Introduzione 
 
“[…] the Thatcher government’s impact will look very different in 
the year 2000 compared to the way it will appear 30, or even 100, 
years after her fall from power. Consider how an evaluation of 
Elizabeth I’s reign might differ whether the judgement were made in 
the year of her death, 1603, in 1613, 1633 or even 1703. Historical 
judgement is dynamic: but, with good quality evidence and a critical 
intellect, important judgements could have been made about 
Elizabeth I in 1613. That is the position we are now at.”
1
 
 
Dunque “il giudizio storico è dinamico” ma non per questa ragione non si 
possono esprimere giudizi sulla Storia recente. Se possediamo prove di qualità 
e capacità critica, è possibile disegnare un buon ritratto che risponda al vero 
anche dei fatti a noi più vicini. 
Si tenterà in questo lavoro di seguire i passi di Margaret Thatcher e del 
suo governo attraverso gli anni del primo mandato (1979-1983) e si 
utilizzeranno come confini temporali la campagna elettorale del 1979 e il 
conflitto nelle isole Falkland (1982). Tali confini saranno però abbastanza 
elastici da permettere di comprendere la Gran Bretagna che ha appoggiato 
l’avvento della  Iron Lady nel 1979 e per lasciar intravedere la prosecuzione 
dell’era Thatcher oltre il 1983. In questo contesto storico, politico e culturale 
la stampa sarà considerata come testimone di quegli anni, documento primario 
per la ricostruzione dei fatti. Insieme alla stampa saranno inserite citazioni da 
diversi saggi, articoli e monografie dedicati a Margaret Thatcher e alla Gran 
Bretagna dei primi anni Ottanta. La maggior parte di queste opere fu scritta 
durante gli anni del Thatcherismo ma, proprio perché gli autori furono 
generalmente accompagnati da buona capacità critica e da prove documentate, 
è un insieme di opere che si può considerare ulteriore documento per il 
lavoro. 
Il primo capitolo affronterà un’analisi storica e critica degli avvenimenti 
che portarono all’elezione di Margaret Thatcher prima alla carica di leader del 
partito conservatore e poi a quella di primo ministro, senza tralasciare un 
discorso sui valori e sulle idee della Lady di Ferro . Nel secondo capitolo 
                                                 
1
 Anthony Seldon e Daniel Collings, Britain under Thatcher, London, Longman 2000 p. 65 
Introduzione 
 
  
invece si inizierà a leggere la vicenda Thatcher attraverso le pagine di The 
Daily Telegraph dei primi sei mesi di governo sino, dunque, alla fine del 1979 
per poi, nel resto del lavoro, analizzare alcuni fatti salienti attraverso le pagine 
di The Times che non fu in edicola per gran parte del 1979 a cause di forti 
agitazioni per il trasloco delle attività dalla sede di Fleet Street alla zona di 
Wapping, e per l’introduzione di nuove tecnologie nella stampa del 
quotidiano, che avrebbero portato al taglio di diversi posti di lavoro. Per 
quanto riguarda i primi anni Ottanta il fatto sul quale ci si soffermerà più a 
lungo sarà la guerra nelle isole Falkland. La guerra sarà occasione per 
concludere il discorso sulle scelte di campo della stampa dell’epoca, viste 
attraverso la lettura di un quotidiano (The Times) che appoggiò di fatto le 
politiche del governo conservatore. Il fine di questo lavoro vuole essere quello 
di raccontare quattro anni di Storia inglese e di mettere in evidenza la 
parzialità della stampa britannica rispetto ai fatti per, in un certo senso, 
mettere in questione l’idea per la quale in Italia ci si riferisce spesso al 
giornalismo anglosassone come imparziale e autorevole. Senza nulla togliere 
al prestigio di testate come The Daily Telegraph e The Times, si vuole qui 
evidenziare la scelta di campo filo-conservatrice che entrambe le testate 
fecero durante l’era Thatcher, per dimostrare come “l’essere al di sopra delle 
parti” non sia semplice e scontato, neppure nel mitizzato  mondo del 
giornalismo britannico. 
Naturalmente, non c’è la presunzione di analizzare ogni singolo 
avvenimento, ogni singolo provvedimento preso dal governo Thatcher durante 
il suo primo mandato. Un simile intento sarebbe stato impossibile da 
realizzare in un tempo e in uno spazio ragionevoli. Si è preferito scegliere 
alcuni momenti e problemi precisi che hanno segnato profondamente la vita 
politica, economica e sociale di quegli anni. 
Margaret Thatcher: da leader di partito a primo ministro 
 
Capitolo primo 
 
1 “Margaret Thatcher: da leader di 
partito a primo ministro” 
 
1.1 Il contesto storico: la crisi economica degli anni 
Settanta 
 
Agli inizi degli anni Settanta il mondo dovette affrontare una nuova 
crisi economica che colpì la maggior parte dei paesi industrializzati. Come 
ogni altra, anche questa crisi fu determinata da più di una causa: scelte di 
politica economica sbagliate e trascinate per anni, la crescita del ruolo di 
nuovi paesi sullo scenario del commercio internazionale, una nuova 
situazione nel campo della produzione petrolifera e il fallimento di accordi 
internazionali. A differenza però di altre grandi crisi economiche del 
Novecento, come ad esempio la Grande Depressione degli anni Trenta, gli 
economisti si trovarono di fronte un problema che fino ad allora era stato 
sottovalutato: l’inflazione. Insieme alla contrazione degli investimenti e, 
soprattutto, alla crescita della disoccupazione, molti paesi sperimentarono un 
tasso d’inflazione a due cifre. 
Due fenomeni come la stagnazione economica e l’inflazione, fino agli 
anni Settanta ritenuti incompatibili, si accompagnavano in questa crisi tanto 
da dar vita ad un neologismo coniato apposta dagli economisti: stagflazione. 
 
Margaret Thatcher: da leader di partito a primo ministro 
 
1.1.1 La messa in crisi delle politiche keynesiane. 
 
In special modo negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, dopo le due 
guerre mondiali, si erano sempre più affermate le idee dell’economista inglese 
John Maynard Keynes. Sostenute dai suoi più illustri colleghi, le sue teorie 
economiche, che miravano alla piena occupazione e alla deflazione attraverso 
un intervento massiccio dello Stato in economia, erano ritenute la migliore 
ricetta per sconfiggere gli spettri della crisi e della povertà come sottolinea 
Galbraith: 
“Dopo una guerra il saggio vincitore consolida i suoi guadagni. Così, 
dopo la seconda guerra mondiale, fecero i keynesiani. La guerra 
aveva eliminato la disoccupazione. Ora si presero misure per far sì 
che quello che era stato una conseguenza passiva della mobilitazione 
del tempo di guerra diventasse un obiettivo attivo della politica 
pubblica. […] La piena occupazione non sarebbe più stata 
considerata la conseguenza autonoma della concorrenza economica. 
D’ora in poi si sarebbe dato per scontato nella realtà economica 
l’equilibrio della sotto-occupazione e il governo si sarebbe proposto 
l’obiettivo deliberato di rompere tale equilibrio e assicurare in sua 
vece il pieno impiego.”
1
 
 
Secondo i cosiddetti “keynesiani”, per assicurare lo sviluppo 
economico e per battere la disoccupazione, erano necessari interventi costanti 
nell’economia da parte dello Stato. Questi interventi portarono in molti Paesi 
alla creazione di uno Stato assistenziale (Welfare State) che da un lato 
assicurò tutela e maggiore giustizia sociale ai cittadini, ma dall’altro, col 
tempo, diede vita a rapporti tra economia e burocrazia pubblica tanto vasti e 
complessi da poter apparire ipertrofici; rapporti che entrarono in crisi proprio 
con la recessione degli anni Settanta. Come spiega ancora Galbraith, infatti, le 
politiche seguite al fine di battere la disoccupazione iniziarono a non 
funzionare quando si combinarono i fenomeni di inflazione e stagnazione, 
                                                 
1
 John Kenneth Galbraith, Storia della economia (passato e presente), Milano, Biblioteca 
Universale Rizzoli 1990, p.279 
Margaret Thatcher: da leader di partito a primo ministro 
 
creando una nuova forma di inflazione dei salari e dei prezzi che caratterizzò 
gli anni Settanta: 
 
“Deflazione e disoccupazione richiedevano maggiori spese pubbliche 
e meno tasse, che erano azioni politicamente molto gradevoli. 
L’inflazione dei prezzi richiedeva invece tagli alle spese dello Stato e 
aumenti delle tasse, che erano misure tutt’altro che indolori. Inoltre, 
come si sarebbe visto ben presto, queste misure non erano molto 
efficaci contro la forma di inflazione moderna: l’inflazione dei salari e 
dei prezzi, come fu chiamata. La politica keynesiana era una via a 
senso unico o, più precisamente, una via che presentava un passaggio 
facile e gradevole verso il basso ma che era molto difficile e faticosa, 
e senza certezze di arrivare alla meta, verso l’alto. […] La General 
Theory di Keynes era, principalmente, un trattato sulla Grande 
Depressione. Il problema era quello della disoccupazione e della 
diminuzione dei prezzi; i primi keynesiani dedicarono poca o nessuna 
attenzione all’inflazione e nessuna agli aspetti politici del suo 
contenimento.”
2
 
 
E’ chiaro quindi come, insieme ad altri fattori che provocarono la crisi e che 
analizzeremo, stesse cambiando l’intero modo di gestire l’economia e come 
alcune teorie, fino ad allora ritenute di successo, iniziassero a vacillare e ad 
essere messe in discussione. Gli anni Settanta appaiono pertanto come un 
periodo di profondi cambiamenti in campo economico e, come vedremo, con 
la messa in crisi del Welfare State anche di cambiamenti sociali. 
La crisi era, tra l’altro, anche frutto della nuova competizione venutasi 
a creare nel mondo occidentale a seguito della forte crescita economica del 
Giappone che penetrava il mercato mondiale esportando nuovi prodotti e 
nuove tecnologie a ritmi produttivi elevati. Il Giappone non fu immune dalla 
crisi (soprattutto se si pensa che era, come molti paesi occidentali, dipendente 
dalla importazioni di materie prime come il petrolio) e raggiunse nel 1974 un 
tasso d’inflazione del 31,4%, in linea con il resto dei paesi industrializzati. 
                                                 
2
 John Kenneth Galbraith, op. cit., p. 295 
Margaret Thatcher: da leader di partito a primo ministro 
 
Nonostante ciò, il PIL giapponese restò per gran parte del decennio molto alto 
e nel 1973, mentre la crescita statunitense era del 9,3% e quella britannica del 
7,8%, il Giappone incrementava la produzione industriale del 15,4%.
3
 
 
 
 
1.1.2 Il fallimento degli accordi di Bretton Woods 
Stipulati nel 1944 da quarantaquattro paesi (poi saliti a 
cinquantacinque) gli accordi di Bretton Woods erano patti che regolavano 
essenzialmente il sistema dei cambi e le valutazioni delle monete a livello 
internazionale, al fine di limitare le difficoltà per il commercio tra i paesi 
aderenti, introducendo dei meccanismi per la stabilità dei cambi stessi. Inoltre, 
questi accordi diedero vita al Fondo Monetario Internazionale (FMI) come 
spiega Napoleoni: 
“In base agli accordi di Bretton Woods, veniva istituito, tra l’altro, un  
Fondo Monetario Internazionale, dotato di una disponibilità di oro e 
di valute nazionali formata dai contributi (molto diversi per entità) dei 
vari paesi partecipanti all’accordo; questi ultimi comunicavano al 
FMI la propria parità cambiaria rispetto all’oro o al dollaro, e si 
impegnavano ad assicurare l’equilibrio delle proprie bilance dei 
pagamenti senza far leva (almeno entro certi limiti abbastanza 
ristretti) su modificazioni dei cambi, e ricevendo nel perseguimento di 
questo compito un aiuto dal Fondo stesso, che si impegna a 
finanziare, con le proprie disponibilità, degli squilibri temporanei 
delle bilance dei pagamenti.”
4
 
 
                                                 
3
 I dati citati sono tratti dall’Annuario Statistico Italiano, Istituto centrale di Statistica, Roma 
1972-1985 e pubblicati in  De Bernardi e Guarracino, I Tempi della Storia (3° volume), 
Milano, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, 1993 
4
 Claudio Napoleoni, Elementi di Economia Politica, Firenze, La Nuova Italia Editrice, 1989, 
pp. 384; 385 
Margaret Thatcher: da leader di partito a primo ministro 
 
Gli accordi quindi prevedevano un sistema di cambi regolato e un impegno 
serio da parte dei Paesi aderenti a mantenere il saldo della bilancia dei 
pagamenti costante e le oscillazioni dei cambi non troppo eccessive. 
Il dollaro aveva un ruolo chiave, essendo riconosciuta moneta 
internazionale convertibile in oro, con funzione di moneta di riserva delle 
banche centrali dei Paesi. 
Questo sistema entrò in crisi per diverse ragioni nel 1971, 
contribuendo alla crisi economica. Fino a quella data il sistema aveva 
funzionato grazie alle ingenti spese statunitensi: 
“La ragione principale del soddisfacente funzionamento del sistema di 
Bretton Woods sta nel fatto che per vent’anni,  dal 1950 al 1970, la 
bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti fu in costante disavanzo, 
poiché l’avanzo della bilancia commerciale fu più che compensato dal 
disavanzo del movimento dei capitali, per spese militari all’estero, 
investimenti americani negli altri paesi e aiuti dati soprattutto ai paesi 
sottosviluppati. A causa di questo disavanzo della bilancia dei 
pagamenti l’uscita di dollari dagli Stati Uniti si mantenne superiore 
all’entrata determinando una crescente disponibilità di dollari nel 
resto del mondo.”
5
 
 
        Il sistema, tuttavia, col tempo non riuscì più a funzionare: in pratica, i 
rapporti tra le economie nazionali si modificarono (soprattutto con l’ascesa di 
Giappone e Germania) in misura tale da far “saltare” gli equilibri tra le 
monete stabiliti nel 1944.
6
  
                                                 
5
 Claudio Napoleoni, op. cit., pp. 388; 389 
6
 A proposito ancora Napoleoni (op. cit., p. 389) afferma: “[…] si vennero accumulando varie 
ragioni di crisi. La prima ragione, di carattere molto generale, è questa. Un sistema di cambi 
fissi può durare solo se tra i vari paesi non vi sono mutamenti troppo rilevanti nei rapporti tra 
i poteri di acquisto delle rispettive monete […]. Il secondo elemento è l’andamento dei salari. 
Ciò che importa, in questo contesto, è il rapporto tra l’andamento dei salari monetari e 
l’andamento della produttività del lavoro, cioè l’andamento del costo del lavoro per unità di 
prodotto. Se questo costo varia in misura diversa nei vari paesi, e se, per difendere il saggio 
del profitto, le autorità monetarie consentono, e tutte nella stessa misura, che gli aumenti di 
costo si scarichino sui livelli dei prezzi, si avranno, da paese a paese, misure diverse di 
inflazione da costi. […] Alla tendenza al mantenimento della stabilità dei cambi, che era 
facilitata dalla grande disponibilità di dollari fuori dagli Stati Uniti, si è contrapposta una 
tendenza al mutamento non correggibile dei cambi dovuto al diverso andamento dei valori 
interni delle varie monete.” 
Margaret Thatcher: da leader di partito a primo ministro 
 
Il sistema entrò in crisi dunque di fronte alle instabilità valutarie e a quelle dei 
salari. Inoltre gli Stati Uniti, in continuo disavanzo, rendevano disponibile una 
gran quantità di dollari sul mercato europeo, spingendo così l’inflazione già 
alta. 
Nel 1967 la sterlina fu svalutata mentre il marco si rivalutava 
rompendo così gli accordi di stabilità. Ancora Napoleoni spiega: 
 
“Il 15 agosto 1971 gli Stati Uniti sospesero la convertibilità del 
dollaro in oro. Gli altri paesi, d’altra parte, di fronte a un dollaro che 
si svalutava rispetto alle loro monete, anziché seguire le regole, cioè 
comprare dollari con moneta nazionale per sostenere il corso del 
dollaro stesso, cessarono di intervenire sul mercato dei cambi, e 
lasciarono fluttuare liberamente le loro monete, consentendo che il 
loro valore venisse determinato dalla domanda e dall’offerta. In tal 
modo, i due capisaldi di Bretton Woods, cioè il riferimento all’oro e il 
sistema dei cambi fissi, cessarono di esistere.”
7
  
 
                                                 
7
 Claudio Napoleoni, op. cit., pp. 391; 392 
Margaret Thatcher: da leader di partito a primo ministro 
 
1.1.3 La Crisi Petrolifera 
 
Ad aggravare ancora di più la situazione economica fu la decisione dei 
paesi OPEC
8
 (Organization of Petroleum Exporting Countries) di alzare il 
prezzo del petrolio. Questi paesi, determinando di comune accordo il prezzo 
del cosiddetto “oro nero”, costituiscono di fatto un cartello che “gioca” in 
senso monopolistico sulla dipendenza dei paesi non produttori: 
 
“Alla fine del 1973, in connessione alla guerra arabo-israeliana, i 
paesi non industrializzati produttori di petrolio concordarono un 
aumento del prezzo in dollari di questa fonte di energia e materia 
prima, essenziale al funzionamento della macchina produttiva e della 
vita civile di tutti i paesi del mondo e in particolare di quelli più 
industrializzati. In breve periodo il prezzo del petrolio aumentò di 
quattro volte.”
9
 
 
Se immaginiamo quanto la società moderna sia (oggi ancor di più) 
dipendente dal cosiddetto “oro nero”, possiamo dunque immaginare come 
questa decisione dell’OPEC fosse il colpo di grazia ai paesi non produttori di 
petrolio, che fece scivolare il mondo occidentale ancor di più nella crisi e 
nella spirale inflazionistica dei prezzi e dei salari. 
 
 
 
 
                                                 
8
 I paesi OPEC non industrializzati o in via di sviluppo comprendono  il  Venezuela, l’Iran, 
l’Iraq, il Kuwait, l’Arabia Saudita, il Quatar, la Libia, l’Indonesia, gli Emirati Arabi Uniti, 
l’Algeria, la Nigeria, l’Ecuador e il Gabon. 
9
 Claudio Napoleoni, op. cit., p.393 
Margaret Thatcher: da leader di partito a primo ministro 
 
1.2 La Gran Bretagna pre-thatcheriana 
 
1.2.1 Il Welfare State inglese e la sua crisi. 
Come in molti altri paesi occidentali, il Welfare State inglese fu il 
frutto del  Secondo Dopoguerra. Nella Storia rimane un nome fra tutti legato 
alla nascita dello Stato assistenziale: William Beveridge, uno dei più 
importanti collaboratori di Churchill, che si occupò durante tutta la sua 
carriera politica della sfera sociale. Nei primi anni Quaranta un suo famoso 
“Rapporto” diventò un vero caso: 
“Non era vaga e ispirata retorica sugli obiettivi bellici che la gente 
voleva: tutto suggerisce che quello che si chiedeva ora erano schemi 
pratici e realizzabili, che consolidassero i benefici sociali ottenuti 
durante la guerra. E questo era quanto offriva Beveridge. Con 
trent’anni di esperienza come amministratore sociale alle spalle, egli 
mostrò come si poteva abolire la povertà attraverso un programma 
comprensivo e integrato di assicurazioni sociali. A questo egli 
aggiunse un piano di sgravi fiscali per i figli a carico e stabilì altri due 
punti, necessari al suo piano anche se non parte di esso. Uno era la 
creazione di un servizio sanitario nazionale, l’altro di strumenti per 
impedire il ripetersi della disoccupazione di massa.”
10
 
 
Nel documento stilato da Beveridge, in breve, era compresa un’analisi dei 
problemi sociali della Gran Bretagna, e un complessivo progetto di iniziative 
pubbliche e riforme per affrontarli e risolverli. Esso divenne la base della 
costruzione dello Stato sociale britannico, che raggiunse alti livelli di presenza 
nella vita dei cittadini, garantendo ampia tutela pubblica in materia di sanità, 
previdenza, assistenza e istruzione. Il successo del Rapporto fu enorme e 
Beveridge divenne una personalità importante negli ambienti politici inglesi.  
                                                 
10
 Peter Clarke, Speranza e Gloria (l’Inghilterra nel XX secolo), Bologna, Il Mulino 2000, 
p.273 
Margaret Thatcher: da leader di partito a primo ministro 
 
Nonostante la guerra avesse dato un’ulteriore spinta alla carriera, 
peraltro già brillante, di Wiston Churchill, nel luglio 1945 furono i laburisti a 
vincere le elezioni e Attlee formò il nuovo governo. I provvedimenti legati al 
Rapporto Beveridge furono molti e la creazione del Welfare State fu tra i più 
importanti obiettivi di Attlee così come dei suoi successori.  
La famiglia fu al centro delle attenzioni dei governi e tra le prime 
scelte ci fu quella di istituire un sistema di assegni familiari e di aiuti: 
 
“Il Welfare State degli anni ’40 offriva, nelle parole di Churchill, 
‘un’assicurazione nazionale obbligatoria per tutte le classi per tutti gli 
scopi dalla culla alla tomba’. Questa era la sostanza del piano 
Beveridge. Gli assegni familiari erano un necessario supporto ad esso, 
che utilizzava le entrate fiscali per incrementare il reddito delle 
famiglie con più figli. Per il resto, il presupposto era che un lavoratore 
(maschio) avrebbe guadagnato abbastanza da mantenere la moglie e 
un figlio; e che un singolo prelievo settimanale sarebbe stato dedotto 
dal suo salario come contributo previdenziale a uno schema 
comprensivo di assicurazioni sociali, finanziato anche dal contributo 
del datore di lavoro e da una sovvenzione statale.”
11
 
 
Oltre agli assegni familiari, negli anni Quaranta nacque l’NHS (National 
Health Service), il servizio sanitario nazionale che avrebbe offerto assistenza 
sanitaria, pagando poco ma ricevendo un servizio di qualità, anche a chi fino 
ad allora non avrebbe mai potuto permettersela.  
I governi Attlee, Churchill (tornato in carica nel 1951), Eden e 
Macmillan si concentrarono tutti sul miglioramento della vita dei cittadini,  
anche  attraverso un massiccio ingresso dello Stato in economia, appoggiato 
senza reali grosse distinzioni sia a Destra che a Sinistra. 
Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, durante i mandati Macmillan, la 
disoccupazione era del 2% e il governo si impegnava a mantenerla bassa, ad 
ogni costo inflazionistico. Iniziava il boom economico, sociale e culturale che 
                                                 
11
 Peter Clarke, op. cit., p. 283 
Margaret Thatcher: da leader di partito a primo ministro 
 
portò Macmillan ad esultare dicendo che mai la Gran Bretagna era stata così 
bene. C’era chi addirittura dichiarò che la povertà era stata spazzata via: 
 
“I titoli dei giornali proclamarono una caduta della popolazione della 
classe operaia che versava in condizioni di povertà del 30 per cento 
degli anni ’30 a meno del 3 per cento. ‘The Times’ lo definì 
‘l’eliminazione quasi totale dell’indigenza assoluta’.”
12
 
 
I risultati erano veri e positivi ma la spesa pubblica continuava a dilatarsi e le 
casse dello Stato si svuotavano. Il Welfare State era stato una grande 
rivoluzione economica che senza dubbio aveva portato benessere ma, 
oggettivamente, non sempre era stato gestito in modo oculato: 
 
“Non serve demonizzare la burocrazia del Welfare State per 
riconoscere che col tempo il suo status e i suoi compensi vennero 
talvolta accresciuti in modo più tangibile dei livelli di vita dei suoi 
clienti. Limitarsi a spendere più denaro pubblico cominciò ad essere 
visto come un approccio semplicistico a questioni complesse di 
giustizia sociale.”
13
 
 
Di fronte ad una spesa pubblica in aumento, non si otteneva automaticamente 
la risoluzione dei problemi sociali ma solo una loro attenuazione nel breve 
periodo. Mentre i problemi restavano, negli anni Sessanta, i governi 
iniziarono a rendersi conto che la povertà non era certo stata vinta e, intanto, 
lo Stato si era indebitato a dismisura. 
Nel decennio successivo, lo Stato sociale inglese sarebbe entrato in 
crisi definitivamente, proprio nel contesto della crisi mondiale descritta 
precedentemente. 
 
                                                 
12
 Peter Clarke, op. cit., p. 386 
13
 Peter Clarke, op. cit., p. 390 
Margaret Thatcher: da leader di partito a primo ministro 
 
 
1.2.2 Il governo Heath. 
Dal 1965 il leader dei Tories era Edward Heath. Come ricorda 
Brendan  Evans, Heath fu il primo leader conservatore eletto in un clima più 
democratico all’interno del partito stesso: 
“1965 witnessed the election of Edward Heath to the party leadership. 
His family came from a humble background. He was elected through 
the votes of all Conservative MPs. Previously party leaders emerged 
from a mysterious process in which a few key figures in the party 
constituted a secret electorate.”
14
 
 
Heath non fu un leader particolarmente amato, paradossalmente 
neanche all’interno del proprio partito che l’aveva eletto e la vittoria dei 
Tories alle elezioni del 1970, sebbene per soli trenta seggi, lo portò a 
Downing Street piuttosto inaspettatamente. Nel suo gabinetto l’unica donna 
era proprio Margaret Thatcher, nel ruolo di Ministro della Pubblica Istruzione. 
Clarke spiega come, nonostante le numerose critiche, Heath fosse il 
primo a promettere una svolta in materia economica: 
 
“Nel bene o nel male, il governo Heath presentò se stesso, e venne 
presentato dai suoi oppositori, come la promessa di una pausa in tutte 
quelle politiche interventistiche, politica dei redditi in prima linea, che 
erano state perseguite dai vari governi nel corso degli interi anni ’60. 
Al loro posto si sarebbero cercate soluzioni di mercato, specie una 
volta che la presa restrittiva dei sindacati fosse stata allentata da 
riforme legali del loro status.”
15
 
 
Insieme al progetto di limitare la spesa pubblica, si accennò, e questa era 
sostanzialmente una novità, a una possibile riforma del TUC (Trade Unions 
Congress). I tentativi del governo Heath di regolare diversamente i sindacati e 
di diminuirne i poteri non erano particolarmente popolari dato che, come dice 
                                                 
14
 Brendan Evans, Thatcherism and British politics 1975-1999, Stroud, Sutton Press 1999, 
p.16 
15
 Peter Clarke, op. cit., p. 422 
Margaret Thatcher: da leader di partito a primo ministro 
 
ancora Clarke,:“nel 1971, la posizione pubblica dei sindacati nei sondaggi di 
opinione raggiunse il livello più alto mai toccato negli ultimi tre anni.”
16
 
Ciò che costituì il primo smacco per Heath fu, sempre nel 1971,  la 
decisione del governo di nazionalizzare la Rolls-Royce, un simbolo britannico 
nel mondo, ma a quei tempi soprattutto un’azienda in grave crisi finanziaria. 
Certamente Heath si trovò a governare la Gran Bretagna in un periodo 
non facile ma le decisioni del governo mentre il Paese scivolava nella crisi 
economica mondiale facevano a pugni con il programma del 1970, con il 
quale Heath era stato eletto: 
 
“There is still a good deal of controversy, not to say bitterness, about 
the record of the Heath government between 1970 and 1974. At the 
outset, the policies appeared to mark a clear break with his 
Conservative predecessors. Reducing state intervention in the 
economy, cutting public expenditure and direct taxation, adopting 
greater selectivity in welfare, and creating a legal framework for 
industrial relations were all seen as breaches with the post-war 
approach […] Within two years, however, the Heath Government had 
performed two spectacular U-turns, adopting an elaborate statutory 
prices and incomes policy and assuming power to intervene in 
industry. Both policies were clear breaks with the manifesto on which 
the party had been elected in 1970.”
17
 
 
Il punto dolente iniziava ad essere l’aumento dell’inflazione da prezzi 
e salari mentre i Conservatori incolpavano le fluttuazioni della sterlina (in 
svalutazione dopo la fine dei patti di Bretton Woods): 
 
                                                 
16
 Ibidem 
17
 Dennis Kavanagh, The reordering of British politics (politics after Thatcher),Oxford, 
Oxford University Press 1997  p.74