4
oggi, nel regime di una economia di scambio, in cui precisamente il lavoratore si 
procura in realtà il mezzo monetario necessario per questo. 
Non è quindi un caso che il diritto al lavoro sia, quindi, uno dei diritti 
maggiormente richiamati nelle Costituzioni di quasi tutti gli Stati al mondo e nelle 
varie Convenzioni e Dichiarazioni universali e non che garantiscono i diritti 
umani.  
Nella Costituzione italiana, oltre ad asserire che la Repubblica “è fondata sul 
lavoro” (art. 1), il diritto al lavoro viene incluso tra i principi fondamentali (si 
tratta dell’art. 4) e tra essi è quello che ha subito di più, sicuramente, il peso della 
storicità. Sulla sua valenza giuridica si è svolto, all’alba dell’attuazione 
costituzionale, un dibattito anche fin troppo eccessivo mosso, come rilevato da 
molti, dalla contrapposizione ideologica tra economia pianificata ed economia di 
mercato. Benché molti punti del dibattito ad esso relativo siano stati sviluppati 
dalla legislazione (tra tutti il nesso tra diritto al lavoro e la tutela contro i 
licenziamenti arbitrari), il diritto al lavoro non ha ancora assunto quel rilievo di 
norma cardine del sistema lavorista al quale poteva aspirare.
2
 Al di fuori della 
polarizzazione ideologica di allora, la disposizione costituzionale merita di essere 
riconsiderata e presa, per così dire, “sul serio”, in un tempo in cui la questione del 
lavoro torna al centro di ogni progetto di società futura e una nuova articolazione 
dei pubblici poteri nell’economia, che vede al centro l’Unione Europea, impone di 
riconsiderare il ruolo dello Stato nazionale. 
                                                 
2
 D’ANTONA M. (1999), Diritto al lavoro e politiche per l’occupazione, in Rivista giuridica del 
lavoro e della previdenza sociale, p. 15  
 5
La costituzionalizzazione del diritto al lavoro è di per sé un dato da “prendere 
sul serio”. È inevitabile chiarire alcune opzioni interpretative ad esso inerenti, 
ricavate dal vasto patrimonio di riflessioni sul tema e dall’evoluzione della 
Costituzione economica (materiale). 
- Innanzitutto, il diritto del primo comma e il dovere del secondo 
comma dell’art. 4 della Costituzione, hanno un oggetto diverso: il diritto al 
lavoro intende il lavoro nella sua accezione storico-sociale, come impiego 
remunerato della propria attività personale (anche se le tendenze più recenti 
suggeriscono di aggiungere, non necessariamente con un rapporto di lavoro 
subordinato, tantomeno nella forma tipica del lavoro a tempo 
indeterminato). Il lavoro, così inteso, si colloca saldamente nella sfera 
dell’economia. Il dovere del secondo comma riguarda invece ogni attività 
utile alla società, prescinde da ogni qualificazione dei caratteri e dei fini 
dell’attività, e, soprattutto, non implica un nesso con la sfera dell’economia. 
- L’articolo 4 contiene un diritto sociale e un diritto di libertà, 
quest’ultimo consiste nel fatto che la scelta del lavoro non può essere 
imposta dall’esterno. Il diritto sociale, invece, non si risolve in una pretesa 
verso i pubblici poteri: il diritto al lavoro non si risolve nelle politiche 
dell’occupazione, ma ha un nucleo che può essere ascritto a ciascun 
cittadino, indipendentemente dalle politiche dell’occupazione. 
- Il che può essere ascritto ai cittadini in base all’articolo 4, primo 
comma; consiste cioè nel diritto di lavorare, ossia di accedere al lavoro e di 
 6
mantenere il lavoro ottenuto senza subire l’interferenza abusiva  o 
discriminatoria di poteri pubblici o privati. In questo senso il diritto al 
lavoro è un diritto della persona, intesa come “persona sociale”; esso però 
non si identifica né con il diritto ad ottenere il posto di lavoro con 
l’intervento dello Stato e neppure con il regime di stabilità del posto di 
lavoro; il diritto al lavoro, indipendentemente dalle politiche necessarie a 
renderlo effettivo mediante l’allargamento delle occasioni di lavoro, 
consiste piuttosto nella garanzia dell’uguaglianza (formale e sostanziale) 
delle persone rispetto al lavoro disponibile, un’uguaglianza che significa 
equilibrata concorrenza tra le persone e sicurezza rispetto ad abusi legati a 
qualità personali (sia nel mercato del lavoro sia durante il rapporto di 
lavoro). 
- Quanto alla “pretesa a”, la realizzazione delle condizioni per rendere 
effettivo il diritto al lavoro, ossia le politiche del lavoro e dell’occupazione, 
possono essere sviluppate in qualunque assetto storico di economia mista 
ammesso dalla Costituzione economica e possono risolversi in un mix di 
interventi sul lato dell’offerta di manodopera e sul lato della domanda, 
prima o dopo la disoccupazione. Tuttavia, la disoccupazione involontaria 
resta un fattore di allarme costituzionale e configura immediatamente una 
posizione soggettiva di pretesa nei confronti dei pubblici poteri.
3
 
                                                 
3
 D’ANTONA M. (1999), Diritto al lavoro e politiche per l’occupazione, in Rivista giuridica del 
lavoro e della previdenza sociale, p. 15 
 7
A questa pretesa, la risposta dei pubblici poteri non deve essere 
necessariamente l’assegnazione di un concreto posto di lavoro (a carico dello 
stato), può essere una risposta articolata e non necessariamente diretta al singolo 
(magari, sul lato della domanda può consistere in una politica di sviluppo 
economico, territoriale, orientata alla creazione di posti di lavoro; sul lato 
dell’offerta, un’attività diretta a somministrare sussidi, mezzi e conoscenze capaci 
di aumentare chances di reinserimento). Ma per quanto possa essere articolata la 
risposta, l’assenza di risposta, ossia l’inattività dei pubblici poteri, si configura 
come un vero e proprio inadempimento (che, come sostiene il Barile, potrebbe 
reindividualizzare la pretesa del singolo, fino a legittimare il disoccupato 
“abbandonato” a chiedere i danni allo Stato). 
 8
CAPITOLO I 
 
IL DIRITTO AL LAVORO NELLA 
COSTITUZIONE ITALIANA 
 
  1. IL LAVORO A FONDAMENTO DELLA 
REPUBBLICA 
Il “diritto al lavoro” è ampiamente tutelato dalla nostra Costituzione; 
possiamo subito dire che la nostra è una Costituzione “lavorista”, come è 
dimostrato, anzitutto, dall’art. 1 della Costituzione, secondo cui: “l’Italia è una 
Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.
4
 
Questa disposizione contiene un principio fondamentale che non può essere 
eliminato, neppure con una legge costituzionale (art. 138 C.). 
Per lavoro, secondo l’interpretazione ampiamente affermatasi, deve 
intendersi non solo quello salariato, ma il suo significato è molto più ampio: ci si 
riferisce al lavoro economicamente subordinato e cioè, oltre al lavoro salariato o 
dipendente (pubblico e privato), anche quello autonomo, tuttavia svolto con 
prevalenza del lavoro personale sui mezzi di produzione e con un rapporto di 
collaborazione continuativa e coordinata. 
                                                 
4
ROMAGNOLI U. (1995), Il lavoro in Italia, Il Mulino, Bologna 
 9
Una tale interpretazione  restrittiva si giustifica in considerazione del fatto che 
la particolare tutela viene predisposta a favore di chi è privo di mezzi di 
produzione, nei confronti di chi i mezzi di produzione detiene, e per tale ragione si 
trova in una posizione di supremazia. 
La tutela è riservata alla Repubblica. Quando la Costituzione fa ad essa 
richiamo, intende riferirsi non solo allo Stato apparato, ma anche agli altri enti 
territoriali, quali il Comune e la Provincia e soprattutto la Regione, investita di 
podestà legislativa. 
Ma di più, intende riferirsi alle forze sociali che si muovono all’interno della 
società e, tra queste, soprattutto ai sindacati.
5
 
La tutela costituzionale del diritto al lavoro è stato il frutto di un’evoluzione 
storica, bisogna infatti ricordare che si possono distinguere, a grandi linee, tre fasi 
storiche, che in larga misura si intrecciano sovrapponendosi nel corso dei 
medesimi periodi di tempo: 
1) la prima è la fase della prima legislazione sociale, in cui le 
leggi in materia di lavoro si presentavano soprattutto come norme 
eccezionali rispetto al diritto privato comune, si tratta del periodo 
precedente al Codice civile del 1942; già prima del R.D.L. 13 novembre 
1924 n. 1825, esisteva infatti una disciplina nel Codice Civile emanato 
nel 1865 insieme a varie leggi di tutela del lavoratore che in sostanza si 
identificavano con la legislazione sociale. Seppur il Codice civile allora 
                                                 
5
 PERA G. (2003), Diritto del lavoro, Cedam, Padova 
 10
vigente non prevedeva una disciplina vera e propria del contratto di 
lavoro, erano comunque previste alcune norme di regolamentazione della 
“locazione delle opere e dei servizi”; inoltre nei primi decenni del XX 
secolo furono emanate in Italia alcune leggi di disciplina del lavoro, 
come la tutela dei fanciulli e delle donne (L. 19 giugno 1902, n. 242), il 
riposo settimanale e festivo (L. 7 luglio 1907, n. 489) e leggi di 
istituzione di enti previdenziali (come la Cassa nazionale di maternità 
per l’erogazione del sussidio di maternità  alle donne operaie e la Cassa 
nazionale di previdenza per la invalidità e la vecchiaia per gli operai 
volontariamente iscritti ); nel complesso queste norme vedevano la loro 
funzione di tutela limitata agli operai, nella loro qualità di prestatori di 
lavoro prevalentemente manuale e industriale; 
6
 
2) la seconda è quella della fase dell’incorporazione del 
diritto del lavoro nel sistema del diritto privato; essa è caratterizzata 
dalla inserzione della disciplina delle leggi e dei contratti collettivi 
nell’ambito della codificazione civile, si tratta del periodo che va 
dall’entrata in vigore del Codice civile del 1942 al 1948 caratterizzato da 
un’accresciuta rilevanza giuridica del fenomeno sociale del lavoro 
dipendente, inteso come impiego della manodopera all’altrui sevizio, e 
della progressiva incorporazione dei principi della sua disciplina nel 
sistema del diritto privato, in posizione di diritto speciale. Questo 
                                                 
6
 PERA G. (1996), Diritto del lavoro, Cedam, Padova 
 11
processo si realizzò attraverso il ridimensionamento della legge speciale, 
a cui venne assegnato un ruolo integrativo (e non più esclusivo) e con il 
passaggio all’inserzione del diritto del lavoro nella codificazione 
unificata del diritto privato; 
3) la terza è la fase della costituzionalizzazione del diritto del 
lavoro, i cui principi fondamentali vengono garantiti dalla Carta 
costituzionale; è questa la fase più importante in cui al diritto del lavoro 
venne attribuita una rilevanza costituzionale di grado notevolmente 
superiore rispetto al diritto civile  e a quello commerciale, anch’essi 
disciplinati dal Codice civile, a cui era stato equiparato nella fase 
precedente.
7
 
La Costituzione manifesta una volontà di intervento, oltre che nel tradizionale 
campo dei rapporti degli organi dello Stato tra loro e di quelli tra il cittadino e lo 
Stato, soprattutto nei rapporti interprivati, vale a dire tra i cittadini, considerati, 
quindi, non più soltanto nella loro uguaglianza di fronte alla legge, ma altresì 
secondo la differente posizione occupata nella società civile, concretamente 
articolata in classi e quindi per categorie e gruppi di interessi contrastanti. 
In questa prospettiva, si può dire che il rapporto interprivato di maggior 
rilievo sul piano costituzionale è ormai il rapporto di lavoro nella sua qualità di 
tipico rapporto di produzione e, pertanto, come fonte di situazioni di svantaggio e, 
reciprocamente, di vantaggio per i lavoratori e per i datori di lavoro.  
                                                 
7
 SMURAGLIA C. (1958), La Costituzione e il sistema del diritto del lavoro: lineamenti di una 
teoria generale, Giuffrè, Milano 
 12
Il carattere prevalente della normativa della materia è quello originario della 
protezione del lavoratore come soggetto-contraente più debole: la differenza è  
nel fatto che l’elemento di eccezionalità prima e di specialità poi è stato, per così 
dire, sublimato e posto a fondamento ideologico della Carta costituzionale. 
8
 
La protezione del lavoratore come singolo appartenente ad una determinata 
categoria (o, più in generale, classe) sociale non è più espressione di un favor 
eccezionale o speciale, pur sempre privilegiato, bensì di un’istanza di 
trasformazione della posizione professionale e sociale del lavoratore stesso nel 
contesto che lo circonda (dall’ambiente di lavoro al sistema economico).
9
 
La tutela del soggetto contraente debole rappresenta indubbiamente la 
finalità, la ratio legis, di tutte queste norme; ma non si tratta più di una finalità 
esclusiva: ad essa si aggiunge infatti quella ulteriore e più ampia della garanzia dei 
diritti sociali.
10
 
Il diritto al lavoro, rientrando quindi tra i diritti sociali, necessita di essere 
esplicato nel suo contenuto; al riguardo, la maggioranza dei giuristi e la Corte 
Costituzionale, almeno a partire dalla sentenza n. 45 del 1965, non nutrono dubbi. 
La garanzia in esame ha per oggetto due pretese: una positiva, a che siano 
suscitate occasioni di lavoro o, secondo alcuni, a ottenere un lavoro (parliamo, 
appunto, di un diritto sociale); una negativa, all’astensione da qualsiasi 
                                                 
8
 SCOGNAMIGLIO R. (1978), Il lavoro nella giurisprudenza costituzionale, Franco Angeli, 
Milano 
9
 MICCO L.(1966), Lavoro ed utilità sociale nella Costituzione, Giappichelli, Torino 
10
 PERA G. (2003), Diritto del lavoro, Cedam, Padova 
 13
interferenza nella scelta, nel modo d’esercizio e nello svolgimento dell’attività 
lavorativa (diritto individuale di libertà).
11
 
Il diritto, di cui parliamo, deve essere quindi inteso come un diritto sociale, 
nel senso tecnico dell’espressione: tale, cioè, che l’interesse per la cui tutela è 
attribuito può essere soddisfatto solo mediante una serie di prestazioni dei 
pubblici poteri. 
Si introduce, così, il nuovo concetto secondo cui il cittadino, in quanto tale (e 
non, viceversa, come singolo contraente o soggetto privato), deve essere titolare 
dei diritti soggettivi idonei a realizzare l’obiettivo dell’uguaglianza sostanziale 
garantita in una prospettiva dinamica dall’art. 3, secondo comma, della 
Costituzione. 
Tutte queste norme sono riconducibili ad una medesima matrice unitaria: la 
rilevanza riconosciuta dal legislatore costituzionale alla posizione soggettiva di 
sottoprotezione sociale del lavoratore come cittadino e, prima ancora come 
persona implicata nel rapporto di lavoro dipendente. Quello della tutela della 
libertà e dignità sociale del lavoratore si affianca perciò al tradizionale obiettivo 
della tutela della posizione contrattuale debole.  
Sotto questo aspetto si potrebbe ravvisare un avvicinamento del diritto del 
lavoro alla nuova dimensione del diritto pubblico inteso ormai come garante 
formale di una determinata Costituzione economica-sociale e perciò dei diritti e, 
simmetricamente, dei doveri inerenti alla differente posizione dei cittadini nella 
                                                 
11
 MANCINI F. (1975), Commento all’art. 4 C., in Commentario della Costituzione, a cura di 
Branca, Zanichelli-Il Foro italiano, Bologna-Roma 
 14
società. 
12
 Viene così in luce anche la rilevanza della Costituzione economica, 
cioè dell’insieme delle norme e dei principi fondamentali che regolano l’assetto 
economico della società nella Costituzione formale. Lo stesso riconoscimento 
della posizione di sottoprotezione sociale del cittadino-lavoratore si collocano in 
tale contesto, nel quale acquista rilievo dominante. 
Dal rango costituzionale della protezione riconosciuta al lavoratore non 
dipende necessariamente la qualificazione della normativa come legislazione 
unilaterale di classe. Al contrario, il diritto del lavoro è rivolto alla tutela dei 
prestatori di lavoro non in quanto appartenenti ad una classe unitaria 
(proletariato), bensì in quanto espressione articolata delle diverse categorie sociali  
lavoratrici. 
Un contributo significativo deve essere riconosciuto alla Corte Costituzionale, 
il cui ruolo è volto ad assicurare il costante adeguamento delle norme di legge ai 
principi della Costituzione. 
Si tratta di un processo di evoluzione dell’ordinamento nel suo complesso, 
come tale di carattere continuo. Molte sentenze della Corte Costituzionale sono 
concernenti proprio la disciplina del rapporto di lavoro; si può dire, anzi, che non 
vi sia aspetto di rilievo di tale rapporto che non abbia registrato interventi della 
Corte Costituzionale tendenti ad adeguare la normativa del Codice civile e delle 
leggi speciali al dettato della Costituzione. 
                                                 
12
 PERA G.(1996), Diritto del lavoro, Giuffrè, Milano 
 15
Tali sentenze possono essere interpretate come atti produttivi 
dell’annullamento delle norme illegittime e contemporaneamente rappresentano  il 
canale della cosiddetta interpretazione adeguatrice delle leggi ordinarie (in 
sostanza si tratta dell’uso della tecnica dell’“interpretazione evolutiva” tendente 
all’adeguamento delle norme ai principi costituzionali). In questo modo 
l’interpretazione della Corte costituzionale è uno strumento costante per operare 
un raffronto fra i principi della Carta costituzionale e la realtà normativa 
contingente; in definitiva, si può ritenere che essa svolga costantemente un ruolo 
di adeguamento delle norme che disciplinano i rapporti economici ai principi della 
Costituzione. 
In molti casi la Corte Costituzionale ha pronunciato sentenze esclusivamente 
interpretative dichiarando la non fondatezza della questione di legittimità 
costituzionale ma esplicando nella motivazione della sentenza l’interpretazione in  
base alla quale la disposizione, sottoposta a giudizio, può essere considerata non 
in contrasto con la Costituzione (sentenze interpretative di rigetto).
13
 
Diverso è il caso in cui la Corte Costituzionale dichiari l’illegittimità di una o 
più tra le possibili interpretazioni ricavabili dalla disposizione legislativa 
sottoposta al suo giudizio: in questo caso si ha la pronuncia di una sentenza detta 
interpretativa di accoglimento che, individuando l’enunciato normativo 
conforme alla Costituzione, modifica sostanzialmente il contenuto precettivo della 
disposizione lasciando tuttavia immutato il testo. 
                                                 
13
 COLAPIETRO R. (1996), La giurisprudenza costituzionale nella crisi dello stato sociale, 
Cedam, Torino 
 16
Ci sono, poi, le sentenze sostitutive, le quali eliminano una parte del testo, 
sostituendolo con un enunciato normativo conforme alla Costituzione; le sentenze 
additive con le quali, restando invariato il testo, integrano non solo la 
disposizione ma anche la norma di legge al fine di porre rimedio ad una omissione 
del legislatore. 
L’impiego di queste tecniche di decisione è particolarmente frequente ed 
esteso a tutela dei diritti sociali e quindi del diritto al lavoro; risulta abbastanza 
chiaro quale sia stato il contributo della giurisprudenza costituzionale 
nell’evoluzione del diritto del lavoro e delle sue fonti.
14
 
                                                 
14
 PERA G.(2003), Diritto del lavoro, Giuffrè, Milano 
 17
2.L’INTERESSE COLLETTIVO ALL’OCCUPAZIONE 
Come detto il diritto al lavoro è tutelato dalla Costituzione e affonda le sue 
radici nell’esigenza di protezione del prestatore di lavoro. 
Il fine principale di tale disciplina si rinviene nella tutela dell’interesse 
collettivo e, nello stesso tempo, sociale e pubblico, dei lavoratori all’occupazione. 
Oltre al già citato art. 1 della Costituzione, che pone il lavoro come 
fondamento della nostra Repubblica, è possibile riscontrare la garanzia di tale 
fondamento  nell’art. 4 della Costituzione che sancisce il diritto e il dovere al 
lavoro alla cui tutela è finalizzato l’intervento attuativo del legislatore.
15
 
L’art. 4 della Costituzione fu il frutto di una lunga discussione all’epoca 
dell’Assemblea Costituente, espressamente si  parlò di “diritto” (sia pure 
avvertendo, che occorreva in futuro renderlo attuale) per sottolineare 
l’imperatività dell’esigenza costituzionale, morale e civile.
16
  
I Costituenti, tramite i loro interventi al dibattito, furono tutti concordi nel 
non andare al di là del valore programmatico della norma in questione, tutti 
consci dell’impossibilità dello Stato di garantire ad ogni cittadino un posto di 
lavoro, semmai i più prudenti temettero che il valore programmatico potesse non 
essere recepito dal futuro legislatore. 
                                                 
15
 Art. 4 della Costituzione: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e 
promuove le condizioni che rendono effettivo tale diritto. 
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, 
un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società” 
16
 BARILE P. (2002), Istituzioni di diritto pubblico, Cedam, Padova