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INTRODUZIONE
Questa tesi si propone di analizzare il concetto di nazione,
che si è affacciato nel discorso politico europeo negli anni tra il
XVIII e il XIX secolo e si è definitivamente affermato nel
dibattito teorico intorno alla metà dell’Ottocento, soffermandosi
in modo particolare sulla “declinazione”di tale concetto dalla
riflessione di Ernest Renan. Ancora durante il Settecento il
termine era usato in senso largamente generico, venendo di volta
in volta associato tanto all’idea pura e semplice di gruppo, quanto
a quella di qualunque tipo di comunità politica o culturale. Ciò
corrispondeva alla concezione che stava alla base dello Stato
assoluto il quale, come aveva evidenziato Federico Chabod,
traeva fondamento non dall’idea di nazione bensì dal principio
dinastico, che garantiva la fedeltà di popoli diversi a un medesimo
sovrano. La situazione cominciava a cambiare nel corso del XVIII
secolo, segnato dall’egemonia politica e culturale della Francia,
quando negli ambienti letterari svizzeri si era diffusa una
concezione della nazione come realtà culturale e spirituale che
caratterizzava un popolo in maniera precisa.
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La genesi del concetto di nazione in senso moderno andava
dunque ricondotta all’emergere della sensibilità romantica, che
presiedeva anche alla definizione dei suoi elementi costitutivi: da
una parte la tradizione e la storia, dall’altra il determinismo
naturalistico. Sulla compresenza di tali elementi e sulla loro
inevitabile contrapposizione aveva insistito sempre Chabod,
segnalando che la libertà diveniva criterio di interpretazione della
storia e quindi la storia della nazione veniva assunta come pegno
inconfondibile del “carattere” della nazione, come documento che
legittimava l’essere stesso della nazione1. Nella ricostruzione
attuata dalla storiografia italiana un ruolo centrale fu attribuito a
J.J. Rousseau e alla sua teoria della volontà generale.
La questione nazionale esaminata in questa tesi si fondava
sulle idee di Ernest Renan, scrittore e storico delle religioni, che si
era affermato come uno degli intellettuali più influenti e celebrati
della III Repubblica. Il pensatore francese aveva elaborato una
celebre idea di nazione, nel corso di una conferenza pronunciata
l’11 Marzo 1882 alla Sorbona, destinata ad avere una grande
fortuna per via di una felice espressione, diventata in seguito
quasi una formula, con cui oggi viene ancora ricordata:
“L’esistenza di una nazione è un plebiscito di tutti i giorni”.2
L’autore aveva enunciato le sue teorie anche in altre opere,
fra cui la Réforme intellectuelle et morale de la France,
1
F. Chabod, L’idea di nazione, Laterza, Roma-Bari, 1967, p. 34.
2
E. Renan, Che cos’è una nazione?,a cura di S. Lanaro, Donzelli, Roma, 1993, p. 20.
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pubblicata nel 1871 subito dopo la dolorosa sconfitta francese a
Sédan, dove si era posto quesiti riguardanti tale idea e in
particolare i fattori per l’appartenenza ad una data nazionalità e se
poteva essere sufficiente l’esistenza di una lingua in comune per
formare una nazione in senso politico. Dopo la disfatta francese di
Sédan, Renan aveva rotto con le sue precedenti posizioni
politiche, molto critiche nei confronti dell’eredità rivoluzionaria,
per giungere a elaborare un’idea di nazione basata non più sulla
legittimità dinastica, ma su quella popolare e riconoscere che
l’individualità di ogni nazione si basava non solo su fattori
materiali ed oggettivi, ma anche, e soprattutto, su qualcosa di
molto più tangibile, cioè sul consenso attuale, sulla volontà delle
diverse province di uno Stato di vivere insieme.
L’intellettuale bretone si proponeva di distinguere il proprio
punto di vista, basato sull’autodeterminazione e sulla ragione
storica, da quello dominante tra gli intellettuali e gli uomini
politici tedeschi, che fondavano la nazione sulla lingua e
sull’appartenenza etnica. Secondo Renan, le nazioni erano il
frutto di una lunga storia, il risultato di sovrapposizioni, scambi,
incroci e contaminazioni convergenti, spesso in modo casuale,
verso una direzione comune e l’oblio e l’errore storico
costituivano, a loro volta, un fattore essenziale nella creazione di
una nazione. Nella vita di una comunità nazionale era importante
per Renan la memoria del proprio passato e la condivisione di un
patrimonio comune; memoria che doveva essere necessariamente
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selettiva e parziale. Frutto di una combinazione di caso e di storia,
la nazione non si lasciava ricondurre a nessuno dei fattori
oggettivi abitualmente studiati dai teorici della politica, a
cominciare dalla razza. Nessuna nazione poteva vantare una
discendenza razziale pura e vi erano altri elementi abitualmente
utilizzati per definire la nazionalità come la lingua, che era poca
cosa a confronto della volontà e del consenso politico e del resto
era una formazione storica che cambiava nel tempo; poi la
religione, che se un tempo serviva a cementare l’unità del gruppo
sociale, nel contesto delle nazioni moderne era divenuta invece un
affare privato, priva di incidenza sul sentimento nazionale.
Per Renan la nazione aveva un presente e un futuro se si
aveva un passato, un accumulo di storia, un capitale sociale fatto
di grandi cose compiute assieme; occorreva poi il consenso e
desiderio chiaramente espresso di continuare a vivere insieme, il
plebiscito quotidiano, inteso come affermazione di una volontà
che, essendo umana, era soggetta a venire meno, facendo
scomparire con essa la nazione stessa, che poteva nascere e quindi
morire. La sua esistenza, la sua vitalità e la sua durata
dipendevano dalla coscienza morale degli uomini che la
abitavano e che in essa si riconoscevano; spettava quindi ad essi
decidere quale era la loro nazione e sino a quando volevano essere
una nazione. L’appartenenza alla nazionalità aveva dunque un
carattere elettivo, rifiutava qualunque determinismo, ma non si
trattava di una scelta arbitraria, affidata alla decisione del singolo
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individuo. La volontà risentiva del peso della storia e dell’eredità,
dei vincoli che nascevano dalla collaborazione e condivisione e
che il tempo cementava. La prospettiva di Renan era storica ed
empirica, radicata nel passato ma orientata verso un concreto
obiettivo politico nel presente.
La nazione di Renan veniva concepita con una visione
storico-politica, elettiva e volontaristica e non si poteva trascurare
la modernità di un’idea di nazione proiettata contemporaneamente
verso il passato e verso il futuro, che alla dimensione della
memoria collettiva affiancava quella del progresso e del
cambiamento. L’intellettuale aveva ben compreso che la forza
della nazione, nell’immaginario politico della modernità,
consisteva proprio nella sua capacità di oscillare tra mito e
utopia, tra la dimensione della storia e quella del progresso.
Qu’est-ce qu’une nation? fu definito “uno scritto
intrinsecamente e felicemente ambiguo”3, per la personalità stessa
del suo autore: un avversario della democrazia, della rivoluzione e
della sovranità popolare, convertitosi agli ideali repubblicani
senza troppo entusiasmo e per necessità, se non per mero
opportunismo, capace tuttavia di mettere a punto, al di là della
contingenza politica e degli umori personali, un modello politico-
elettivo di nazione, storico e antinaturalistico, solidale ma non
“chiuso” e organicistico, che presentava ancora oggi non solo
un’intrinseca forza evocativa e concettuale, ma anche una validità
3
S. Lanaro, Introduzione a E. Renan, Che cos’è una nazione?, cit., p. 28.
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storica sul “consenso” e “volontà” e desiderio di vivere insieme.
La nazione risultava quindi per definizione aperta, dinamica e
compatibile con un modello di tipo nazional-statuale, che non
concepiva la cittadinanza soltanto in senso legale ma la legava a
un processo di socializzazione radicato nella tradizione e nella
identità nazionale.
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CAPITOLO I
Joseph Ernest Renan nacque a Tréguier, in Bretagna, il 28
febbraio 1823 da una famiglia di pescatori. Fu filosofo, storico,
filologo e scrittore di grande fama. Suo nonno, avendo
guadagnato una piccola fortuna con un capanno per la pesca, era
riuscito a comprare una casa a Tréguier e si era insediato lì. Suo
padre, capitano di una piccola imbarcazione e ardente
repubblicano, aveva sposato la figlia di un uomo d’affari di idee
monarchiche provenienti dalla vicina cittadina di Lannion.
Per tutta la vita, Renan aveva conservato sentimenti
contrastanti a proposito delle opposte idee politiche dei genitori.
Aveva cinque anni quando suo padre morì, e sua sorella,
Henriette, più anziana di lui di dodici anni, era diventata così il
capofamiglia morale.
Nel settembre 1832, all’età di nove anni, Renan era entrato
nella Scuola ecclesiastica della sua cittadina, dove la sua vivacità
d’ingegno si era manifestata nei brillanti successi scolastici per i
quali aveva ottenuto i premi del migliore allievo della classe in
tutte le materie. Nel 1838, il quindicenne Renan era riuscito ad
ottenere, grazie all’interessamento di sua sorella, una borsa di