Introduzione
Da tempi immemori ad oggi, l’ umanità ha sempre avuto bisogno di qualcosa in cui credere e 
di qualcuno da ammirare; è per questo che sono nati gli dei, la mitologia, i poemi epici ed è 
per questo che nella storia abbiamo sempre avuto dei modelli di riferimento che hanno preso il 
nome di “eroi”.
Dal Gilgamesh, primo eroe della storia documentato in un poema, ai Poemi Omerici con Ettore, 
Achille, Ulisse e molti altri, passando attraverso l’antica Roma con Enea, nel medio evo e 
attraverso i cicli Bretone e Carolingio con Orlando e tutta la tavola rotonda di re Artù per 
giungere al romanticismo con gli eroi di Byron e del Foscolo solo per citarne alcuni, e infine ai 
giorni nostri passando dagli eroi scritti a quelli “catodici” delle serie televisive.
Un’evoluzione nel tempo che ne ha cambiato radicalmente la figura e che li fa apparire del 
tutto diversi da come apparivano nei secoli passati, pur mantenendo qualche tratto distintivo.
Abbiamo sempre avuto l’ idea che l’ eroe si dovesse identificare con il principe azzurro, con il 
cavaliere bianco, dall’ onore immacolato, con una morale impeccabile che sa sempre cosa fare 
in nome del giusto e del proprio corretto ideale, specchio di quelle virtù sempre decantate e a 
cui nella Grecia antica ci si riferiva con il concetto di “kalo s k a i a ga z o s ” (“Kalos kai 
agazos” -bello e buono, inteso e riassunto come virtuoso).
Il percorso che invece il lettore affronterà seguendo gli argomenti di questa tesi, è un percorso 
alternativo che non vuole sottolineare come siano epiche le gesta compiute dagli eroi 
raccontati ai giorni nostri - sempre che di veri eroi si possa parlare - bensì un percorso che 
sottolinea come ogni eroe al giorno d’oggi abbia problemi più o meno grandi da affrontare e 
fardelli da sostenere, eroi con un lato oscuro che proprio però per questo motivo sono così 
vicini all’ uomo comune di oggi e che probabilmente proprio per questo riscuotono successo.
Un’epica stravolta che si rispecchia nella società odierna e che vuole in qualche modo 
sottolineare come sia faticoso oggi fare l’eroe.
L’eroe come uomo comune quindi: l’eroe come colui che non ha nulla di più se non dei mezzi 
che gli vengono messi in mano dalla società più che dal potere divino che gli appartiene.
Spaziando da differenti tipologie di “epica seriale televisiva”, il lettore affronterà un’analisi che 
rivela i tratti dell’ eroe nell’ uomo comune (il “Dr.House” e i personaggi di “Lost”), in coloro che 
vengono addestrati per essere eroi e difensori del bene (gli agenti di polizia in “The Shield” e 
dell’antiterrorismo in “24”) e per concludere nei supereroi di oggi (da “Smalville” a “Heroes”). 
Tre categorie in crescendo attraverso cui poter analizzare, però, non solo gli aspetti gloriosi e la 
luce che irradiano, bensì gli aspetti cupi del ruolo che svolgono, dei sentimenti che provano, del 
male di cui si fanno carico, affinché il bene, la luce e il ruolo di “buoni” spetti ad altri.
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Capitolo 1
Etimologia di un concetto
Eroi: così venivano chiamati dagli antichi coloro che si riteneva discendessero da divinità e 
venivano considerati superiori ai comuni mortali per caratteristiche prodigiose – forza, 
coraggio, animo – o per aver compiuto azioni così straordinarie che un qualunque uomo 
comune non sarebbe mai riuscito ad eguagliare. Personaggi immaginari (o realmente esistiti?) 
a cui venivano tributati i maggiori onori e che al pari degli dei venivano elogiati. Esseri nelle cui 
mani era posto il destino del mondo e che senza disattendere le aspettative riuscivano là dove 
altri avevano fallito o non avevano neanche mai tentato.
Nel tempo, poi, il significato venne rivolto a tutti gli uomini che per esercizio di grandi virtù o 
per eccezionali imprese belliche, riuscivano a distinguersi dagli altri.
Inizialmente, per la loro componente mortale, gli eroi non erano altro che uomini capaci di 
grandi cose, ma che incarnavano in tutto e per tutto le attitudini umane. Compivano sì grandi 
imprese, ma il loro animo rimaneva quello bramoso e contrastato dell’essere umano, con tutto 
quello che riguardava gioie e angosce del caso. Tutto ciò che un eroe compiva era reso a 
iperbole in maniera infinitamente grande e stupefacente sia nel bene che nel male.
Infaticabili, in battaglia uccidevano migliaia di nemici da soli con l’ uso di un solo braccio; per 
straordinaria natura, i massi che sollevavano erano montagne; i percorsi che compivano erano 
di spazi interminabili e coperti con velocità impensabili. Tutte gesta amplificate secondo il 
canone dell’epoca/epica. 
E di contro, risultano quasi essere dei “bambinoni” agli occhi dei lettori odierni: amavano, 
odiavano, agivano per ripicca e per vendetta esattamente come quando il bambino si impunta 
e fa i capricci perché gli è stato tolto il giocattolo: Achille non appare forse così quando decide 
di non partecipare alla guerra di Troia perché Agamennone gli sottrae l’ancella Briseide e, 
successivamente, di intervenire con l’unico movente di vendetta per la morte dell’amico 
Patroclo? Gilgamesh non è forse il re di Uruk che ben conscio delle sue straordinarie doti 
prevarica su ogni giovane della città e non permette che le donne svolgano la loro mansione di 
mogli, al pari del bambino che più forte degli altri fa il prepotente?
Eroi come specchio della società che li crea.
Ed è per questo che nei secoli, con l’avvento del cristianesimo e il suo radicarsi nel pensiero 
collettivo, con i suoi valori di bene e amore di dio, di virtù e di devozione, l’eroe inizia a 
compiere imprese sotto il segno di una morale votata al sacrificio, all’amore verso il prossimo e 
verso dio, alla salvezza dell’ ideale per il quale combatte (Rolando paladino che muore per 
salvare  il mondo dall’avanzata dei mori, prestando fedeltà alla causa che il suo re Carlo Magno 
sta combattendo, o Perceval che dedica tutta la sua vita alla ricerca del santo Graal). Eroi dei 
secoli bui atti a portare luce in un’epoca in cui c’è bisogno di speranza e di fede e, per 
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avvicinare il volgo alla virtù e alle cause più alte, gli viene dato qualcosa in cui identificarsi, 
qualcosa in cui sognare, qualcosa che anche l’uomo comune possa sperare di diventare un 
domani.
Eroi nella storia seguendo la storia: è così che nell’ottocento, con il diffondersi del 
romanticismo, l’eroe diventa non più l’epico personaggio di un mondo da salvare, bensì la triste 
figura che, pur cercando onore e gloria nell’ ideale cavalleresco dei secoli passati, si arrende 
alla comprensione (o meglio alla non-comprensione) della direzione in cui cammina: la 
solitudine e il malessere del non poter mai raggiungere una felicità che ormai non esiste più. 
L’eroe fuori dalla società, il “bandito” (nella doppia accezione di allontanato dalla società civile 
e di criminale, l’ uno in quanto l’altro; ma un bandito generoso), il fuorilegge che comunque 
cerca di agire nel bene e nella moralità riconosciuta, contro usurpatori nominati sceriffi per 
conto di corrotti regnanti.
Questo è quanto la letteratura fino all’ inizio del secolo scorso ci ha offerto.
E con i mutamenti storici, le innovazioni e il progresso tecnologico, così il riflesso di quello che 
è il pensiero della società si è adeguato di conseguenza. Tre invenzioni simili hanno portato 
cambiamenti e rivoluzioni di usi e costumi: radio, cinema e televisione.
Con l’avvento del cinema prima e della televisione poi, siamo arrivati a nuovi modelli di 
riferimento, che agiscono oggi come hanno agito nei secoli gli eroi del passato. Siamo arrivati a 
una forma di “eroe catodico”, ossia quel tipo di eroe che possiamo ammirare in televisione e 
che per la società di oggi è diventato un modello di riferimento nel quale vedere luci e ombre di 
una società in crisi che lo ha creato.
Società in crisi che crea eroi in crisi. Una società con valori ambigui in cui non è sempre il bene 
a regnare e in cui sono più i fatti di cronaca negativa che quelli di cronaca positivi a fare la 
parte del leone nei notiziari. Ormai è il “male” che fa notizia. E di pari passo, al cinema e in TV, 
non è più Robin Hood a lasciare nella memoria collettiva il segno, ma il supereroe sgangherato 
di Hancock o il Batman, Cavaliere Oscuro, che combatte contro il male combattendo prima 
contro se stesso, sconfiggendo un Jocker che dall’alto della sua follia elargisce parole di verità 
che ci costringono a ragionare su quale sia effettivamente la luce e quale l’ombra.
Riportando tutto a un piano televisivo, oggi, invece, se analizziamo le serie TV che hanno avuto 
il maggior successo e riscontro di pubblico negli ultimi dieci anni, non possiamo negare che 
siano quelle dove le regole sono capovolte, dove il medico tratta male i pazienti in nome di una 
medicina a tutti i costi, perché il medico è un medico e non lo psicologo di chi sta male; regole 
capovolte quando chi dovrebbe difenderti ha in realtà gli strumenti per sterminare il genere 
umano e non esita ad usarli, non esita a fare suo il motto “il fine giustifica i mezzi” e non esita 
ad arrivare al suo scopo ad ogni costo; regole capovolte anche in un mondo di supereroi, dove 
tutto è possibile eppure tutto funziona in maniera anomala, perché se è vero che “da grandi 
poteri derivano grandi responsabilità” 
1
, è altrettanto vero che c’è chi quelle responsabilità non 
le prende nemmeno in considerazione e usa e abusa dei suoi poteri senza curarsi troppo delle 
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 Frase usata spesso da Peter Parker(Spiderman) e  base morale del personaggio fumettistico di Stan Lee
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conseguenze. Anzi, a volte proprio desiderando di essere riconosciuto come la causa e 
conseguenza ultima di un oscuro atto di rivalsa nei confronti di quel mondo che non lo ha 
saputo capire e accettare come voleva 
2
.
2
 Come sarà analizzato più avanti, i personaggi cattivi di Heroes sono proprio l’antitesi di quella frase che dovrebbe 
incarnare il pensiero ideale del supereroe.
4
Un viaggio attraverso la storia dell’epica
Il primo eroe: Gilgamesh.
Il percorso di analisi inizia da quello che si può considerare il primo eroe della storia 
documentato ne “L’epopea di Gilgamesh
3
” (o più semplicemente “il Gilgamesh”).
Gilgamesh è il nome di un mitologico re sumero che ha regnato per 126 anni sulla città di Uruk 
e del quale viene collocata la dinastia attorno all’anno 2700 avanti Cristo. 
Presente come nome nella Lista Reale Sumerica 
4
 redatta attorno al 2000 a.C. risulta essere il 
quinto re della prima dinastia di Uruk. Alcuni studiosi lo indicano come un’invenzione mitica, 
altri ne parlano come una figura semi-leggendaria, pertanto per certo non abbiamo un 
riscontro storico che ne indichi veramente la vita (seppur largamente idealizzata), ma abbiamo 
le tavole della sua epopea che ci narrano le sue gesta. 
L’epopea di Gilgamesh narra delle avventure del re che, con il compagno Enkidu, affronta 
diversi pericoli alla ricerca dell’ immortalità. 
Divisa in due parti, l’epopea ci racconta di come Gilgamesh sia un personaggio dotato di 
eccezionale forza e insieme al suo amico si avventuri contro mostri e situazioni umanamente 
impensabili da risolvere. L’amicizia che lo vincola ad Enkidu sarà oggetto di forza nella prima 
parte del racconto e di disperazione nella seconda, dopo la morte del compagno. È infatti nella 
seconda parte che Gilgamesh, dopo aver ottenuto e perso la pianta che dona l’immortalità, 
affronta il viaggio di ritorno alla città di Uruk dove passerà il resto dei suoi giorni ormai 
rassegnato e consapevole del fatto che l’ immortalità possa appartenere solamente agli dei e 
non spetti agli uomini desiderarla.
Una prima analisi del personaggio ci fa capire come anche nel periodo assiro-babilonese l’eroe 
venisse spesso descritto come un umano portato all’eccesso, con tutti i pregi e i difetti: forte e 
coraggioso come solo l’eroe di un poema poteva essere, ma anche sofferente e carico di pena 
per le vicende nefaste che gli accadono e la consapevolezza di essere un mortale. 
Non c’è quindi da stupirsi se Gilgamesh venga rappresentato sotto questi due aspetti  quasi 
contrapposti: quello di essere quasi divino e quello di mortale disperato che arriva alla fine di 
un lungo viaggio di ricerca e che non ha altro da fare se non il rassegnarsi all’evidenza delle 
cose. Risulta anzi interessante vedere come le culture abbiano avuto spesso legami intellettuali 
partendo proprio dai miti e dalla storia.
All’ inizio della narrazione Gilgamesh è il re dal potere sopra ogni altro che sfianca con continui 
esercizi i giovani guerrieri della città:
3
 Questo poema assiro-babilonese ci è pervenuto attraverso il ritrovamento di tavolette d’argilla scritte in caratteri 
cuneiformi risalenti a circa 4500 anni fa. L’edizione principale è conservata presso il British Museum di Londra.
4
 La Lista Reale Sumerica è un documento di collocazione ufficiale delle dinastie sul territorio dell’epoca. La reggenza 
all’epoca veniva considerata per concessione divina e presumibilmente passava da una città all’altra attraverso il 
potere esercitato al momento dalla città sul territorio.
5
“I giovani uomini di Uruk egli angustia senza remora 
 (perché) Gilgamesh non permette al figlio andare dal padre. 
Giorno e notte il suo governo è sempre più oppressivo”
 
 
5
È il re di Uruk tirannico che non permette alle donne della città di giacere con il proprio marito:
“è il pastore di Uruk-l'ovile,
ma non permette alla giovane donna di stare con il marito.”
 6
È il personaggio straordinario capace di uccidere lo spaventoso mostro di cui tutti hanno 
terrore 
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. 
Nella seconda parte invece tutto il personaggio viene ridimensionato. Nella scena della morte 
dell’amico Enkidu intona un canto di morte dove egli stesso dichiara di voler piangere il 
compagno caduto:
“Ascoltatemi, o anziani di Uruk, ascoltatemi!
Io piangerò per Enkidu, l'amico mio,
emetterò amari lamenti come una lamentatrice.” 
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E ci appare quasi come un personaggio che rasenta la follia quando dichiara:
“e io trascurerò il mio aspetto dopo la tua morte,
con indosso soltanto una pelle di leone vagherò nella steppa” 
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e quando si interroga sul destino che lo attende, prima dell’ incontro con gli uomini-scorpione.
Nella seconda parte calano i ritmi e Gilgamesh perde quell’atteggiamento spavaldo che all’inizio 
gli faceva compiere atti tracotanti degni di un “re-padrone” e che non ci si aspetterebbe da un 
eroe. Acquista la sua dimensione umana quasi dimenticandosi di essere per due terzi divino, 
affaticandosi dopo aver percorso parecchia strada, addormentandosi e perdendo l’oggetto che 
è stato scopo del suo peregrinare, il dono di Utnapishtim per fargli avere gloria eterna. 
Una chiave di lettura del tutto personale mi porta a pensare persino che si possano identificare 
nel personaggio di Gilgamesh anche le fasi di crescita e maturazione dell’essere umano: 
giovane e baldanzoso, impavido e non curante dei pericoli inizialmente, come solitamente ci si 
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 Tavola 1, 65-67
6
 Tavola 1, 69-70
7
 L’episodio viene descritto nella Tavola 5, 60-62.
8
 Tavola 8, 40-42
9
 Tavola 8, 87-88
6
atteggia durante la giovinezza. Più riflessivo e saggio invece nel finale come solo chi ha 
parecchia esperienza alle spalle può avere. Una maturazione completa che lo porta a rendersi 
conto dell’ ineluttabilità della sorte e all’accettazione di un ruolo tra i mortali.
Gli eroi dell’epica greco - latina.
Nel prosieguo di questa analisi storica, i primi grandi eroi classici più vicini anche 
temporalmente alla nostra cultura sono quelli dell’antica Grecia, a partire da quelli generati da 
un contesto religioso di un pantheon ricco di divinità umanizzate, per allacciarsi a quelli dei 
poemi omerici di Iliade e Odissea.
Tutta la cultura greca affonda le sue origini in un’epica che trae forza e origine dall’evolversi di 
un sistema culturale che si è sviluppato nel tempo attraverso la fusione di più credenze, 
mitologie e religioni della zona ellenica.
Inizialmente, i primi abitanti della penisola greca, indicavano come divinità degli spiriti che 
dominavano ogni aspetto della natura ed ogni oggetto. Con il passare del tempo, questi spiriti 
vennero popolarmente trasformati in esseri con aspetto umano ed entrarono a far parte di miti 
e leggende locali, acquistando ciò che noi oggi gli riconosciamo come divinità, semidivinità ed 
eroi. Con la contaminazione di tribù provenienti da altre parti della regione, infine, alcune 
“entità superiori” si fusero a quelle riconosciute da altri, altre vennero soppiantate e altre 
invece trovarono una diretta corrispondenza, spostando il portfolio di competenza da quelle 
che erano solo aspetti rurali a quelli che sono poi invece diventati canoni di valore, forza, 
eroismo o violenza.
Con la nascita della poesia epica abbiamo poi uno sviluppo cronologico dell’ordine mitologico 
tale per cui non solo si ha una narrazione che corrisponde a qualcosa di puramente fantasioso, 
ma abbiamo un identificarsi della mitologia nell’evoluzione del mondo e dell’uomo di quel 
periodo. È pressoché impossibile datare cronologicamente il completo susseguirsi di miti e 
leggende, vista anche l’evidente contraddizione nella narrazione riguardo gli stessi, ma è 
possibile fare un distinguo più ampio per notare tre grosse “età” o “ere” della storia del mondo 
secondo la mitologia: 1) l’età degli dei; 2) l’età di di mezzo tra dei e umani; 3) l’età eroica.
La prima era della narrazione dei miti antichi prende credito sostanziale dalla Teogonia di 
Esiodo, la più completa descrizione della genesi dell’ universo i cui attori principali sono esseri 
puramente divini e soprannaturali, senza interazione con i mortali.
Dal Caos (un enorme nulla) nascono la madre Gea (Terra), Eros (Amore), l’Abisso (Tartaro) e 
l’Erebo (Oscurità). Da Gea ha origine Urano (il Cielo) che fecondandola permette la genesi dei 
Titani e successivamente dei Ciclopi e degli Ecatonchiri. È poi dai Titani che discendono Zeus e 
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gli altri dei che, muovendo guerra ai Titani per la conquista del trono celeste, riescono a 
sovvertire l’ordine e a impossessarsi dell’ Olimpo
10
.
Le divinità greche sono rappresentate con un corpo materiale umano, idealizzato e che porta 
all’estremo tutti i canoni della bellezza greca, ma comunque assolutamente reale. 
L’antropomorfismo degli dei greci li svicola dal concetto di divinità spirituale, astratta o come 
semplice concetto: ogni divinità ha un corpo fisico. E oltre al corpo vennero attribuiti agli dei 
anche capacità straordinarie, tra cui la vita eterna, l’ immunità alle malattie e l’eterna 
giovinezza (possiamo in questo cogliere un parallelismo o una contaminazione tra culture 
notando come nel Gilgamesh, alla fine, il protagonista si renda conto che solo agli dei 
appartiene il dono della vita eterna). Ogni divinità viene caratterizzata con un comportamento, 
un’indole e una morale, secondo cui agisce e che la caratterizza e distingue nettamente dagli 
altri dei. Aspetti caratteristici e specifici della vita quotidiana che vengono elevati all’ennesima 
potenza fino all’ idealizzazione divina: Ares, dio della guerra dal temperamento focoso e 
battagliero; Atena dea della saggezza e dell’arte, Ermes dio del commercio e degli affari, 
Afrodite dea dell’amore, e così via. 
La seconda era è un periodo narrativo di passaggio che contempla una lotta o collaborazione 
tra gli dei e i mortali. Le Metamorfosi di Ovidio abbracciano un enorme periodo che spazia dalla 
nascita del mondo generato dal Caos alla trasformazione di Cesare in stella. Racconti d’amore 
o di violenza che fanno intrecciare destini e nascere esseri semidivini. È questo il caso di Enea, 
nato da Afrodite e Anchise, o di Achille, generato da Teti e Peleo. Alternativamente abbiamo 
racconti di invenzioni fantastiche e scoperte mirabolanti per l’ umanità (Prometeo ruberà il 
fuoco per donarlo agli uomini, combattendo la volontà divina di Zeus di mantenere occulti i 
segreti che gli dei hanno e gli umani no).
Senza dilungarmi troppo su un’età di passaggio, preferisco invece porre una maggiore 
attenzione all’ età degli eroi.
Quest’ età prende corpo dopo che la poesia genealogica ed epica riuscì a instaurare cicli 
leggendari che avevano come base figure eroiche o determinati importanti eventi. È infatti 
proprio grazie a questo che molti rappresentano l’età degli eroi come la nascita delle più grandi 
imprese militari dell’epoca: la guerra di Tebe, la spedizione degli Argonauti e la guerra di Troia.
Inoltre vennero costruiti legami di parentela e rapporti di eventi intorno a questi personaggi 
che ci hanno permesso di avere quasi una sequenza temporale stabile delle leggende.
Nell’abitudine collettiva della ricerca di qualcosa di sacro e grande per il proprio villaggio o la 
propria città ecco quindi affiorare narrazioni di ogni personaggio che avesse compiuto qualcosa 
di straordinario, dall’eroe locale alla mitizzazione del grande condottiero.
Il personaggio di Eracle è stato forse costruito su un condottiero militare al servizio del regno 
di Argo realmente esistito. Altri parlano di lui come il progenitore della dinastia reale dorica. Ma 
di questo non vi è ovviamente certezza e anzi, si può pensare che la cosa sia servita per 
10
 Studiando approfonditamente la sequenza degli eventi, possiamo notare come fosse abbastanza comune il conflitto 
Padre-Figlio nella mitologia greca, facendo un rapporto Urano-Crono e Crono-Zeus.
8
legittimare a posteriori la migrazione del popolo dorico nel Peloponneso. Da qui, a Illo (eroe 
eponimo degli Illei, popolazione della Dalmazia) venne attribuita parentela con Eracle e venne 
incluso negli Eraclidei, discendenti dell’eroe che per parentela illustre rivendicarono il diritto di 
governare sul Peloponneso conquistando i regni di Micene, Sparta e Argo 
11
. 
Anche Giasone e gli Argonauti rientrano in quella schiera di eroi che nell’antichità 
probabilmente erano personaggi veri, poi trasformati in leggende da piccoli racconti locali pian 
piano divulgatisi nel territorio. Al tempo, l’episodio effettivamente veniva considerato come un 
apertura al commercio nell’area del Mar Nero e della colonizzazione greca della stessa zona. 
Ingigantito poi dalla grande popolarità e arricchita da molte leggende locali che con essa si 
intrecciavano, ecco che finì per creare un ciclo epico.
Infine una tappa forzata è l’analisi di quelli che sono considerati a tutti gli effetti i più grandi 
eroi dell’era in questione: i protagonisti dell’ Iliade e dell’ Odissea.
È con la guerra di Troia infatti che la mitologia greca raggiunge il suo apice diventando punto di 
riferimento e fonte di ispirazione per i futuri poeti.
Partendo dall’analisi dell’ Iliade iniziamo a tenere presente che l’eroe diventa il fulcro del testo 
che fa accadere eventi e che sviscera l’evolversi della storia. L’eroe, come personaggio 
superiore alla massa degli altri combattenti, rappresenta quella figura di riferimento ammirata 
poiché possiede virtù e qualità apprezzate e richieste dal gruppo al quale appartiene. Qualità 
così straordinarie che lo elevano a qualcosa di paradigmatico e contemporaneamente diverso 
dalla massa; diverso per iperbole ed esasperazione (in senso positivo, ovvio) della sua morale e 
delle sue gesta. E soprattutto qualità che rappresentano lo specchio della società ellenica al 
tempo in cui è ambientato il poema omerico.
Abbiamo un altro aspetto dell’eroe omerico. L’eroe sottostà al fato esattamente come ogni altro 
mortale e qualunque sia la sua scelta, il destino ultimo gli toccherà esattamente come ad ogni 
altro uomo. Potrà solamente decidere come farlo avvenire, se in modo glorioso o nella 
vergogna, ma il fatto che sia un eroe, non farà sì che diventi immortale. Di questo abbiamo 
svariati esempi: Aiace Telamonio, il più forte di tutti i greci, secondo solo ad Achille, muore nella 
vergogna per aver fatto una strage di pecore, convinto – sotto l’ influsso di un maleficio 
lanciatogli da Atena - che fossero nemici. Eppure durante la guerra di Troia, era l’ unico dei 
greci a poter tenere testa ad Ettore. Ettore, di suo, sa benissimo che andrà in contro a morte 
certa dopo aver ucciso Patroclo e sa presto arriverà la sua ultima battaglia contro Achille. E in 
questo intrecciarsi di storie, Achille stesso sa che morirà durante la guerra di Troia ancor prima 
della partenza perché è a conoscenza delle profezie che si sviluppano attorno a questo evento e 
che lo riguardano. Non disdegna però di parteciparvi andando alla ricerca di quell’immortalità 
che si può trovare solo nella gloria eterna raccontata dai poeti di ogni tempo e rinunciando alla 
vita calma che l’avrebbe poi invece portato nell’oblio della memoria futura. 
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 Questa ascesa al potere viene denominata come Invasione Dorica.
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 Possiamo qui notare una contaminazione e un parallelismo con il Gilgamesh: la vita eterna è data dalla gloria dei 
racconti che sull’eroe ne verranno fatti per sempre.
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