplice: dai primi anni ‘30 fino ai primi anni 
’50 fu applicato all’industria hollywoodiana un protocollo che, di fatto, vietava di affrontare 
l’argomento, poiché era ritenuto immorale e pericoloso che le pellicole mostrassero immagini che si 
riferissero a qualsiasi aspetto del fenomeno droga. Gli sceneggiati che trattavano di traffici di droga 
o di tossicodipendenti erano sottoposti al Production Code, o anche noto come Codice Hays: questo 
imponeva una lunga serie di restrizioni di tipo morale che dovevano essere rispettate affinché il film 
avesse il “permesso” d’arrivare nelle sale di tutti gli Stati Uniti. 
 I fatti che portarono a questo sistema d’autocensura sono ampiamente documentati e, malgrado la 
loro analisi possa far pensare ad una sorta di battaglia per il controllo del potente strumento di 
trasmissione di valori che è Hollywood, in realtà, non vi è stato nessun tipo di rivoluzione e 
fondamentalmente il corso degli eventi ha seguito gli sviluppi dei costumi e del mercato 
Americano. 
Dopo che la Corte Suprema aveva sentenziato, nel 1915, che le pellicole cinematografiche non 
erano coperte dal primo emendamento, in molte città s’erano formati dei comitati pubblici che 
avevano iniziato a porre divieti sulla proiezione di film ritenuti immorali. Fu così che fra i 
produttori della neonata Hollywood si cominciò a temere che presto sarebbe seguita una 
legislazione federale molto restrittiva in materia. A peggiorare la situazione, nei primi anni venti, 
arrivarono tre grossi scandali ampiamente amplificati dalla stampa dell’epoca: il processo per 
omicidio della star delle commedie Roscoe 'Fatty' Arbuckle (implicato nella morte dell'attrice 
Virginia Rappe ad una festa degenerata), l'assassinio del regista William Desmond Taylor e le 
rivelazioni sul suo stile di vita, nonchè la morte dovuta alla morfina del popolare attore Wallace 
Reid. Tutto questo sembrava confermare in pieno la percezione che molti avevano di Hollywood 
come della “città del peccato”. 
Con l’intenzione di presentare un'immagine finalmente positiva dell'industria cinematografica, 
venne creata nel 1922 con un comune accordo da parte degli studios l'MPPDA, ovvero la Motion 
Pictures Producers and Distributors Association. Questa fu affidata alla guida di Will H. Hays, 
“uomo di facciata” che la condusse sino al 1945.  
Hays chiese immediatamente di stabilire una serie di standard morali per i film, ma non vi fu un 
vero e proprio regolamento, poiché la sua neonata associazione non godeva ancora dei poteri 
sufficienti per esercitare una vera e propria pressione. Arrivò comunque a stendere il Production 
Code nel 1930 che indicava dei punti generali a cui le pellicole si dovevano attenere. Questo è 
spesso denominato Codice Hays per via del posto di spicco che questo occupava, ma ricondurre 
tutti gli eventi al suo nome è ovviamente fuorviante. 
La crisi economica del 1929 portò comunque nelle sale una nuova ondata di film considerati 
violenti e dalle atmosfere moralmente conturbanti che ignoravano puntualmente quanto stabilito da 
Hays che non riuscì a fare nulla per evitarlo. La crisi fu percepita dalla Chiesa Cattolica che fece 
piombare una valanga di accuse su Hollywood, qualcuno parlò addirittura di un tentativo di 
destabilizzazione del paese tramite la diffusione di valori “socialmente distruttivi”. Venne formata 
nell’aprile del 1934  la Catholic Legion of Decency che di fatto si proponeva di boicottare i prodotti 
hollywoodiani. 
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Gli studios, di fronte al rischio di una perdita economica immensa, si videro costretti a cedere 
immediatamente a nuove misure, di fatti il Production Code venne riscritto ed entrò formalmente in 
vigore. Joseph I. Breen fu eletto capo della nuova Production Code Administration (vi rimase fino 
al 1954). La facoltà di Breen di modificare sceneggiature e scene filmate provocò l'ira di molti 
sceneggiatori, registi e produttori di Hollywood che comunque avevano, di fatto, le mani legate. 
Infatti, ogni film doveva ottenere un certificato di approvazione dall’ufficio di quest’ultimo prima di 
approdare nelle sale di tutti gli Stati Uniti. L'introduzione del Production Code causò la scomparsa 
di molti comitati locali di censura che si erano autoformati nel corso del decennio precedente.  
Nel 1945 la MPPDA divenne la Motion Picture Association of America e subentrò a Hays nel ruolo 
di “volto” dell’associazione Eric Johnston. 
Le produzioni hollywoodiane lavorarono sempre entro i limiti posti fino ai tardi anni '50, nei quali 
ebbe termine l'epoca d'oro di Hollywood, quando il cinema dovette affrontare i nuovi minacciosi 
contendenti. Il primo di questi fu la televisione, che permetteva al pubblico americano di non 
abbandonare le proprie abitazioni per vedere delle pellicole cinematografiche. Hollywood capì la 
necessità di dover offrire agli americani qualcosa che la televisione non sarebbe stata in grado di 
dare, poiché anche la televisione era soggetta ad un codice di regolamentazione ancora più 
restrittivo. C’era anche la crescente concorrenza del cinema straniero, con produzioni di grande 
eccellenza come Ladri di biciclette di Vittorio De Sica del 1950, anche questa però soggetta ad 
alcuni controversi tagli da parte dell’MPAA. 
A dare il colpo di grazia al sistema vigente fu il famoso processo che portò finalmente alla luce il 
monopolio anticostituzionale operato dai grossi studios: RKO, Paramount, MGM, Fox e Warner. 
L'integrazione verticale nell'industria cinematografica violava le leggi antitrust e gli studios furono 
forzati ad abbandonare la proprietà delle sale, perdendo così gran parte del loro potere sul mercato. 
Gli studios non potevano più bloccare l'importazione di film stranieri, che non erano più vincolati 
dal Production Code. Le regole antitrust aiutarono anche a spianare la strada per le case di 
produzione cinematografica indipendenti che avrebbero mostrato agli spettatori contenuti che 
andavano ben oltre i dettami del suddetto codice. Di fatto questo venne archiviato ben presto anche 
a Hollywood, la legge del mercato lo mise sul trono, la legge del mercato ve lo tolse.  
 
Affrontiamo adesso un altro curioso argomento: esistono una serie di curiosissime pellicole attestate 
lungo gli anni trenta negli USA che trattano direttamente della marijuana e del suo impatto con la 
società. Queste stravaganti pellicole giravano per le sale di tutti gli Stati Uniti ed erano 
continuamente rinominate con titoli come Marijuana: assassina della gioventù, L’erbaccia del 
Diavolo, Gioventù Drogata, Dillo ai Tuoi Bambini, La Minaccia della Marijuana. 
In questi lungometraggi veniva presentata questa nuova sostanza, la Marijuana, (eppure sotto il 
nome di Canapa era conosciuta già da tempo immemorabile negli Stati Uniti) come vero e proprio 
frutto del diavolo in persona. In queste pellicole uomini e donne si abbandonavano, dopo aver 
fumato la letale droga, ad atti di immoralità indicibile: orge, omicidi, crimini di ogni tipo.  
In Assassin of Youth un’intera città, incurante degli avvertimenti della stampa, cede alla follia della 
Marijuana e si finiscono per generare ovunque inquietanti festini dove sembra poter succedere 
qualsiasi cosa; in Marihuana, Burma fuma uno spinello nella spiaggia col suo ragazzo ed altre 
simpatiche ragazze e si ritrova clamorosamente incinta, finirà per diventare una grossa spacciatrice 
di erba, naturalmente non prima che il suo ragazzo muoia a causa di questa ed il suo bambino vada 
in adozione!  
Il più famoso resta sicuramente Reefer Madness, vero e proprio capolavoro di disinformazione e 
propaganda: il film comincia con una conferenza sull’argomento, dove un gruppo di genitori ascolta 
attentamente i discorsi apocalittici di un professore che ben presto inizia a rivolgersi direttamente al 
pubblico cinematografico predicendo ogni genere di sciagura ad ogni eventuale consumatore di 
marijuana. La pellicola-documentario viene quindi abbandonata, per preferire una pellicola-
racconto, dove si mette in scena una vera e propria fiction sul modello di “è una cosa che potrebbe 
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succedere anche a voi”. La storia è impostata come un film poliziesco. Una coppia deviata 
organizza festini per causare dipendenza dalla marijuana in ignari ed innocenti concittadini fra cui 
parecchi giovani. Ma mentre la coppia sembra immune al consumo della droga, chi gli sta attorno 
comincia a mettere in atto ogni aberrazione esistente. Gli sfortunati consumatori di marijuana quindi 
si trasformano, passando da giovani tranquilli e educati a veri e propri delinquenti. Ma non solo 
cambia il loro comportamento, si può notare anche una metamorfosi a livello fisico. I visi si fanno 
scavati, aumentano le occhiaie. Fortunatamente alla fine la legge trionferà e la lezione sarà 
assimilata ben bene dai ragazzi.  
Da notare è come il film non presenti colpi di scena ed altri artifici, ma prosegua imperterrito verso 
un finale già stabilito, perché il punto da raggiungere non è la bellezza cinematografica ma il valore 
didattico dell’opera. Sotto questo aspetto il film è anche crudele. Non ci vengono, infatti, 
risparmiate le peggiori declinazioni della morale e, neppure nel finale, si ritrova l’happy end. Si 
alternano i momenti del passato dei ragazzi con quelli del presente, un presente disfatto e decadente, 
tendente al suicidio. Memorabili alcune frasi così altisonanti da risultare sfacciatamente comiche, 
come ad esempio <Sotto l’influenza della droga ha ucciso tutta la sua famiglia con un’ascia>, 
oppure <La minaccia della marijuana è più immorale e più mortale anche di quelle droghe che 
distruggono lo spirito (eroina e morfina NdA)>.  
Rimane da chiedersi cosa abbia spinto questi valenti registi a filmare queste pellicole che, sebbene 
oggi risultino assolutamente ridicole, al tempo ebbero sicuramente un grosso eco sul territorio 
Americano. La paternità di queste pellicole risulta misteriosa, non essendo queste coperte da alcuna 
forma di copyright; eppure la loro realizzazione e distribuzione, per quanto mediocre, dev’essere 
certamente costata parecchio e non può semplicemente essere attribuita a delle terrorizzate 
associazioni cattoliche spaventate da una sostanza che non era certamente nata in quel periodo 
storico. 
Ebbene il discorso è anche qui molto semplice e si riconduce ancora una volta alla logica del 
mercato. La canapa era, come già detto, ampiamente nota negli States già da tempo ed aveva 
svariati usi nel settore tessile ed industriale per un giro d’affari decisamente consistente.  
A qualcuno la cosa non andava più bene, qualcuno di molto potente: William Randolph Hearst, 
magnate della carta stampa e personaggio decisamente controverso che ispirò Orson Welles per la 
figura di Citizen Kane nel suo indimenticabile film Quarto Potere. Questi all’epoca aveva a sua 
disposizione un potere mediatico decisamente consistente ed aveva appena fatto dei grossi 
investimenti nella nascente industria della carta a base di cellulosa… serve aggiungere altro?  
La casa editoriale/cartaria Hearst fu la maggior sostenitrice, tramite i suoi quotidiani, della 
campagna anticannabis che imperversò lungo tutti gli Stati Uniti proprio in quelli anni. Nel suo 
Newspaper Tycoon si leggevano affermazioni come: <la marijuana è la strada più breve per il 
manicomio>, <fuma la marijuana per un mese e il tuo cervello non sarà niente più che un deposito 
di orridi spettri>, <l'hashish crea un assassino che uccide per il piacere di uccidere>. 
La sua campagna mediatica si basò sul deliberato tentativo di creare un’assoluta confusione 
sull’argomento tramite l’uso indistinto di diversi nomi per identificare un’unica sostanza; furono 
prodotte e distribuite, attraverso il circuito indipendente, numerose pellicole di propaganda (oggi 
noti come exploitation movies), e furono montati sui giornali di Hearst una lunga serie di veri e 
propri casi mediatici attorno all’argomento, la marijuana era causa delle peggiori immoralità, i 
ragazzi impazzivano e finivano per uccidere e uccidersi, venne addirittura additata come <peggiore 
delle droghe che uccidono lo spirito>.  
Hearst arrivò presto al conseguimento del suo obiettivo: la Marijuana Tax Act del 1937 che, di 
fatto, vietò anche la coltivazione della canapa per scopi industriali; a seguito di questo fu messa al 
bando in gran parte dei paesi Occidentali. Contemporaneamente la DuPont brevettò il Nylon.  
Jack Herer, ex militante del Partito Repubblicano, agli inizi degli anni Ottanta si impegnò nella 
ricerca delle motivazioni alla base del proibizionismo di questa pianta, riportate in seguito nei suoi 
scritti. Queste ricerche lo fecero divenire un convinto sostenitore della sua ri-legalizzazione. É 
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autore di "The emperor wears no clothes" (1985), uno dei più famosi libri sul proibizionismo della 
canapa, e di "Canapa" (1999) pubblicato anche in italiano. Herer nel libro asserisce e dimostra come 
negli anni Trenta e Quaranta i produttori di carta e gli inventori delle prime fibre sintetiche 
alimentarono una campagna di calunnie sulla canapa, mistificando le proprietà psicoattive della 
pianta allo scopo di eliminarla dal mercato, data la pericolosissima concorrenza che questa 
rappresentava; tutt’ora numerosissimi studi confermano la grande versatilità di questa pianta nei più 
svariati campi dell’industria. 
Ritornando sugli exploitation movies rimane da dire che ancora oggi trovano nuovi e curiosi 
spettatori: essi sono diventati, infatti, dei veri e propri cult per via del loro approccio assolutamente 
surreale e mistificatorio all’argomento, fortunatamente oggi un film del genere può solamente far 
fare più d’una risata. Non essendo protetti da copyright sono anche visionabili gratuitamente su 
Internet. 
 
Narcotic (aka Narcotic!, Narcotic Racket) 
Regia di Dwain Esper, Vival Sodar’t. 
Interpreti: Harry Cording, Joan Dix, Patricia Farley, Jean Lacy. 
Genere: Exploitation movie. 
b/n, 57 minuti. USA (distretto di New York) 1933. 
 
Refeer Madness (aka Dope Addict, Doped Youth, Love Madness, Tell Your Children) 
Regia di Louis J. Gasnier. 
Interpreti: Dorothy Short, Kenneth Craig, Lillian Miles, Dave O’Brien, Thelma White. 
Genere: Exploitation movie. 
b/n, 66 minuti. USA 1936. 
 
Marihuana (aka Marihuana, the Devil’s Weed – Marihuana, the Weed with Roots in Hell!) 
Regia di Dwain Esper. 
Interpreti: Harley Wood, Hugh McArthur, Pat Carlyle, Paul Ellis, Dorothy Dehn. 
Genere: Exploitation movie. 
b/n 57 minuti. USA 1936  
 
Assassin of Youth (aka Marihuana, The Marijuana Menace) 
Regia di Elmer Clifton. 
Interpreti: Luana Walters, Arthur Gardner, Fay McKenzie, Michael Owen 
Genere: Exploitation movie. 
b/n, 80 minuti. USA 1937. 
 
Bibliografia 
Sulla storia dell’eroina: http://it.wikipedia.org/wiki/Eroina 
Approfondito articolo sull’MPPDA: 
http://www.sensesofcinema.com/contents/03/29/pre_code_cinema.html 
Vito Russo, Lo schermo velato, Milano, Baldini & Castoldi, 1999 
Appunti sul Production Code su Wikipedia: 
http://it.wikipedia.org/wiki/Codice_Hays 
Il Testo integrale del Production Code: 
http://www.classicmovies.org/articles/blhayscode.htm 
Appunti sul genere d’exploitation su Wikipedia: 
http://it.wikipedia.org/wiki/Film_d'exploitation 
Appunti sui film di propaganda in America: 
http://www.lib.berkeley.edu/MRC/propaganda.html 
Appunti sulla questione-canapa su TheTruthSeeker, Wikipedia: 
http://www.thetruthseeker.co.uk/article.asp?ID=3774, http://it.wikipedia.org/wiki/Jack_Herer 
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Otto Preminger rompe il silenzio e racconta il dramma della 
tossicodipendenza 
 
 
L'Uomo dal Braccio d'Oro (The Man with the Golden Arm) 
Regia di Otto Preminger.  
Interpreti: Frank Sinatra, Kim Novak, Eleanor Parker, Darren McGavin, Arnold Stang. 
Genere: Drammatico 
b/n, 119 minuti. USA 1955. 
 
Trama: 
Frank, ex-eroinomane appena uscito dal carcere, torna al suo quartiere deciso a farsi una vita 
nuova, vuole lasciare il suo lavoro di mazziere in una bisca clandestina per tentare un’onesta 
carriera come batterista per orchestre jazz, ma il gestore della bisca presso cui lavorava ed il suo 
spacciatore gli vanno subito contro, lui è troppo importante per gli affari di entrambi. 
A casa la situazione di Frank non è più semplice: sua moglie Anna, infatti, finge di essere rimasta 
invalida a causa di un incidente stradale che lo stesso Frank ha causato in stato di ebbrezza, e 
sfrutta i sensi di colpa di quest’ultimo per tenerlo completamente al suo servizio e per farsi pagare 
costose quante inutili cure riabilitative. Anche Anna si mostra subito contraria alla sua nuova 
carriera, ma Frank non vuole cedere, sa benissimo che ricominciare con la vecchia vita lo farebbe 
ricadere nel tunnel dal quale è appena uscito. Solo la bellissima vicina di casa, Molly, lo 
incoraggia ad andare avanti; i due sono molto affiatati e strettamente legati ma Frank non osa 
lasciare Anna finché questa non si sia completamente ripresa. 
Riesce finalmente a ottenere un provino, ma non riesce a presentarsi per una serie di sfortunati 
eventi, così si vede temporaneamente costretto a ritornare dal suo vecchio datore di lavoro. L’ansia 
ed il nervosismo lo portano di nuovo fra le mani di Louie che fiutando il suo momento di debolezza 
lo convince a farsi un’ultima dose. Frank scivola così nel baratro ed in un primo momento litiga 
seriamente con Molly per via del suo ritorno all’eroina, ma poi sarà proprio lei ad aiutarlo a 
disintossicarsi nuovamente e a fargli ritrovare la voglia di rialzarsi e staccarsi dalla pessima 
situazione in cui si è ricacciato. Nel finale Frank scoprirà fortuitamente la farsa inscenata dalla 
moglie, e quest’ultima, in un ultimo disperato gesto, si ucciderà. Frank è adesso libero di rifarsi 
una nuova vita e nell’ultima scena lo vediamo venire incontro alla camera verso un nuovo futuro 
accanto a Molly. 
 
Questo robusto melodramma di Otto Preminger è tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore 
Nelson Algren e ne condivide fondamentalmente la trama, se si esclude l’happy end non citato nel 
libro. Fu il primo film prodotto da una major a trattare il tema della tossicodipendenza, fra l’altro, 
con scene anche molto forti per l’epoca; malgrado Nelson Algren arrivi a citare in tribunale 
Preminger, autore secondo lui di un pessimo lavoro di adattamento, c’è comunque un enorme passo 
avanti nella rappresentazione di un tema che, fino ad allora, il Production Code aveva 
energicamente collocato fra i tabù del cinema hollywoodiano.  
Già i titoli di testa sono diventati una delle sequenze più celebri per la loro carica innovativa rispetto 
al passato, l’animazione di strisce di carta che si incrociano e che terminano con un braccio bianco 
su sfondo nero, affidati alla mano del designer Saul Bass, sono spesso citati come esempio di 
soluzione grafica geniale. La stupenda colonna sonora curata da Elmer Bernstein prevede una 
partitura jazz che accompagnerà tutto il film in maniera impeccabile e vi è una nuova attenzione nel 
ricostruire in studio l’ambiente della strada, nello sfondo si vede finalmente l’altra faccia 
dell’America: gente seduta dietro il bancone di un bar a non far nulla, strade sporche, misteriose, a 
volte anche pericolose, case popolari dove i vicini non fanno che litigare in continuazione, 
delinquenza e mentalità criminale largamente diffuse, c’è insomma una più mirata attenzione verso 
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quello che è l’ambiente dei quartieri più popolari delle grandi metropoli moderne. Naturalmente si 
commettono anche molte ingenuità: il personaggio di Anna appare oggi troppo costruito e 
artificioso anche se eccellentemente interpretato, lo spacciatore Louie è anch’egli ritratto in modo 
fin troppo pulito e appare caricaturato e lontano dalla realtà (sembra più un antagonista di Zorro che 
uno spacciatore da strada), c’è anche un generale senso di buonismo che rende molte scene dalle 
caratteristiche sociali e psicologiche decisamente drammatiche, molto meno espressive e 
sicuramente meno realistiche. 
In breve la pellicola ci mostra la vita di un uomo non certo benestante alle prese con la sua vita 
infernale, uscito di galera Frank ha deciso di cambiare, ma effettivamente la sua redenzione sarà 
molto più lunga e tormentata di quello che credeva. Frank è, infatti, assillato da ogni lato ed è 
appare per tutto il film come un uomo messo costantemente alle corde dalle circostanze (un po’ 
come l’Antonio Ricci di Ladri di Biciclette di De Sica); si trova alle prese con il boss del quartiere 
che non vuole lasciarlo libero, lo spacciatore a cui non va giù il fatto di perdere un cliente, la moglie 
finta-paralitica che tormenta la sua vita domestica e per di più ha costantemente guai con la polizia. 
Frank non riesce a trovarsi un lavoro onesto e si respira nel suo quartiere un “ambiente violento” 
dentro il quale è impossibile muoversi senza venirsi a scontrare con la malavita. Per l’intera 
pellicola Frank corre il rischio di diventare uno schiavo: schiavo della droga, schiavo di un 
disonesto strozzino, schiavo delle meschinità della moglie e l’unico modo che ha per evitarlo è 
reagire e tentare con forza un’altra strada, una via “pulita”. Viene così a crearsi l’antitesi fra vita 
vecchia/vita nuova che sarà propria di moltissimi film sul genere; quest’uomo dal fondo dei suoi 
problemi, disintossicatosi dall’eroina, l’unico “antidoto” che gli consentiva di sostenere il costante 
stato d’assedio, decide finalmente d’intraprendere un nuovo cammino, ma dovrà vedersela con tutti 
i fantasmi del suo passato e i demoni del suo presente. Il suo futuro coincide con un capovolgimento 
delle sue condizioni di vita, nel raggiungere ciò che veramente vuole per sé e riuscire a scrollarsi di 
dosso le catene che questa vecchia vita gli stringe attorno. Come detto questo è uno schema che 
moltissimi film sull’argomento useranno per rappresentare la strada verso la redenzione, l’iter che il 
protagonista deve compiere se vuole uscire dalla sua condizione di schiavo. 
Frank sa benissimo che commettere un passo falso vorrebbe dire ricadere nella spirale dell’eroina e 
fino a quando ne ha la forza cerca di tenersi alla larga da ogni tentazione, ma lo sa benissimo anche 
Louie che sta sempre lì a cercare il punto debole di Frank, ad aspettare il momento giusto per 
presentargli una nuova occasione per ricominciare a farsi; quando Frank alla fine cede spinto 
dall’escalation dei problemi che lo affliggono, dai litigi con Anna, tutti i precedenti anni di 
disintossicazione fisica e psicologica sono buttati al vento e ricomincia per lui il tragico cerchio 
eroina-soldi altra eroina-altri soldi. Adesso si ritrova di nuovo sul lastrico, incapace di reagire, e 
costretto a chiedere favori alla gente sbagliata, la sua situazione sembra farsi sempre più grave. I 
suoi rapporti con Molly precipitano così la sua capacità di essere brillante, come sapeva 
indubbiamente essere da lucido; quando si presenta ad un provino in piena crisi d’astinenza fa una 
magrissima figura e sembra aver dimenticato completamente come si suona la batteria, insomma, 
non riesce più nemmeno a coltivare la sua più grande passione. 
Il film di Preminger è una chiara, netta denuncia contro l’eroina, essere tossicodipendenti vuol dire 
essere trascinati in un vortice di miseria e rovina da cui si può uscire solo con l’aiuto di qualcuno, 
come vuole dimostrare chiaramente attraverso la terribile scena della disintossicazione “fai-da-te” 
nell’appartamento di Molly, altro classico che rivedremo in moltissime altre pellicole. Il problema 
dell’uso e abuso di oppiacei in America era già nato mezzo secolo prima, ma solo adesso la 
questione diventava materia filmica; Preminger ha tutto il merito di aver per primo strappato il velo 
che nascondeva un dramma sociale che era oramai sotto gli occhi di tutti. Il messaggio che il regista 
formula è indubbiamente positivo: invita il pubblico a dare a Frank una mano, invece di continuare 
ad ignorare la sua tragedia.    
 
Bibliografia 
Scheda del film su Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/L'uomo_dal_braccio_d'oro