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particolari sensazioni, comunità è sicuramente una di queste: essa emana infatti 
un’impressione piacevole, qualunque sia il suo significato. Comunità è un posto caldo, 
intimo e confortevole, all’interno del quale ci sentiamo al sicuro. E’ inoltre il luogo 
della gratuità e della reciprocità, dove è possibile contare sulla benevolenza di tutti. “Far 
parte di una comunità” è dunque percepito come qualcosa di buono. Lo stesso Tönnies, 
pur nella pretesa oggettività scientifica, sembra mostrare una certa preferenza per la 
comunità, quale luogo di solidarietà e comprensione reciproca, laddove, nella società, 
tutto procede dai freddi calcoli dell’intelletto. 
Bauman sottolinea però anche la discrepanza tra la comunità “dei nostri sogni” e quella 
realmente esistente: questa richiede infatti lealtà incondizionata, ubbidienza assoluta, 
perdita di libertà di scelta. La dicotomia tra comunità e individualità sembra essere 
difficilmente risolvibile. 
Nonostante il fatto che la maggior parte degli studi su questo argomento analizzi la 
storia del concetto di comunità, nel senso moderno del termine, partendo dall’opera 
Tönnies, è importante sottolineare che, anche prima di questo pensatore, è possibile 
evidenziare tracce di una riflessione su questo tema. E’ lo stesso J.-J. Rousseau che, 
attraverso le pagine della Nuova Eloisa
5
, ce ne fornisce una prova: nella descrizione di 
Clarens è infatti possibile ritrovare sia l’elemento caldo e solidale tipico del concetto di 
comunità, sia i suoi limiti intrinseci.  
Nel primo capitolo, introduttivo all’argomento della tesi, voglio però mostrare come il 
filosofo ginevrino venga spesso considerato il filosofo della solitudine e 
dell’isolamento. In effetti, nel Discorso sull’origine della disuguaglianza fra gli 
uomini
6
, egli afferma che, se gli uomini avessero conservato quel modo di vivere 
semplice, uniforme e solitario prescritto loro dalla natura, gran parte dei mali che li 
affliggono sarebbero stati evitati. E’ infatti l’ingresso in società, la rottura 
dell’isolamento iniziale, e i sempre più frequenti contatti con gli altri uomini che stanno 
all’origine del processo di corruzione della natura umana. Dal momento in cui l’uomo 
comincia a relazionarsi ai suoi simili nasce in lui il sentimento del confronto, 
unitamente al desiderio di eccellere sugli altri. 
E’ però importante sottolineare come la critica rousseauiana sviluppata nei due Discorsi 
                                                 
5
 J.-J. Rousseau, Julie ou La nouvelle Héloïse, 1760; ed. it. Giulia o la Nuova Eloisa, BUR, Milano 2004 
6
 J.-J. Rousseau, Discours sur l’origine et les fondements de l’inégalité parmi les hommes, 1755; ed. it. 
Discorso sull’origine della disuguaglianza fra gli uomini, BUR, Milano 2002 
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sia rivolta non alla società tout court, ma alla società a lui contemporanea, abitata solo 
da individui inautentici, vittime di un gioco di sopraffazione e prevaricazione reciproca. 
Rousseau è convinto del fatto che l’uomo non sia naturalmente socievole, ma questo 
non significa che egli sia inadatto a creare un contesto societario giusto. 
Se nei Discorsi il filosofo ginevrino si limita a fare una diagnosi della situazione sociale 
degenerata, in altre opere, quali il Contratto sociale
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 o la Nuova Eloisa, egli tenta infatti 
di tracciare possibili soluzioni e strategie, dipingendo modelli alternativi di associazione 
umana non corrotti. 
Nel secondo capitolo intendo dunque mostrare come, per Rousseau, l’uomo possa 
ancora essere in grado di fondare un legame sociale autentico. Si tratta di operare un 
ritorno alla primigenia natura umana, che è rimasta inalterata e intatta, ancora pulsante 
sotto le incrostazioni del vivere civile. Questo nuovo individuo deve essere in grado di 
recuperare la sua originaria unicità, per uscire così da una dinamica competitiva che lo 
portava a vivere un’esistenza essenzialmente relativa, vittima dell’opinione altrui. 
E la Nuova Eloisa rappresenta uno dei più chiari esempi, nell’opera di Rousseau, di 
come la riappropriazione di sé possa portare alla creazione di un contesto societario 
giusto. Julie, la sua protagonista, deve compiere infatti un difficile processo interiore 
prima di poter diventare il centro di Clarens. 
Il risultato di questo percorso, come vedremo nel terzo capitolo, è appunto una 
comunità in cui ciascuno può essere realmente se stesso, vivendo dunque con gli altri un 
legame autentico e trasparente. Si può evidenziare come la Nuova Eloisa presenti al suo 
interno una profonda dicotomia tra la descrizione di Clarens e quella di Parigi: se la 
capitale francese esibisce infatti il degradante spettacolo di una natura umana corrotta, 
in cui nessuno osa manifestarsi per quello che realmente è, celandosi invece dietro un 
velo di apparenze e finzione, il villaggio ai piedi delle Alpi mostra, al contrario, come 
una ritrovata trasparenza sia fondamento imprescindibile per una relazione affettiva e 
solidale veritiera. 
Nel quarto capitolo intendo mostrare come, attraverso le pagine che Rousseau dedica 
alla descrizione di Clarens, sia possibile ricavare una teoria della comunità, 
sottolineando alcune somiglianze con concetti che saranno sviluppati dalla riflessione 
successiva su questo tema, da Tönnies in poi.  
                                                 
7
 J.-J- Rousseau, Du contrat social, 1762; ed. it. Il Contratto Sociale, Einaudi Editore, Torino 1966 
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Clarens è infatti il luogo della solidarietà e della reciprocità, in cui è possibile 
rintracciare quella comprensione, forza sociale che tiene gli uomini insieme come 
membri di un tutto e che poggia su un’intima conoscenza reciproca, che sta alla base 
della comunità tönnesiana. Ciò che unisce gli abitanti di Clarens è un progetto comune 
di vita, in cui il bene collettivo, il bene di tutti, ha la priorità rispetto ai meri interessi 
individuali. 
Qui l’unione nasce dalla spontanea affinità dei suoi membri, non c’è bisogno di alcuna 
mediazione giuridica o di leggi, sostituite invece dalla genuina manifestazione del 
sentimento, tanto che Clarens può assomigliare alla società “al di qua del conflitto” di 
cui parla Sandel
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, in cui non si avverte la necessità del diritto positivo. 
Rousseau ci consente però  di cogliere anche i limiti di questa comunità: non tutti infatti 
vi possono essere ammessi. Clarens non sembra essere in grado di rispondere 
adeguatamente alla sfida della diversità: è necessario possedere gli stessi valori, uno 
stesso stile di vita per essere pienamente “inclusi” in questo mondo, e chiunque non 
abbia certe caratteristiche è necessariamente lasciato fuori. 
Parlando di “limiti”della comunità, un’attenzione particolare, cui è dedicato il quinto 
capitolo, deve essere rivolta all’ambivalenza della condizione del soggetto femminile 
nella Nuova Eloisa. Intendo infatti mostrare come, se da un lato Julie si fa portatrice di 
valori di autenticità e solidarietà, dall’altro l’equilibrio dell’universo di Clarens si regge 
sul parziale sacrificio della sua identità e sulla rinuncia alla passione. Ella non può 
infatti fare a meno di vivere in funzione dell’altro, di chi gli sta intorno, di porre gli altri 
al primo posto nelle sue decisioni. Essa rappresenta così in pieno un modello di 
individuo del tutto alternativo al paradigma conflittuale e acquisitivo tipico della grande 
società. Ma allo stessi tempo è facile intuire gli aspetti negativi di questa condizione: il 
dono di sé richiede a Julie la rinuncia al pathos, e il sacrificio degli aspetti più reconditi 
e pulsionali del proprio Io. 
                                                 
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 M. Sandel, Liberalism and the Limits of Justice, Cambridge Univ. Press, 1982; ed. it. Il liberalismo e i limiti 
della giustizia, Feltrinelli, Milano 1994  
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CAPITOLO I 
SOLITUDINE E COMUNITA’ 
 
E’ fatto innegabile che uno dei cardini di tutta l’opera di Jean-Jacques Rousseau sia 
l’elogio di una vita semplice, vissuta in modo conforme alla natura. A ciò fa da 
contraltare una pungente disapprovazione per la corruzione dalla società a lui 
contemporanea, ormai troppo distante da un tipo di esistenza realmente fondata sui 
bisogni più autentici e primigeni. 
Nell’ Emilio
1
, ad esempio, il pedagogo fa crescere il giovane allievo in campagna, 
lontano dalla famiglia, dai libri, dalla religione, ma soprattutto dalla società umana, 
foriera di ingiustizia poiché fondata sulla disuguaglianza. Il suo scopo è quello di 
tutelare l’infante dal contatto con tutto ciò che potrebbe corrompere il suo più vero e 
profondo Io, per permettergli di sviluppare tutte quelle caratteristiche congrue alla vera 
natura umana. 
Nella Nuova Eloisa il filosofo ginevrino indugia invece in una critica aspra e serrata del 
modo di vivere a Parigi, dove è ormai impossibile incontrare veri uomini, ma solo grigi 
manichini, preoccupati unicamente di soddisfare le aspettative altrui e di sottostare 
all’imperante tirannia dell’opinione, anche al grave prezzo di apparire diversi da quello 
che effettivamente sono. Questo è il regno dell’artificio e dell’autoinganno dove, chi vi 
abita, non ha più niente delle caratteristiche positive e naturali che animavano l’uomo 
alla sua origine. 
Nonostante il quadro di corruzione generale, l’uomo nasce naturalmente buono, non 
esiste nessuna perversità originale nel suo cuore. La passione che lo anima è un 
primigenio amore di sé, che lo spinge a prediligere la propria persona sopra ogni altra 
cosa, e indirizza le sue azioni al fine primario della conservazione. E’ dunque una 
passione positiva, perché conforme a quanto prescritto dalla natura, che sta all’origine 
del comportamento umano. 
Nel Discorso sull’origine della disuguaglianza fra gli uomini, Rousseau mostra però la 
differenza che separa il selvaggio, assunto qui a modello dell’uomo naturale, capace di 
vivere in se stesso, in maniera connaturata ai propri bisogni, dall’uomo socializzato, 
vittima di un’esistenza costantemente relativa, sempre teso ad un paragone continuo con 
                                                 
1
 J.-J. Rousseau, Emile, 1762; ed. it. Emilio, Armando Editore, Roma 1969