9
personaggi presenti nei primi tre episodi della saga e i quattro nomi delle case della scuola di 
Hogwarts, e attraverso un’analisi linguistica, ho confrontato il nome originale e la traduzione, 
cercando di osservare quale delle due fosse più evocativa del personaggio. 
Mentre conducevo questo tipo di analisi, ho notato però che il mio punto di vista poteva essere 
riduttivo, dato che le storie, per il tema e l’ambientazione, sono fruite principalmente da un 
pubblico di età inferiore a quella adulta. Così, ho pensato che potesse essere interessante 
interrogare proprio il pubblico lettore della saga, per capire quanto gli indizi descrittivi 
presenti nei nomi, evocassero i personaggi nella mente dei bambini. 
Il terzo capitolo documenta quindi una ricerca effettuata nella scuola elementare di Gualtieri, 
con bambini dell’età di 8 e 10 anni, durante la quale, con un’attività appositamente studiata, 
ho potuto dare risposta a questa curiosità.  
Ho scelto sette nomi di personaggi tratti dai diciannove della precedente analisi, e ho 
effettuato con i bambini in classe un brain-storming collettivo, per osservare quali concetti 
essi risvegliassero nelle loro menti. Successivamente ho chiesto loro di immaginare un 
personaggio fantastico, ma dalle sembianze umane e reali, che rispecchiasse e riprendesse gli 
aspetti, anche descrittivi, che erano scaturiti dalle associazioni di idee precedenti. In seguito, 
ho chiesto loro di descrivere sia caratterialmente che fisicamente il personaggio immaginato, e 
di rappresentarlo su un foglio. In questo modo ho potuto osservare, attraverso lo strumento 
espressivo più eloquente che i bambini posseggano, cioè il disegno, quali connessioni il nome 
iniziale avesse attivato, e se queste erano in qualche modo coerenti con le caratteristiche del 
personaggio delle storie. Ovviamente, se i disegni dei bambini si avvicinavano molto al 
personaggio della saga di cui avevo proposto il nome, significava che il nome stesso era 
sufficientemente descrittivo, e cioè che la traduzione era efficace. 
Tradurre i nomi nella letteratura per l’infanzia infatti, significa anche rispettare la descrittività 
della versione originale.  
Nel primo capitolo ho trattato in primo luogo cosa significa tradurre attraverso le parole di 
Umberto Eco, concludendo che essa non è un semplice atto di trasposizione interlinguistica 
ma che significa soprattutto interpretazione e rispetto per l’effetto che il testo vuole rendere, 
atto che egli stesso definisce come negoziazione. Più nello specifico, dagli studi compiuti da 
Riitta Oittinen, ho osservato come nella letteratura per l’infanzia tradurre significhi, oltre che 
interpretazione, soprattutto rispetto per il bambino lettore. Per questo nel caso della letteratura 
per l’infanzia, fedeltà all’originale significa innanzitutto riuscire a creare nella traduzione, lo 
stesso effetto che il testo originale compiva sul bambino lettore. Per compiere questo atto è 
necessario dunque che il traduttore si metta nei panni del bambino, riscoprendone la 
sensibilità e il potenziale immaginativo che si attiva durante la lettura di una storia. 
 10
Scendendo ancora più nello specifico, le parole della studiosa di traduzione per l’infanzia 
Christiane Nord hanno confermato le mie osservazioni iniziali, e cioè che in molte storie per 
bambini i nomi dei personaggi hanno un chiaro intento descrittivo. Ella distingue però tra un 
intento descrittivo esplicito ed implicito, e della notevole differenza che la loro traduzione 
comporta. Come nel caso di Harry Potter infatti, la traduzione di nomi che descrivono 
nascostamente il personaggio attraverso il nome proprio non è cosa semplice: il traduttore è 
costretto in questi casi infatti a dover interpretare il riferimento descrittivo nell’originale e  
cercare di trasmettere le stesse informazioni, attraverso una versione del nome nella lingua 
d’arrivo che spesso non corrisponde in modo letterale a quella originale. Per questo talvolta i 
nomi propri dei personaggi sono del tutto diversi nel significato da quelli originali, seppur 
mantengano un intento descrittivo del personaggio. Si attua in questo caso quello che Umberto 
Eco e Riitta Oittinen hanno evidenziato attraverso le loro opere, e cioè una negoziazione tra le 
parti in gioco nella traduzione, tra le quali la presenza di un pubblico infantile è da 
considerarsi prima per importanza. 
In conclusione questo lavoro nasce dal mio personale interesse nei confronti dei “significati 
nascosti”, i quali nella vita di tutti i giorni si celano non solo negli atteggiamenti e 
nell’espressività dell’altro, ma soprattutto nel suo linguaggio. La mia passione per il mondo 
dell’infanzia e in particolare per la sua dimensione fantastica ed immaginativa, la quale si 
riflette appieno nella letteratura ad essa dedicata, ha portato questo interesse nella direzione 
della letteratura per l’infanzia; essa, unita alla personale passione per la lingua  straniera, ha 
portato alla realizzazione di questa ricerca, in cui tutti gli ambiti a me più cari si intersecano e 
si completano in un complesso dialogo tra le parti: esattamente, appunto, come richiede l’atto 
del tradurre.      
 11
CAPITOLO 1 
LA TRADUZIONE E LA LETTERATURA PER 
L’INFANZIA 
 12
 
1. TRADURRE NON E’ SOLO DIRE LA STESSA COSA 
 
Definire l’atto del tradurre non è cosa facile, infatti ad esso sono legate molte problematiche 
alle quali diversi esperti del campo hanno tentato di dare una spiegazione, ognuno esprimendo 
a riguardo un’interpretazione personale.  
Sull’enciclopedia Treccani, alla parola tradurre, si legge: “Volgere in un’altra lingua, diversa 
da quella originale, un testo scritto od orale, o anche una parte di esso, una frase o una parola 
singola”
1
.  
Questa definizione tuttavia non appare del tutto esaustiva, poiché non è chiaro cosa 
sottintenda il termine volgere, al quale è affidata l’intera definizione.  
Un’altra definizione possibile sarebbe quella di cercare una versione equivalente al testo 
originale, tuttavia anche il termine equivalente non è del tutto esaustivo. Supponendo infatti 
che l’equivalenza di significato sia resa possibile dalla pura sinonimia, allora tradurre 
significherebbe solamente trovare una sinonimia interlinguistica, atto che potrebbe essere 
compiuto con estrema precisione da un sistema di traduzione automatica, come ad esempio 
quello di Altavista offerto da internet. Tuttavia, dall’esperienza effettuata con questo tipo di 
traduzione automatica, sappiamo che essa non è per niente efficace, dal momento che non è in 
grado di comprendere il contesto in cui è utilizzata una parola, come nemmeno il pubblico a 
cui è destinata la traduzione. Ecco perché, Altavista potrebbe ad esempio tradurre “the works 
of Shakespeare” con “gli impianti di Shakespeare”, essendo totalmente inconsapevole di ciò a 
cui ci si riferisce.  
Per questo non possiamo pensare che la traduzione sia un semplice atto di trasferimento da un 
insieme di simboli ad un altro, ma dobbiamo assolutamente ritenere che essa sia un atto legato 
a fattori ben più complessi, i quali vedremo essere i maggiori responsabili della qualità della 
traduzione stessa. 
                                                 
1
 Enciclopedia La piccola Treccani 
 
 13
1.1.  L’IMPORTANZA DEI MONDI POSSIBILI  
Nell’atto del tradurre bisogna innanzitutto tenere in considerazione che nel passaggio da un 
sistema linguistico all’altro, si attua anche un trasferimento tra “il mondo” dell’uno al 
“mondo” dell’altro. Ogni lingua infatti esprime una sua visione della realtà, legata alla zona 
geografica in cui si parla la lingua, alla storia del popolo, alla cultura che essa rappresenta. 
Seguendo le indicazioni di un famoso teorico della traduzione, Hjelmslev, e dei suoi studi di 
semiotica, l’incompatibilità tra le diverse visioni del mondo che le lingue inevitabilmente 
esprimono, può essere così schematizzata: ogni lingua (e in generale ogni sistema semiotico), 
consiste in un piano dell’espressione e in un piano del contenuto, che rappresenta l’universo 
dei concetti esprimibili da quella lingua. Accanto ad essi, si trova un continuum, che esprime 
tutto ciò che è pensabile e classificabile, ma che ogni lingua (e cultura) suddivide in modi 
diversi. È qui che nasce la spaccatura tra i contesti appartenenti a sistemi linguistici diversi. 
Un esempio pratico per spiegare questa diversità, è dato dalla difficoltà nel tradurre la parola 
tedesca sensucht, così spesso utilizzata per esprimere il sentimenti dei poeti e degli artisti 
romantici: mentre la cultura tedesca ne ha una nozione precisa, nella lingua italiana la parola 
nostalgia copre solo un lato del suo spazio semantico, mentre le parole inglesi yearning o 
craving for sono ancora più imprecise. 
Questo esempio dimostra come la traduzione, ad esempio di un testo, debba innanzitutto 
tenere presente il mondo possibile che esso rappresenta. Questo significa che una traduzione 
deve appoggiarsi su congetture, e solo dopo aver valutato una congettura che appaia 
plausibile, può procedere a volgere il testo da una lingua all’altra. In poche parole il traduttore 
deve scegliere l’accezione o il senso più probabile e ragionevole e rilevante in quel contesto e 
in quel mondo possibile.  
Queste considerazioni ci portano dunque a concludere che tradurre non significa solamente 
similarità di significato, equivalenza o pura reversibilità linguistica. Esse ci portano invece a 
pensare che la traduzione deve essere piuttosto un’equivalenza di significato: deve cioè 
produrre nel lettore lo stesso effetto a cui mirava l’originale. Non si parla più, quindi, di 
riproduzione o di fedeltà all’originale, si tratta invece di rendere, attraverso la lettura del 
nuovo testo (cioè la traduzione), la stessa sensibilità psicologica od emotiva che l’autore 
voleva trasmettere. È chiaro che, in base al pubblico a cui è destinato il testo, il traduttore 
dovrà esprimere una diversa modalità del sentire nel testo. 
In ogni caso la traduzione non è un atto per cui, attraverso un semplice scambio tra sistemi 
linguistici, si può rendere lo stesso concetto iniziale. Bisogna piuttosto tener presente che 
questo è un atto da problematizzare.  
 14
Concludendo con le parole di Umberto Eco, possiamo dire che tradurre non è mai dire la 
stessa cosa, ma piuttosto “dire quasi la stessa cosa”
2
. 
 
2. TRADURRE COME NEGOZIARE 
“Se nella traduzione vogliamo far risaltare un aspetto dell’originale che 
a noi appare importante, ciò può accadere solo, talvolta, a patto di 
lasciare in secondo piano o addirittura eliminare altri aspetti pure 
presenti. Ma questo è proprio ciò che chiamiamo interpretazione… 
In quanto però [il traduttore] non sempre è in condizioni di esprimere 
tutte le dimensioni del testo il suo lavoro implica anche una continua 
rinuncia.”
3
 
 
Dalle parole di Gadamer, filosofo ed esperto studioso di ermaneutica, appare chiaro come la 
traduzione non sia una semplice trasposizione concettuale da una lingua all’altra. 
Da esse si comprende invece come tradurre implichi soprattutto interpretare il testo tenendo 
conto delle intenzioni dell’autore, affinché in un secondo momento esse possano essere 
espresse in un nuovo codice linguistico. È chiaro che per fare ciò, il traduttore è 
continuamente posto di fronte a delle scelte, le quali implicano indubbiamente delle rinunce.  
Questa esigenza interpretativa è facilmente spiegabile attraverso un paragone tra due sistemi 
linguistici differenti. 
Prendiamo ad esempio la parola inglese home, che in italiano il dizionario traduce come 
“casa, abitazione, alloggio”.
4
  
Chi possiede anche solo una minima conoscenza della lingua inglese, percepisce 
immediatamente che la traduzione offerta dal dizionario non è del tutto esaustiva. Se infatti  
in un testo un traduttore incontra questa parola, traducendola con il termine casa, è ben  
consapevole di aver tralasciato una serie di inferenze che la diversità dei sistemi linguistici 
non può contemplare. Nel termine home infatti, si esprime non tanto l’abitazione come 
edificio fisico, ma piuttosto tutto ciò che contempla l’avere una dimora, cioè il calore 
famigliare, la certezza di un punto fermo, il focolare domestico. Possiamo perciò azzardare 
ad associare le inferenze legate alla parola home, a quelle legate all’espressione tipicamente 
italiana “casa, dolce casa”.  
                                                 
2
 Eco Umberto, Dire quasi la stessa cosa, p. 93 
3
 Gadamer (1960, tr.it.:351) in: Umberto Eco, Dire quasi la stessa cosa, p. 92 
4
 Dizionario di inglese, Oxford University Press 
 15
Ecco dunque come, in lingue diverse, termini apparentemente sinonimi siano tuttavia la 
causa dell’elaborazione di diverse inferenze. Un buon traduttore, che non vuole che il testo 
rinunci a determinati collegamenti che possono talvolta risultare fondamentali per la 
comprensione della storia, o per la resa del “tono” utilizzato dall’autore, potrebbe in un caso 
simile ricorrere a delle compensazioni, aggiungendo, attraverso aggettivi o perifrasi 
quell’accezione domestica che la parola italiana casa non possiede. 
Come sostiene Umberto Eco, anch’egli studioso di semiotica ed esperto di traduzione, 
“tradurre significa sempre limare via alcune delle conseguenze che il termine originale 
implicava. In questo senso, traducendo, non si dice mai la stessa cosa”
5
 
Per questo, l’interpretazione che precede la traduzione, deve stabilire quali e quante delle 
possibili inferenze del termine possano essere “limate via”, senza mai avere la certezza che 
queste ultime potessero essere tralasciate nella resa globale del testo.  
Questo processo di “scelte”, può essere chiamato anche negoziazione, dove con essa si 
definisce proprio un’insieme di trattative attraverso le quali un traduttore cerca di trovare un 
equilibrio tra le perdite e i vantaggi tra le parti in gioco. Ci sono casi in cui tuttavia le perdite 
possono essere compensate dalle scelte interpretative del traduttore, il quale però deve 
prestare molta attenzione a non sostituirsi all’autore, o peggio ancora, dire “di più” 
dell’originale. Come sostiene ancora Gadamer, infatti 
 
“…il traduttore non può lasciare in sospeso nulla che non gli riesca chiaro. Deve 
decidere il senso di ogni sfumatura. Ci sono dei casi limite nei quali anche 
nell’originale (per il lettore originario) c’è qualcosa di oscuro. Ma proprio in quei 
casi limite viene in luce la piena necessità di decidere, a cui l’interprete non può 
sfuggire”
6
  
 
In linea di massima dunque, tradurre è un compito ben più complesso della semplice 
trasposizione interlinguistica. Essa contempla infatti la comprensione del proposito 
dominante del brano originale, l’interpretazione delle parole dell’autore, il mondo possibile 
del sistema linguistico originale e il pubblico a cui è destinata la versione tradotta. Questi 
sono solamente alcuni degli aspetti di cui un traduttore deve tener conto nella traduzione di 
un testo, ma sono indubbiamente già necessari per ottenere una buona traduzione.  
A proposito di una buona traduzione, Umberto Eco scrive: 
 
                                                 
5
 Eco Umberto, Dire quasi la stessa cosa, p. 94 
6
 Gadamer (1960.tr. it.:444) in: Umberto Eco, Dire quasi la stessa cosa, p. 111 
 16
“La conclamata fedeltà delle traduzioni non è un criterio che porta all’unica 
traduzione accettabile. […] La fedeltà è piuttosto la tendenza a credere che la 
traduzione è sempre possibile se il testo fonte è stato interpretato con appassionata 
complicità, è l’impegno ad identificare quello che per noi è il senso profondo del 
testo, e la capacità di negoziare ad ogni istante la soluzione che ci appare più giusta. 
Se consultate qualsiasi dizionario, vedrete che tra i sinonimi di fedeltà non c’è la 
parola esattezza. Ci sono piuttosto lealtà, onestà, rispetto, pietà”.
7
 
   
Dopo un excursus per sommi capi su come problematizzare l’atto del tradurre, volgiamo ora 
la nostra attenzione verso un ambito più specifico: la traduzione della letteratura per 
l’infanzia.    
 
                                                 
7
 Eco Umberto, Dire quasi la stessa cosa, p. 364 
 17
3. TRADURRE PER I BAMBINI 
 
3.1. TRADUZIONE, MONDO INFANTILE E MONDO ADULTO 
Quando si considera la traduzione della letteratura per l’infanzia, è importante innanzitutto 
considerare quanto essa abbia in comune con la letteratura per adulti. La letteratura per 
l’infanzia infatti, non è un genere a sé, ma comprende gli stessi generi di quella per adulti, 
come ad esempio la poesia, il romanzo, il racconto. 
Questo significa che quando ci poniamo di fronte alla traduzione di un romanzo per bambini, 
stiamo sempre in parte avendo a che fare con tutto ciò che comporta anche la traduzione della 
narrativa adulta, e, dal momento che esse hanno molto in comune, entrambe richiedono lo 
stesso impegno da parte del traduttore. Come abbiamo detto in precedenza, per essere un 
buon traduttore, sia per l’una che per l’altra letteratura, è importante saper leggere il testo 
originale in modo analitico e, allo stesso tempo, approcciarsi ad esso con sensibilità; il 
traduttore deve essere in grado di produrre un testo che crei lo stesso effetto nella lingua 
d’arrivo del pubblico lettore del romanzo originale.  
Nonostante la letteratura per adulti e quella per l’infanzia abbiano molti punti in comune, e 
quindi la loro traduzione contempli riflessioni comuni, ci sono alcuni aspetti che distinguono 
l’una dall’altra e che vanno pertanto considerati nell’atto del tradurre: la relazione tra il testo 
e le illustrazioni (molti libri illustrati sono infatti destinati ai bambini), il pubblico 
destinatario della lettura, la concezione dell’infanzia e del bambino nella mente del 
traduttore. Quest’ultimo in particolare sembra essere una questione molto rilevante. 
L’adulto e il bambino vivono infatti diversi momenti della vita umana: l’adulto, avendo 
vissuto più a lungo, ha indubbiamente un bagaglio esperienziale più ampio rispetto al 
bambino. Tuttavia è importante ricordare che i bambini e gli adulti non appartengono a 
specie diverse: ogni adulto è infatti un bambino cresciuto, perciò, anche il traduttore, può 
essere in grado di comprendere il proprio pubblico. 
Un altro punto molto importante nella traduzione della letteratura per l’infanzia è la 
questione dell’autorità.  
Il bambino è infatti sempre sotto l’autorità dell’adulto, il quale, anche nel caso della 
letteratura, è l’autore dei testi ad esso dedicati, della loro traduzione ed illustrazione. Per 
questo, è importante tenere presente, quando si traduce un testo destinato ad un pubblico 
infantile, che esso non è stato scritto per “soddisfare” le esigenze educative dell’adulto, ma 
soprattutto per divertire, stimolare, emozionare il bambino stesso. Ecco perché, anche per una 
chiarezza di ruoli, è meglio definire in questo contesto la traduzione come “traduzione per i 
 18
bambini”, invece che “traduzione della letteratura per l’infanzia”, per sottolineare che essa 
deve essere asservita principalmente alle esigenze dei bambini.  
Scavalcare l’autorità dell’adulto, potrebbe sembrare tuttavia un atto sconsiderato, 
specialmente se si considera che anche l’autore dei testi è un adulto. La domanda che 
potrebbe sorgere spontanea sarebbe: tradurre “per i bambini” significa anche ignorare 
l’autorità del testo originale? La risposta appare molto più semplice di quanto sembri. 
Rispettare il bambino come lettore, significa infatti rispettare anche l’originale. Dopotutto, 
per l’autore del testo originale è importante che la sua storia possa “vivere” soprattutto nella 
mente del bambino. 
 
3.2. IL PUBBLICO INFANTILE E IL TRADUTTORE 
 Tradurre la letteratura per l’infanzia è un atto che presenta le sue peculiarità, dal momento 
che il destinatario della traduzione è in qualche modo diverso dall’adulto.  
Il bambino, vive un momento della vita precedente a quello adulto, perciò, se da un lato, si 
presenta come un “lettore meno informato”, dall’altro tuttavia, egli è più flessibile e molto 
meno pignolo dell’adulto. Infatti, le dimensioni del bambino, la sua sensibilità, il suo “mondo 
magico”, ricco di allegria e momenti di gioco, fanno di lui un lettore veramente speciale. 
Perciò, come detto precedentemente, se la traduzione di un testo per l’infanzia vuole vincere 
l’autorità adulta e accostarsi il più possibile al vero lettore a cui è destinata, essa deve 
assolutamente contemplare il mondo del bambino. Per fare ciò, il traduttore deve “scendere a 
patti” con il testo originale e con le esigenze della letteratura adulta, per avvicinarsi il più 
possibile al mondo dell’infanzia. É in questo contesto che il ruolo del traduttore si fa sempre 
più importante. Se si vuole veramente tradurre “per i bambini”, uscendo dalla prigione della 
“fedeltà all’originale” (cosa che si garantisce solo attraverso il rispetto per il bambino), è 
necessario che il traduttore stesso “scenda a patti” con l’adulto che c’è in lui.  
Ogni traduttore dell’infanzia deve perciò saper ritrovare in sé le dimensioni del mondo 
infantile che lui stesso ha vissuto e superato, riscoprendo il sapore del potere immaginativo. 
Egli deve avvicinarsi al bambino che ha in sé, per riuscire ad avvicinarsi al pubblico per cui 
sta traducendo.  
Nel tradurre la letteratura per l’infanzia, il traduttore gestisce una discussione con tutti i 
bambini lettori: la storia dell’infanzia, il bambino del suo tempo, il vecchio e il nuovo 
bambino che è in lui. 
Scrive a riguardo la studiosa di traduzione per l’infanzia, Riitta Oittinen: 
 
 19
“The translator of children’s literature is a reader who must bring dimensions from 
childhood to his or her reading experience. Although usually an adult, he or she 
does not just translate as an adult. Every grown-up is a former child, which means 
that every adult carries a child within him- or herself.”
8
 
 
(Il traduttore di letteratura per l’infanzia è un lettore che deve tener conto della 
dimensione dell’infanzia nella sua esperienza come lettore. Nonostante solitamente 
egli sia un adulto, lui o lei non deve solamente tradurre come un adulto. Ogni 
persona cresciuta è stata bambina, il che significa che ogni adulto porta con sé il 
bambino che ha in lui.) 
 
Come ella stessa sostiene, dunque, tradurre la letteratura per l’infanzia significa soprattutto 
fare i conti con il bambino che è in noi. 
 
3.2.1. TRADURRE PER I BAMBINI: un dialogo con il carnevalesco. 
Mikhail Bakhtin, letterato e studioso di storia ed eventi sociali, descrive il concetto di 
carnivalism nella sua opera Rabelais and His World; esso è un fenomeno storico che ha 
origine nell’antichità e vede il suo periodo di fioritura nelle culture popolari del Medioevo e 
del Rinascimento. Storicamente esso si distingue come una cultura che ridicolizza tutto ciò 
che è ufficiale, immobile, finito, pomposo, confezionato, astratto. Essa propone, come 
contrasto a tutto ciò, la libertà, la corporeità, il grottesco, l’ambivalenza, e, come concetto 
fondamentale, il piacere della complessità della vita, intesa in tutta la sua passionalità. La 
letteratura che riflette questa mentalità, la quale può essere considerata anche una concezione 
filosofica di vita, riflette questi valori, e privilegia come artificio letterario la forma dialogica, 
la quale riflette il continuo movimento e cambiamento proprio del carnivalism.  
In questo contesto, anche la letteratura infantile, può essere intesa come carnevalesca. Essa, 
in rapporto a quella adulta, è spesso considerata come un sistema alternativo, spesso 
sottovalutato e sottostimato, che sopravvive accanto alla cultura adulta ufficiale. Come il 
carnivalism, il mondo infantile, e la letteratura che lo riflette, è libera, fantastica, 
imprevedibile, grottesca, ridicola e corporale.  
Perciò, un traduttore che vuole avvicinarsi alla dimensione dell’infanzia, e soprattutto al suo 
particolare modo di esprimersi attraverso la letteratura, deve comprendere e cercare di 
                                                 
8
 Oittinen Riitta, The situation of translating for children, in:  Justa Holz-Mänttäri und Christiane Nord (Hrsg.), 
Traducere navem : Festschrift für Katharinaa Reiss zum 70. Geburtstag , pp.321-334 
 20
riflettere nella traduzione questa dimensione. Scrive a riguardo Riitta Oittinen, studiosa di 
traduzione: 
“The translator should dive into the carnivalistic children’s world, reexperience it: 
of course, he or she cannot stop being an adult, it is not possible and it is not 
necessary, but to succeed he or she should try to reach into the realm of childhood, 
the children around him or her, the child in him or in her”.
9
  
 
(Il traduttore dovrebbe tuffarsi nel carnevalesco mondo dell’infanzia, e riviverlo 
come esperienza: ovviamente, lui o lei non può smettere di essere adulto, è una cosa 
impossibile e nemmeno necessaria, ma per riuscire in questo intento lui o lei 
dovrebbe tentare di raggiungere, nel regno dell’infanzia, il bambino attorno a lui o a 
lei, il bambino in lui o in lei). 
 
Assumere questo tipo di atteggiamento nei confronti della traduzione, significa accettare che 
essa non è un semplice atto di trasposizione interlinguistica, ma vuol dire comprendere che 
essa è un atto complesso, in cui si ha una contrattazione continua tra il testo originale, il 
traduttore, e il pubblico lettore. In altre parole contemplare questi tre principali protagonisti 
nella traduzione, significa accettare che essa è un atto dialogico, di continuo scambio tra le 
parti in gioco. Come sosteneva dunque Umberto Eco parlando in generale di traduzione, 
anche nel caso della letteratura per l’infanzia tradurre non significa solamente “trovare dei 
sinonimi”, ma vuol dire principalmente interpretare il testo. In questo caso però, si aggiunge 
una questione fondamentale, e cioè che tra le parti in gioco nella trattativa per la traduzione, 
l’infanzia e la sua dimensione magica giocano un ruolo fondamentale.   
 
 
                                                 
9
 Oittinen Riitta, The situation of translating for children, in:  Justa Holz-Mänttäri und Christiane Nord (Hrsg.), 
Traducere navem : Festschrift für Katharinaa Reiss zum 70. Geburtstag , pp.321-334 
 21
3.3. LA PAROLA AGLI SPECIALISTI: “adattamento” nel tradurre i testi per 
bambini. 
Riitta Oittinen, nella sua opera “Translating for children”, discute il problema 
dell’adattamento nella traduzione dei testi per bambini e innanzitutto definisce cosa si 
intende per adattamento: adattare un testo vuol dire principalmente addomesticarlo, ovvero 
avvicinarlo il più possibile al periodo storico, alla società, alla cultura e all’età a cui è 
destinata la traduzione; in altre parole avvicinarlo al pubblico lettore. 
Alcuni teorici del campo hanno criticato questo processo, ritenendo che addomesticare un 
testo nella traduzione, significasse snaturare il testo originale, e per tanto, non esservi fedele. 
Secondo la traduttrice invece, tradurre un testo per bambini, significa innanzitutto riscrivere 
il testo: 
“Translation is always an issue of different users of the texts, which involves 
rewriting for new-target language audiences”.
10
  
 
(Tradurre è sempre un problema di diversa utenza del testo, che implica una ri-
scrittura in base alla lingua del nuovo pubblico). 
 
Secondo la traduttrice infatti, in particolare nel caso della letteratura per l’infanzia, nella 
traduzione bisogna preoccuparsi di tradurre più delle parole dei testi, essendo essa 
caratterizzata dalle illustrazioni e dal contesto immaginativo che si crea nel bambino dalla 
lettura ad alta voce. Perciò, se già la traduzione di testi per adulti, come sosteneva Umberto 
Eco, necessitava di una negoziazione continua tra significati, la quale portava, nella 
traduzione, alla produzione di un nuovo testo, nel caso della letteratura per l’infanzia questa 
esigenza si fa ancora più forte. 
Secondo la Oittinen, tradurre attraverso degli adattamenti, significa innanzitutto promettere 
una fedeltà al pubblico infantile, fruitore delle storie ad esso dedicate: 
 
“Adaptations are made for various reasons, and one of the reasons may well be 
loyalty to children”.
11
  
 
(Gli adattamenti si fanno per tante ragioni, e una di queste può benissimo essere la 
fedeltà ai bambini lettori). 
 
                                                 
10
 Oittinen Riitta, Translating for children, p. 75 
11
 Oittinen Riitta, Translating for children, p. 76 
 22
Fedeltà al pubblico, significa però anche fedeltà al testo iniziale: infatti, solamente tenendo 
presente nella traduzione di un testo, del mondo del bambino, del suo modo di ragionare, 
della sua dimensione fantastica e del suo contesto abituale, è possibile offrire ai bambini una 
buona traduzione, dalla quale essi possono trarre “lo stesso effetto” (come argomentava 
Umberto Eco) e gli stessi spunti fantastici del testo originale.  
“When translating for children, taking into consideration the target-language 
children as readers is a sign of loyalty to the original author”.
12
 
 
(Quando si traduce per i bambini, tenere in considerazione il pubblico infantile della 
lingua d’arrivo come lettore è un segno di fedeltà all’autore originale). 
 
Come detto precedentemente dunque, il traduttore deve cercare di avvicinarsi al pubblico 
infantile, riscoprendo in se stesso l’infanzia perduta. 
Tradurre la letteratura per l’infanzia significa, secondo l’esperta, avvicinare i soggetti in 
gioco in questo processo:  
 
“…the “I” of the reader of the translation meets the “you” of the translator, the 
author and the illustrator”.
13
 
 
(…l’ “io” del lettore del testo tradotto incontra il “tu” del traduttore, dell’autore e 
dell’illustratore). 
 
Ritorna quindi dalle parole della Oittinen, l’importanza fondamentale nella traduzione per 
l’infanzia, del pubblico fruitore delle storie, della sua dimensione fantastica (o meglio 
carnevalesca), e dello scambio dialogico tra le parti in atto in questo processo: il testo 
originale, il traduttore e i bambini lettori.   
 
 
 
 
 
 
 
                                                 
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 Oittinen Riitta, Translating for children, p. 84 
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 Oittinen Riitta, Translating for children, p. 84