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Introduzione 
 
Il gruppo è la base di ogni esperienza relazionale.  
Il nostro vivere nel mondo passa attraverso esperienze dirette di  appartenenza a 
gruppi specifici. Questi costituiscono, infatti, le strutture entro le quali si sviluppa 
e si articola l’intera esistenza degli individui ed il nucleo essenziale da cui le 
persone traggono il nutrimento necessario allo sviluppo del proprio potenziale e 
alla propria crescita personale. 
Il presente lavoro, abbracciando la prospettiva di Yalom, si ripropone di indagare 
e approfondire il tema del gruppo, delle dinamiche che lo caratterizzano nonché 
dei benefici che questo tipo di setting può offrire nella cura delle persone. 
Il legame tra la vita del singolo e quella del gruppo, che si instaura fin dalla 
nascita, è un legame imprescindibile che corrisponde all’essenziale dipendenza 
della nostra specie e contemporaneamente al bisogno di affiliazione e di 
appartenenza che caratterizza tutto il genere umano e che sorregge le intere e 
differenti società. 
Le persone nascono, si sviluppano ed imparano ad interpretare il mondo, 
all’interno di gruppi e di fatto tutta l'esistenza corrisponde ad un continuo fluire 
da un gruppo ad un altro.  
Nel presente lavoro ci si è riproposti di andare ad osservare e valutare nel piccolo 
quegli aspetti generali del gruppo che Yalom definì fattori terapeuti. Secondo 
Yalom ogni gruppo, proprio perché tale, a prescindere dallo scopo o 
dall’orientamento in cui nasce, contiene in sé, in potenza, tutti i fattori terapeutici.
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La presente ricerca è stata effettuata con un piccolo gruppo di pazienti bipolari cui 
è stato somministrato sia il questionario per la valutazione dei fattori specifici e 
aspecifici del gruppo, il Fatas-g, che il questionario per la valutazione 
dell’alessitimia, la Tas-20; questa scelta è stata motivata dalla doppia ipotesi che 
il gruppo, oltre a contenere, come sostiene Yalom, dei fattori che possono 
rivelarsi di per sé terapeutici, possa inoltre costituire  uno stimolo e una risorsa 
preziosa per  persone con difficoltà nell’espressione emotiva e relazionale, come 
ad esempio i soggetti alessitimici.  
L’esperienza di condividere con altri il proprio percorso personale all’interno di 
un gruppo consente alle persone di attivare e sviluppare più sistemi relazionali e 
di ascoltare e prendere coscienza di più modi differenti di essere al mondo. 
Inoltre l’esperienza del sostegno, della coesione e dell’altruismo incondizionato 
che piano piano si sviluppano tra i membri, unitamente alle informazione, agli 
spunti e ai feedback che le persone possono ricevere nei gruppi, offrono la 
possibilità di vedersi di più, di osservare il proprio mondo relazionale in azione ed 
eventualmente di imitare, per poi imparare, modalità relazionali più evolute. 
Queste possibilità offerte dal gruppo, aprono la persona ad ulteriori prospettive 
ampliando la personale capacità di comprensione di se stessi e delle cose.  
Non a caso, infatti, il gruppo ha sempre avuto un ruolo centrale all'interno della 
cura delle persone, basti pensare a tutti i rituali da sempre presenti in grandi aree 
del mondo dove il gruppo svolge una forte funzione di sostegno e contenimento 
al malato nel momento della cura. 
Le intere società, così come tutta la vita delle persone, sono iniziate nel momento 
in cui individui separati si sono uniti in gruppo. 
I gruppi, infatti, sono, come sostiene anche Yalom, microcosmi sociali che 
contengono gli elementi essenziali allo sviluppo di tutto il potenziale umano e alla
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sua più profonda espressione. 
Nel presente elaborato, il primo capitolo affronta appunto il tema del gruppo, con 
un breve excursus storico della terapia di gruppo e un approfondimento circa il 
pensiero di Yalom e dei suoi fattori terapeutici. Il secondo capitolo affronta il 
tema dell'affettività presente nei gruppi, dell'alessitimia e dei possibili benefici 
che un setting di gruppo può avere su pazienti alessitimici. Nel terzo capitolo 
vengono illustrati il disturbo bipolare e l'approccio psicoeducativo che 
costituiscono rispettivamente la tipologia e l'approccio seguito dal campione. 
Infine nel quarto capitolo viene illustrata la ricerca, spiegata la metodologia 
utilizzata e vengono affrontate l'analisi e la lettura dei dati.
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Capitolo I 
Il gruppo, i fattori 
terapeutici, l'affettività
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1.1 Il gruppo e la dinamica di gruppo 
 
Quando si parla di gruppo si intende una struttura che pervade ed articola tutta 
l’esperienza umana. 
Secondo quest'ottica il gruppo è un organismo che vive secondo regole proprie e 
che presenta non solo una specifica anatomia, cioè una specifica struttura, ma 
un’altrettanta specifica fisiologia, cioè uno specifico funzionamento. 
Questa fisiologia del sistema-gruppo si inserisce e caratterizza tutte le diverse ed 
infinite forme della relazione gruppale e dell’uomo stesso. 
L’uomo, infatti, nasce non solo come animale sociale, ma anche come animale 
gruppale e l'intera esistenza consiste in un continuo passaggio da un gruppo ad un 
altro.  
Secondo la definizione di Lewin (1943), il gruppo è un corpo complesso, “una 
totalità dinamica”. Questa, per essere compresa e utilizzata ha bisogno di diversi 
vertici di osservazione che si soccorrano reciprocamente”.  
Nel suo lavoro, Lewin sostenne con decisione la necessità di studiare gli eventi 
psicologici non solo, e non tanto, nelle loro intrinseche caratteristiche, quanto 
nelle relazioni con il contesto in cui emergevano, e quindi con ciò che egli 
chiamava “campo”. Il campo, per Lewin, consisteva nella totalità degli eventi e 
delle forze psichiche compresenti ed interdipendenti all'interno della dinamica del 
gruppo. 
Secondo Bion, invece, il gruppo consiste in un sistema complesso integrato dalle 
distinte dinamiche dei componenti che, sinergicamente, contribuiscono alla 
costituzione di un apparato psichico sovraindividuale.
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Nel 1961 in "Esperienze nei gruppi" Bion analizzò i movimenti profondi, e cioè i 
tre assunti di base di dipendenza, attacco-fuga e accoppiamento, che si sviluppano 
nella condizione di gruppo e che costituiscono le specifiche modalità difensive 
utili alla salvaguardia e alla sopravvivenza del gruppo. Bion sostenne inoltre che 
ciascuna persona possiede una specifica “valenza”, ossia una disposizione a 
entrare in combinazione con i gruppi e che, all’interno di ogni gruppo, è presente 
una specifica “mentalità”, ossia l'espressione unanime del volere del gruppo alla 
quale i singoli contribuiscono in maniera quasi del tutto anonima.  
Nella sua opera Bion distinse inoltre il gruppo di lavoro dal gruppo fondato su 
assunti di base.  
Nel gruppo di lavoro il funzionamento psichico del gruppo è caratterizzato da 
meccanismi più evoluti, dalla disponibilità ad apprendere dall’esperienza e dalla 
cooperazione relazionale per il raggiungimento di un obbiettivo comune, e 
pertanto esso rappresenta la condizione ottimale. Diversamente il gruppo 
governato dagli assunti di base costituisce una potente difesa gruppale, che si 
oppone al cambiamento e alla trasformazione terapeutica. 
E' dunque possibile parlare di gruppo solo all’interno di una struttura organica che 
sostenga il gioco delle interazione e implichi, ad un livello più o meno cosciente, 
uno scopo, un quadro di riferimento, una direzione, un senso o un vissuto 
comune. 
Ogni fenomeno di gruppo è infatti, legato a un particolare divenire che implica 
una sorta di vita, di forza specifica. E' proprio questa forza ciò che viene definita 
“dinamica di gruppo”. 
La dinamica di gruppo, considerata nel suo significato più ampio, si interessa 
all’insieme delle componenti e dei processi che intervengono nella vita dei 
gruppi, e più specificatamente dei gruppi “faccia a faccia”, cioè di quei gruppi in
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cui tutti i membri sono, gli uni per agli altri, “psicologicamente presenti”, e si 
trovano in situazioni di interdipendenza e di interazione potenziale. 
Lo studio dei gruppi e sopratutto dei piccoli gruppi, si situa in qualche modo nel 
punto d’incontro tra la psicologia e la sociologia, e offre una doppia risorsa. Da 
una parte, permette di descrivere e analizzare dal vivo i processi dinamici 
dell’interazione sociale e relazionale; dall’altra, fornisce un insieme di ipotesi e di 
interpretazioni di carattere più generale e collettivo.
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1.2 La terapia di gruppo 
 
Le prime esperienze terapeutiche di gruppo si collocano all'inizio del '900 con 
l'esperienza di Joseph Pratt nel 1904. Egli sperimentò un trattamento di gruppo 
con malati tubercolotici utilizzando la tecnica da lui inventata “the class method”. 
Egli costituì gruppi di 50-100 pazienti allo scopo di analizzare in gruppo il loro 
disturbo.  
La terapia includeva: diari tenuti dai pazienti, incontri settimanali, in cui si 
discuteva degli eventuali miglioramenti o peggioramenti, e visite a domicilio.  
Al termine dei trattamenti Pratt osservò che nei pazienti era cresciuta l'  autostima 
ed il grado di fiducia in se stessi.  
Tra i pazienti nacque, infatti, un buon grado di coesione e di appoggio reciproco 
che permetteva loro di alleviare lo stato di depressione ed isolamento di cui 
soffrivano. Questi incontri, secondo Pratt, riportavano inoltre, esiti positivi non 
solo sul benessere psicologico dei pazienti ma anche sul decorso della malattia.  
La sua tecnica “the class method” ebbe vasta eco ed ispirò altre iniziative tra cui 
quella di Lazell (1921) e Marsch (1931) che introdussero la terapia di gruppo 
rivolta a pazienti psicotici. 
Nel 192O, sempre negli U.S.A., anche la balbuzie e alcune malattie psichiatriche 
furono trattate con il metodo delle discussioni in gruppo, mentre un insieme di 
sperimentazioni nel campo della valorizzazione delle relazioni sociali dei pazienti 
(Burrow, 1964), permise la messa a punto di teorie e tecniche differenziate.  
Sviluppi ulteriori ebbero origine dal lavoro di alcuni psichiatri inglesi, tra cui 
Foulkes, Bion e Maine, all’ospedale di Northfield, durante la seconda guerra 
mondiale, in un momento storico durante il quale le risorse a disposizione erano 
minime ed il bisogno di sostegno psicologico era elevato.
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In quel periodo nacquero anche nuove teorie sui gruppi: in particolare Foulkes e 
Bion applicarono ai gruppi i principi psicoanalitici. 
Nel campo della psicoanalisi il primo tentativo di interpretazione degli aspetti 
collettivi del comportamento individuale e sociale è rintraciabile nelle tre opere di 
Freud: "Totem e tabù" (1913), "Analisi dell'Io e psicologia delle masse" (192O) e 
"Il disagio della civiltà" (1929) in cui Freud sosteneva che all’interno del gruppo 
le emozioni degli individui diventano straordinariamente intense mentre si 
riducevano le loro capacità intellettuali. 
Anche Bion, che non condivide fino in fondo l’idea di Freud, tendeva comunque 
a realizzare l'atto analitico e interpretativo all'interno del gruppo, considerando 
quest'ultimo come un'entità unica, dotata di caratteristiche e funzionamenti propri, 
conferiti dall'insieme degli apporti  dei membri e dal loro specifico combinarsi. 
Nacquero così essenzialmente due tipi di gruppo: 1) i gruppi orientati 
analiticamente e 2) i gruppi di psicologia sociale interessati a comprendere il 
funzionamento del gruppo (es. la Teoria del campo di Kurt Lewin). Rosemberg e 
Corsini teorizzarono, invece, l’esistenza di meccanismi terapeutici comuni a tutte 
le psicoterapie di gruppo e il loro lavoro confluì nelle “Teorizzazioni di Yalom”. 
Quello di Yalom fu ,infatti, un approccio che conferì grande importanza alle 
interazioni tra i membri del gruppo al fine di promuovere quelli che egli definiva 
fattori terapeutici.  
Yalom considera il gruppo non solo un microcosmo sociale con importanti 
proprietà terapeutiche, ma anche uno strumento di apprendimento interpersonale. 
A prescindere dall’approccio teorico di base, secondo Yalom, è possibile 
rintracciare un numero limitato di meccanismi notevolmente simili, che portano 
al cambiamento e alla crescita delle persone. 
Infatti, come sostiene nel suo libro “ Teoria Pratica della psicoterapia di
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gruppo”:“gruppi terapeutici con obiettivi simili che, considerando solo la 
“facciata” esterna, appaiono totalmente differenti possono basarsi invece su 
meccanismi di cambiamento assolutamente identici” (Yalom,1974).