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Pearson (1968) e Greenson (1967), che operano una distinzione tra la 
resistenza nell’adulto e la resistenza nel bambino.  
Nel successivo capitolo viene presa in considerazione l’analisi 
dell’utilizzazione psicologica dello spazio. Vengono proposte nel corso di 
questo capitolo le diverse modalità di lettura delle scene rappresentate 
nella sabbiera, secondo il pensiero di diversi autori. Vengono quindi 
presentate le diverse mappe del gioco della sabbia proposte da Kalff 
(1966), Ammann (1989), Ryce-Menuhin (1992) e Montecchi (1993). 
Proseguendo, nei capitoli sei e sette, vengono descritte, attraverso le 
modalità del Gioco della Sabbia, alcune situazioni psicopatologiche 
infantili. In particolar modo nel sesto capitolo viene definito il disturbo 
autistico, in riferimento ai criteri diagnostici del DSM IV-TR (APA, 
2000), e le modalità di utilizzazione del Gioco della Sabbia nel 
trattamento di questa particolare patologia. 
Nel settimo capitolo invece vengono descritte sindromi come l’anoressia 
mentale, le balbuzie e le patologie ad espressione motoria, e 
l’utilizzazione della Sand Play Therapy negli abusi dell’infanzia. Viene 
messo in evidenza come il Gioco, con le sue caratteristiche pratiche di 
manipolazione della sabbia, sia uno strumento utile e idoneo per il 
trattamento di tali sindromi.  
La trattazione termina con il capitolo ottavo, nel quale vengono descritte 
le molteplici modalità di applicazione del Gioco della Sabbia. 
Questo negli ultimi anni è stato usato per scopi molto diversi da quelli 
teorizzati dalla Kalff, ciò ha portato a sperimentazioni nuove e in casi 
particolari anche di difficile applicazione.  
Nelle considerazioni conclusive vengono esposte alcune osservazioni 
riguardanti la vasta letteratura del Gioco della Sabbia.   
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CAPITOLO 1 
 
NASCITA E SVILUPPO DEL GIOCO DELLA 
SABBIA O SAND PLAY THERAPY 
 
La terapia del Gioco della Sabbia ( in inglese Sand Play Therapy) è stata 
sviluppata come metodo terapeutico da Dora M. Kalff, prendendo spunto 
da “Il Gioco Del Mondo” di Margareth Lowenfeld, utilizzato per più di 
quarant’anni come strumento diagnostico nella psichiatria infantile 
(Ammann, 1989). 
Dora Kalff, allieva di C.G. Jung e di sua moglie Emma, intraprese 
durante la sua formazione lo studio della terapia Junghiana ed iniziò 
allora la sua analisi personale. Seguendo il consiglio sia di Emma che 
dello stesso Jung iniziò a frequentare i corsi che si tenevano presso il 
C.G. Jung Istitute di Zurigo. Terminati questi studi della durata di sei 
anni, partecipò ad un convegno di psichiatria tenutosi a Zurigo, durante il 
quale rimase molto affascinata dall’interpretazione di alcuni quadri 
proposti dalla Lowenfeld relativi a due cassette piene di sabbia con dentro 
dei piccoli pupazzetti, presentati dallo stesso Jung durante un suo 
intervento (Montecchi, Navone, 1989). 
Nel metodo elaborato dalla Lowenfeld ogni bambino era seguito da 
cinque o sei terapeuti e ogni giorno tramite riunioni di gruppo veniva 
deciso a chi il bambino doveva essere affidato. L’attività non era 
incentrata sulla costruzione nelle cassette di sabbia, ciò avveniva solo 
quando il bambino lo richiedeva nell’ambito di una serie complessa di 
attività come la palestra, i vari giochi in giardino, la pittura sui muri e i 
giochi con i getti d’acqua. 
I quadri nelle sabbiere venivano utilizzati prevalentemente a scopo 
diagnostico. I diversi oggetti venivano tenuti nascosti in dei cassetti e il 
bambino doveva cercarli. Furono i bambini stessi ad ideare la nuova e 
spontanea tecnica che permetteva di riprodurre le immagini del mondo 
interiore in un piccolo contenitore colmo di sabbia. 
La Lowenfeld individuò così un nuovo e creativo mezzo di espressione 
sia per bambini che per gli adulti, che permetteva al terapeuta ed anche 
all'analizzando, che eseguiva il gioco, di comunicare e di condividere 
l'esperienza interiore interpretativamente. 
La Lowenfeld sosteneva che il bambino non doveva essere investito da 
troppi oggetti tutti insieme ma doveva scoprirli da solo. L’aspetto 
terapeutico del metodo poggiava sul valore catartico del gioco piuttosto 
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che rappresentare un processo di sviluppo come la Kalff teorizzerà in 
seguito.  
 
 
La Kalff si rese conto di non essere d’accordo con molte tesi della 
Lowenfeld, ma riuscì comunque a lavorare con lei e grazie alla sua 
autorizzazione riuscì ad utilizzare le cassette di sabbia secondo il suo 
nuovo metodo (Montecchi, Navone, 1989). 
Esistono molte differenze tra l’originale metodo elaborato dalla 
Lowenfeld e il metodo rivisitato della Kalff, queste riguardano soprattutto 
l’importanza data alla relazione  tra il soggetto e l’analista e il ruolo e la 
posizione degli oggetti che secondo la Kalff dovevano essere resi 
disponibili al soggetto, diversamente da quanto sostenuto dalla 
Lowenfeld (Gorzonio, 1989). 
Il “Gioco del Mondo” della Lowenfeld fu quindi rinominato dalla Kalff  
“Gioco della Sabbia”, questa nuova denominazione mette in evidenza 
l’utilità dell’associazione sabbia - oggetti - spazio delimitato nel 
confronto con le emozioni più profonde (Aite, 2002). 
Il Gioco della Sabbia può quindi essere definito come un metodo di 
psicoterapia basato su un lavoro pratico, creativo di costruzione nella 
sabbiera. L’individuo che si avvicina alla sabbiera per creare immagini 
tridimensionali è coinvolto nel processo con lo spirito, con l’anima e con 
il corpo, questo metodo fornisce la base per l’interazione tra corpo e 
psiche, tra materia e spirito, il gioco crea un campo comune in cui questi 
due elementi possono reciprocamente influenzarsi. 
Immergere le mani nella sabbiera è un metodo grazie al quale vengono 
attivate non solo forze mentali e spirituali ma al tempo stesso viene data 
loro una forma fisica. Inoltre in questo metodo attraverso il lavoro con le 
mani vengono mobilitate le energie creative di un individuo che danno 
luogo ad un processo olistico di guarigione e di trasformazione della 
personalità (Ammann, 1989). 
All’inizio furono i bambini i pazienti della Kalff, i primi casi, che poi 
vennero tradotti anche in italiano nel 1974, diedero subito un idea delle 
potenzialità del metodo da lei sviluppato (Gorzonio, 1989), ma 
l’universalità di questo si rivelò quando la Kalff estese il campo dei 
propri interventi accogliendo anche pazienti adulti, il ricorso al gioco 
rappresentava un elemento nuovo e provocatorio nella terapia con questi 
soggetti (Traverso, 1989). 
Il senso di giovamento che un paziente può trarre dal Gioco della Sabbia 
non ha a che fare né con il sesso né con l'età: l’aspetto fondamentale di 
questa tecnica è reso evidente dalla possibilità che le immagini create 
amplifichino il materiale che poi verrà utilizzato nell'analisi e lo mettano 
in correlazione con l’esperienza personale. Questo elemento rende di 
fondamentale importanza scoprire quello che i simboli utilizzati dai 
pazienti nelle creazioni vogliono esattamente significare.  
Il Gioco della Sabbia è dunque un elemento espressivo che offre la 
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possibilità di rivelare ed esprimere aspetti misteriosi di pensieri e 
sentimenti che il linguaggio e la gestualità possono non essere in grado di 
manifestare (Ryce-Menuhin, 1992). 
Nel lavoro di Dora Kalff è ravvisabile un costante riferimento al pensiero 
orientale. Gli aspetti più caratteristici sono in particolar modo due: uno 
riguarda l’atteggiamento mentale del terapeuta e l’altro riguarda la chiave 
di lettura di alcuni aspetti simbolici che compaiono nei quadri della 
sabbiera. La Kalff ha avuto modo di comparare questi due elementi 
caratteristici del suo metodo con gli insegnamenti della filosofia orientale. 
Questo è stato possibile grazie ai suoi numerosi incontri con personalità 
importanti appartenenti al mondo orientale (Montecchi, Navone, 1989). 
In particolar modo l’atteggiamento mentale non interpretativo del 
terapeuta può essere paragonato all’insegnamento dei maestri del 
Buddhismo Zen, nel quale il soggetto si trova rimandato a se stesso, con 
la conseguente attivazione della forza riparatrice della psiche, ma perché 
ciò avvenga è necessario la compartecipazione del terapeuta all’evento. È 
proprio questa compartecipazione che viene enfatizzata nel metodo 
terapeutico della Kalff e che può essere ravvisata appunto 
nell’atteggiamento mentale del terapeuta (Gorzonio, 1989).  
La maggior parte di coloro che ora utilizzano questo metodo l’hanno 
appreso attraverso il contatto personale con la Kalff, grazie alla sua 
capacità di poter accogliere i suoi molti allievi nella sua casa di Zurigo e 
alla sua possibilità di effettuare frequenti viaggi per esporre e insegnare il 
suo metodo. 
Attualmente il Gioco della Sabbia è uscito dai confini della Svizzera ed 
ha trovato una vasta diffusione negli Stati Uniti, Giappone, Inghilterra, 
Germania e tutt’oggi viene utilizzato non solo nel trattamento di bambini 
e adolescenti ma anche nella terapia di soggetti adulti.  
Anche in Italia questo metodo ha avuto una grande diffusione, infatti già 
a  partire dal 1969 la Kalff ha svolto i suoi seminari a Roma. Tuttavia lo 
sviluppo del metodo è avvenuto solo negli ultimi vent’anni con 
l’inaugurazione nel 1986 dell’anno accademico dell’Associazione Italiana 
per lo studio della Psicologia Analitica (AIPA). L’Associazione Italiana 
della Sand Play Therapy ( Aispt), ha istituito corsi di formazione al Gioco 
della Sabbia dove viene dato ampio spazio al lavoro analitico con 
bambini e adolescenti con questo metodo (Montecchi, 1995).