5 
 
Premessa: 
 
 
La scelta dell’argomento del presente lavoro di tesi è stata fatta durante una sera di fine 
maggio del 2009, alla conclusione del mio percorso Erasmus a Siviglia, a seguito di una 
discussione riguardante il tema dell’ecologia del fuoco. Un ingegnere ambientale mi 
stava raccontando della sua esperienza in Australia di osservazione di applicazioni di 
quemas prescritas
1
 al fine di mantenere la biodiversità di territori specifici e prevenire 
gli incendi estivi. Al contrario di un incendio (che per definizione è un fuoco 
incontrollato), si tratta dell’applicazione consapevole del fuoco al combustibile naturale 
in determinate condizioni meteorologiche, di umidità del suolo e di combustibile, in una 
zona prestabilita in modo che presenti una intensità ed una velocità di propagazione 
tali da permettere di raggiungere determinati obiettivi prefissati in sede di 
pianificazione.
2
 Una tecnica dunque, di gestione ambientale che consiste nella 
utilizzazione del fuoco al fine di ridurre la porzione di biomassa presente (che non 
coincide mai con la biomassa totale). Notizie sicure dell’uso di tecniche simili si 
ritrovano in Portogallo e nella Francia nel XIX secolo,
3
 mentre in Australia sono da 
tempo di dominio delle tribù aborigene, attualmente applicate dagli enti locali del 
luogo.
4
 Negli Stati Uniti dal 1943, quella del fuoco prescritto è una pratica autorizzata 
dal Servizio Forestale,
5
 oggi largamente applicata anche in diversi Paesi europei. In 
Italia la tecnica è considerata con diffidenza per paura che il fuoco possa sfuggire al 
controllo e trasformarsi in incendio; anche se viene permesso in quanto regolamentato 
da Leggi Regionali
6
 in Piemonte, Liguria e Basilicata, nonché dai regolamenti forestali 
                                       
1
Traduzione: bruciature prescritte. L’aggettivo prescritto si riferisce ai valori e alle modalità applicative 
legate alle condizioni di temperatura, umidità, velocità del vento in cui operare che devono essere appunto 
“prescritte”. Tale approccio vede nel fuoco uno strumento di gestione e non di distruzione ma è cruciale 
la conoscenza del suo comportamento e dei diversi effetti sui diversi tipi di habitat e in quali condizioni. 
Questa tecnica a volte viene chiamata fuoco controllato, anche se è un aggettivo più riduttivo rispetto al 
tipo e alla profondità delle conoscenze implicate nel “prescritto”. 
2
 http://www.incendiboschiviconsulenze.com/ApplicazioneFuoco.html. 
3
 Si vedano i paragrafi Tecniche agricole e fuoco, Importanza del termine della prima parte e il primo 
capitolo Piante e fuoco della terza parte del presente lavoro. 
4
 Si veda il paragrafo il discorso sul fuoco in Australia, secondo capitolo della terza parte del presente 
lavoro. 
5
 Si veda il paragrafo il discorso sul fuoco in U.S.A., secondo capitolo della terza parte del presente 
lavoro. 
6
 http://www.incendiboschiviconsulenze.com/ApplicazioneFuoco.html.
6 
 
della Toscana e della Campania. In Sardegna è in corso la sperimentazione a cura del 
Corpo Forestale Vigilanza Ambientale nelle pinete di Is Arenas.
7
 Si tratta comunque di 
tecniche a rischio d’incedere in sanzioni per chi vi ricorre.  
Il tema dell’applicazione di fuochi su un determinato territorio a fini di tutela 
dell’ambiente mi riportava ad un capitolo del testo I Respiri della Palude
8
 di Nadia 
Breda, professoressa di antropologia dell’ambiente dell’Università di Firenze, sulle 
tecniche di manutenzione della palude del Busatello, ora considerate illegali. Nel testo 
viene spiegato che a causa delle interdizioni post-industriali di pratiche di cura 
tradizionali (che prevedono una bruciatura annuale delle stoppie), la palude sia andata 
incontro ad un sempre maggiore interramento. Cercare di capire come mai tecniche 
riconosciute come ecologicamente corrette ed economiche, legate a saperi estremamente 
complessi e radicati sul territorio, vengano valorizzate o screditate in contesti diversi nel 
tempo e nello spazio, mi è sembrato un argomento estremamente interessante. Avevo 
affrontato tematiche riguardanti l’antropologia dell’ambiente in occasione della tesi 
triennale in antropologia delle religioni sui Nuovi Movimenti Neopagani,
9
 in relazione 
all’esigenza odierna di riappropriarsi di concezioni antiche o lontane nei confronti della 
Natura. Attirava quindi la mia attenzione un approfondimento delle tematiche 
riguardanti le categorie mentali culturalmente dominanti nelle dinamiche natura-cultura 
implicanti il fuoco.
10
 
Discusso dell’argomento con la professoressa Breda e dopo diverse letture 
fondamentali,
11
 decisi di ripartire per Siviglia. Il confronto con il contesto spagnolo 
dove avevo avuto l’idea del progetto di tesi, mi sembrava importante; a Siviglia inoltre 
avrei avuto modo di parlare con Rufino Costa Narangio,
12
 anche lui professore di 
antropologia ambientale. Grazie al professor Costa Narangio sono venuta in contatto 
con due ecologi dell’Università di Biologia di Siviglia, la professoressa Rocio 
Fernandez Ale e il professor Angel Martin Vincente i quali, dopo aver ascoltato la 
                                       
7
 Si vedano i paragrafi dedicati al Paradosso del fuoco della terza parte del presente lavoro. 
8
 N.Breda, I respiri della palude, CISU, Roma, 2001. Si veda anche il capitolo Il Busatello, la palude che 
brucia, nella quarta parte del presente lavoro. 
9
 E.Razzoli, Neostregoneria nell’Orizzonte dei Nuovi Movimenti Religiosi, il caso della Wicca, Università 
degli Studi di Firenze, corso di laurea in Formatore delle Risorse Umane e l’Interculturalità, anno 
accademico 2006/2007. 
10
 Si vedano i capitoli della prima parte Fuoco tra natura e cultura, del presente lavoro. 
11
Si veda la bibliografia. 
12
 Rufino Acosta Naranjo, Departamento de Antropología Social, Universidad de Sevilla.
7 
 
situazione della palude del Busatello, mi hanno fornito la documentazione di un loro 
studio con caratteristiche similari riguardante la laguna del parco di Doñana.
13
 Intanto 
avevo ricevuto l’invito da parte del professor Domingo Molina dell’Università di 
Ingegneria Forestale di Lleida e Berkeley
14
 a seguire dei corsi d’ingegneria forestale e a 
partecipare a un viaggio studio sull’utilizzo delle bruciature prescritte, che doveva 
svolgersi prima in Esquel, Patagonia, (Argentina), poi in California e alla fine in Florida 
e a Idaho (USA). Viaggio che, dopo vari tentativi di conciliare il tutto, non ho potuto 
effettuare per impegni in Francia. Ho avuto comunque modo di intervistare alcuni 
partecipanti al progetto e il professore, a Lleida durante un soggiorno a Barcellona.  
Informandomi invece sulla situazione italiana, ho contattato per prima cosa i 
rappresentanti degli enti ambientali coinvolti nella discussione sulla Palude del 
Busatello: Lipu e WWF  (però in tutte le rappresentazioni regionali, almeno per quanto 
riguarda le persone che hanno avuto il tempo o la gentilezza di rispondere alle mie 
domande). In un secondo momento mi sono rivolta anche al Corpo Forestale dello 
Stato, sempre in quanto istituzione coinvolta in queste dinamiche. Dalle interviste 
effettuate ricevevo spesso altrettanti contatti per ulteriori interviste di cui ho potuto dare 
nota nel presente lavoro. Inoltre, essendo toscana e trattando appunto delle attività 
tradizionali e professionali legate alla manipolazione del paesaggio attraverso il fuoco, 
non potevo non parlare della gestione attuale di quella che è la zona umida più 
importante a me vicina, il Padule di Fucecchio;
15
 e del cliché negativo del paludismo 
legato alla Maremma toscana.
16
 Di questi due aspetti ho voluto riportare in 
confronto/contrapposizione alla situazione del Busatello. 
                                       
13
 L.Menanteau, A.M.Vincente, Biomas productivity and succession in the scrub of Doñana Biological 
Reserve in Southwest Spain, in S.N.Margaris y A.H.Mooney, eds, Component of Productivity of 
Mediterranean Climate Regions: Basic and Applied Aspects.DR. Junk Publishers. La Haya, Boston, 
Londres, 1981. Si veda anche il secondo capitolo Doñana la palude che secca, della quarta parte del 
presente lavoro; M.G.Corona, Causas histόricas de la estructuraciόn de los economistas del Parque 
Nacional de Doñana, Tesis Doctoral, Universidad de Sevilla, 1986; M.C.Granados, A.M.Vicente, 
F.G.Novo, Evolucion conjunta del paisaje y su gestion. El caso del Parqe Nacional de Doñana, Estudios 
Territoriakles, 24, 1987; M.C.Granados, A.M.Vicente, F.G.Novo, El Papel del Fuego en los ecosistemas 
de Doñana, Departemento de Ecologia, Facultad de Biologia, Universidad de Sevilla, 1987. 
14
Dr.Domingo M.Molina professore/ricercatore all’Università di Lleida Department of Crop and Forest 
Sciences.  
15
 Si veda il sottoparagrafo dedicato al tema all’interno del primo capitolo della quarta parte del presente 
lavoro. 
16
 Si veda il paragrafo Il cliché negativo del paludismo nel primo capitolo della quarta parte del presente 
lavoro.
8 
 
Non dimenticando di approfondire il caso segnalatomi dagli ecologi spagnoli e vinta 
una borsa per un Progetto Leonardo organizzato dalla Provincia di Arezzo in Andalusia, 
ho scelto Genatur,
17
 ente di Jerez de la Frontera che organizza escursioni di educazione 
ambientale nei luoghi protetti dell’Andalusia tra cui Doñana, per studiare da dentro la 
situazione su cui mi era stata richiamata l’attenzione. Ho lavorato quindi come guida 
ambientale per i mesi che vanno dalla metà di marzo all’inizio di giugno 2010.  
Intanto Molina mi informava sul Progetto Europeo Fire Paradox conclusosi a febbraio, 
cui aveva partecipato insieme ad un’antropologa francese con la quale mi chiedeva se 
volevo mettermi in contatto. Così ho conosciuto Nadine Ribet, ricercatrice associata al 
Centre Edgar Morin, nell’equipe Interdisciplinaire d'Anthropologie du Contemporain.  La 
Ribet ha cominciato a lavorare sul fuoco nel 1996 con una tesi di antropologia sociale e 
etnologia.
18
 Durante i quattro anni del Fire Paradox Project (2006-2010) ha prodotto due 
film documentari
19
 e contribuito alla realizzazione di una delle numerose riviste 
riguardanti il progetto.
20
 Attualmente sta collaborando a diversi corsi e seminari 
sull’ecologia del fuoco, a uno dei quali, il 21 e 22 ottobre 2010 ho avuto occasione di 
partecipare, sul tema Les plantes et le feu.
21
 Dal 2001, il Museo etnobotanico di Salagon 
infatti, organizza un seminario annuale che, non a caso nel 2010 (anno dedicato alla 
biodiversità), ha riguardato il fuoco. Prima di conoscere Nadine Ribet di persona, 
                                       
17
 http://www.genatur.com/ 
18
 N.Ribet, Les parcours du feu. Technique de brûlage à feu courant et socialisation de la nature dans les 
Monts d'Auvergne et les Pyrénées centrales, 2009; autrice anche di un fascicolo iconografico con testo 
annesso, ed.  l'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi 
19
 Les Maîtres Feu (2008)  e Fogo na terra fria (2010), riscontrabili sul sito  Eufirelab > E-library > 
RIBET, (http://www.eufirelab.org/). 
20
 Info DFC, Bullettin du centre de documentation “forêt méditerranéenne et incendie”, Cemagref, 
groupement d’Aix-en-Provence, juin 2008-n°60. 
21
 Seminario organizzato dal Musée départemental ethnologique de Haute-Provence Prieuré de Salagon, 
04300 Mane, En partenariat avec la Mission à l’Ethnologie (Ministère de la Culture), le CRIA : Centro en 
Rede de Investigação em Antropologia (Centre en Réseau de Recherche en Anthropologie), Portugal et le 
Conseil Général des Alpes de Haute-Provence.Neuvième séminaire annuel d'ethnobotanique du domaine 
européen, Les plantes et le feu, al quale erano presenti, oltre a Nadine Ribet; Danielle Musset, ethnologa e 
direttrice del Museo di Salagon; Michel Thinon, ricercatore in phytoécologie nel CNRS, Facultà Saint-
Jérôme Instituto Mediterraneo d'Ecologia e di Paleoecologia; Pierre Lieutaghi, Etnobotamico e scrittore, 
Pascal Luccioni, Insegnante di lingue antiche greche, Paul Simonpoli, Etnologo, conservatore del 
Patrimonio del Parco Naturale Regionale corso, Jean-Yves Durand, CRIA/UM (Portugal e IDEMEC 
(Aix-en-Provence), direttore del Museo di Terra de Miranda; Anne Caufriez, Etnomusicologa, direttrice 
del Museo di Ricerca al Musée des Instruments de Musique di Bruxelles; Jacques Joubert, autore 
portavoce del cinema delle Alte Alpi; Richard Dumez, Etnoecologo, gestore delle conferenze del 
Muséum National d'Histoire Naturelle; Clara Saraiva, Antropologa IICT (Institutot de Investigaçâo 
Cientifica Tropical) et CRIA (Centro em Rede de Investigaçâo em Anthropologia), Lisbonne, Portugal,
9 
 
parlandole via e-mail del mio progetto di tesi, avevamo discusso a proposito di luoghi 
umidi, de Le Marais Poitevin, parte del dipartimento des Deux-Sèvres, luogo citato 
anche nel testo della professoressa Breda,
22
 per una eventuale comparazione 
interessante.
23
 La scelta del terzo luogo è stata dovuta anche al fatto che, introdotta nella 
parte Naturale del Parco di Doñana (in quanto guida turistica dell’ente Genatur), mi 
sono vista però negare l’accesso alla laguna di Ollala che mi interessava, perché parte 
della riserva biologica Nazionale non accessibile se non tramite invito da parte del 
Consejo Superior de Investigaciones Científicas a fini di ricerca biologica. Le 
informazioni che ho di questa laguna dunque, mi sono state riportate dagli ecologi sopra 
citati che vi avevano avuto accesso. Volendo approfondire il tema delle zone umide, mi 
sono dunque concentrata sulle Marais Potevin dove mi sono recata ospite della famiglia 
Luquet per quelle che dovevano essere solo poche settimane (in attesa di un’altra 
collocazione) e poi sono diventati cinque mesi.  Sono però partita per la regione Poitou-
Charentes solo dopo aver ricercato una buona base per studiare il luogo da un punto di 
vista ambientale. Allo stesso modo che per Doñana ho ricercato un progetto e un ente 
che organizzasse escursioni turistiche nella palude per effettuare una pratica 
formativa.
24
 Attraverso l’invito della signora Sèverine Lambert,
25
  proprietaria 
dell’Hotel Flores environnemental, in associazione con l'embarcadère Bardet-Huttiers di 
Arçais, (ente che organizza escursioni turistiche in barca d’interesse ambientale 
all’interno della palude), ho potuto vivere questa esperienza che si è svolta dal 15 di 
agosto ai primi di gennaio 2011. Accompagnando le guide e i turisti all’interno della 
palude, ho potuto raccogliere testimonianze sulla storia e la tutela del luogo; ma è solo 
attraverso la famiglia Luquet che sono stata introdotta anche socialmente nelle Marais, a 
interlocutori importanti per la loro posizione emica, forte del sapere tradizionale e non 
più soltanto professionale. Senza questo accesso peculiare non avrei potuto accedere in 
così poco tempo alle uniche fonti realmente locali/tradizionali che ho potuto riportare. 
La differenza sostanziale tra le testimonianze professionali e le tradizionali, come si 
vedrà, è appunto l’abbondanza di informazioni anche nozionistiche dei primi, rispetto 
                                                                                                                
Laurence Pourchez, Antropologo al mcf HDR, Département d'Études créoles, Université de la Réunion; 
Claude Marco, Presidente dell'associazione Les écologistes de l'Euzière.  
22
 N.Breda, op. cit. 
23
 Si veda il terzo capitolo Le Marais Poitevin, il fuoco sull’acqua, della quarta parte del presente lavoro. 
24
 Progetto da me presentato alla Provincia di Pistoia e finanziato sottoforma di Carta ILA.
10 
 
alla difficoltà del dover riportare le proprie esperienze e conoscenze dei secondi. Non 
essendo più un sapere culturalmente diffuso, informazioni sulla manipolazione 
dell’ambiente attraverso il fuoco si possono ottenere all’interno dei vari enti 
specializzati, o nelle generazioni più anziane delle comunità rurali. Questi ultimi spesso 
mantengono però, nei confronti di tali pratiche, una conoscenza di tipo pragmatico, 
difficilmente esplicabile verbalmente. Tale difficoltà è inoltre accentuata dalla 
percezione dell’illegalità di tali pratiche. Perciò ottenere informazioni di tale tipo non è 
semplice. Ho trovato dunque l’indagine su come si è passati da questo tipo di sapere al 
sapere professionale, attraverso la conoscenza di ciò che si dice negli enti tutori 
dell’ordine in relazione al fuoco, necessaria per comprendere tali dinamiche. La 
maggioranza delle testimonianze raccolte dunque, riguardano i personaggi direttamente 
“visibili” sulla scena dell’“incendio” ovvero enti, associazioni, forze dell’ordine, 
professori, ingegneri; proprio perché la mia intenzione era di valutare i discorsi e le 
conoscenze ufficiali sulle applicazioni dei fuochi prescritti al fine di costatare quanto e 
dove il sapere emico, parte di un tipo di economia connesso alla cura dell’ambiente, 
fosse recepito da chi detiene e detta la cultura ufficiale. Le trascrizioni delle interviste 
frutto di questi incontri, come si vedrà, sono dunque risultate piuttosto lunghe ma, a mio 
avviso, estremamente interessanti. Questo perché illuminati sulle differenze tra il tipo di 
sapere pratico, autonomo, delle pratiche tradizionali e il sapere giustificativo, tecnico o 
svalutante (nei confronti della presunta arcaicità delle conoscenze tradizionali), dei 
nuovi addetti ai lavori.  
Trattando di tematiche legate al fuoco e il paesaggio, l’incendio devastante iniziato il 6 
febbraio 2011 nel Parco Nazionale delle Dolomiti bellunesi e conclusosi solo tre giorni 
dopo, non poteva rimanermi indifferente. Tale incendio infatti risulta successivo 
all’ultimo piano di regolamentazione antincendio stipulato recentemente. La situazione 
dunque è da considerarsi grave, in relazione anche alle filosofie di tutela dei luoghi 
protetti. Della riflessione su tale caso ho dato nota in appendice. 
Il mio percorso si è concluso da quello che è stato per me il punto di partenza, ovvero la 
palude del Busatello, dove mi sono recata qualche giorno per poter valutare eventuali 
evoluzioni delle tensioni descritte nel testo di Breda.  
                                                                                                                
25
 http://www.marais-arcais.com/
11 
 
Il materiale recuperato nei quasi due anni di ricerca è stato suddiviso in quattro parti 
riguardanti differenti ruoli attribuiti al fuoco, importanti in relazione alla manipolazione 
dell’ambiente: all’interno dell’immaginario umano, in quanto incendiante o arma, in 
quanto strumento e in quanto strumento all’interno dell’analisi di casi specifici in 
relazione alla tutela dell’acqua. Nelle conclusioni generali mi sono riallacciata ai vari 
concetti esposti riprendendo e analizzando le diverse definizioni e concettualizzazioni di 
fuoco, per un’analisi finale delle diverse tematiche affrontate. 
Da questo percorso di ricerca-studio sull’ecologia del fuoco ha preso forma il seguente 
lavoro, la cui intenzione va dunque nella direzione di un’analisi dell’uso sociale 
dell’elemento, all’interno della natura antropogena del clima mediteranno. Questo 
ponendo attenzione ai differenti discorsi ufficiali relativi al fuoco e all’impatto politico, 
ambientale e culturale che tali punti di vista instaurano.
12
13 
 
Parte Prima  
Il fuoco. Tra natura e cultura 
 
 
 
 
Capitolo 1. Natura, un concetto culturale 
 
 
In occidente intorno al sedicesimo secolo, l’idea di cultura si è opposta a quella di 
natura.
26
 La definizione di ciò che è ritenuto naturale infatti, co-evolve e cambia con la 
definizione di ciò che è ritenuto culturale tramite un processo di cosificazione attraverso 
il linguaggio.
27
 La modalità di descrizione di qualcosa informa dunque, riguardo le 
categorie mentali culturalmente dominanti.  Così avviene che equivocate descrizioni 
culturali di ciò che è ritenuto natura, vengono utilizzate in modo funzionale per 
classificare, ordinare, semplificare, comprendere, ciò che ci circonda. Le scienze 
analitiche stesse non sono esenti da questo tipo di ragionamento.
28
 Natura e cultura 
però, non rappresentano di per sé un’opposizione; sono piuttosto i modelli cognitivi 
emici ad essere spesso in opposizione con quelli etici.
29
 Studiare le concezioni culturali 
legate al fuoco, ad esempio, svela questo tipo di ragionamenti.  
L’utilizzo del fuoco rappresenta un fattore ecologico che dipende da decisioni di tipo 
sociologico.
30
 Storicamente è stato utilizzato per il pascolo e l’approvvigionamento 
agricolo dello spazio, ed ha avuto grande influenza sulla vegetazione, selezionando 
specie con diverso tipo di resistenza.  L’uso regolarizzato del fuoco da parte dell’uomo 
è abbondantemente documentato dalle diverse disposizioni legali dei diversi luoghi. 
Cause naturali come lampi o eruzioni vulcaniche, possono considerarsi irrilevanti 
                                       
26
 R.Ellen e K. Fukui, Redefining Nature, Ecology, Culture and Domestication, Berg, Oxford, 1996, pp. 
1-4. 
27
 Ivi., pp. 4-7. 
28
 Ivi., pp. 9-17. 
29
 Vayda Rapport, 1968, R.Ellen op.cit. p.19. 
30
 R.Folch, Socioecologia dels incendis forestals, in Ecologia del folc, Proa, Barcellona, 1996, pp.255-
256.
14 
 
rispetto all’azione umana diretta (volontaria o involontaria) nel causare incendi, 
nonostante il clima mediterraneo presenti caratteristiche di secchezza estiva che possono 
durare fino a sei mesi, e che ne accentuano in modo importante il rischio.
31
 Una delle 
forme fondamentali di prevenzione degli incendi estivi è costituita dalla cura dei campi 
e dei boschi attraverso tecniche di pulizia della necromassa. Con l’industrializzazione, 
in Europa, sono andate pian piano perdute queste tecniche, con la conseguenza che sono 
circa 200.000 ettari di bosco ad ardere annualmente all’interno della conca 
mediterranea.
32
 Come si può notare a livello massmediatico e legislativo, l’accanimento 
negativo nei confronti dell’elemento fuoco si è conseguentemente accentuato 
notevolmente. La concezione culturale dell’elemento fuoco, di per sé naturale, si presta 
dunque a interessanti analisi psicologiche che ne svelano le radici inconsce collettive 
culturalmente interiorizzate, che rivelano un’ambivalenza peculiare di odio/amore con 
questo particolare elemento.  
Il fuoco è un processo di combustione che può auto-generarsi palesandosi in luce e 
calore, la cui azione è, nell’immediato, distruttiva rispetto le strutture organiche che 
riduce in fumo e cenere in modo irreversibile. La capacità di maneggiarlo è una 
competenza esclusivamente umana, più del linguaggio e dell’uso di strumenti, ed è 
universale.
33
 E’ impossibile concepire l’umanità senza il fuoco. Sono innumerevoli i 
miti sulla sua origine e le tradizioni dell’antichità classica che vi si riferiscono. Questa 
grande varietà implica però, una peculiare unità di pensiero sottointesa. Lévi-Strauss
34
 
ha affermato che un elemento comune a tutti i miti sul fuoco è l’idea che 
impossessandosene gli uomini siano diventati veramente umani. Frazer,
35
 nel noto 
saggio sulla magia e sulla religione documenta la diffusa usanza di accendere fuochi in 
occasione di festività estive, fine autunnali o invernali, in analogia con pratiche anteriori 
alla diffusione del cristianesimo. La prova più antica della loro esistenza per quanto 
                                       
31
 L.Trabaud, Etude du comportement du feu dans la garrigue de Chêne kermes à partir des temperature 
set des vitesses de propagation, Ann. Sci. Forest., 36, 1979, pp.13-38. 
32
 N.H. Le Houerou, Plant Sociology and Ecology Applied toGgrazing Lands Research Survey and 
Management in the Mediterranean Basin, in W.Krause ed. Handbook of vegetation science part.13. 
Application of vegetation science to grassland husbandry. Junk The Hague, 1977, pp. 211-274. 
33
 J.Goudsblom, Fire and Civilization,1992,  trasd. Di A. Merlino, Fuoco e Civiltà, dalla preistoria ad 
oggi, Donzelli Editore, Roma, 1996.  
34
 Lévi-Strauss 1992, 1982, J.Goudsblom op.cit. p. VII. 
35
 J.G.Frazer, The Golden Bough (1922), trad. Di N.Rosati Bizzotto, Il ramo d’oro, Newton &Compton 
editori, 2006, pp. 675-706.
15 
 
riguarda l’Europa settentrionale proviene, infatti, dai tentativi dei sinodi cristiani del 
VIII secolo, di abolire tali pratiche come retaggi del paganesimo. La stigmatizzazione di 
tali pratiche ha contribuito a determinare le attuali concezioni negative relative 
all’elemento. Per Lanternari
36
 infatti, il rapporto tra religione e ecologia si identifica con 
le manifestazioni religiose che hanno accompagnato le origini della cultura nelle diverse 
società in riferimento ai comportamenti ed orientamenti mentali espressi verso la natura. 
Come ho avuto modo di approfondire nella tesi precedente,
37
 con l’avvento 
dell’“iperindustrializzazione”, l’inquinamento e i rovinosi danni procurati all’ambiente, 
si avverte una sorta di bisogno di ritorno alle religioni pagane, di guardare alle 
concezioni considerate “tradizionali” o alle religioni orientali che legano il destino 
umano individuale alla totalità cosmica. Qui l’idea di natura è direttamente e 
implicitamente investita di un’aura sacrale comportante obblighi devozionali specifici, a 
differenza delle grandi religioni monoteiste dove la natura è percepita come “dono” di 
Dio all’uomo. In occidente è quasi esclusivamente nel mondo dell’agricoltura che si è 
mantenuta la percezione della rivelazione del mistero della rigenerazione vegetale.
38
 
Con la tecnica agricola l’uomo interviene infatti, direttamente, attraverso una sorta di 
cerimoniale, nella vita vegetale che non appare più qualcosa di esterno ma diviene 
qualcosa di manipolabile, controllabile.  
 
 
 
 
 
 
 
 
                                       
36
 V.Lanternari, Ecoantropologia, Edizioni Dedalo, Bari, 2003, pp. 351-354. 
37
 E.Razzoli,  Neostregoneria nell’Orizzonte dei Nuovi Movimenti Religiosi. Il caso della Wicca, 
Università degli studi di Firenze, anno accademico 2006/2007. 
38
 M.Eliade, Traité d’histoire des religions, Payot, Paris, 1948, trad. Italiana di V. Vacca, Trattato di 
storia delle religioni, prima ed. nell’Universale scientifica Borghieri, 1976, prima ed. nei Saggi, 1999, 
2004, pp. 301, 302.
16 
 
1.1. Il fuoco nell’immaginario umano 
 
Nel saggio La psicoanalisi del fuoco,
39
 Bachelard afferma che il problema psicologico 
delle convinzioni culturali relative al fuoco, inficerebbe la realizzazione concreta di un 
atteggiamento completamente oggettivo nei confronti di questo elemento. Alla domanda 
“che cos’è il fuoco?” si aprirebbe una zona oggettiva impura, in cui le intuizioni 
personali si confonderebbero con le esperienze scientifiche. Una pesante tara 
graverebbe quindi su queste intuizioni, inducendoci a convinzioni immediate in 
relazione a un problema che richiederebbe invece esperienza e misura. Ciò che indaga 
Bachelard è la permanenza di una certa idolatria del fuoco,
40
 anche nell’ambito 
scientifico di cui fa parte.
41
 Per l’uomo il fuoco è un essere sociale prima che 
naturale.
42
 Rappresenta uno dei primi oggetti di divieto generale dell’infanzia per la 
pericolosità che presenta. La primissima conoscenza generale che se ne ha, è quella del 
divieto sociale. Crescendo, il fenomeno naturale viene inserito in una serie di 
conoscenze sociali complesse e confuse che vanno dal pericolo d’incendio alle 
leggende sui fuochi celesti e che non lasciano posto alla conoscenza ingenua (ovvero 
indipendente) del fenomeno. Bachelard parla di complesso di Prometeo
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 per la 
conoscenza del fenomeno attraverso una furba disobbedienza con la quale il bambino 
vuole impadronirsi dei saperi osservati nell’adulto. Secondo l’autore è per questo 
motivo che si dice che l’incendiario è il più simulatore dei criminali
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 e che, un 
incendio determina un incendiario quasi con la stessa fatalità per cui un incendiario 
provoca un incendio. Problema, secondo l’autore, solo in parte relativo alla storia della 
scienza in quanto la scienza appare adulterata dalle influenze culturali. L’autore 
definisce le intuizioni del fuoco ostacoli epistemologici tanto più difficili da rovesciare 
quanto più chiari psicologicamente.
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 Nessuna delle pratiche fondate sull’attrito per 
                                       
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 G.Bachelard, La Psicoanalisi del Fuoco, Edizioni Dedalo, 1993,  p.125. 
40
 Ivi., p.128. 
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Bachelard è stato insegnante di Fisica e Scienze Naturali nella secondaria del collegio di Bar-sur-Aube, 
prima di diventare docente universitario in Filosofia alla Facoltà di Lettere di Digione nel 1930. Concluse 
la propria carriera alla Sorbona, dove venne chiamato nel 1940 per una cattedra in Storia e Filosofia della 
Scienza. 
42
 G.Bachelard op. cit. p. 134. 
43
 Ivi., pp. 135, 136. 
44
 Ivi., p. 137. 
45
 Ivi., p. 183.