INTRODUZIONE 
Il fenomeno dell’associazionismo nel mutamento di 
prospettiva del modello distrettuale italiano. Il caso 
Agrofuturo a Nocera Inferiore. 
  
 
 
 
1 
Nel dibattito suscitato negli ultimi anni sulla 
rilevanza  dei processi di sviluppo endogeno nelle aree 
economicamente svantaggiate, un ruolo molto importante 
è stato assegnato ai “sistemi locali”. 
Il loro contributo alle attività economiche appare 
infatti rilevante in termini di prodotto interno lordo, di 
occupazione, e di esportazioni. Fra questi sistemi locali, i 
più noti sono i “Distretti Industriali”, anche perché si 
presentano con un’identità forte associata ad elementi del 
tutto peculiari. 
In effetti, secondo la scuola italiana di analisi dello 
sviluppo locale – affermatasi negli anni Settanta per 
merito principalmente del gruppo di ricerca facente capo a 
Giacomo Becattini – le caratteristiche principali del 
concetto di distretto industriale fanno riferimento alla 
presenza, in un ristretto ambito territoriale: di un insieme 
di piccole e medie imprese specializzate nelle varie fasi di 
uno stesso processo produttivo; di una rete stabile di 
relazioni commerciali esterne; di una ben determinata e 
condivisa cultura locale; di una rete di istituzioni locali 
che favoriscono l’interazione fra imprese diverse e una 
compenetrazione fisiologica tra la vita sociale e quella 
economica. 
Tuttavia, nonostante la nuova popolarità di cui 
godono i distretti industriali, molto rimane ancora da 
chiarire circa lo loro struttura organizzativa interna, finora 
piuttosto trascurata dalla letteratura distrettuale che solo 
recentemente ha dedicato attenzione alle imprese e alle 
architetture relazionali come unità di indagine.
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Il fenomeno dell’associazionismo nel mutamento di 
prospettiva del modello distrettuale italiano. Il caso 
Agrofuturo a Nocera Inferiore. 
  
 
 2 
Il presente saggio intende contribuire allo studio dei 
distretti industriali, promuovendo e sostenendo un 
cambiamento di prospettiva – già intrapreso da molti 
autori - dal distretto nel suo complesso alla morfologia 
organizzativa del distretto stesso, adottando come oggetto 
di indagine le singole imprese e le relazioni inter-aziendali 
tra queste. 
Conseguentemente, sembra essere meno importante 
domandarsi se una determinata popolazione di imprese 
possa essere classificata come distretto industriale ed 
emerge come rilevante una nuova linea di ricerca, tesa ad 
approfondire l’evolvesi della morfologia organizzativa dei 
distretti industriali, di cui ancora si conosce poco. Tali 
considerazioni, costituiscono le giustificazioni teoriche del 
presente saggio. 
Parallelamente è possibile identificare anche alcune 
giustificazioni empiriche. Infatti, la visione idilliaca dei 
distretti industriali come modelli socio-economici di 
successo ha incominciato a lasciare spazio, in alcuni casi, 
ai limiti e agli impedimenti del modello distrettuale stesso. 
Questo è il caso, ad esempio, del distretto dell’Agro 
Noverino Sarnese - oggetto del presente saggio - che da 
qualche tempo soffre di una crisi strutturale. 
In effetti, come ciascuna ricerca empirica e la stessa 
ampiezza della casistica di esperienze maturate in varie 
regioni confermano, i problemi che ogni singola struttura 
territoriale-produttiva si trova ad affrontare sono i più 
disparati andando da problematiche connesse alla 
formazione professionale o alla depurazione delle acque o
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Il fenomeno dell’associazionismo nel mutamento di 
prospettiva del modello distrettuale italiano. Il caso 
Agrofuturo a Nocera Inferiore. 
  
 
 
 
3 
allo smaltimento di reflui e scarti di lavorazione fino alla 
gestione dell’immagine istituzionale del prodotto locale e 
alla predisposizione di aree attrezzate e servite da 
appropriate dotazioni infrastrutturali per nuovi 
insediamenti produttivi: con la particolarità che quasi 
sempre, per assicurare la maggiore efficienza degli 
interventi, appare essenziale la specifica conoscenza delle 
situazione e delle dinamiche dello sviluppo locale. 
Allo stesso modo, si sono registrati casi di distretti 
industriali che hanno raggiunto risultati molto positivi in 
termini di competitività, grazie anche al contributo di 
alcune imprese locali nella progettazione e realizzazione 
di ingenti processi di cambiamento strategico-
organizzativo e nella ridefinizione delle architetture 
reticolari, in termini di estensione delle relazioni inter-
aziendali, fusioni e acquisizioni, l’ingresso nei distretti di 
multinazionali straniere, l’affermarsi di imprese leader e 
di network gerarchici sono tutti segnali evidenti di una 
crescente dialettica tra l’agire imprenditoriale e la struttura 
distrettuale. 
Si ritiene che tali aspetti possono contribuire a una 
migliore comprensione di come i distretti industriali 
cambiano forma e struttura a fronte delle pressioni interne 
ed esterne.  
Alcuni studiosi hanno lavorato lungo tali linee di 
ricerca e sono giunti alla definizione di un mutamento di 
prospettiva del modello distrettuale italiano, mostrando 
un chiaro passaggio, in termini di oggetto di indagine 
nella ricerca sui distretti industriali, da una visione del
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Il fenomeno dell’associazionismo nel mutamento di 
prospettiva del modello distrettuale italiano. Il caso 
Agrofuturo a Nocera Inferiore. 
  
 
 4 
distretto secondo Piore e Sabel, tipica dell’approccio 
canonico allo studio dei distretti industriali – intesi come 
aggregazioni di piccole imprese omogenee tra loro, 
spazialmente localizzate in un contesto  delimitato 
culturalmente geograficamente e culturalmente chiuse a 
relazioni con l’ambiente esterno - ad una prospettiva più 
contemporanea di Lazerson e Lorenzoni - caratterizzata 
dalla centralità  e dalla eterogeneità delle imprese 
distrettuali e dalla varietà degli assetti reticolari all’interno 
e all’esterno dei confini distrettuali. 
La scuola distrettualistica italiana è stata in qualche 
modo anticipatrice di quelle teorie della localizzazione 
coreperphery che, osservando nei cluster di impresa un 
elemento di vantaggio competitivo, tenendo a spiegare 
l’aggregazione territoriale delle imprese prevalentemente 
con l’affermarsi di economie di scala  e di costi di 
trasporto, laddove la scuola italiana assegna maggiore 
importanza alla coesione sociale ed alla diffusione dei 
saperi.  
Nessun attore - istituzioni pubbliche, rappresentanze 
economiche, imprese - può operare da solo per migliorare 
le capacità competitive del proprio distretto. Del resto, a 
meno di non concepire quest’ultimo come mera 
piattaforma logistica su cui sono insediate le attività, è 
necessario dare alla nozione di territorio un significato 
molto impegnativo, che lo veda precisamente come 
risultato della costruzione sociale di attori che vi abitano e 
vi operano, prodotto delle loro attività e delle relazioni che 
instaurano fra loro.
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Il fenomeno dell’associazionismo nel mutamento di 
prospettiva del modello distrettuale italiano. Il caso 
Agrofuturo a Nocera Inferiore. 
  
 
 
 
5 
Ad esempio, il ruolo di un moderno associazionismo 
coerente con questa visione del territorio deve anzitutto 
considerare quel processo di disintegrazione della filiera 
che sostituisce la precedente integrazione sotto il controllo 
del “potere forte” della grande impresa. In altri termini, le 
reti che nascono dalla scomposizione della grande impresa 
o quelle nate spontaneamente (i distretti) hanno bisogno di 
qualcosa di più dello spazio di mercato che deriva dalle 
specializzazioni. Hanno bisogno di sistemi di 
comunicazione e garanzia che mettano in contatto imprese 
che non si sono mai incontrate e che sanno fare cose 
diverse l’una dall’altra. 
La costruzione delle reti diventa così un imperativo. 
Le imprese non possono essere lasciate sole nella 
costruzione delle reti. Il compito di costruire reti richiede 
anche attitudini e competenze di cui sono tipicamente 
depositarie le associazioni e la politica pubblica.  
Le funzioni di sensori nell’intercettare i fabbisogni, 
di interpretazione ed elaborazione della domanda, di 
intermediazione con le politiche pubbliche, di 
canalizzazione delle risorse, configurano attività che in 
certa misura richiedono la presa di distanza dall’interesse 
immediato, di breve periodo e individuale: proprio il 
mestiere dell’associazionismo di rappresentanza.  
Allo stesso modo, diventa sempre più importante la 
funzione dell’associazionismo nell’assistenza alle imprese 
per la costruzione dei legami con l’ambiente di 
riferimento; tanto più importante tale funzione quanto più 
l’ambiente di riferimento si allarga oltre il contesto
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Il fenomeno dell’associazionismo nel mutamento di 
prospettiva del modello distrettuale italiano. Il caso 
Agrofuturo a Nocera Inferiore. 
  
 
 6 
territoriale locale. Si pensi solo all’importanza di un 
accompagnamento: sui sistemi di comunicazione in rete, 
sull’accreditamento presso clienti, banche, sulle regole 
della committenza/subfornitura, sulle relazioni industriali. 
La costruzione delle reti, il compito principale di un 
moderno associazionismo, passa anche per queste vie. 
Per superare i limiti insiti in quest’ultimo punto, le 
Giunte regionali stanno lavorando per addivenire alla 
costituzione di “Comitati di Distretto” che, tra l’altro, 
possono redigere e d adottare il Programma di sviluppo 
del distretto industriale o sistema produttivo locale e 
promuoverne l’attuazione.  
Quello dei distretti industriali è dunque un dibattito 
sempre di forte attualità, caratterizzato da susseguirsi di 
studi e ricerche circa gli aspetti congiunturali e strutturali 
del fenomeno. Complesso e intricato è anche il tema delle 
agevolazioni; se cioè, un distretto industriale possa 
beneficare di un incentivo pubblico e con quali modalità 
giuridiche. 
Nel contesto illustrato si inserisce il tema dei 
distretti industriali della Campania, una delle regioni che 
per prima ha recepito la legge 317/91 e per prima ha 
rivolto le sue strategie di sviluppo verso le imprese del 
distretto. 
In Campania sono state individuate 7 realtà 
produttive, tra cui una con una forte vocazione 
agroalimentare: il distretto industriale di Nocera Inferiore 
- Gragano, il primo nato nel Mezzogiorno nel comparto, 
con connotazioni territoriali specifiche, peculiarità
INTRODUZIONE 
Il fenomeno dell’associazionismo nel mutamento di 
prospettiva del modello distrettuale italiano. Il caso 
Agrofuturo a Nocera Inferiore. 
  
 
 
 
7 
produttive e dinamiche di sviluppo che saranno 
approfondite nel corso della ricerca. 
In particolare il distretto Nocera - Gragnano è sede 
di una esperienza di programmazione negoziata (il patto 
territoriale europeo per l’Occupazione dell’Agro Nocerino 
Sarnese) riconosciuta a livello comunitario che ha dato 
prova di efficienza e che è divenuto il centro propulsivo 
anche delle attività di progettazione del distretto; mostra 
una significativa vitalità progettuale ed un notevole 
dinamismo in termini di politiche di sviluppo viste le 
numerose iniziative che il territorio esprime (contratti di 
Programma, Società di trasformazione urbana). 
È in dubbio che l’iniziativa che ha prodotto 
maggiori risultati è stata quella del Patto Territoriale per 
l’Occupazione (PTO) Agro Nocerino Sarnese riconosciuto 
e tutorato dall’Unione Europea, cui, tuttavia non hanno 
aderito tutti i comuni del distretto stesso. 
Il lavoro svolto e la necessità di potenziare  e 
consolidare la posizione competitiva dei distretti hanno 
indotto la Regione Campania a prevedere all’interno del 
programma Operativo Regionale 2000-2006, 7 Progetti 
Integrati Territoriali (PIT) tematici, programmi complessi 
di sviluppo infrastrutturale ed imprenditoriale che 
riceveranno ingenti risorse UE; il distretto di Nocera 
Inferiore - Gragnano è uno di questi. 
Ma il PTO ed il PIT non sono le uniche iniziative. 
Esistono anche altri progetti in evoluzione sul territorio, 
tra cui: la costituzione di una Società di Trasformazione 
Urbana- Agroinvest S.p.A; tra i contratti di programma si
INTRODUZIONE 
Il fenomeno dell’associazionismo nel mutamento di 
prospettiva del modello distrettuale italiano. Il caso 
Agrofuturo a Nocera Inferiore. 
  
 
 8 
annoverano quello del CMT (Centro Tessile Meridionale) 
e in particolare il Contratto di Programma Agrofuturo, 
che sta invogliando gli imprenditori ad investire. 
Un programma che dovrebbe influire in modo 
significativo nell’area dell’Agro Nocerino Sarnese visto 
che oltre allo sviluppo legato all’attività della filiera, 
Agrofuturo inciderà molto anche sul territorio in termini 
strutturali. Sono previste, infatti, delocalizzazioni 
d’aziende dai centri urbani ed il miglioramento della 
vivibilità dell’area. 
Rivisto in quest’ottica il nuovo progetto è molto di 
più di un intervento rilevante su di un comparto 
produttivo, è l’espressione di una volontà concreta di 
modificare nel suo insieme un territorio partendo da 
variabili determinanti per la trasformazione quali il lavoro 
e la riqualificazione ambientale.  
Dunque, in contrasto solo apparente con i processi 
di internazionalizzazione e di globalizzazione, i sistemi 
territoriali subnazionali (regioni, distretti, città) stanno 
diventando sempre più importanti sia come unità di analisi 
e di intervento, sia come realtà capaci di esprimere 
soggetti politicamente rilevanti. 
Il saggio quindi, fa il punto su questa nuova 
centralità dello sviluppo locale e mostra come essa si 
particolarmente originale in Italia, dove attori 
sovranazionali e attori locali si sono spesso alleati a spese 
dello stato nazionale.
Capitolo1 
 
 
 
 
9 
CAPITOLO PRIMO – IL DISTRETTO 
INDUSTRIALE: STORIA ED 
EVOLUZIONI 
 
 
1.1 IL DISTRETTO INDUSTRIALE, UN’ 
INTRODUZIONE…. 
 
I primi studi relativi ai distretti industriali risalgono 
all’inizio del XIX secolo, ma raggiungono il loro apice 
solamente nel decennio ’70 - ’80, esattamente dieci anni 
prima che i nostri legislatori decidessero di emanare 
alcuni provvedimenti legislativi a loro favore
1
. 
Ciò che aveva attratto economisti della portata di 
Sforzi, Garofalo, Bruschi e Becattini (tanto per citarne 
alcuni) erano le peculiarità insite in queste realtà 
territoriali e nei loro protagonisti: la propensione degli 
uomini al rischio
2
 è una di queste. In altri termini, nella 
maggior parte dei casi, le aziende distrettuali, tutte di 
piccola (a volte piccolissima) e media dimensione, hanno 
                                                 
1
 Cfr. PIKE. F., SENGENBERGER W., Introduzione, in PYKE F., 
BECATTINI. G., SENGENBERGER W., “Distretti industriali e 
cooperazione tra imprese in Italia”, Banca Toscana studi e ricerche, 
Firenze, 1991, pp. 16. 
2
 Cfr. AZIENDE NEWS, Il distretto industriale: storia ed evoluzione 
documento Internet tratto dal sito http://www.aziendenews.it, data del 
download, 01/09/2006.
Il Distretto Industriale: storia ed evoluzioni  
 10 
una storia comune, un operaio intraprendente al loro 
comando che, un bel giorno, stanco di lavorare alle 
dipendenze di un padrone e fiducioso nella propria 
volontà, acquista con sacrificio dei macchinari e lavora 
fino a 18 ore al giorno per avviare quello che un giorno 
diventerà l’orgoglio della famiglia: l’azienda
3
.  
Oltre a questa caratteristica, sicuramente non è da 
trascurare poi l’elevata divisione del lavoro tra le imprese  
del sistema produttivo locale, divisione che sviluppa un 
fitto reticolo di interdipendenze produttive sia di natura 
intersettoriale che infrasettoriale e, poi ancora, la forte 
specializzazione produttiva (in seguito diventata 
caratteristica per il riconoscimento a norma di legge di un 
distretto soggetto ad agevolazioni statali). Non si può, 
infatti, distinguere un distretto dalla sua produzione: la 
Valtrompia dai prodotti in metallo, la Bassa Bresciana dal 
tessile, il Vigevanese dalle calzature, la Brianza dal legno 
e via dicendo. 
E poi ancora la presenza di numerosi soggetti 
produttivi, con una competizione sana, non fine a se stessa 
ma orientata al miglioramento tecnologico ed 
all’avanzamento tecnico dell’intera entità distrettuale. 
Inoltre, una caratteristica unica dei distretti che va a 
creare la loro totale originalità è la nascita spontanea, 
unita alla sedimentazione storica delle conoscenze
4
. In 
                                                 
3
 Cfr. BRUSCO S., Piccole imprese e distretti industriali, Rosenberg & 
Sellier, Torino, 1989 
4
 I meccanismi di creazione e trasmissione delle conoscenze hanno 
assunto un ruolo cruciale nella spiegazione del successo di alcune 
aree e del declino o la stagnazione di altre. In particolare la letteratura
Capitolo1 
 
 
 
 
11 
altre parole, tutti i distretti non sono stati creati dalla 
Legge, ma, essendo diventati realtà importanti all’interno 
del sistema produttivo nazionale, hanno obbligato la 
Legge ad occuparsene. Essi sono nati seguendo le 
caratteristiche del territorio in cui sono ubicati, 
seguendone le propensioni, sfruttandone le materie prime 
e le risorse naturali (come fiumi o particolari condotti 
viari) ed hanno iniziato a sperimentare tecniche di 
produzione che, se efficienti, venivano proseguite e 
migliorate, mentre se poco produttive erano 
automaticamente scartate.  
Il distretto nasce quindi dalla genialità degli uomini 
che lo hanno creato. Ma ciò che sfugge solitamente è il 
perché di un così grande successo economico (certo, con 
numerosi alti e bassi), ma con una grande spinta 
propulsiva verso la modernizzazione. 
Anche in relazione a questa tematica, molti studiosi, 
economisti e non, hanno provato a dire la loro. Alcuni 
hanno sostenuto che la grandezza del successo di queste 
entità territoriali risiede interamente nelle entità stesse 
(teoria delle risorse endogene); altri hanno invece 
                                                                                               
sullo sviluppo locale ha sottolineato l’importanza dell’interazione fra 
agenti economici e ambiente circostante nello sviluppo di know how 
produttivi derivanti da un corpus di conoscenze diffuse nel territorio, 
e capaci di influenzare in modo decisivo, grazie alla loro specificità, 
la competitività della struttura produttiva locale su mercati molto 
ampi. In questo ricco e articolato milieu processi di apprendimento 
collettivo radicati nel know how locale ma, insieme, nutriti 
dall’apporto di conoscenze di provenienza esterna, rappresentano il 
principale motore dell’innovazione tecnologica e della crescita dei 
distretti industriali italiani.
Il Distretto Industriale: storia ed evoluzioni  
 12 
ipotizzato che fattori esterni, come la svalutazione della 
Lira o le dinamiche della domanda internazionale, siano 
alla base di questa grandezza (teoria delle risorse 
esogene)
5
. 
Dunque, l’ampia Letteratura che si è storicizzata a 
proposito dei distretti, qualificati come modalità di 
organizzazione economico-produttiva, sociale e 
imprenditoriale locale, o, ancora meglio, “territoriale”, 
postula la necessità di scorrere in primis la molteplicità 
dei contributi che la letteratura tradizionale offre, per  
passare, in seguito, ad un suo importante inquadramento 
nell’ottica dei nuovi modelli di crescita. 
 
1.1.1 IL DISTRETTO INDUSTRIALE 
NELL’ANALISI DI ALFRED MARSHALL 
 
La paternità del concetto di distretto industriale 
spetta a Marshall (1890) che, nei suoi “Principles of 
Economics”, introduce nello schema teorico di analisi 
neoclassica il concetto di industria, ovvero un insieme di 
imprese che producono la stessa merce. Si tratta in realtà 
di un tema che ricorre, più o meno, in tutti i principali 
lavori editi di A. Marshall. 
Un distretto industriale può comprendere uno o più 
piccoli centri urbani, con funzioni terziarie relativamente 
povere e una localizzazione delle strutture industriali, oltre 
a quelle residenziali, più sparsa rispetto a una città 
                                                 
5
 Cfr. AZIENDE NEWS, op. cit., 2006
Capitolo1 
 
 
 
 
13 
manifatturiera
6
. I distretti industriali  hanno spesso, nella 
riflessione marshalliana
7
, caratteristiche settoriali 
abbastanza precise; per esempio distretti tessili, distretti 
delle calzature, distretti della seta, ecc... 
Questa connotazione monosettoriale non significa 
omogeneità produttiva delle imprese all’interno di ogni 
distretto. L’industria che caratterizza un distretto può 
comprendere una gamma ampia e mutevole di sotto-
industrie, ed estendersi anche a industrie sussidiarie con 
configurazioni che possono essere: 
o “verticali” o “convergenti”, quando si tratta di fasi 
differenti di uno stesso processo produttivo; 
o “laterali”, quando si tratta della stessa fase in 
processi simili; 
o “diagonali”, quando si tratta di attività di servizio 
alle industrie del distretto 
8
. 
In tema di efficienza, Marshall assegna grande 
importanza “alle economie derivanti da un aumento della 
scala della produzione di una data specie di merci”. Egli 
introduce due termini tecnici al fine di classificare le 
economie di scala: 
o le economie interne che dipendono dalle risorse 
delle singole imprese, dalla loro organizzazione e 
dall’efficienza della loro amministrazione; 
                                                 
6
 Cfr. WILLIAMSON O.E., The Mechanism of Governance, Oxford 
University Press, New York, 1996. 
7
 Cfr. MARSHALL A., Principles of Economics, Macmillan (8th 
Edition), London and New York, 1890. 
8
 Cfr. BECATTINI G., “Considerazioni sul concetto di distretto 
industriale”, in Impresa e Stato, n. 4, 1989a.
Il Distretto Industriale: storia ed evoluzioni  
 14 
o le economie esterne che, al contrario, dipendono 
dallo sviluppo generale dell’industria.  
La loro presenza determina una riduzione dei costi 
medi delle imprese che fanno parte dell’industria in 
questione, anche se ogni impresa mantiene costante 
produzione ed impianti. 
Il concetto di economie esterne
9
, applicato al 
distretto industriale, richiede una qualificazione in quanto 
il distretto è un sistema industriale in cui le connotazioni  
sociali e territoriali (date dall’agglomerazione delle 
imprese e dalla sovrapposizione ad un fitto tessuto 
urbano) assumono un ruolo determinante. La 
qualificazione, individuata da Marshall, fu quella di 
economie esterne di agglomerazione
10
, con la quale si 
                                                 
9
 Le economie esterne, nell’analisi marshalliana, costituiscono 
vantaggi equivalenti alle economie interne di scala e i  piccoli 
produttori ne possono fruire, purché siano sufficientemente 
concentrati sul territorio e sia possibile suddividere il processo di 
produzione in fasi, ciascuna delle quali possa essere eseguita con la 
massima economia in un piccolo stabilimento. Dalla concentrazione 
territoriale di un adeguato numero di tali imprese deriva la possibilità 
di uno sviluppo indotto di investimenti in industrie sussidiarie, per la 
costruzione di beni necessari all’industria regionale e per le attività di 
intermediazione. 
10
 Marshall, però, non distingueva tra economie esterne di 
agglomerazione ed economie esterne di localizzazione. La distinzione 
è però teoricamente importante, perché le prime riducono i vantaggi 
economici che le imprese possono trarre dal territorio alle 
interdipendenze che legano i soggetti dell’area e quindi possono 
essere trattate solo come un fatto olistico, mentre le seconde appaiono 
come proprietà fattoriali e puntuali del territorio e quindi possono 
essere trattate con un procedimento analitico. Comunque Marshall