vuole evidenziare quanto l’auspicata armonizzazione sanzionatoria
a livello internazionale sia ancora molto lontana dall’attuarsi e
quanto l’opportunità di un intervento del diritto penale sul tema sia
ancora oggetto di controversie dottrinali.
2
CAPITOLO I
Il doping: le dimensioni sociali e
storiche del fenomeno.
§ 1.1 - L’evoluzione normativa della repressione del
doping.
1.1.1 - La definizione di doping.
Il termine doping, secondo una prima etimologia, avrebbe le
sue origini in un dialetto sudafricano. Con questo termine si
identificava un liquore stimolante che era somministrato durante le
cerimonie religiose (Dop)
1
. Da questa radice si sarebbe arrivati al
nostro “doping” che, derivato dall’inglese, può essere tradotto in
italiano con “drogaggio”.
La legge 14 dicembre 2000, n.376- “Tutela sanitaria delle
attività sportive e lotta contro il doping” all’art. 1 comma 2
fornisce una definizione che ha riassunto e chiarito le precedenti
denominazioni contenute in vari documenti internazionali. Nel
nostro ordinamento, quindi, il doping si caratterizza come “… la
somministrazione o l’assunzione di farmaci o di sostanze
1
FERRARA, Doping antidoping, 2004, XIX, Padova, pag.11.
3
biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o la
sottoposizione a pratiche mediche, non giustificate da condizioni
patologiche, ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o
biologiche dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni
agonistiche degli atleti”. Una definizione che non ha mancato di
trovare critici ed oppositori ma che ha senz’altro il merito di essere
punto di riferimento in una materia complessa e disorganica che,
solo negli ultimi anni, è diventata oggetto di attenzione da parte del
legislatore penale. Tale intervento legislativo si è avuto, infatti,
dietro la spinta di un crescente allarmismo, suscitato da gravi
episodi di doping, avvenuti in occasione di grandi avvenimenti
sportivi (un esempio per tutti il Tour de France del 1998), diffusi,
amplificati ed esaminati dai mass media con grande clamore.
La legge si è inserita in un ambito internazionale già ricco di
atti e documenti relativi al doping, un tema che è stato ampiamente
disciplinato e sanzionato dall’ordinamento sportivo italiano. Tra gli
atti internazionali più importanti possiamo ricordare: la “Carta
internazionale olimpica contro il doping” adottata nel 1988 durante
la “Prima conferenza mondiale permanente per la lotta contro il
doping nello sport”, la “Dichiarazione di Losanna sul doping nello
sport” adottata nel 1999 nel corso della Conferenza Mondiale sul
Doping nello Sport. In ambito strettamente comunitario, il
4
Consiglio d’Europa ha svolto un importante ruolo adottando
risoluzioni e raccomandazioni agli Stati con l’invito a prendere le
misure necessarie contro il doping nello sport. Tra i più importanti
documenti del Consiglio d’Europa: la “Carta europea contro il
doping nello sport” del 1984 e la “Convenzione di Strasburgo
contro il doping”, approvata il 16 novembre 1989 e ratificata
dall’Italia con legge del 1995, n.522. Questa convenzione è stata un
precedente importante ed autorevole per la nostra legge penale,
avendo definito all’art. 2 il “doping nello sport” come “la
somministrazione agli sportivi o l’uso da parte di questi ultimi di
classi farmacologiche di agenti di doping o di metodi di doping”.
Questa definizione, seppure meno dettagliata e specifica di quella
adottata dal legislatore italiano, è stata poi sviluppata più
compiutamente dal legislatore italiano.
1.1.2 - Breve storia del doping
È un luogo comune affermare che il doping, insieme ad altre
forme di frode, non è una novità. Spesso, però, si tende ad
immaginare un antico mondo dello sport dominato dalla nobiltà di
spirito e dalla purezza di cuore. La lunga storia del doping
dovrebbe mettere in guardia gli studiosi del problema dall’applicare
ad esso soluzioni semplicistiche.
5
In genere, ogni volta che la vittoria in una competizione
sportiva ha coinvolto questioni di status o di denaro sono stati fatti
tentativi per cercare vantaggi nel doping. L’idea che una sostanza,
un prodotto possano alleviare fatica e sofferenza fa da sempre parte
della cultura dei popoli ed è, forse, qualcosa che appartiene
all’inconscio collettivo. Questi concetti rientrano anche in quella
metafora della vita che è rappresentata dallo sport.
Galeno ci tramanda che i Greci usavano stimolanti per
migliorare le prestazioni sportive, alle Olimpiadi antiche diete ed
accorgimenti alimentari erano pratica diffusa. Nel Colosseo, ai
tempi dei romani, i gladiatori usavano radici ed erbe stimolanti per
poter continuare a combattere dopo essere stati feriti.
Più di recente, nel Diciannovesimo secolo, numerosi atleti
fecero uso di una varietà di sostanze per esaltare le loro prestazioni,
tra cui la stricnina, la nitroglicerina, l’oppio, l’alcool e la caffeina.
Sostanze a volte usate anche in combinazione tra loro. L’uso
eccessivo portò ad eccessi e provocò problemi.
Il primo decesso fu di un ciclista, Arthur Linton, avvenuto
nel 1896 per assunzione di stricnina somministratagli dal suo
allenatore. L’attribuzione delle responsabilità della morte fu
controversa, anche se alla fine l’istruttore fu squalificato. Altri
atleti andarono vicino alla morte, ma, fino agli inizi degli anni ’20,
6
le notizie documentate di un uso di sostanze dopanti nello sport
sono scarsissime.
Il vero progresso nello studio e nell’uso delle sostanze
dopanti si è avuto con la seconda guerra mondiale e con
l’evoluzione della scienza chimico-farmaceutica che ne è seguita. Il
riferimento è alla scoperta e all’impiego di anfetamine. In un primo
momento vennero somministrate ai piloti di caccia che risultavano
più aggressivi e resistenti alle lunghe ore alla cloche degli aerei.
Gli anni ’50 sono segnati dall’uso di questi stimolanti nello sport ed
in particolare nelle discipline di grande durata e fatica come
ciclismo, maratone, nuoto. Alcuni tragici decessi attirarono
l’attenzione dell’opinione pubblica sull’abuso di queste droghe. Il
primo a destare questo tipo di interesse avvenne durante le
Olimpiadi di Roma nel 1960: l’olandese Knut Jensen morì durante
la 100 km a squadre per aver assunto enormi quantità di stimolanti.
Sette anni dopo, durante il Tour de France, i media di tutto il
mondo documentarono la morte dell’inglese Tom Simpson, ex-
campione del mondo; l’atleta aveva ancora delle pasticche di
anfetamine nelle tasche della maglietta. La potenza di queste
immagini attirò l’attenzione del grande pubblico su questo
fenomeno.
7
A partire dagli anni ’60 la rivoluzione dei costumi contribuì
ad una maggior tolleranza nei confronti dell’uso delle droghe ed il
progredire della ricerca biochimica portò sul mercato una più vasta
scelta di prodotti dopanti. Negli USA comparvero i primi
anabolizzanti. Questi nuovi preparati venivano assunti per un
periodo di mesi o settimane anteriore al momento della gara. Gli
atleti arrivavano “puliti” alla competizione agonistica, dopo aver
eliminato le tracce del trattamento e potendo fruire dei vantaggi
chimici. Con gli steroidi è possibile affrontare carichi di
allenamento superiori e gli effetti collaterali da questi prodotti non
si manifestano nell’immediato, come poteva accadere con le
anfetamine, ma nell’arco di un periodo più lungo.
Negli anni della guerra fredda lo sport diventa mezzo,
veicolo per affermare la validità di un modello politico sull’altro.
La Germania dell’est vinse 541 medaglie alle Olimpiadi e nessun
atleta tedesco risultò positivo ai test in quegli anni. Inchieste e
processi hanno scoperto il velo sulla triste realtà del “Doping di
stato”. Una complessa macchina organizzativa che, guidata da
Manfred Ewald, coinvolse circa diecimila atleti cui veniva
somministrato ogni genere di prodotto che potesse incrementare la
prestazione agonistica. I danni causati da questi “trattamenti”
furono spesso irreversibili. Il modello tedesco divenne facilmente
8
esportabile nei paesi del blocco socialista ma anche negli USA. La
differenza che queste terapie consentivano di ottenere a livello
agonistico portarono anche altri paesi europei, tra cui l’Italia, a
adeguarsi a queste pratiche.
Dagli anni ’80 in poi negli USA si comincia ad usare l’HGH,
detto ormone della crescita, dapprima estratto dalle ipofisi dei
cadaveri, e poi realizzato in via sintetica. Questo tipo di doping è
efficientissimo e diffusissimo ancora oggi in quanto non esiste un
test validato dagli organismi sportivi internazionali per
individuarlo. Francia, Gran Bretagna e Spagna hanno ruoli di
primissimo piano nell’uso di queste pratiche. Negli anni ’90 i
“medici dell’Est” vengono scelti in molte nazioni perché offrano la
loro esperienza nell’eludere i controlli. L’avanzare della scienza
offre prodotti sempre più sofisticati e difficili da individuare.
Spesso si dice che la ricerca di prodotti dopanti viaggi più
velocemente dell’anti-doping.
In realtà non esiste una specifica ricerca sul doping ma una
ricerca di prodotti destinati a risolvere gravi problemi riguardanti la
salute pubblica. È questo il caso dell’eritropoietina ricombinante
(comunemente nota come EPO) che, nata come farmaco salvavita
per dializzati, somministrata in modo abnorme ed improprio a
soggetti sani ha rivoluzionato gli sport di resistenza. L’uso non
9
terapeutico di questi farmaci li trasforma in veri e propri strumenti
delittuosi. I medici spesso sono compiacenti e tranquillizzano
l’atleta-utente. In una clamorosa intervista del 1999, rilasciata
quando era medico responsabile di una formazione ciclistica
professionista, Michele Ferrari (che ha avuto tra i suoi assistiti
anche Lance Armstrong), sosteneva senza vergogna che meglio di
sottoporre gli atleti a snervanti stage d’allenamento in altura, era
somministrare loro l’Epo. Doping, secondo questa concezione, era
solo ciò che veniva individuato nei test di controllo.
1.1.3 - Le dimensioni del fenomeno.
Ad alto livello il doping è molto praticato. La nuova
generazione di farmaci è talmente potente nel modificare le
prestazioni che neppure un patrimonio di doti fisico-atletiche
eccezionale riesce a colmare il divario tra atleta dopato e non. Le
strategie si sono evolute con il passare del tempo e con l’aumento
di offerta di prodotti disponibili. Non più azione occasionale nel
giorno della gara ma strategia di preparazione farmacologia svolta
su base annuale in funzione delle qualità fisiche da migliorare e
degli impegni in calendario. Si può quasi considerare il doping
come una “cura”. Durante il periodo di allenamento più intenso
vengono assunti farmaci che consentono di sopportare carichi di
10
allenamento altrimenti impensabili. A questo periodo ne segue uno
cosiddetto di “scarico” in cui vengono eliminate dall’organismo le
sostanze assunte precedentemente, eludendo così i test di controllo.
Nomi importanti dello sport nazionale ed internazionale sono stati
coinvolti in scandali ed inchieste che, molto spesso, si presentano
come “punte dell’iceberg” di un fenomeno molto diffuso e tollerato.
Sarebbe errato e superficiale considerare questa pratica come
fenomeno esclusivamente di vertice. I dati dei farmaci con valenza
dopante disponibili sul mercato ci inducono ad una valutazione più
prudente. Questi preparati sono tanto diffusi da non trovare
giustificazione solo nell’uso ed abuso della fascia di agonisti
maggiori nelle varie discipline. Il problema infatti non riguarda
solo il più ristretto ambito etico-sportivo, ma ci sposta sul piano
della tutela della salute pubblica, in particolare tra i giovani.
Ulteriore testimonianza della larga diffusione di questi farmaci ci
viene dall’incredibile massa di sequestri operati dai NAS e dalla
Guardia di finanza. Negli ultimi anni il traffico è in crescente
espansione ed i sequestri si sono succeduti a ritmo incalzante,
mettendo in evidenza una dimensione internazionale prima
insospettabile.
Il volume commerciale a livello mondiale di alcuni farmaci è
ingiustificatamente troppo elevato in rapporto alle esigenze dei
11
malati ai quali i farmaci sono destinati. Dove va a finire il surplus
che non è utilizzato a fini terapeutici? Molti indizi e alcune
indagini della magistratura portano direttamente allo sport. Dati
relativi ai volumi di vendita di farmaci come Epo, HGH,
betabloccanti, anabolizzanti, relativi all’anno 1997 riportano valori
superiori ai 500 miliardi di lire (circa 250 milioni di euro).
2
Il
totale delle vendite comprende due fenomeni differenti: l’illecito
acquisto da parte di atleti, a fine di doping, e il legittimo acquisto
ed utilizzo, da parte dei malati, a fini terapeutici. Questa
precisazione si rende necessaria riguardo a farmaci come Epo e
HGH, e non per gli steroidi, il cui uso è limitatissimo in ambito
curativo. Fatta questa premessa, di 250 milioni di euro di vendite,
circa 150 milioni possono essere riferiti al Doping. Il dato emerge
dalle numerose inchieste della magistratura in Piemonte, Lazio,
Campania e Sicilia, che hanno messo in luce una mole consistente
di false ricette mediche, per mezzo delle quali gli sportivi
riuscivano a procurarsi questi farmaci, spesso perfino a carico del
Sistema Sanitario Nazionale. Se alle vendite dei farmaci doping
dovessimo aggiungere anche la vendita di “integratori”,
raggiungeremmo sicuramente dati di vendita molto maggiori.
2
FERRARA, Doping antidoping,2004,XIX, Padova, pag.18.
12
1.1.4 - Le cause del fenomeno
Il doping si è diffuso perché tanti, troppo fattori hanno
spinto nella stessa direzione. L’organizzazione sportiva ad alto
livello, il disinteresse, se non la complicità delle varie strutture di
controllo statuali, la monetizzazione sempre più marcata dello
sport, toccato da interessi economici che soprattutto negli ultimi
anni lo hanno trasformato e trasfigurato rispetto al passato. Uno
sport portatore di istanze economiche, che abbandona tutta una
serie di valori che ne avevano costituito la trama essenziale. Fra le
cause principali alcune se ne possono individuare all’interno del
mondo sportivo, altre al di fuori dello sport stesso.
3
All’interno dello sport ha pesato tantissimo la
professionalizzazione dello sport ed il professionismo vero e
proprio. Questa trasformazione ad alto livello è stata
importantissima: il mondo dilettantistico nel quale ciascun
appassionato dedicava allo sport ritagli di tempo libero, è divenuto
di colpo professionistico, senza che contemporaneamente fosse
cresciuta una cultura sportiva adeguata. L’aumentata possibilità di
guadagni ha infatti generato, all’interno delle organizzazioni
sportive, una progressiva selezione di persone con un unico
3
FERRARA, Doping antidoping, 2004, XIX, Padova, pag. 23.
13
obiettivo: il risultato da realizzare ad ogni costo, come unico fine
dell’intera attività. Vincere fa andare in tv e sui media dunque
ripaga lo sponsor che investe, dunque diventa l’unico fine. Il timore
della sconfitta e della conseguente perdita del sostegno economico,
pone un’enorme pressione sugli atleti, tanto da spingerli ad usare
qualunque mezzo per mantenere ed aumentare il loro attuale livello
di successo. Qualsiasi mezzo viene accettato, anche se pone un
serio rischio per la salute individuale.
Nel 1999 un noto professionista del ciclismo, Erwan
Mentheour, autore di un libro-rivelazione (Secret défonce) ammise
che avrebbe facilmente accettato di bersi mezzo litro di benzina per
arrivare al quinto posto di un Tour de France se il medico della sua
squadra glielo avesse prescritto.
Anche per le federazioni sportive è divenuto prioritario
conseguire risultati di rilievo per poi contrattare denaro sul mercato
della pubblicità e con le televisioni. Ciò ha spinto a pesanti
trasformazioni dei modelli di pratica sportiva, aumentando il
numero delle gare di alto livello. Gli atleti, spinti da allenatori
irresponsabili, hanno aumentato a dismisura il tempo dedicato
all’attività sportiva ed agli allenamenti, senza preoccuparsi delle
conseguenze sui giovani.
14
Tra i giovani e tra i dilettanti i modelli di comportamento
assunti dagli atleti di vertice sono diventati punto di riferimento. La
tendenza ad emulare i campioni trova terreno fertile anche fra molti
allenatori e medici che prospettano agli atleti la pratica del doping
come strumento unico ed indispensabile per raggiungere gli stessi
successi degli sportivi più affermati. Tutto questo ha portato ad un
brusco arretramento dell’età d’inizio delle pratiche dopanti. In
molti sport, purtroppo, le categorie giovanili sono la copia di quelle
maggiori. Si diffondono comportamenti che infrangono le regole
etiche fondamentali dello sport. L’agonismo troppo precoce provoca
anche la saturazione dell’interesse e l’abbandono.
Molte cause del doping si trovano anche al di fuori del
mondo sportivo. Come già accennato in precedenza, dagli anni
sessanta in poi, lo sport è divenuto il tramite con il quale molti
paesi, soprattutto del blocco sovietico, hanno cercato di conquistare
consenso internazionale usando l’immagine di grande efficienza che
derivava loro dai grandi risultati sportivi nelle manifestazioni
sportive come Mondiali ed Olimpiadi. In questi paesi il doping è
stato organizzato a livello statale. Per contrastare questo fenomeno
altri paesi hanno organizzato, a livello nazionale, un sistema, per
quanto possibile, simile.
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