8 
che vadano ad agire sul costrutto ‘psiche’, nonché la liceità di concepire il medesimo 
costrutto in base ai criteri medici di normalità e malattia.  È in virtù della collocazione 
entro un discorso medico del costrutto “psiche” che la psichiatria si arroga la facoltà di 
intervenire somministrando ‘psicofarmaci’. 
 
 Il presente lavoro si articola in due sezioni: la prima, comprendente i primi 
quattro capitoli, costituisce una analisi teorico-epistemologica del modello medico, della 
psichiatria e della ‘psicofarmacologia, mentre la seconda, comprendente gli ultimi due 
capitoli, è dedicata alla presentazione della ricerca avente come oggetto le pratiche 
discorsive prodotte dai rispondenti del protocollo d’indagine. 
L’argomentazione si articola dunque in sei capitoli totali, che verranno di seguito 
descritti nelle loro linee generali. 
 
Il capitolo I persegue l’obiettivo di dare legittimità scientifica all’intero lavoro di 
tesi; si rende dunque necessario porre le premesse teoriche del presente lavoro. In 
particolare in esso si esplicita la sua collocazione epistemologica, a fronte dei tre diversi 
livelli di realismo attualmente riconosciuti dagli epistemologi: il realismo monista, il 
realismo ipotetico e quello concettuale. Segue un approfondimento sul paradigma 
‘meccanicistico’, adottato dalla medicina e dalla farmacologia. L’argomentazione 
prosegue con la descrizione del paradigma ‘narrativistico’, piattaforma epistemologica 
su cui poggia il presente lavoro. Si descrive in seguito la ‘teoria dell’identità dialogica’, 
sviluppata entro il Paradigma Narrativistico, la quale indica l’oggetto della conoscenza, 
 9 
vale a dire i repertori discorsivi, e il ‘modello dialogico’, emanazione operativa della 
teoria sopra citata. Segue la presentazione di coppie antinomiche, le quali pongono in 
evidenza la differenza e la contrapposizione esistente tra gli assunti di base del 
paradigma meccanicistico e gli assunti di base del paradigma narrativistico. Il primo 
capitolo termina con la descrizione degli approcci filosofici e psicologici che hanno 
caratterizzato la ‘teoria dell’identità dialogica’.  
 
Il capitolo II persegue l’obiettivo di descrivere le basi epistemologiche e teorico-
metodologiche della medicina, in quanto sono le stesse  storicamente adottate dalla 
psichiatria . Un’attenzione particolare è data al processo diagnostico, e alla discussione 
dei concetti medici di normalità-patologia, sintomo, segno, sindrome e malattia. 
 
Il capitolo III persegue l’obiettivo di vagliare la liceità della mutuazione del 
modello medico da parte della psichiatria. Si procede seguendo la ricostruzione storica 
di Michel Foucault dell’antica concezione di ‘follia’ per giungere all’odierno costrutto 
di ‘malattia mentale’, oggetto di studio della psichiatria, al fine di evidenziare che i 
cambiamenti concettuali sono sempre strettamente vincolati dal contesto storico-
culturale dell’epoca, e mai oggettivi, diversamente da quanto avviene in medicina. Il 
capitolo verte poi sulla disamina di aspetti di carattere epistemologico, teorico e 
metodologico relative alla prassi psichiatrica, al fine di evidenziare le criticità poste in 
essere dall’adozione del modello medico. 
 
 10 
Il capitolo IV persegue l’obiettivo di porre in evidenza i punti in cui la 
‘psicofarmacologia’ si distanzia dai fondamenti epistemologici e teorici propri della 
farmacologia generale. In parallelo, a partire dalla definizione generale di 
‘psicofarmaco’, si delinea lo status epistemologico da esso assunto in quanto ‘farmaco 
che agisce sulla psiche’. Si procede dunque fornendo le definizioni di farmacologia e di 
farmaco, per poi delineare i fondamenti epistemologici della farmacologia generale, al 
fine di porre le basi per una critica della ‘psicofarmacologia’ a partire dai suoi 
fondamenti. Si presentano inoltre alcuni cenni riguardanti l’evoluzione storica della 
metodologia della farmacologia fino ad oggi, descrivendo le varie fasi che attualmente 
caratterizzano la valutazione dell’efficacia terapeutica di un farmaco. Il capitolo termina 
con l’esemplificazione di un protocollo sperimentale per la valutazione di un farmaco. Il 
fine di questa presentazione è di predisporre il confronto con alcuni modelli 
sperimentali riguardanti gli ‘psicofarmaci’. Dal confronto si pongono in evidenza gli 
aspetti critici emersi. 
 
Il capitolo V descrive l’impianto metodologico della ricerca empirica, presentata 
nella tesi. Tale ricerca si pone come uno strumento che va a sostenere l’analisi critica 
svolta nella prima parte della ricerca, sebbene questa, data la sua correttezza scientifica, 
non ne necessita strettamente. Essa è stata costruita a partire dagli assunti del paradigma 
narrativistico e ha l’obiettivo di rilevare le pratiche discorsive utilizzate dai rispondenti 
in riferimento agli ‘psicofarmaci’. Per tale ricerca è stato utilizzato un protocollo 
costruito ad hoc, con l’obiettivo di rilevare le modalità conoscitive (pratiche discorsive) 
 11 
attraverso cui i rispondenti (consumatori e non di ‘psicofarmaci’) configurano diverse 
realtà discorsive in merito al motivo per cui gli ‘psicofarmaci’ vengono prescritti, al loro 
luogo d’azione, alla loro modalità d’azione, agli effetti che producono e, infine, alle 
considerazioni circa se stessi in qualità di consumatori di ‘psicofarmaci’ (o alle 
considerazioni in merito ai consumatori di ‘psicofarmaci’ se la domanda è rivolta ai non 
consumatori). Viene inoltre presentato lo strumento informatico che permette l’analisi 
del materiale testuale raccolto. 
 
Il capitolo VI riporta la descrizione e i commenti dei risultati ottenuti tramite 
l’analisi del testo. Alla descrizione dei dati conseguiti segue un commento volto a 
illustrare ciò che tali dati comportano in termini teorico-epistemologici in riferimento 
alle criticità espresse nella prima parte del lavoro e riferite alla psichiatria e alla 
‘psicofarmacologia’, nonché gli  effetti pragmatici da essi prodotti. 
 
Seguono le conclusioni al lavoro, nelle quali vengono riassunti i risultati 
principali dell’analisi epistemologica e della ricerca empirica e illustrato il 
raggiungimento degli obiettivi del lavoro. 
 
 
 
 
 12 
CAPITOLO 1 
 
 
ASPETTI EPISTEMOLOGICI E TEORICI 
 
 
 
Nel presente capitolo si intende presentare la cornice epistemologica e teorica di 
riferimento a partire dalle definizioni di alcuni termini fondamentali del vocabolario 
della filosofia della scienza, tra cui ‘paradigma’, ‘teoria’ e ‘modello’, procedendo poi 
con l’illustrazione dei tre livelli di realismo attualmente riconosciuti dagli epistemologi. 
Per offrire una comprensione migliore e agevolare il lettore nel percorso critico e 
analitico del presente elaborato, per ciò che riguarda la tesi che si intende avvalorare, si 
presentano alcune definizioni più comuni che sono state date al termine ‘psiche’ (o 
‘mente’) nel corso della storia della psicologia; ‘psiche’ è difatti il suffisso del termine 
‘psicofarmaco’, oggetto fondamentale del presente lavoro. Si chiariscono perciò da 
subito il contesto in cui si argomenteranno tutti i paragrafi successivi. 
 
1.1 Definizioni di ‘psiche’. 
Wundt definisce la ‘psiche’ come “l’insieme dei processi spirituali delle 
funzioni psichiche e delle motivazioni del comportamento”
2
. James considera invece la 
                                                 
2
 Hearst H., (1979) The first century of Experimental Psycology, Lawrence Erlbaum Associated, 
Hillsdale. Trad. it. “Cento anni di psicologia sperimentale, vol. I”, Il Mulino, Bologna, 1989, pp. 34-38. 
 13 
‘psiche’ come “quell’insieme di azioni mosse dall’istinto con le quali si perseguono fini 
lontani e si escogitano i mezzi convenienti per conseguirli”
3
. Freud, nella sua prima 
formulazione teorica psicodinamica, stabilisce la ‘psiche’ come “l’insieme delle istanze 
di conscio, preconscio e inconscio, nonché delle pulsioni libidiche”
4
. La ‘psiche’ è 
invece  definita da Fodor “un complesso gerarchico di dispositivi seriali per 
l’elaborazione dell’informazione, e dove ognuno di questi dispositivi o moduli è 
deputato ad eseguire analisi specifiche e autonome che trasformano gli input in 
rappresentazioni”
5
. Lo psicologo statunitense P. Gray recentemente ha definito la 
‘psiche’ come “l’insieme del comportamento e delle funzioni cognitive”; per 
comportamento egli intende “l’insieme delle azioni osservabili compiute da una 
persona o da un animale”; per funzioni cognitive intende “l’insieme di sensazioni, 
percezioni, ricordi, pensieri, motivazioni ed emozioni presenti in un individuo”
6
. 
Da questa breve rassegna di definizioni, anche senza la pretesa di spiegarle in 
modo dettagliato, risulta evidente che la ‘psiche’ non è un concetto univocamente 
definito e definibile, come può essere, ad esempio, il concetto di ‘atomo’ in chimica, 
avente un’unica definizione accettata da tutta la comunità scientifica mondiale. La 
‘psiche’ non è difatti considerabile un ‘ente fattuale’, bensì un’astrazione concettuale, 
non indipendente da processi socio-culturali e, prima di tutto, di carattere conoscitivo 
(scientifico). In altri termini, la ‘psiche’ è una ‘realtà’ che non esiste a livello 
                                                 
3
 James W. (1901), The principles of psychology, 2 voll., Holt ed., New York. Trad. it. “Principi di 
psicologia”, Editrice libraria, Milano. 
4
 Reinhardt M. (1980), “Lexicon der Psycologie”, Verlag Herder KG – Freiburg im Breisgau. Trad. it. 
“Dizionario di Psicologia”, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo, Milano, 1996. Pag. 950. 
5
 Fodor J.A., (1983) “The modularity of Mind”, MIT Press, Cambridge, pag. 23. 
6
 Gray P., (1994) “Psychology”, Worth Publishers Inc. Trad. it. “Psicologia”, ed. Zanichelli, Bologna, 
1997, pag. 3, corsivo dell’autore. 
 14 
ontologico: non c’è, ma esiste nel momento in cui viene nominata, quindi, ‘conosciuta’; 
siamo pertanto ad un livello diverso di modalità di conoscenza, detto gnoseologico. Si 
vedrà in seguito come l’entificazione della ‘psiche’ permetterà, nonostante la sopra 
citata scorrettezza fondativa, ad essere utilizzata quale oggetto di studio psichiatrico e 
psicofarmacoterapico. Si proceda tuttavia con ordine, riprendendo l’argomentazione 
delle due modalità di conoscenza scientifiche. 
La differenza di concettualizzazione tra ontologia e gnoseologia si deve a Kant, 
che differenzia il noumeno (la ‘cosa in sé’), inconoscibile, dal fenomeno (la ‘cosa come 
appare’), che può essere oggetto di conoscenza.
7
 Se l’ontologia si riferisce a quanto può 
essere posto come ‘fattualmente esistente’, cioè esistente indipendentemente dalle 
categorie conoscitive dell’osservatore e, quindi, al cosa si conosce, la gnoseologia si 
riferisce al come si conosce.  Kant, cioè, per primo differenzia il ‘conosciuto’ dal 
‘conoscente’. Quando parliamo di ‘fenomeno’, abbiamo già messo un’opzione al modo 
di conoscenza della realtà, cioè non mettiamo in campo il ‘cosa’ è conosciuto, ma 
‘come’ conosciamo.
8
  Il ‘fenomeno’, pertanto, non è un ente fattuale, non appartiene ad 
una dimensione ontologica di esistenza, ma ad una dimensione gnoseologica, per cui 
non è individuabile un fenomeno esistente ‘di per sé’: un fenomeno esiste nel momento 
in cui ne parliamo, in cui lo conosciamo. Il fenomeno, dunque, non è una “cosa 
conosciuta”, ma è un atto conoscitivo che non esiste indipendentemente dalle categorie 
conoscitive utilizzate, ma si genera nel momento stesso in cui se ne parla. Quindi, per 
“esistere”, ha necessità di una teoria che consenta di ‘conoscerlo’. 
                                                 
7
 Antiseri D., Reale G., (2000) Storia della filosofia, volume II, La Scuola Editrice, Brescia. 
8
 Ibidem. 
 15 
1.2 Teorie, modelli e paradigmi. 
Per teoria s’intende “qualunque asserto che abbia come scopo quello di 
descrivere e spiegare un pezzo di realtà, prevedere eventi futuri e controllare le 
previsioni”
9
. Una teoria pertanto stabilisce ‘cosa’ conosciamo, quindi mette nelle 
condizioni di conoscere. 
Un modello è invece inteso come “quel tentativo di rappresentazione schematica 
della realtà”
10
 caratterizzato da valenza prettamente operativa. E’ sulla base del modello 
(che si fonda su un assunto teorico e su un insieme di prassi coerenti con questo) che è 
possibile intervenire nella realtà oggettiva o costruita che sia.
11
 
Il termine ‘paradigma’ è invece stato coniato dall’epistemologo T. Kuhn, 
volendo indicare “conquiste scientifiche universalmente riconosciute, le quali, per un 
certo periodo, forniscono un modello di problemi e soluzioni accettabili a coloro che 
praticano un certo campo di ricerche”
12
. Kuhn fa riferimento al lavoro nelle comunità 
scientifiche, la cui costruzione è dovuta all’accettazione di idee, pensieri, teorie, che 
costituiscono le coordinate del campo di indagine, i princìpi di fondo, gli esperimenti 
standard, le applicazioni tipiche della disciplina, in breve: il paradigma. In senso 
generale si può allora dire che un paradigma si costituisce dall’insieme di assunti su cui 
la conoscenza viene costruita: scegliere di fare riferimento ad un paradigma piuttosto 
che ad un altro implica individuare un sistema di riferimento attraverso cui organizzare 
                                                 
9
 Gava G., (1998) Lessico epistemologico, Cleup, Padova. 
10
 Ibidem. 
11
 Turchi G.P., Appunti delle lezioni del corso di Psicologia Clinica, A.A. 2003-2004, Università degli 
Studi di Padova. 
12
 Kuhn T., (1969) La struttura delle rivoluzioni scientifiche, trad. it. di A. Carugo, Einaudi, Torino 1969. 
 16 
la conoscenza e quindi individuare un ‘mondo’ anziché un altro
13
. Un paradigma 
pertanto individua un modo di conoscenza. La scienza va pertanto intesa non in senso 
statico, ovvero di ‘cosa’ sempre uguale a se stessa, ma come una continua alternanza di 
paradigmi, ovvero di modi di conoscere. 
 
 
1.3 I livelli di realismo. 
A livello epistemologico, paradigmi
14
, teorie
15
 e modelli
16
 che sono la base a 
partire dalla quale si costruisce e si sviluppa la conoscenza scientifica, non definiscono 
tutti la realtà allo stesso modo; infatti, a seconda del modo in cui intendono la realtà ed i 
modi per conoscerla, questi appartengono e fanno riferimento a diversi livelli di 
realismo. In particolare, “la riflessione epistemologica occidentale distingue tre diversi 
livelli di realismo”.
17
 
“Un realismo monista, considera la realtà come qualcosa che c’è 
indipendentemente dalle categorie e dagli strumenti che vengono utilizzati per 
                                                 
13
 Turchi G.P., Appunti delle lezioni del corso di Psicologia Clinica, A.A. 2003-2004, Università degli 
Studi di Padova. 
14
 Per paradigma si intende l’insieme di assunti su cui la conoscenza viene costruita: scegliere di fare 
riferimento ad un paradigma piuttosto che ad un altro implica individuare un sistema di riferimento 
attraverso cui organizzare la conoscenza e quindi individuare un “mondo” anziché un altro (Turchi, 2003-
2004) 
15
 Per teorie si intende qualunque asserto che abbia come scopo quello di descrivere e spiegare un pezzo 
di realtà, prevedere eventi futuri e controllare le previsioni (Gava, 1998). 
16
 Per modello si intende un tentativo di rappresentazione schematica della realtà (Gava, 1998), 
caratterizzato da valenza prettamente operativa. È sulla base del modello (che si fonda su un assunto 
teorico e su un insieme di prassi coerenti con questo) che è possibile intervenire nella realtà oggettiva o 
costruita che sia (Turchi, 2003-2004). 
17
 Salvini A., (1998) Argomenti di psicologia clinica, Upsel Domeneghini, Padova. 
 17 
conoscerla”.
18
 La realtà è il dato, l’ente, l’essere, ha statuto ontologico, è considerata 
come cosa in sé, la cui esistenza è data per scontata, è dunque un dato certo. Viene 
privilegiato il dato empirico, ogni ricerca scientifica è finalizzata ad identificare un 
sistema di conoscenza che possa essere isomorfo alla realtà stessa. Collocandosi a 
questo livello di realismo si parte dal presupposto che linguaggi tecnici e scientifici 
possano essere in grado di cogliere e di misurare ‘fedelmente’ la realtà, che siano 
adeguati per descriverla così come questa è. In quest’ottica, premessa fondamentale ad 
ogni tipo di conoscenza è l’eliminazione e il superamento del linguaggio naturale, del 
senso comune, per poter cogliere e registrare la realtà.
19
 La domanda a cui si cerca di 
rispondere quando ci si colloca a livello monista è ‘perché’: se la realtà c’è, e gli eventi 
accadono, allora di fronte ad un qualunque fenomeno diventa legittimo cercare di 
spiegarlo, interrogandosi sul che cosa è successo e sul perché è successo; diventa così 
possibile cercare (e trovare, attraverso gli strumenti adeguati) l’ente che ha fatto sì che 
quel fenomeno si verificasse. Questo è il livello della tradizione neopositivista-
empirista,
20
 entro cui si collocano le scienze che hanno un proprio fondamento ed un 
proprio linguaggio, come ad esempio la chimica e la fisica newtoniana. 
Su un diverso livello di realismo si colloca il realismo ipotetico; anche in questo 
caso l’esistenza della realtà viene data per scontata, la realtà c’è, ma, a differenza del 
livello di realismo monista, questa non può mai essere in alcun modo conosciuta così 
come è, ma attraverso le categorie conoscitive del conoscente. “Sono le teorie, in questo 
                                                 
18
 Ibidem. 
19
  Turchi G.P., 2003-2004, op. cit. 
20
 Turchi G.P., Durante R., Perno A., (2002) Verso un paradigma narrativistico, in Turchi G.P. (a cura 
di), Tossicodipendenza.Generare il cambiamento tra mutamento di paradigma ed effetti pragmatici, 
Upsel Domeneghini, Padova. 
 18 
caso, che permettono di creare delle immagini di (questa) realtà, immagini che non 
potranno essere delle fotografie esatte, fedeli e dettagliate, (come nel livello di realismo 
monista), ma soltanto delle metafore, delle ‘mappe’ di un territorio che non sarà mai 
conoscibile e che prende forma ed è definito solo a partire dalla mappa stessa”
21
. È la 
mappa che “permette di conoscere, di strutturare e di mettere ordine in un territorio, che 
altrimenti rimarrebbe caotico ed inaccessibile”.
22
 Ma la mappa, nello stesso tempo, non 
potrà mai essere uguale al territorio, non potrà mai rappresentarlo in modo completo ed 
esauriente; potrà essere più o meno fedele, più o meno somigliante al territorio, ma non 
sarà mai il territorio. Ma non solo: le diverse mappe, e dunque le diverse teorie, 
rappresenteranno il territorio, la realtà, in modo diverso, per cui si avrà un’immagine ed 
un’idea della realtà diversa in base alla diversa teoria che viene abbracciata e scelta per 
spiegarla. L’immagine della realtà che si viene a creare a questo livello, dunque, non è 
la copia della realtà, ma solo una sua interpretazione che non potrà mai essere verificata. 
All’interno di questo livello si introduce quindi il concetto di ‘realismo interno
23
’, 
secondo cui “la validità delle asserzioni della scienza e dei suoi dati è tale solo 
all’interno della teoria di riferimento all’interno della quale sono questi nati”.
24
 Ogni 
sapere introduce delle verità che sono transitorie e locali e che valgono solo all’interno 
della teoria di riferimento. Queste teorie rimangono comunque ancorate al mondo 
                                                 
21
 Ibidem, pp. 37-38. 
22
 Turci P., Roveroni P., (1987) Psicopatologia e livelli di realtà. Edizione Libreria Cortina, Milano. 
23
 Il concetto di realismo interno è stato introdotto dal filosofo teoretico Hilary Putnam, nel corso della 
critica al realismo metafisico. Afferma Putnam: “il realismo metafisico sostiene che la realtà, la quale 
rende vere o false le nostre proposizioni, è indipendente dalla nostra mente, [...], ma, quando noi parliamo 
del mondo, conosciamo il mondo sempre tramite le nostre teorie, soltanto dentro le nostre teorie [...]; per 
tutto ciò realismo equivale a realismo interno.” [Putnam H., (1981) “Ragione, verità e storia”, Il 
Saggiatore, Milano 1985]. 
24
 Turci P., Roveroni P. (1987), op. cit. 
 19 
esterno (e cercano di avvicinarvisi il più possibile) attraverso la consapevolezza che “al 
di là delle teorie che lo rappresentano e lo spiegano esso esiste, anche se la sua verifica 
consiste in traduzioni”.
25
 Quello che varia non è il mondo fisico, ma il modo in cui 
questo può essere conosciuto. A partire da queste premesse, anche a questo livello, così 
come nel realismo monista, l’impegno esplicativo riguarda la risposta alla domanda 
‘perché’, risposta che, però, può essere data solo a partire dalla teoria con cui la realtà 
stessa viene rappresentata, e che quindi non potrà che essere parziale e legata alla teoria 
particolare. Mentre nel realismo monista il linguaggio del senso comune viene bandito, 
in quanto fuorviante per la conoscenza e il raggiungimento della cosa in sé, nel realismo 
ipotetico senso comune e senso scientifico coesistono, dal momento che alle teorie 
scientifiche si associano una serie di teorie di senso comune sulla realtà. Questo è il 
livello su cui si colloca la maggior parte delle teorie psicologiche, che cercano di 
spiegare che cosa sia la mente, e come funzioni, a partire da metafore ed immagini, che 
non sono la mente stessa, non la descrivono così come è, ma ne forniscono solo delle 
immagini particolari che non esistono nella realtà.  
Esiste infine un ulteriore livello di realismo, il realismo concettuale: a questo 
livello la realtà non viene più considerata come un dato di fatto, come un ente. La realtà 
non c’è, ma esiste nelle categorie che vengono usate per conoscerla in quanto tale. La 
realtà viene dunque costruita attraverso i sistemi di conoscenza utilizzati per conoscerla 
in quanto tale. Questa premessa implica alcune conseguenze importanti. Innanzitutto il 
fatto che la realtà che viene ad esistere in un dato momento non è la sola realtà 
                                                 
25
 Salvini A., (1998), op. cit., pag. 30. 
 20 
possibile, ma una di quelle possibili: mentre con gli altri due livelli di realismo ci si 
colloca all’interno del campo del determinismo, qui si rimane all’interno della 
possibilità. L’attenzione non è più ai contenuti, alla cosa in sé, ma si sposta ai processi 
che consentono di costruire, e di far emergere come esistente, una realtà anziché 
un’altra: ci si interroga quindi non sul ‘perché’ un evento sia accaduto, ma sul ‘come’ 
un certo tipo di realtà sia stata generata. All’interno di questo livello l’osservatore e 
l’osservato non sono più indipendenti, dal momento che l’osservatore, nel momento 
stesso in cui si approccia all’oggetto di osservazione, non solo inevitabilmente lo 
influenza e quindi lo modifica, ma addirittura va a costruirlo: “il come si conosce 
determina il che cosa si conosce.”
26
 Sono le categorie usate per conoscere la realtà che 
vanno a costruirla, per cui al variare delle prime corrisponderà una variazione, non 
dell’immagine della realtà ottenuta, come nel realismo ipotetico, ma della stessa realtà 
che viene generata e, in virtù della reificazione
27
, percepita. In questo caso, quindi, non 
è possibile fare riferimento a nessun territorio al di là della mappa: il territorio diventa la 
mappa stessa, è generato, viene ad esistere nel momento in cui la mappa viene creata. Se 
viene tolta la mappa, inevitabilmente il territorio smette di esistere. La realtà è 
identificata con le categorie conoscitive utilizzate, a tal punto che “al di fuori delle 
forme di conoscenza non rimane alcuna realtà da conoscere.”
28
 Il metodo privilegiato 
della conoscenza, e, quindi, della costruzione, è il linguaggio; in questo senso, la realtà 
viene generata dai discorsi che vengono fatti, dal modo in cui questa viene definita di 
                                                 
26
 Salvini A. (1998), op. cit. 
27
 Per reificazione s’intende quel processo per cui si vengono a percepire dei concetti, delle astrazioni o 
delle metafore come se fossero davvero reali, nel senso ontologico del termine. Il concetto di reificazione 
verrà approfondito nei paragrafi successivi. 
28
 Turci P., Roveroni P. (1987), op.cit. 
 21 
volta in volta. È il linguaggio stesso che va a generare la realtà, è proprio il processo che 
permette di costruire la realtà: la realtà che diventa di volta in volta dominante, che 
esiste in un momento dato è generata e dipende dai repertori discorsivi presenti ed 
accessibili in un determinato contesto e in un determinato momento. La realtà è sempre 
interna ai discorsi: al di fuori del discorso non esiste alcuna realtà di cui parlare. “Il 
mondo che viene percepito come esterno, in realtà altro non è che, secondo il realismo 
concettuale, dipendente da un agire comunicativo dotato di senso, all’interno del quale 
le diverse teorie ed i diversi discorsi, nel momento in cui cercano di definire, spiegare o 
interpretare la realtà, ne hanno già prodotta un’altra”
29
, all’interno di una dimensione 
diacronica di puro processo e continua trasformazione. La realtà generata in questo 
modo ha comunque un valore pragmatico, nel senso che “viene colta come reale ed 
esistente nei suoi effetti, a tal punto che viene percepita come oggettiva ed indipendente 
dall’attività di costruzione.”
30
 
Si vede come, a partire da questi presupposti, diventi fondamentale, per chiunque 
pretenda di generare della conoscenze o di spiegare o descrivere la realtà, essere 
consapevole del livello di realismo a cui si colloca, in modo tale da conoscere quali 
possano essere le potenzialità ed i fini della propria teoria di riferimento, quali 
deduzioni o discorsi siano legittimi e quali no da un punto di vista epistemologico. 
Questa necessità esiste a maggior ragione per coloro che si muovono in campo 
psicologico, dal momento che l’orizzonte epistemologico e teorico della psicologia 
rimane tutt’altro che chiaro.  
                                                 
29
 Salvini A. (1998), op. cit. 
30
 Berger P., Luckmann T. (1966), The social construction of reality, Doubleday, Garden City, New York 
[tr. It. La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna, 1969].