INTRODUZIONE 
 
 
 
In questo lavoro di tesi intendiamo discutere l’eventuale rilevanza del concetto di 
empatia per la consulenza filosofica. A tal fine appare opportuno individuare una 
definizione di tale concetto che dia conto di ogni caratteristica del fenomeno cui 
esso si riferisce: in vista di questo obiettivo tracceremo una genealogia del concetto, 
ripercorrendo le diverse fasi della riflessione portata avanti su di esso tanto in 
ambito filosofico quanto in quello psicologico. In un secondo momento 
esamineremo il ruolo operativo che il concetto di empatia ricopre nella psicoterapia 
e quello non operativo che crediamo esso rivesta talvolta nella consulenza 
filosofica. 
Nel primo capitolo prenderemo in esame le posizioni di filosofi che hanno 
riflettuto sul concetto di empatia. I primi teorici di essa si consideravano eredi delle 
teorie romantiche di immedesimazione con la natura: l’analisi del senso del 
rapporto dell’uomo con la natura formulato da Novalis mostrerà però quanto 
questa pretesa ascendenza risulti problematica. In seguito analizzeremo la teoria 
propugnata da Theodor Lipps all’inizio del Novecento in merito all’empatia: 
considerando l’estetica una disciplina psicologica, egli ritiene che attraverso 
l’empatia il soggetto proietti sull’oggetto contemplato un senso estetico da lui 
stesso ricavato per via imitativa. La caratterizzazione lippsiana del fenomeno 
empatico coinvolge anche la sfera intersoggettiva: l’espressione altrui che il 
soggetto percepisce attiva una disposizione interiore che viene poi proiettata 
sull’altro, come se questa gli appartenesse. La posizione di Lipps e la sua 
caratterizzazione del fenomeno empatico sono fortemente avversate da due 
pensatori vicini alla fenomenologia: Max Scheler ed Edith Stein. Scheler considera 
l’empatia proiettiva di Lipps un’illusione solipsistica causata da un’eccessiva 
valorizzazione dell’attività concettuale del soggetto; di contro riconosce un ruolo 
fondamentale al concetto di simpatia, ritenendo che quest’ultima sia la relazione 
emotiva fondamentale grazie alla quale l’essere umano può partecipare alle 
emozioni altrui, senza che la propria individualità venga peraltro mai meno.
5 
Approfondendo la posizione di Edmund Husserl riguardo all’empatia, Stein critica 
sia Lipps che Scheler ed elabora una fenomenologia dell’empatia che ne riconosce 
la duplice natura di fenomeno affettivo e cognitivo. 
Nel secondo capitolo abbandoneremo momentaneamente il territorio 
concettuale della filosofia per rivolgerci a quello della psicologia: la riflessione 
sull’empatia in ambito psicologico, una volta che tale concetto è stato esportato in 
esso da Lipps, è stata infatti portata avanti fino ai giorni nostri. Ripercorreremo 
allora le fasi della trattazione psicologico-scientifica del concetto di empatia, nel 
tentativo di continuarne la ricostruzione genealogica; al termine di questa disamina 
emergerà che gli psicologi, dopo aver inizialmente ripreso la teoria imitativa di 
Lipps, hanno da ultimo finito per avvalorare le posizioni di Scheler e di Stein: 
l’empatia si configura così come un’esperienza di condivisione affettiva che implica 
però fondamentali componenti cognitive. Si vedrà anche come la recente scoperta 
dei neuroni specchio sembri offrire una conferma sperimentale alla teoria 
scheleriana della comprensione innata delle espressioni altrui. Una volta ricavata 
una definizione precisa del concetto di empatia, dopo aver accennato alla posizione 
di Sigmund Freud in merito a esso, ne mostreremo il ruolo operativo nella 
psicoterapia di Carl R. Rogers, il quale giunge a considerare l’empatia una conditio 
sine qua non dell’intervento terapeutico. 
Nel terzo capitolo discuteremo infine del ruolo dell’empatia nella consulenza 
filosofica. Prima di ciò tenteremo di fornire una definizione di questa nuova 
professione, certo senza la presunzione di pronunciare parole definitive in merito 
alla questione, ma mossi dalla necessità di chiarire a che cosa ci riferiamo quando 
individuiamo la peculiarità della consulenza filosofica rispetto a psicologia e 
psicoterapie. A partire da alcune delle intenzionalità che possono motivare l’agire 
del consulente filosofico sarà possibile evidenziare due diverse accezioni della 
consulenza filosofica, una delle quali sarà rifiutata in favore dell’altra: 
considereremo da ultimo la consulenza filosofica come un dialogo filosofico 
paritario senza obiettivi estranei a quelli della filosofia stessa. A questo punto, 
rifiutando di riconoscere all’empatia un ruolo operativo, mostreremo come sia 
nondimeno accettabile riconoscerle un ruolo non operativo, ma certo non 
irrilevante, all’interno della relazione consulenziale.
CAPITOLO PRIMO 
LE RADICI FILOSOFICHE DEL CONCETTO DI EMPATIA 
 
 
 
1. L’Einfühlung nella riflessione estetica a cavallo tra Ottocento e Novecento 
 
In questo primo capitolo ci proponiamo di approfondire alcuni momenti chiave della 
riflessione filosofica sul concetto di empatia. Come sottolinea felicemente Andrea 
Pinotti, riferendosi alla riflessione sul concetto portata avanti in ambito estetico, 
«l’empatia si dice in molti modi: molti modi detti da molti teorici»
1
; a partire dalla 
fine dell’Ottocento, infatti, il concetto di Einfühlung (empatia) è stato trattato 
principalmente in ambito estetico, ma nel secolo scorso il suo significato si è 
notevolmente ampliato e differenziato, dando origine a un vero e proprio 
«arcipelago empatia»
2
. Per poter discutere dell’eventuale rilevanza dell’empatia 
nell’ottica della consulenza filosofica si rende allora necessario ricostruire almeno 
per sommi capi la genealogia del concetto, nel tentativo di chiarire a che cosa ci si 
riferisce usando questo termine. Per far questo occorre partire dall’opera poetica 
dei romantici tedeschi perché è in quella sensibilità, in quel modo di rapportarsi al 
tutto della natura che i primi teorici dell’empatia, in sostanziale accordo tra loro, 
individuano problematicamente il nucleo generatore del concetto di Einfühlung. 
 
1.1. Il mito dell’origine: Einfühlung e romanticismo 
Nei Discepoli di Sais, un testo che Pinotti definisce «Naturroman» (romanzo della 
natura)
3
, Novalis scrive: «circondati da quella meravigliosa natura, sensibile e non 
sensibile, crediamo che quell’impulso sia un’attrazione di quest’ultima, 
un’espressione della nostra simpatia [Sympathie] con lei: solo che, dietro queste 
lontane forme azzurre, uno cerca un’altra patria che esse gli nascondono, un’amata 
                                                             
1
 A. PINOTTI, Arcipelago empatia. Per un’introduzione, in AA. VV., Estetica ed empatia. Antologia, a 
cura di A. Pinotti, Angelo Guerini e associati, Milano 1997, p. 9. 
2
 Ibidem. 
3
 Ibi, p. 27.
7 
della sua giovinezza, genitori e fratelli, vecchi amici, cari tempi passati; un altro 
ritiene che al di là lo attendano splendori sconosciuti, crede che là dietro si 
nasconda un futuro pieno di vita e, spinto dal desiderio, tende le mani verso un 
mondo nuovo»
4
. Più avanti, riguardo al rapporto dei poeti con la natura, l’autore 
aggiunge che «essa sa abbellire tutto, a tutto sa dare vita, tutto sa consolidare, e 
anche se nei particolari sembra che governi unicamente un meccanismo 
inconsapevole e privo di significato, tuttavia l’occhio che sa guardare più in 
profondità vede una straordinaria simpatia con il cuore umano nella coincidenza e 
nelle conseguenze dei singoli eventi»
5
. Tuttavia, aggiunge il poeta, queste verità non 
si rivelano immediatamente a chiunque, infatti «non comprenderà la natura chi non 
ha un organo della natura, uno strumento interiore che genera la natura e che la 
secerne, chi non riconosce e non distingue spontaneamente ovunque la natura in 
ogni cosa, chi, con innato desiderio di generare in affinità interiore e multiforme con 
tutti i corpi, non si mescola per mezzo della sensazione con tutti gli esseri naturali, 
quasi sentendo se stesso entro ognuno di loro [sich gleichsam in sie hineinfühlt]»
6
. 
Questi passi sono emblematici di un modo di concepire il rapporto con la natura 
proprio di tutti i rappresentanti della Romantik tedesca: la natura non è considerata 
un semplice meccanismo ma un vero e proprio organismo vivente, in tutto e per 
tutto affine all’essere umano, il quale può assurgere a un ruolo paritario con essa 
solo se, facendosi poeta, se ne lascia completamente avvincere. 
Nel 1911 Moritz Geiger sostiene che «l’idea dell’empatia è emersa dalle 
speculazioni estetico-metafisiche del romanticismo»
7
: per i teorici della Romantik, 
argomenta, la contemplazione della natura non si riduce a una semplice funzione 
percettiva, ma si configura piuttosto come un immergersi nelle cose, un 
«empatizzare noi stessi [Hineinfühlen unserer selbst] dentro la natura»
8
. Questa tesi 
gode di una certa credibilità a tutt’oggi, infatti molti sostengono, come Cristina 
Bronzino, che «un nesso tra Romanticismo ed estetiche dell’empatia è indubbio: 
                                                             
4
 NOVALIS, I discepoli di Sais, testo tedesco a fronte, tr. it. a cura di A. Reale, Bompiani, Milano 2001, 
p. 131. 
5
 Ibi, p. 185. 
6
 Ibi, p. 201. 
7
 M. GEIGER, Essenza e significato dell’empatia, tr. it. di F. Marelli, in AA. VV., Estetica ed empatia, 
cit., p. 61. 
8
 Ibidem.
8 
nella loro genesi, queste estetiche hanno attinto ampiamente dalla produzione 
romantica, che ha rappresentato un punto di partenza e di riferimento per le 
successive formulazioni teoriche»
9
, salvo riconoscere anche «i problemi di 
interpretazione che si riscontrano nel volere assegnare una forma di paternità 
romantica dell’empatia»
10
. In effetti, al di là della mera derivazione terminologica, il 
nesso Einfühlung-Romantik non è pacifico, ma – osserva Pinotti – «fa problema, 
nella fattispecie, riguardo al concetto di “natura”»
11
, in quanto presso i romantici 
questa era concepita organicamente come «prodotto di un accordo inintelligibile di 
esseri infinitamente diversi, il legame straordinario del mondo degli spiriti, il punto 
di unione e di contatto di innumerevoli mondi»
12
: su questa concezione della natura 
essi fondavano la possibilità di un’unione cosmico-simpatetica con essa. Nella 
prospettiva dei teorici dell’Einfühlung e di Theodor Lipps in primis, invece, come 
vedremo, il soggetto ritrova nell’oggetto il senso che lui stesso vi ha proiettato; non 
c’è posto per due individualità perché soggetto e oggetto sono uno in quanto sono 
uno nell’altro: «riempio ovunque la natura di impulsi, attività e forze. Ma è chiaro 
che solo io la riempio con ciò. Nulla è più certo del fatto che il significato delle 
parole tendenza, forza, attività, ecc. io posso viverlo o sentirlo solo in me stesso e 
trasferirlo agli oggetti solo a partire da me stesso. Ciò che trovo nel mondo esterno 
è solo semplice esistenza e accadere»
13
. Per Lipps, insomma, in ogni 
contemplazione della natura il soggetto è presente in prima persona donandole vita 
e senso, animandola, empatizzandovi le proprie forze e i propri sentimenti, in ultima 
istanza donandole un senso estetico che di per sé essa non ha. 
Sulla scorta di questa argomentazione Wilhelm Perpeet sostiene che i teorici 
dell’empatia «sbagliarono circa la legittimazione storica della loro soluzione del 
problema in direzione di una estetica della natura. Poiché la parola Einfühlung si 
poteva leggere anche in Herder, Novalis, August Wilhelm Schlegel, Jean Paul, essi 
*…+ si credettero alleati dei romantici e della loro natura concepita 
                                                             
9
 C. BRONZINO, Sentire insieme. Le forme dell’empatia, Archetipo Libri, Bologna 2010, p. 21. 
10
 Ibidem. 
11
 A. PINOTTI, op. cit., p. 27. 
12
 NOVALIS, op. cit., p. 181. 
13
 TH. LIPPS, Estetica, tr. it. di P. Galimberti, in AA. VV., Estetica ed empatia, cit., p. 185.
9 
zoomorficamente»
14
. Se così fosse, l’equivoco sarebbe sostanziale: per tentare di 
chiarire almeno in parte la questione, nelle pagine che seguono analizzeremo 
brevemente le posizioni di Novalis riguardo alla natura, riferendoci al suo romanzo I 
discepoli di Sais, uno degli scritti più rappresentativi di tutto il movimento 
romantico che può senz’altro esserne considerato emblematico, paragonandole a 
quelle di Lipps, il più influente teorico dell’empatia estetica di inizio Novecento. 
Per ricostruire la visione novalisiana del rapporto tra uomo e natura, 
partiamo dalla fiaba di Giacinto e Fiordirosa, che Alberto Reale definisce il 
«momento magico ed il punto-chiave»
15
 del romanzo di Novalis, narrata in pagine 
considerate fra le più belle di tutti i romantici: in essa si narra di Giacinto, un 
giovane buono ma sempre corrucciato, solitario e perso in pensieri bizzarri, che, 
stimolato dai racconti di uno stregone giunto da paesi lontani, parte alla ricerca 
della «madre delle cose», la «vergine velata»
16
, ossia la dea Iside, intraprendendo 
un viaggio che simboleggia la ricerca del senso ultimo della natura e della vita. Dopo 
aver salutato la sua innamorata Fiordirosa, che piange amare lacrime alla sua 
partenza, Giacinto vagherà a lungo fino a raggiungere finalmente la sua meta, il 
tempio della dea: lì, sorpresa, una volta sollevato il velo della dea, Giacinto ritroverà 
Fiordirosa che gli cadrà tra le braccia. Va segnalato che, negli appunti preparatori 
alla conclusione del romanzo incompiuto, Novalis ribadisce e chiarifica: «a uno riuscì 
– egli sollevò il velo della dea di Saïs – Ma cosa vide? vide – miracolo dei miracoli – 
Se stesso»
17
. Per Novalis, come per molti romantici, il poeta è colui che perviene a 
una conoscenza più elevata, grazie alla quale comprende che spirito e natura sono 
uniti in una sintesi superiore: il poeta, osserva Reale, «coglie nella natura e 
nell’uomo le tracce dell’assoluto, del senso nascosto»
18
 e la poesia è la «strada 
attraverso la quale egli giunge alla conoscenza somma, all’assoluto e all’infinito, e 
strumento attraverso il quale l’assoluto e l’infinito si trasmettono: è al tempo stesso 
                                                             
14
 W. PERPEET, Historisches und Systematisches zur Einfühlungsästhetik, in «Zeitschrift für Ästhetik 
und allgemeine Kunstwissenschaft», XI (1966), n. 2, citato in A. PINOTTI, op. cit., p. 27. 
15
 A. REALE, Saggio introduttivo. I discepoli di Sais. La filosofia diventa poesia, in NOVALIS, op. cit., 
p. 45. 
16
 NOVALIS, op. cit., p. 159. 
17
 Ibi, p. 225. 
18
 A. REALE, op. cit., p. 33.
10 
via e meta»
19
. Novalis ritiene inoltre che la fiaba sia l’espressione perfetta della 
poesia: per questo motivo affida proprio a una fiaba il compito di rivelare il 
messaggio fondamentale di tutto il romanzo. Tale messaggio consiste 
sostanzialmente in una correzione delle posizioni sostenute da Johann Gottlieb 
Fichte, il quale, sempre secondo Reale, aveva «conquistato Novalis alla filosofia»
20
. 
A colpire maggiormente Novalis era stata la tesi dell’Io come principio di tutte le 
cose, una fascinazione testimoniata dal passo seguente in cui le parole dell’«uomo 
serio» sembrano poggiare sulla dottrina fichtiana: «gli altri dicono follie, dice a 
questi un uomo serio. Non riconoscono nella natura la copia fedele di loro stessi? 
*…+ Non sanno che la loro natura è un gioco intellettuale, un’arida fantasia del loro 
sogno. Certo, essa è per loro una bestia spaventosa, un fantasma strano e bizzarro 
delle loro brame. L’uomo che veglia guarda senza tremare questa genìa frutto della 
sua immaginazione sregolata perché sa che si tratta solo di vacui fantasmi delle sue 
debolezze. Si sente padrone del mondo, il suo Io fluttua potente su questo abisso e 
per l’eternità continuerà a fluttuare, solenne, su questo mutamento infinito *…+. Il 
senso del mondo è la ragione: il mondo esiste per amor suo, e se all’inizio esso è il 
campo di battaglia di una ragione infantile, che sta ancora fiorendo, un giorno 
diventerà l’immagine divina dell’attività della ragione, il palcoscenico di una vera 
chiesa. Fino a quel momento l’uomo onori il mondo come simbolo del suo animo 
che insieme a lui si affina per gradi che non si lasciano definire. Chi dunque vuole 
giungere a conoscere la natura eserciti il suo senso morale, agisca e produca in 
modo conforme al nobile nocciolo del suo intimo e la natura gli si aprirà davanti 
quasi da se stessa»
21
. Per Novalis, però, la natura non è prodotta dall’Io, ancorché 
assoluto, bensì è ontologicamente indipendente e autosussistente, sicché, a ben 
vedere, quella di Novalis è una sensibilità per la natura che «non è per nulla 
fichtiana quanto, piuttosto, schellinghiana»
22
 – rileva Reale. Novalis critica infatti 
l’unilateralità del sistema di Fichte, che accentua in modo eccessivo il ruolo dell’Io, e 
sfrutta invece in modo ampio la filosofia della natura di Schelling: la natura è un 
                                                             
19
 Ibidem. 
20
 Ibi, p. 59. 
21
 NOVALIS, op. cit., pp. 145 s. 
22
 A. REALE, op. cit., p. 64.
11 
organismo, in quanto è dotata di vita, ed è spirito; non può essere spiegata in senso 
meccanicistico, ma è effetto solo di se medesima. Novalis parla in definitiva, 
conclude Reale, di una «conoscenza di se stessi [che] non avviene rimanendo 
all’interno dell’Io, ma uscendone e ritornando poi al punto di partenza arricchiti 
dall’esperienza che l’uscire da se stessi ha comportato»
23
: secondo Pinotti, una 
simile concezione non avrebbe potuto dare i natali a quel «modello che potremmo 
definire “ idraulico”»
24
 della teoria dell’empatia estetica per cui «il senso trapassa, 
come in un gioco di vasi comunicanti, da un soggetto che ne è pieno a un oggetto 
che ne è privo»
25
. D’altra parte Novalis scrive anche che la natura esprime «come il 
viso e i gesti, il polso e il colorito, le condizioni di ognuno di quegli esseri superiori, 
straordinari che chiamiamo uomini»
26
: neppure passi come questo, però, possono 
giustificare la teoria della filiazione del concetto di empatia dal romanticismo, in 
quanto la Sympathie (simpatia) tra uomo e natura descritta non ha nulla a che 
vedere con la psicologistica donazione di senso teorizzata da Lipps
27
. Insomma, 
l’importanza attribuita dai romantici al lato oggettivo dell’esperienza estetica è 
decisamente superiore a quella riconosciutale dai primi teorici dell’empatia e 
soprattutto la natura assurge a un ruolo paritario, coessenziale a quello dell’uomo. 
Rispetto a Novalis e agli altri romantici i primi teorici dell’empatia lavorano 
in un contesto socio-culturale segnato da un diverso approccio alla natura. Friedrich 
Theodor Vischer, per esempio, «già pensa la natura in senso radicalmente 
scientifico-naturale, nel senso razionalizzato della tecnica»
28
, non più in senso 
poetico
29
: usando le parole dello stesso Novalis, coloro per cui la natura era «la 
                                                             
23
 Ibi, pp. 79 s. 
24
 A. PINOTTI, op. cit., p. 28. 
25
 Ibidem. 
26
 NOVALIS, op. cit., p. 187. 
27
 Ricorda piuttosto la condivisione emotiva intersoggettiva così come sarà teorizzata da Max 
Scheler, vale a dire – lo si vedrà infra, § I.2.1. – il Mitfühlen in funzione del quale tra due soggetti si 
instaura una simpatia che non implica alcun perdersi di uno nell’altro, quanto piuttosto un 
mantenersi reciprocamente indipendenti. 
28
 A. PINOTTI, op. cit., p. 28. 
29
 A titolo esemplificativo, riportiamo un passo dal saggio Il simbolo: «il poeta dice del sole che 
tramonta: “Nelle nubi profondamente coperta, minacciando il temporale, dal velo ora qui ora là con 
sguardi incandescenti, irraggia sul campo la luce presaga”. Ciascun lettore sa che un tale chiarore è 
semplicemente un apparire privo di anima, puramente fisico, della luce nell’oscurità, a cui non può 
dunque essere in alcun modo ascritto alcun presagire; eppure nessun lettore che abbia un minimo di 
fantasia si dirà questo mentre si abbandona alla lettura; volontariamente, senza opporre alcuna
12 
religione più devota»
30
 e orientava «una vita intera ispirandone gli atteggiamenti e 
dandole significato»
31
 sono ormai stati soppiantati dagli studiosi che la indagano 
sezionandola, devitalizzandola e «lasciando dietro di sé solo resti morti o scossi da 
convulsioni»
32
. Nello svolgersi di questo processo di passaggio dalla prima alla 
seconda concezione, sembra essere stata la filosofia hegeliana della natura a 
rivestire un ruolo decisivo, come anche per la genesi delle teorie dell’empatia: «a 
partire dalla meraviglia che scaturisce dal sentirsi non in amicizia con la natura, 
bensì estranei di contro ad essa, la Einfühlungsästhetik concepisce la sua tesi» – 
scrive Perpeet. «Non Novalis, ma Hegel, che con la sua Fenomenologia dello spirito 
aveva seppellito il romanticismo, è il suo involontario padrino»
33
, quello stesso 
Hegel che, nelle lezioni di estetica tenute a Heidelberg e a Berlino, trascritte e 
pubblicate dal suo allievo Heinrich Gustav Hotho, aveva negato al bello naturale 
l’importanza che i romantici gli avevano invece riconosciuto: «il bello artistico sta 
più in alto della natura»
34
, questa la tesi di Hegel, perché le produzioni dello spirito 
sono al di sopra delle creazioni naturali, la cui bellezza appare «solo come un 
riflesso del bello appartenente allo spirito, come un modo imperfetto, incompleto, 
un modo che secondo la sua sostanza è contenuto nello spirito stesso»
35
. A partire 
da questa concezione diventa possibile concepire l’«Einfühlung come Einfüllung 
(riempimento)»
36
, per cui la natura, del tutto priva di un senso estetico, ne viene 
riempita da un soggetto che vi pone dentro il proprio sentire per poi ritrovarlo 
nell’oggetto stesso in cui l’ha introdotto. Tutto questo non ha all’evidenza nulla a 
che vedere con il processo esemplificato dalla fiaba di Giacinto e Fiordirosa: Novalis 
non avrebbe mai potuto condividere una siffatta concezione radicalmente 
soggettivistica, dato che per lui la natura, coessenziale all’io, mantiene una propria 
                                                                                                                                                                             
resistenza, ci facciamo sedurre dalla bella rappresentazione. In seguito, in una disposizione d’animo 
prosaica in cui è consentito distruggere l’illusione poetica, non ci nascondiamo che il poeta ci 
inganna» ( F. TH. VISCHER, Il simbolo, tr. it. di A. Pinotti, in AA. VV., Estetica ed empatia, cit., p. 153). 
30
 NOVALIS, op. cit., p. 131. 
31
 Ibidem. 
32
 Ibi, p. 129. 
33
 W. PERPEET, op. cit., p. 204, citato in A. PINOTTI, op. cit., p. 28. 
34
 G. W. F. HEGEL, Estetica, tr. it. di N. Merker, Einaudi, Torino 1997, vol. I, p. 6. 
35
 Ibidem. Novalis, al contrario, ritiene che «il sublime ha un effetto pietrificante e non dovremmo 
pertanto stupirci della sublimità della natura e dei suoi effetti o ignorare dove questa sublimità vada 
cercata» (NOVALIS, op. cit., p. 187). 
36
 A. PINOTTI, op. cit., p. 28.