2 
un secolo. Ancora, non si tratta di avere a che fare con un 
“dizionario di dizionari”, bensì con un “thesaurus” 
terminologico del metalinguaggio. Inoltre è un ipertesto 
interattivo, nel senso che i fruitori potranno combinare in 
maniera personale ed originale le varie definizioni dei vari 
autori.  
   La grande efficacia del DLM la scopriamo nel fatto di 
essere un’opera capace di offrire allo studioso diverse 
occorrenze di uno stesso lemma, a seconda dell’autore, 
dell’epoca, della tematica ecc., e quindi di offrire la 
possibilità di operare una sintesi delle innumerevoli 
definizioni di uno stesso termine, indici di diversi percorsi 
teorici, al fine di giungere a definizioni univoche ed 
essenziali. 
   Soprattutto il DLM, attraverso le citazioni d’autore, 
permette allo studioso di soffermarsi sui sinonimi, vale a 
dire sulle diverse denominazioni di uno stesso concetto, 
per verificare l’eventuale intercambiabilità delle suddette 
denominazioni nei vari contesti d’uso, oppure lievi ma 
importanti sfumature di significato. 
 3 
   Dal punto di vista della caratteristica di plurilinguismo 
poi, il DLM conduce ad oculati confronti fra traduzioni 
contestualizzate di termini, revisionando in questo modo 
corrispondenze traduttive spesso errate o non del tutto 
precise.  
   La sua particolare struttura è adeguata a dare voce 
soprattutto alla terminologia spesso tralasciata, come ad 
esempio quella metaforica, per fare invece spazio a 
tecnicismi sempre più oscuri. Solo a seguito di un’analisi 
dei testi, base della costruzione del DLM, vengono fuori 
quelle parole della lingua comune che gli autori usano con 
accezioni tecniche e che con il tempo e l’uso perdono il 
carattere originariamente metaforico, garanti di chiarezza 
e sinteticità espressiva.  
   Infine, ma non per questo meno interessante, le citazioni 
del DLM rispettano le caratteristiche peculiari della lingua 
scritta nei testi tecnici, mostrando così le scelte grafiche 
operate dagli autori che attraverso il mezzo visivo cercano 
di raggiungere un’alta funzionalità comunicativa.  
 4 
   Questo lavoro intende proporre un’analisi del 
metalinguaggio utilizzato da Zellig Harris, linguista 
americano di impostazione strutturalista. L’analisi si 
concentrerà sulla produzione scientifica del periodo 
1940/1951, utilizzando una serie di articoli pubblicati da 
Harris sulla rivista Language ma soprattutto la sua opera 
principale Methods in Structural Linguistics. 
   Il primo momento, piuttosto incisivo, sarà dedicato alla 
presentazione dell’autore, inquadrato negli anni in cui ha 
lavorato sentitamente nel suo campo, servendosi del 
contributo di studiosi contemporanei, maestri ma anche 
discepoli di Harris, da lui stesso ringraziati nella premessa 
all’opera. 
   Sarà interessante vedere anche come i luoghi frequentati 
dall’autore abbiano influito sugli sviluppi del suo pensiero 
e le tracce che egli ha lasciato nei vari nuclei sorti intorno 
alla sua figura, suscitando ammirazioni e critiche, anche 
non sempre del tutto positive, circa il suo orientamento di 
studio, ma comunque sempre utili per fare luce e 
chiarezza su un pilastro della linguistica moderna. Sarà 
 5 
inoltre presentata una bibliografia completa di tutte le 
opere che testimoniano l’impegnata e lunga carriera del 
teorico. 
   Prima di dare spazio alla parte più tecnica della 
schedatura dell’opera e degli articoli pubblicati sulla 
rivista Language dal 1940 al 1951, si affronterà un capitolo 
interamente dedicato alla spiegazione del valore e dei 
contenuti degli articoli che precedono la scrittura 
dell’opera ed alla descrizione dettagliata della struttura del 
testo, partendo dall’osservazione dell’indice preparato 
dall’autore, vera mappa di lettura dei percorsi 
contenutistici. 
   Di certo non mancheremo di soffermarci sulle scelte 
stilistiche che Zellig Harris utilizza nel corso della scrittura 
del testo, nonché sui caratteri ed i simboli che di volta in 
volta usa nella elaborazione dei numerosi esempi 
dimostrativi dei metodi di analisi strutturale proposti. Ci si 
accorgerà facilmente della maggiore tendenza logico-
matematica che caratterizza un maestro dello 
 6 
strutturalismo rispetto ad un sostenitore della corrente di 
impostazione funzionalista.  
   Infine, si commenteranno da vicino le recensioni che 
vari autori hanno pubblicato su Language ed altre riviste 
all’indomani dell’ uscita dell’opera, esprimendo al 
riguardo non solo opinioni favorevoli ma anche 
decisamente contrarie in alcuni casi. 
   La parte più delicata e portante del presente lavoro 
verterà sulla costruzione di una mappa di lettura interna 
alla schedatura, che farà luce sui percorsi concettuali 
tutt’intorno ai lemmi-chiave individuati. Nelle 
osservazioni si forniranno indicazioni tutte le volte in cui 
le definizioni vengono riportate letteralmente da opere di 
altri teorici, o parafrasate ed eventualmente accompagnate 
in entrambi i casi da un commento personale che amplia e 
critica la scelta definitoria. 
 
 
 
 
 7 
CAPITOLO   PRIMO 
 
Note introduttive all’autore 
 
 
       1.  Profilo biografico 
 
Zellig Sabbetai Harris nacque a Balta, nell'Ottobre del 1909, 
in quella terra destinata a diventare la futura Unione 
Sovietica. Nel 1913, all’età di soli quattro anni, emigrò con 
tutta la sua famiglia negli Stati Uniti d’America per andare a 
vivere nella città di Philadelphia. Si racconta che, giunti in 
America, i genitori avessero scelto per lui il nome Harris, 
mentre egli stesso decise di chiamarsi Zellig Sabbetai, nomi 
ebrei che significano ‘felicità’ e ‘risolutezza’, due 
caratteristiche che sempre rappresentarono i valori 
fondamentali nella sua vita.  
   Nel 1930 conseguì il B.A. (Bachelor of Arts) all’Università 
della Pennsylvania ed ebbe un incarico di insegnamento nello 
stesso istituto l’anno successivo. Nel 1932 ottenne il suo 
M.A. (Master of Arts) con una tesi sull’origine dell’alfabeto 
(Origin of the Alphabet), nel 1934 conseguì il PhD con una 
 8 
dissertazione, pubblicata nel 1936 con il titolo A Grammar of 
the Phoenician Language. Harris studiò semitistica e fu 
allievo di James A. Montgomery, docente presso il 
Department of Oriental Studies della Pennsylvania 
University; pubblicò vari lavori in questo ambito e diede un 
ottimo contributo alla decifrazione e lettura dei testi 
Ugaritici. 
   Tra le esperienze fondamentali di vita oltre che di carriera 
ricordiamo che nel 1937 insegnò al famoso Linguistic 
Institute dell’Università del Michigan, ad Ann Arbor, dove 
condivise momenti di studio e di amicizia con Sapir, 
considerato star performer nel suo ambiente
1
.  
   Tra il 1925 e il 1943 ebbe un enorme sviluppo l’Avukah, 
un’organizzazione studentesca sionista presente in molte 
università degli Stati Uniti, di cui Harris fece parte, 
ricoprendo un ruolo di primo piano e dimostrando una 
particolare tendenza verso le questioni socio-politiche dei 
suoi tempi e manifestando idee politiche vicine al socialismo 
e all’anarchia. Nel 1942 tenne tre conferenze all’Avukah 
                                                 
1
 Vedi p. 41, Harris e le sue fonti: Edward Sapir e Leonard Bloomfield. 
 
 9 
Summer-School Session: una sul "Native Fascism" e le altre 
due su "How Jews should be Political"; è ritenuto il probabile 
autore del testo intitolato "An Approach to Action: Facing 
the Social Insecurities Affecting the Jewish Position", 
pubblicato dall’Avukah nel 1947.  
   Nel 1947 Harris divenne professore di linguistica presso 
l’Università della Pennsylvania fondando lì il primo 
dipartimento di linguistica negli Stati Uniti. In quello stesso 
anno incontrò un Chomsky malcontento che egli incoraggiò a 
riprendere gli studi e che divenne il suo allievo più famoso. Il 
lavoro di Harris nell’ambito della grammatica 
trasformazionale illuminò molto il lavoro di Noam Chomsky 
sulla grammatica generativo-trasformazionale, ed infatti, per 
molti aspetti, il lavoro di quest’ultimo fu una diretta 
estensione di quello di Harris. La fama di Harris nel campo 
della linguistica rappresentò un aiuto per Chomsky, alle prese 
con i suoi primi lavori da pubblicare.  
   Harris fu presidente della Linguistic Society of America nel 
1955. Dal 1958 al 1980 fu il direttore del Transformations 
and Discourse Analysis Project, sponsorizzato dalla National 
 10 
Science Foundation (NSF). Diverse ricerche di Harris furono 
finanziate anche dal National Institute of Mental Health 
(NIMH).  
   Harris era membro del kibbutz Mishmar Haemek e per anni 
fece il pendolare fra USA e Israele. Sua moglie, Bruria 
Kaufman, fisico, laureata all’Università di Gerusalemme e 
assistente di Albert Einstein a Princeton, insegnava sia a 
Philadelphia sia al Weizmann Institute, in Israele.  
   Fu membro dell’American Philosophical Society e della 
National Academy of Sciences. Harris sentiva che 
l’agitazione degli attacchi polemici e le ritorsioni non si 
addicevano alla scienza e per queste ragioni non vi prendeva 
parte.  
   Nel 1979 si ritirò dall’insegnamento dopo una lunga e 
distinta carriera, ma continuò ancora a scrivere e a pubblicare 
fino alla sua morte avvenuta il 21 Maggio del 1992, all’età di 
82 anni, nel sonno, dopo una piacevole giornata di lavoro.  
   Probabilmente furono pochi coloro che conobbero bene 
Harris, secondo quanto scrive Anna Morpurgo Davies nel 
necrologio comparso sul Linguist list 
 11 
(http://linguistlist.org/issues/3/3-457.html#4). Nelle parole 
della Morpurgo, Harris viene descritto come un uomo dal 
brillante e stupefacente potere intellettuale, di profonda 
cultura e totale devozione al suo lavoro. A dispetto di coloro 
che erroneamente vedono ancora Harris quale uomo proteso 
verso uno sterile e freddo formalismo, la nota studiosa di 
storia del pensiero linguistico rimanda alle 45 pagine della 
recensione fatta da Harris ai Selected Writings di Sapir, 
pubblicata sulla rivista Language nel 1951, e afferma che un 
buon conoscitore della personalità di Harris gli attribuirebbe 
le parole che egli stesso aveva usate per descrivere il genio di 
Sapir: “So refreshing is his freshness and criticalness, that we 
are brought to a sharp realization of how such writing has 
disappeared from the scene.”
2
 Il senso più immediato che si 
coglie da questo commento è quello di una ‘freschezza’ di 
idee che era poi uno degli obiettivi che il Nostro si è sempre 
proposto di raggiungere durante i lunghi anni della sua 
carriera. 
                                                 
2
 Harris (1951b), cit., p. 332.