2
In particolare, per quanto riguarda il fronte del marketing, si ritiene che si possa 
oggi dare un grande contributo al miglioramento delle attività svolte dalle società 
calcistiche, siano esse di grandi dimensioni e prestigio o anche più piccole e 
circoscritte nei loro impegni. Infatti, al contrario di quanto molto spesso si 
afferma, l’applicazione di una logica di marketing deve portare ad un vantaggio 
per tutti i protagonisti coinvolti a partire, naturalmente, dai fruitori dei servizi 
sportivi e passando per tutti gli altri operatori anche dell’indotto. 
La rilevanza del fenomeno calcistico è sintetizzabile, se ce ne fosse bisogno, in 
pochi dati statistici che evidenziano come, ormai, l’industria calcistica possa 
considerarsi una delle prime del Paese per giro d’affari, muove, infatti, oltre 6000 
milioni di euro l’anno di cui quasi 5000 solo d’indotto (spese di praticanti e tifosi 
per l’acquisto d’indumenti ed attrezzature di gioco, trasferte e spostamenti, 
acquisto di giornali e riviste specializzate, investimenti aziendali in pubblicità 
sulla stampa e nelle trasmissioni televisive dedicate al calcio). 
I principali attori del calcio, ovvero i calciatori, arrivano a guadagnare in casi 
eccezionali, tra ingaggio e sponsor personali, anche più di 10 milioni di euro 
l’anno. Una delle società più gloriose e vincenti del mondo come il Milan ha un 
fatturato annuo che si aggira intorno ai 200 milioni di euro. La società americana 
Nike, leader nel mondo di abbigliamento sportivo, ha siglato anni fa un contratto 
con la federazione brasiliana impegnandosi a versare 200 milioni di dollari per 
sponsorizzare per dieci anni la squadra nazionale di calcio brasiliana campione 
del mondo e più recentemente ha stipulato un contratto con la Juventus della 
durata di 12 anni e porterà nelle casse bianconere almeno  157,3 milioni di euro 
come minimo garantito, oltre a  29,4 milioni connessi alla fornitura prodotti e a 
parte dei profitti connessi a fatturato e utile connesso alla vendita dei prodotti 
targati Juventus nel mondo. 
Questi sono solo pochissimi esempi che aiutano a farci comprendere come il 
calcio sia oltre che lo sport più popolare e seguito del vecchio continente anche 
come rappresenti  un grande “mezzo di comunicazione” e, di conseguenza, molte 
aziende operanti nel mondo sportivo o in quello dei media o in altri settori della 
 3
produzione e vendita di beni e servizi hanno compreso le potenzialità di questo 
sport che sta, quindi, entrando a far parte, sempre di più, delle strategie di 
marketing. 
Come detto, quindi, il fenomeno calcistico, rappresenta una delle maggiori realtà 
in Italia ed in tanti paesi del mondo, stimolando attenzioni, passioni, affari, 
viaggi e tante altre attività. A fronte di tutto ciò l’evoluzione organizzativa non 
sempre appare al passo con lo sviluppo agonistico. In particolare gli aspetti 
gestionali sembrano richiedere, a tutti gli operatori coinvolti, una crescita di 
professionalità, nel cui ambito la sfera del marketing è sempre più di primaria 
importanza. Scopo della mia tesi è quello di mostrare come il successo di una 
attività di marketing debba passare necessariamente da una crescita della 
professionalità degli attori coinvolti ma anche dal potenziamento attraverso le 
nuove tecnologie. In questo mio lavoro cercherò di mostrare l’importanza, per 
una società di calcio moderna, di diversificare il più possibile le fonti di introito. 
La tesi è articolata in otto capitoli. Il primo capitolo di questo mio lavoro parte 
analizzando l’origine delle associazioni calcistiche dal punto di vista giuridico. 
Questo primo capitolo infatti vuole mostrare come le società di calcio siano 
diventate nel corso degli anni delle vere e proprie aziende di entertainment. Si va 
dalle prime associazioni calcistiche alla prima Legge sullo Sport, la L. 23 marzo 
1981, n.91 . Grande rilievo, in questo capitolo, verrà data all’oramai famosissima 
“Sentenza Bosman” che ha, di fatto, sancito l’abolizione della “indennità di 
preparazione e promozione” di fine contratto spettante, secondo i parametri 
stabiliti da ogni singola Federazione, alle società titolari del precedente contratto 
scaduto di un singolo calciatore. 
Nel secondo capitolo si definiscono alcuni inquadramenti concettuali che ho 
ritenuto essenziali per poter sviluppare i ragionamenti svolti nelle parti 
successive, cercando innanzitutto d’identificare in modo più esplicito quali 
possono essere i campi di applicazione del marketing sportivo e i benefici che ne 
possono scaturire a tutti i livelli. Inoltre si è provveduto a definire, seppure in 
termini sintetici, gli elementi più essenziali del marketing professionale così da 
 4
qualificarne l’impostazione necessaria anche nel settore calcistico. Tutto ciò con 
riguardo ai due principali mercati ai quali una società di calcio può rivolgersi : 
quello definibile come mass market e quello di tipo business market e 
sottolineando, per i due tipi di mercato, anche le strategie di marketing che una 
società può sviluppare. 
Il calcio e la comunicazione rappresentano l’oggetto del terzo capitolo. La mia 
intenzione, però, non è stata quella di andare a verificare le relazioni esistenti tra 
le società calcistiche e il mondo della carta stampata, della radio e della 
televisione. Ciò che mi ha interessato, invece, è stato proporre uno schema di 
riferimento per poter identificare le condizioni che consentono ad una compagine 
appartenente al mondo del calcio la realizzazione di un’attività di comunicazione, 
nei confronti del sistema mediatico, assolutamente adeguata ai bisogni emergenti. 
Ed è per questo che ho voluto presentare i principi e gli strumenti per fare una 
comunicazione efficace ed efficiente. 
A partire dal quarto capitolo per arrivare al sesto ho voluto analizzare quattro 
esperienze reali assai diverse del calcio nostrano. Quattro società che hanno, 
appunto, intrapreso la via della maggiore professionalità nell’attività di 
marketing. Il caso di successo dell’ A.C. Milan, infatti, si può definire, senza 
ombra di dubbio, un esempio significativo del modo in cui un club calcistico 
possa diventare un’azienda d’entertainment gestita in termini manageriali, e 
quindi degno di nota. 
Nel quinto capitolo ho proseguito analizzando due realtà del calcio italiano molto 
diverse sia dal punto di vista logistico che per filosofia di gestione. La mia 
attenzione è ricaduta sulle scelte sviluppate dall’Udinese Calcio, decisamente 
orientate all’utilizzo delle opzioni connesse all’orizzonte di internet e delle 
caratteristiche del Napoli Marketing, che sembrano essere espressione di una 
filosofia di fondo orientata a valorizzare il “fattore simpatia”. 
Nel sesto capitolo, viene esposto il caso del U.S. Lecce. Un caso sicuramente 
degno di nota in quanto agli uomini del Gruppo Semeraro, ossia la dirigenza che 
ha preso il posto di quella presieduta dal geom. Jurlano, si deve senz’altro 
 5
riconoscere un progetto ambizioso, fare di una società di provincia un modello 
vincente. 
In termini di marketing, è fondamentale che il calcio, ma in generale tutto lo 
sport, ritorni a insegnare valori positivi. Questa percezione di valore è il punto di 
attrazione fondamentale per gli sponsor che vogliono comunicare anche 
associandosi con protagonisti positivi e riconosciuti come tali dall’opinione 
pubblica. Nel settimo capitolo ho voluto analizzare anche il lavoro di coloro che 
sono impegnati nel volontariato, di coloro che rappresentano un nuovo modo di 
fare Marketing, quello appunto sociale. È il caso del Progetto “Inter Campus”. 
Nell’ultimo capitolo verranno descritti gli scenari futuri che caratterizzeranno lo 
sviluppo del settore calcistico. Tra questi la proprietà o la gestione diretta dello 
stadio da parte delle società calcistiche, la trasformazione degli stessi in strutture 
polifunzionali e non più impianti utilizzati solo per poche ore la settimana, lo 
sviluppo di strategie volte all’internazionalizzazione del marchio della società cui 
sono collegate fonti di ricavo derivanti da contratti di sponsorizzazioni e 
merchandising. Infine si analizzerà lo sviluppo dell’utilizzo delle tecnologie sia 
mediante il sito Internet che la telefonia, Wap ed Umts e dei canali tematici delle 
società di calcio. 
 
 
 
 
 
 
  
 
 
 
 
 6
Capitolo primo 
 
Le società di calcio diventano aziende 
 
 
 
 
 
 
 
 
1.1  Le associazioni sportive 
 
Ogni unione volontaria di persone, che si proponga di svolgere durevolmente, in 
maniera organizzata, una qualsiasi attività, al fine di conseguire uno scopo 
determinato, costituisce, per il nostro ordinamento, un’associazione. 
Le società calcistiche, come tutte le società sportive, furono costituite 
originariamente per consentire la pratica atletico-agonistica dei propri membri. 
Funzionalmente, quindi, in quanto enti associativi con scopi ricreativi, si 
potevano collocare nell’ambito di quelle associazioni qualificate in dottrina come 
mutualistiche
1
. 
In origine, le esigenze economiche delle associazioni sportive non erano dissimili 
da quelle delle analoghe associazioni per fini culturali o ricreativi: le spese e gli 
oneri erano contenuti, le entrate erano rappresentate in larga misura da contributi 
                                                 
1
 Le associazioni mutualistiche si contrappongono alle associazioni edonistiche, in quanto perseguono il 
vantaggio degli stessi associati e non di terzi estranei al rapporto associativo. Nell’ambito di questa 
categoria s’individuano le associazioni con scopo economico, o, meglio, con scopo indirettamente 
economico (di scopo direttamente economico si parla in genere solo a proposito di società), dalle 
associazioni con scopo non economico, come appunto le associazioni con fini ricreativi. In tal senso, 
W.Bigiavi, La professionalità dell’imprenditore, Cedam, Padova, 1948, 90, nota 21. 
 7
volontari di soci e sostenitori
2
,i bilanci erano commisurati a dimensioni ridotte e 
comunque preventivabili all’atto della costituzione dell’associazione. Lo scenario 
mutò quando, per il concorso di molteplici fattori (storici, sociologici, culturali, 
politici, tecnologici), l’organizzazione di determinate discipline sportive venne 
ad assumere connotati che travalicavano i confini originari. 
Da un punto di vista strettamente economico, le conseguenze di questo 
mutamento furono sostanzialmente due: 
 ξ  L’associazione sportiva era impossibilitata a far fronte alle spese crescenti 
con il semplice contributo volontario degli associati, e pertanto si 
rivolgeva al mercato, assumendo gradatamente connotati di tipo 
imprenditoriale
3
. 
 ξ  A mano a mano che l’associazione sportiva si evolveva, da fenomeno 
volontaristico (o dilettantesco) in organizzazione d’impresa, mutò 
correlativamente la propria struttura
4
. 
Si può dire che scompare la figura del praticante-associato e subentra quella 
dell’atleta professionista, non più membro della compagine associativa, 
                                                 
2
 A.Vuillemenot, Le associazioni sportive e le contribuzioni degli associati, Riv.Dir. Sport., p.172. 
3
 S.Camerino, Associazione sportiva e impresa, in Riv. Dir. Sport., 1960, p. 199; F.Ribera, Natura delle 
associazioni sportive, in Riv. Dir. Sport., 1955, 138; Tosetto e maniscalchi, Profili giuridici del fenomeno 
sportivo con riguardo alla natura giuridica del rapporto fra Associazione Calcistica e calciatori, in Foro 
Padano, 1951, 50.Contro, M. Ramat, Fallimento dell’associazione sportiva?, in Foro Padano, 1957, 253, 
che commentano la sentenza del Tribunale di Monza del 12 Marzo 1955, che aveva dichiarato per la 
prima volta il fallimento di un’associazione sportiva, ritiene che l’associazione sportiva possa arrivare 
all’esercizio di un’impresa solo trasformandosi in società. 
La sentenza del tribunale brianzolo presenta due peculiarità: è stata la prima pronuncia giurisprudenziale 
che ha ammesso l’applicabilità della procedura fallimentare in materia sportiva; inoltre, e stata la prima 
sentenza ad aver dichiarato il fallimento di una associazione non calcistica. Difatti, come asserisce D. 
Vittoria, Il fallimento dell’impresa sportiva, in Nuova giur. civ. comm.,1986, II, 66 ss., ogni indagine sul 
tema dell’impresa sportiva ( e vieppiù sul fallimento della stessa) “ è un’indagine sull’impresa calcistica 
e sul fallimento della stessa”. 
4
 Le caratteristiche fondamentali delle associazioni sportive sono: a)struttura aperta con possibilità di 
mutamento dei componenti; b) organizzazione fissata dallo statuto sociale con poteri di rappresentanza in 
determinate persone ; c) patrimonio proprio distinto da quello degli associati. Rispetto al regime normale 
dell’associazione non riconosciuta, le associazioni di calcio possono presentare caratteri e aspetti 
singolari. Così, mentre per regola generale la costituzione e l’esistenza dell’associazione non riconosciuta 
sono indipendenti da qualsiasi requisito di forma, per  l’associazione sportiva, e quella calcistica in 
particolare, almeno per quanto riguarda la possibilità di esistere ed agire nell’ordinamento sportivo, si 
richiede un minimo di forma scritta e, precisamente, quanto allo statuto sociale, che è documento da 
allegare alla domanda di affiliazione ( art. 1, Reg. Org.). 
 8
composta ormai esclusivamente da soggetti finanziatori, ma atleta che presta la 
propria opera contro il pagamento di un compenso
5
.  
Che la forma dell’associazione non riconosciuta non fosse più consona alle 
esigenze dei sodalizi sportivi fu oggetto di studio anche da parte della 
federazione Italiana Giuoco Calcio, che dopo solo un ventennio dall’emanazione 
della legge istitutiva del C.o.n.i. approntò una radicale riforma. 
 
1.2 La Riforma del 1966 
 
All’indomani dell’approvazione della L. 426/42 (legge istitutiva del C.o.n.i), 
l’art. 10 si limitava a stabilire che: “ Le società e le Sezioni sportive debbono 
essere riconosciute dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano e dipendono 
disciplinarmente e tecnicamente dalle federazioni sportive competenti, le quali 
possono anche esercitare su di esse un controllo di natura finanziaria”. 
La legge, pertanto, si limitava a definire genericamente le compagini quali 
società
6
, ma vietava loro la finalità lucrativa
7
. La mancanza dello scopo di lucro, 
                                                 
5
 Si è parlato in proposito di impresa di intermediazione della circolazione dei “diritti d’esclusiva” 
spettanti alle società sportive nei confronti degli atleti professionisti: cfr. S. Camerino, Associazione 
sportiva e impresa, in Riv. Dir. Sport., 1960, 200; Trib Genova, 1 luglio 1954, in Giur. it., 1954, I, 2, 617; 
Trib. Milano, 10 marzo 1955, in Riv. Dir. Sport., 1956, 189: “Si sta ormai diffondendo nel mondo 
calcistico con il professionismo sportivo le tendenza delle varie società, o almeno di alcune di esse, a 
costituirsi una particolare fonte di reddito nell’allevare i giocatori per poi venderli, quando il prezzo per 
ragioni soggettive od oggettive è più alto”. In senso parzialmente critico vedi W.Bigiavi, Compravendita 
di giocatori di calcio e imposta sull’entrata, in Giur. it., 1954, I, 2, 617 L’A., infatti, aveva negato che per 
le società di calcio potesse parlarsi di imprese di intermediazione nella circolazione del diritto di esclusiva 
sui giocatori. Le società, sostiene, acquistano ed addestrano i giocatori per tenerli nella propria squadra, 
non per rivenderli. La vendita di un giocatore è un fatto episodico, ed avviene quasi sempre per ragioni 
tecnico-disciplinari. 
6
 Sul significato da attribuire al termine società la dottrina è divisa. In particolare, A. Albanesi, Il fine di 
lucro delle società sportive, in Riv.Dir.Sport., 1958, 80, che sosteneva che l’art. 10 della legge istitutiva 
del C.o.n.i. avesse usato il termine “società sportiva”, non casualmente ed impropriamente, ma proprio 
per inserire nell’ordinamento una società speciale, “un tipo a sé, differenziato dalle altre società e 
caratterizzato dalla finalità sportiva. Se il legislatore (al quale, quando non concorrano gravi ragioni non 
può attribuirsi improprietà di linguaggio) usò il termine società per indicare i sodalizi sportivi, vuol dire 
che non solo volle adeguarsi ad una terminologia tradizionale nel settore sportivo, ma intese escludere 
vincoli all’autonomia regolatrice delle parti, e consentì che gli appassionati di sport dessero forma di 
società ai loro sodalizi”. 
L’autore fonda la sua tesi sulla circostanza che la Corte di Cassazione, con sentenza 30 settembre 1952, n. 
2922, in Dir. Fall., 1954,II, 205 , ha ammesso la validità di una società con fini spirituali e religiosi, e, 
che, la Corte d’Appello di Roma ha affermato che “non può essere dichiarato nullo il contratto sociale( 
nella specie di una società di beneficenza) per difetto di causa, qualora si realizzino interessi meritevoli 
 9
elemento essenziale o presunto tale del contratto sociale (art. 2247 c.c.), impedì 
sempre, peraltro, di qualificare come società i sodalizi in questione
8
. Quali 
associazioni non riconosciute, i sodalizi sportivi, compresi quelli calcistici, erano 
disciplinati dal Capo II del titolo II del libro I del Codice Civile. 
Tuttavia, occorre rilevare che lo schema formale delle società di capitali aveva 
trovato applicazione già prima della Riforma del 1966, malgrado l’atteggiamento 
assunto sul problema dalla dottrina e dalla giurisprudenza. 
Difatti, alcuni club calcistici di lega professionistica si erano costituiti in forma di 
società per azioni. L’adozione della forma giuridica societaria era sentita come 
una necessità, non tanto sotto il profilo dell’adeguamento della forma alla 
sostanza del fenomeno, quanto sotto quello esclusivamente pratico della 
maggiore idoneità della struttura organizzativa della società al tipo di attività 
posto in essere dalle società di calcio. 
La prima regolamentazione autoritativa del fenomeno associativo risale, come è 
noto, al 1966 e riguarda non a caso il calcio, dal momento che l’enorme 
popolarità e diffusione di tale gioco erano funzione diretta della rilevanza 
economica degli interessi in esso coinvolti. 
La F.i.g.c., per attuare il proprio proposito di far assumere la forma societaria ai 
                                                                                                                                               
di tutela. E’ da ritenere che lo scopo del profitto, al quale l’esercizio di un’attività economica produttiva 
è, secondo l’ id quod plerunque accidit, indirizzata dalla volontà dell’imprenditore, è un elemento 
normale non necessario”. Applicando i principi contenuti in queste sentenze , l’Autore, qualificando 
quale meritevole di tutela l’interesse sportivo, ha concluso che la società sportiva , alla pari di quella 
religiosa, possa trovare spazio nel nostro ordinamento, proprio perché la mancanza della finalità lucrativa 
è bilanciata da un interesse meritevole di tutela. Interesse che , comunque, impedisce che possa essere 
dichiarato nullo il contratto sociale. La tesi qui sostenuta dall’Autore è però stata respinta in 
giurisprudenza. Infatti, la sentenza della corte d’Appello, cui l’A. fa riferimento, è stata riformata dalla 
Corte di Cassazione, con sentenza 14 ottobre 1958, n 3521, in Foro it., 1958, I, 1617, che ha dichiarato la 
nullità del contratto sociale.  
 
7
 Si ricordi che l’art. 25 Regolamento C.o.n.i. affermava che “ le società ed associazioni sportive non 
devono avere scopo di lucro…”. 
8
 Nel senso che le società calcistiche costituivano associazioni e non società, mancando lo scopo di lucro. 
Il Rubino ammette in linea teorica la possibilità che le società sportive assumano la veste di vere e proprie 
società commerciali, purché abbiano lo scopo di procurare ai membri un’utilità economica consistente 
nella ripartizione dei guadagni in base a quote predeterminate ( D.Rubini, Associazioni non riconosciute, 
Giuffrè, Milano, 1952, 17).L’A. , altresì, muovendo dal presupposto che le Federazioni sono organi del 
C.o.n.i., e che, nel campo del diritto, organo ha un preciso valore tecnico, intendendosi cioèl’ufficio o 
l’insieme dei servizi mediante i quali l’Ente esprime la propria volontà ed agisce per raggiungere i suoi 
fini, conclude che alle società sportive, essendo imposto il riconoscimento da parte del C.o.n.i. , ex art. 10 
legge 426/42, vada assegnata la configurazione propria di “ organi mediati del C.o.n.i.”. 
 10
sodalizi sportivi militanti nei campionati nazionali si serie A e B, emanava due 
provvedimenti: 
 ξ  Il 16 settembre, il Consiglio Federale
9
 scioglieva gli organi sociali delle 
associazioni e società sportive, e, nominava i liquidatori con il compito di 
liquidare i sodalizi per farli poi in forma si S.p.A.; 
 ξ  Il successivo 16 dicembre 1966 il Consiglio Federale licenziava uno 
Statuto tipo obbligatorio per tutte le società professionistiche dei 
campionati maggiori
10
. 
Le ragioni determinanti la decisione della F.i.g.c. erano note. L'assunzione della 
forma giuridica della S.p.a.
11
, era stata posta dalle autorità governative, nel 
quadro di una politica di risanamento del bilancio delle società di calcio, come 
condizione per l'erogazione del mutuo sportivo, nonché per la concessione di 
agevolazioni tributarie
12
. 
 
1.3  La Prima Legge sullo Sport: la Legge 23 marzo 1981, n.91 
 
Sul finire della IV legislatura, in data 14 luglio 1967, 48 deputati appartenenti a 
diversi schieramenti politici, presentarono la proposta di legge n. 4252 
"Disciplina delle società sportive", nota come proposta di legge Usvaldi. 
Tale riforma, formalmente diretta alla regolamentazione di tutto il settore 
sportivo, di fatto, mirava a risolvere solo i problemi dei maggiori sodalizi 
calcistici, lasciando immutata la realtà dei minori. 
In essa era contemplata, infatti, una nuova forma associativa: l' associazione 
sportiva a responsabilità limitata. Ai sensi dell' art. 1, questa nuova figura 
giuridica poteva essere assunta dalle " associazioni sportive senza scopo di lucro, 
aderenti attraverso Federazioni Sportive Nazionali... al C.o.n.i. e da quelle 
                                                 
9
 Comunicato Ufficiale n.51 del 21 Dicembre 1966 della F.i.g.c. 
10
 Cfr. G.Minervini, Il nuovo Statuto, cit. 
11
 L’art. 1 dello Statuto tipo prevedeva la costituzione di una “società per azioni denominata S.p.A.”. 
12
 Il Ministero del Turismo e dello Spettacolo, con nota del 22 novembre 1966, condizionava l’erogazione 
di un mutuo ad interesse agevolato diretto al risanamento delle società calcistiche, all’assunzione, da parte 
dei sodalizi sportivi, della forma societaria. 
 11
organizzate degli enti di propaganda sportiva riconosciuti dal C.o.n.i.". 
Il procedimento per ottenere tale riconoscimento era però laborioso. 
Preliminarmente andava presentata al C.o.n.i. una domanda con una serie di 
allegati: l'atto costitutivo, lo statuto correlato di alcuni dati, tra cui i mezzi 
finanziari che l'ente disponeva per esercitare l'attività sportiva. Spettava poi al 
C.o.n.i. , stante la documentazione, esprimere il proprio parere sull'opportunità 
del conferimento della personalità giuridica. 
L' atto costitutivo, unitamente al parere del C.o.n.i. , andava depositato presso 
l'ufficio del registro delle imprese, ai sensi dell'art. 2330 c.c. ,e, nei 30 giorni 
dall'omologazione, bisognava depositare presso il C.o.n.i. un certificato attestante 
l'avvenuta iscrizione nel registro. 
Dopo tali adempimenti, il Comitato avrebbe provveduto all'iscrizione nel registro 
delle associazioni sportive a responsabilità limitata. 
Anche le modifiche dell'atto costitutivo seguivano il medesimo iter, mentre le 
variazioni degli organi sociali andavano solo comunicate al C.o.n.i.
13
 . 
Il progetto di legge prevedeva, inoltre, che l’associazione sarebbe stata 
disciplinata dalle norme codicistiche, ma con esplicita esclusione delle norme 
relative alla finalità lucrativa e, in particolare, nell’ipotesi in cui avesse utilizzato 
atleti professionisti, dalle norme dettate in tema di S.p.A. ,  nel caso in cui avesse 
utilizzato atleti dilettanti, da quelle in tema di società cooperative. 
La disciplina codicistica applicabile in conformità a tale rinvio subiva alcune 
fondamentali deroghe, tra le quali ricordiamo: 
a) l’esclusione di ogni norma relativa alla finalità lucrativa e, 
conseguentemente, l’obbligo di destinare gli utili di esercizio per il 50% 
ad un fondo gestito dal C.o.n.i. ; l’obbligo di devolvere, anche in caso di 
scioglimento, gli avanzi di gestione al fondo gestito dal comitato; 
b) il potere del C.o.n.i. di nominare, in caso di irregolare funzionamento 
dell’associazione, fu proposta della Federazione, un commissario, 
determinandone i poteri e la durata; 
                                                 
13
 Il termine era di 20 giorni. 
 12
c) il potere, sempre del C.o.n.i. , di richiedere al tribunale, sentita la 
Federazione sportiva competente, di porre in liquidazione l’associazione e 
di nominare un liquidatore, qualora avesse ritenuto che fossero mutate le 
circostanze in base alle quali aveva emesso parere favorevole al 
riconoscimento; 
d) alle cause di scioglimento di cui all’art. 2448 c.c. , ne era aggiunta altra 
costituita dall’esclusione dell’associazione dalla Federazione di 
appartenenza. 
Appariva evidente, in tale proposta di legge, la matrice comune allo statuto tipo 
delle società calcistiche: se fosse stata approvata avrebbe dato valore normativo a 
quanto previsto dalla F.I.G.C. . 
Potrei esaminare i numerosi aspetti peculiari di tale proposta, ma non essendo 
stata approvata, ritengo superfluo tale approfondimento.  Mi limito solo a 
comprendere quale fu il suo scopo. 
Nella relazione veniva dato ampio rilievo alle motivazioni della riforma 
proposta: l’insufficienza e l’inadeguatezza dell’associazione non riconosciuta alle 
esigenze dei sodalizi sportivi. Nella dottrina ci fu chi, partendo dal presupposto 
che le due finalità, più volte richiamate, fossero la limitazione della 
responsabilità e la possibilità di acquistare immobili, riteneva che esse fossero 
solo strumentali e che in effetti mirassero a far accettare ai sodalizi sportivi il 
pesante controllo delle Federazioni e del C.o.n.i. .Concludeva sostenendo che tale 
proposta non era stata formulata tanto in favore dei sodalizi sportivi, quanto del 
C.o.n.i. che, oltre ad essere legittimato all’esercizio di un potere “di vita o di 
morte” sui sodalizi stessi, diveniva anche unico beneficiario degli utili e 
dell’eventuale avanzo di gestione. 
Decaduta la proposta, ci si sarebbe aspettati un intervento radicale del legislatore 
in materia. Ed invero, un provvedimento fu emanato: il D.P.R. 2 agosto 1974, n. 
530 intitolato “ Regolamento del Comitato Olimpico Nazionale Italiano e delle 
Federazioni Sportive Nazionali”. 
A ben guardare, però, nel decreto non erano per nulla considerate le 
 13
problematiche fin qui considerate ( regolamentazione della forma associativa dei 
sodalizi ), ma, come lo stesso titolo lasciava supporre, tendeva soprattutto a 
regolamentare la struttura di tali Enti. 
Il titolo III, delle “ società e sezioni sportive ”, di fatto, era un’inutile ripetizione 
di quanto già stabilito dal legislatore nel 1942: era riproposta la dizione tecnica di 
società, senza peraltro chiarirne il contenuto, forma, le regole; si ricordava che le 
società sportive non avevano fine di lucro, che erano riconosciute dal Consiglio 
Nazionale del C.o.n.i. e che esercitavano la loro attività secondo le norme e le 
consuetudini sportive ( artt. 31,32,33 ). 
A distanza di solo quattro anni, si registrò un nuovo intervento in campo 
sportivo. A procurarlo, questa volta, fu la pretura di Milano
14
. Questi, ritenendo 
che il contratto avente ad oggetto il trasferimento di un calciatore da una società 
calcistica ad altra, dietro pagamento da parte della società cessionaria alla 
cedente di una somma quale indennizzo per “ cessione o vendita del calciatore ”, 
violasse la disciplina sulla mano d’opera
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, inibiva “ai rappresentanti delle 
società calcistiche della Lega professionisti di svolgere e stipulare contratti 
aventi ad oggetto il trasferimento di calciatori ad altra società, salva la facoltà 
dei singoli calciatori di contrattare con la società calcistica richiedente il 
proprio ingaggio e sempre che, in tale ultima ipotesi, venisse richiesto e 
rilasciato il prescritto nulla osta per il passaggio diretto del lavoratore da 
azienda ad azienda”. 
Sulla base di queste premesse e considerazioni, il Pretore di Milano vietava “ai 
legali rappresentanti protempore della F.I.G.C. e della Lega Professionisti di 
ratificare tutti i contratti di trasferimento stipulati tra i rappresentanti delle 
associazioni calcistiche”. Come si è potuto evincere, l’intervento pretoriale che 
già aveva bloccato il mercato estivo dei calciatori metteva in serio rischio il 
regolare svolgimento del campionato di calcio 1978/1979. 
                                                 
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 Decreto Pret. Milano, 7 luglio 1978, in Foro it., 1978, II,319, noto come “Decreto Costagliela” , dal 
nome del pretore che lo emise. 
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 La legge 23 ottobre 1960, n. 1369, sulla mano d’opera, vieta l’intervento dei mediatori privati nella fase 
di stipulazione di lavoro subordinato ( tale era considerato il rapporto tra società e sportivi professionisti ). 
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Per scongiurare il rischio palesato, l’11 luglio 1978 l’allora sottosegretario alla 
presidenza del Consiglio del Governo Andreotti, on. Evangelisti, promuoveva 
una riunione dei Ministri competenti per studiare il problema. Il risultato di 
questa riunione fu l’emanazione del D.L. 14 luglio 1978, n. 367, “ 
Interpretazione autentica in tema di disciplina giuridica dei rapporti tra enti 
sportivi ed atleti iscritti alle federazioni di categoria ”.  
Nel provvedimento governativo era dato leggere che “ la costituzione, lo 
svolgimento e l’estinzione dei rapporti tra le società o le associazioni sportive ed 
i propri atleti e tecnici, anche se professionisti, tenuto conto delle caratteristiche 
di specialità ed autonomia dei rapporti stessi, continuiamo ad essere regolati, in 
via esclusiva, dagli statuti e dai regolamenti delle federazioni sportive 
riconosciute dal Comitato olimpico Nazionale Italiano , alle quali gli atleti ed i 
tecnici stessi risultano iscritti”. 
In particolare, gli atti relativi all’acquisto ed il trasferimento del titolo sportivo 
dei giocatori di calcio e degli atleti praticanti tali sports, nonché le assunzioni 
dei tecnici da parte di società od associazioni sportive, devono intendersi non 
assoggettati alla disciplina in materia di collocamento prevista dalla L. 29 aprile 
1949, n. 264 e successive modificazioni”. Alla barba dello Statuto dei lavoratori e 
delle leggi che disciplinavano il collocamento della manodopera . 
Altresì, l’art. 2 stabiliva che: “Con legge da emanarsi entro un anno dalla 
entrata in vigore del presente decreto, per i rapporti indicati nell’art. 1 sarà 
adottata una disciplina organica che, nel rispetto dell’autonomia 
dell’ordinamento sportivo, tuteli adeguatamente gli interessi sociali, economici e 
professionali degli atleti”. 
A tal fine fu costituita, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, una 
Commissione con la collaborazione del C.o.n.i.  e delle categorie interessate. 
Il risultato di tale commissione fu l’emanazione della Legge 23 marzo 1981, n. 
91( Norma in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti ).