Introduzione 
Il venticinque settembre 
milleduecentosessantaquattro, sul far 
del giorno, il Duca d’Auge salì in 
cima al torrione del suo castello per 
considerare un momentino la 
situazione storica. La trovò poco 
chiara. Resti del passato alla rinfusa 
si trascinavano ancora qua e là. Sulle 
rive del vicino rivo erano accampati 
un Unno o due; poco distante un 
Gallo, forse Edueno, immergeva 
audacemente i piedi nella fresca 
corrente. Si disegnavano 
all’orizzonte le sagome sfatte di 
qualche diritto Romano, gran 
Saraceno, vecchio Franco, ignoto 
Vandalo. I Normanni bevevan 
1
calvadòs. 
Gettando uno sguardo al panorama politico contemporaneo, si potrebbe avere 
l’impressione che le macerie del Muro siano precipitate tutte da una parte sola, 
seppellendola. Il secolo breve si chiude con lo sgretolarsi di un lessico politico; eppure, 
nell’apparente dissolversi delle narrative classiche e nell’evaporazione delle categorie 
tradizionali, l’immaginario – in senso lato – «di destra» non si è smarrito: ha attinto da 
un vocabolario antico le parole per articolare una progettualità nuova, in cui la retorica 
della libertà e del mercato si coniuga con quella della reazione e dell’esclusione. 
Il racconto del «pensiero unico» sembra tramutarsi in monologo: le voci della sinistra 
balbettano. Deluse e tradite dalle speranze politiche del Novecento, da una parte 
appaiono in affanno nel decrittare un mondo nuovo, impermeabile alle ermeneutiche del 
passato, dall’altra poco attrezzate per tratteggiare i contorni di una nuova utopia. Il 
discorso critico viene strattonanto tra gli anacronismi di quei nostalgici che non sanno 
divincolarsi dall’abbraccio di consunte, ma confortanti ideologie, e gli slanci di chi 
raccoglie la sfida ad elaborare la discontinuità, e si fa carico di proporre formule 
1
 R. Queneau, Les fleurs bleues, Gallimard, Parigi, 1965, trad. it. I fiori blu, Einaudi, Torino, 1967 (2ª ed., 
1995, p. 3). 
3 
originali, che tuttavia troppo spesso sacrificano sull’altare della complessità la facoltà di 
eccitare le immaginazioni ed infiammare gli animi. 
In questa temperie intellettuale, al contempo confusionaria e in stallo, il lavoro di 
Serge Latouche guadagna le luci della ribalta, per la sua capacità di intercettare e 
raccogliere un favore crescente tra le fila dei militanti, soprattutto di quelli più giovani. 
In particolare, il filosofo sembra in grado di dare voce ai risentimenti e alle aspettative 
di molti di quei «soggetti smarriti» che compongono oggi il variegato e difficilmente 
2
definibile arcipelago dell’«alter-» e dell’«anti-mondialismo». 
Di fronte alle sfide del nuovo millennio – l’orizzonte globale reclama più forte che 
mai saldi punti di riferimento in merito ai grandi temi della povertà, del welfare, 
dell’ambiente, dell’identità –, Latouche abbandona il sentiero del socialismo classico e 
prova ad indicare la direzione per un suo radicale rinnovamento, a partire dalle 
fondamenta epistemologiche, antropologiche, filosofiche su cui questo confida. 
Il Francese propone una sua chiave di lettura della situazione politica odierna: interpreta 
la realtà alla luce di una problematizzazione di ampio respiro del modello al contempo 
culturale e sociale che a suo dire informerebbe la mentalità e le pratiche dell’uomo 
contemporaneo. L’impianto teorico latouchiano si apre ad una riflessione sulle categorie 
politico-filosofiche dell’«Occidente» e della «Modernità»: è ad esse che imputa le 
principali contraddizioni che segnerebbero l’epoca attuale. 
Muovendo da questa impostazione, il filosofo avanza un’idea normativa che chiama in 
causa il rifiuto di quell’«immaginario» e di quell’apparato politico, tecnico ed 
economico occidentale che i fenomeni di globalizzazione starebbero esportando verso la 
totalità del pianeta. Il superamento del paradigma socialdemocratico passa dunque per 
una ridiscussione complessiva della visione del mondo di cui esso stesso è figlio, che 
affonda le radici in uno spazio-tempo a prima vista definito: l’Occidente moderno. 
È in particolare lo slogan della «decrescita» che sembra oggi attirare allo studioso le 
maggiori attenzioni, e stimolare la mole più corposa di riflessioni. Basta consultare il 
sito dell’Associazione della decrescita per trovare raccolte decine di tesi di laurea 
3
dedicate ad approfondire la questione. L’invito a ripensare un discorso critico nei 
2
 «Soggetti smarriti» è l’espressione usata da uno degli interpreti privilegiati di questo clima di 
disorientamento politico (N. Vendola, Soggetti smarriti. La sfida di un altro mondo possibile, Datanews, 
Roma, 2005). 
3
 www.decrescita.it 
4 
termini di un rigetto del modo di pensare e di vivere che appare caratterizzare i nostri 
4
giorni guadagna ampi consensi tra studenti e intellettuali. 
Il lavoro che qui viene proposto ha provato a seguire una traiettoria diversa: si è tentato 
di non cader preda dell’affabulante retorica di Serge Latouche e di procedere a una 
ricostruzione analitica del suo pensiero, per farne emergere tensioni e aspetti 
problematici. La riflessione che segue mira, in altre parole, a soppesare l’offerta 
politico-filosofica del Francese. Le fondamenta concettuali della sua opera – quelle 
stesse fondamenta sulle quali la proposta della «decrescita» va a poggiare – sono state 
infatti scarsamente studiate: si è creduto che potesse essere utile esaminarle, nella 
convinzione che un’indagine sul nocciolo duro del pensiero latouchiano potesse fare 
luce sul complesso della sua produzione, «decrescita» inclusa. Questo saggio si propone 
dunque di disaminare le categorie filosofiche sulle quali l’autore allestisce il suo 
dispositivo speculativo. 
Le pagine che seguono accompagnano quindi il lettore alla scoperta dell’architettura 
concettuale del pensiero di Latouche, ricostruendo un quadro globale delle sue 
formulazioni e ripercorrendone la parabola teorica, per suggerire un approccio critico 
rispetto alle linee argomentative principali. Nel tentativo di restituire una visione 
d’insieme dell’impianto filosofico si è scelto di toccare un ampio ventaglio di problemi 
e di dibattiti teorici: il filo rosso che tiene insieme le riflessioni del Francese è una 
problematizzazione del modello della Modernità e dell’Occidente. 
La tesi si struttura in due parti principali. Nella prima si definiscono le questioni 
fondamentali: si formulano i principali interrogativi teorici e si individuano i binari 
argomentativi lungo i quali andrà a correre il percorso di analisi. Vengono fissate alcune 
coordinate per orientarsi nella selva delle discussioni attorno alla scivolosa questione 
della «cultura», e si provano ad indicare alcune potenziali ingenuità sottese 
all’impostazione ermeneutica latouchiana. 
La seconda parte dello scritto affronta invece lo studio vero e proprio del modello 
concettuale del Francese. Essa è a sua volta suddivisa in due sezioni: la prima è dedicata 
ad approfondire la cosiddetta «cultura essenziale», ovvero la prima dimensione 
dell’«immaginario moderno»; la seconda parte tratta invece il versante etico della 
4
 Si invita ad esempio alla lettura di quella che probabilmente è la prima tesi di laurea in lingua italiana su 
Serge Latouche, ad opera di Marco Turani (Serge Latouche e la critica della Modernità e della 
cooperazione allo sviluppo come occidentalizzazione del mondo. Tesi di laurea in Storia e istituzioni dei 
paesi afro-asiatici, s.n., Bologna, 2002); l’autore sposa entusiasticamente le idee del Francese in merito 
alle politiche di sviluppo e all’esigenza di un loro profondo ripensamento, a partire dallo statuto filosofico 
ad esse sotteso. 
5 
«civiltà occidentale»: la «morale utilitarista». L’obbiettivo è quello di provare almeno a 
sfiorare i grandi temi verso i quali l’intellettuale volge la sua attenzione – l’idea 
moderna del tempo, dello spazio, la concezione individualistica del rapporto tra il 
singolo e il gruppo, il materialismo –, imbastendo un ragionamento che aiuti a dissipare 
alcune di quelle brume semantiche che avvolgono certe formalizzazioni di Latouche. 
A un breve capitolo conclusivo è infine demandato l’onere di tirare le fila e distillare i 
principali insegnamenti della lezione del filosofo. 
6 
PARTE PRIMA. Verso un nuovo paradigma 
7 
Capitolo I. La globalizzazione come occidentalizzazione del 
mondo 
Leggere filosoficamente la contemporaneità comporta ineluttabilmente il ragionare 
1
attorno alla «globalizzazione»: “parte dello spirito dell’epoca”, «concetto-maelström», 
che risucchia la pluralità dei dibattiti in un unico gorgo, costituisce il passaggio 
obbligato per ogni osservatore che voglia proporre una riflessione sulla realtà odierna. 
La globalizzazione però, parafrasando Aristotele, si dice in tanti modi: con la vaghezza 
della sua polisemia apre un varco a dispute intellettuali interminabili. Numerosi sono 
dunque i fondati inviti ad una pulizia analitica del termine, che un uso inflazionato ha 
2
finito con rendere un “global cliché”: 
Il ricorso a un’espressione allusiva e polisemica consente, per un’arcana taumaturgia, di evitare 
il «lavoro del concetto» con i suoi indispensabili correlati di analisi e sintesi, scomposizione e 
ricostruzione, differenziazione e confronto. […] [È dunque ineludibile] un supplemento di 
indagine, al fine di fare chiarezza sul termine ubiquitario globalizzazione: etichetta-contenitore 
di fenomeni disparati che si sommano e giustappongono, ovvero parola-chiave illusoria, 
formula passepartout atta a denotare tanto l’esaltazione del «nuovo», quanto la sua radicale 
3
negazione. 
In questa sede, piuttosto che inoltrarsi in un vero e proprio «lavoro del concetto», ci si 
limita ad una prima sbozzatura che aiuti a delineare meglio i termini della successiva 
1
 S. Latouche, La Planète uniforme, Climats, Castelnau-le-Lez, 2000 (edizione it. Il pianeta uniforme. 
Significato, portata e limiti dell’occidentalizzazione del mondo, Paravia, Torino, 1997; esiste una seconda 
edizione dello stesso libro: La fine del sogno occidentale. Saggio sull’americanizzazione del mondo, 
a
Eleuthera, Milano, 2000 (2 ed. ampliata 2002, p. 15)). 
2
 F.J. Lechner, J. Boli, “General Introduction”, in Idd. (a cura di) The Globalization Reader, Blackwell 
a
Publishing, Malden (Mass.)-Oxford-Carlton (Australia), 2000 (2 ed. 2004, p. 1). 
3
 G. Marramao, Passaggio a Occidente. Filosofia e globalizzazione, Bollati Boringhieri, Torino, 2003, 
pp. 12-13. 
9 
riflessione, sulla falsariga di due interrogativi preliminari: in prima battuta occorre 
accordarsi sul significato delle parole, e stipulare con la maggiore precisione possibile 
cosa indichi il lemma «globalizzazione»; in seconda battuta si proveranno ad 
individuare i dibattiti fondamentali che orbitano attorno al concetto. 
Con riferimento alla prima questione, si trasceglie una definizione «minima» di 
4
«mondializzazione», offerta da Danilo Zolo, che funge da «metro campione» per il 
nostro studio: la globalizzazione è “un processo di estensione «globale» delle relazioni 
sociali fra gli esseri umani, tale da coprire lo spazio territoriale e demografico 
5
dell’intero pianeta”. Volendo essere più sofisticati si potrebbe anche dire che 
la globalizzazione si riferisce a cambiamenti fondamentali nel profilo spaziale e temporale 
dell’esistenza sociale, per i quali il significato dello spazio o del territorio sottostà a 
cambiamenti paralleli a una non meno importante accelerazione nella struttura temporale delle 
6
forme cruciali dell’attività umana. 
Assumendo dunque una declinazione del termine che sia al contempo più ampia e più 
chiara possibile, si dirà che la «globalizzazione» fa riferimento al crescente senso di 
interconnessione delle diverse parti e dei diversi attori del pianeta: è 
un processo (o un insieme di processi) che ricomprende la trasformazione dell’organizzazione 
spaziale delle relazioni sociali e delle transazioni – valutate nei termini della loro estensione, 
intensità, velocità e impatto – che generano flussi transcontinentali o interregionali e network di 
7
attività, interazione, e esercizio del potere. 
4
 Rifacendosi all’uso invalso in Francia, si adottano qui i termini «globalizzazione» e «mondializzazione» 
alla stregua di sinonimi. Per una sottile distinzione tra i due lemmi si rimanda a G. Marramao, Passaggio 
a Occidente cit., cap. I. 
5
 D. Zolo, Globalizzazione. Una mappa dei problemi, Laterza, Roma-Bari, 2004, p. 3. Zolo riprende a sua 
volta la definizione offerta da David Held e Anthony McGrew: “Il termine «globalizzazione», 
semplificando, denota la scala più estesa, la crescente ampiezza, l’impatto sempre più veloce e profondo 
delle relazioni interregionali e dei modelli di interazioni sociali” (Globalization/Anti-Globalization, Polity 
Press, Cambridge, 2002 (trad. it. Globalismo e antiglobalismo, Il Mulino, Bologna, 2003, p. 9)). 
6
 AAVV, “Globalization”, in Stanford Enciclopedia of Philosophy, liberamente consultabile all’indirizzo 
http://plato.stanford.edu/entries/globalization/, trad. di chi scrive. 
7 
A. McGrew, “Sustainable globalization? The global politics of development and exclusion in the new 
world order”, in Tim Allen and Alan Thomas (a cura di), Poverty and Development into the XXI Century, 
Oxford University Press, Oxford, 2000, pp. 348, trad. di chi scrive. 
10 
Quando si andrà ad esplorare le involuzioni latouchiane attorno alla questione della 
mondializzazione si dovrà rimanere ben aggrappati a questa prima convenzione: la 
8
globalizzazione, innanzitutto, come «interconnessione». 
In merito al secondo interrogativo sopra sollevato, è rilevante individuare le questioni 
chiave attorno alle quali si articola il «problema» della globalizzazione. Facendo 
riferimento a quegli autori che hanno saputo imbastire griglie concettuali per l’analisi 
complessiva del dibattito contemporaneo – tra questi Frank Lechner, David Held e 
9
Anthony McGrew, Danilo Zolo, Alain Caillé e Alfredo Salsano – si propongono qui di 
seguito alcune domande essenziali attorno alla mondializzazione, domande che in 
qualche modo offrono una prima struttura del problema, una bussola con cui orientarsi 
nel ginepraio della letteratura sulla globalizzazione. 
In prima battuta occorre domandarsi se si tratti di un processo spontaneo o di un 
progetto consapevole: la globalizzazione è un fenomeno di natura storica, 
inevitabilmente vincolato a leggi che trascendono la scelta politica, o è invece l’esito 
della deliberata volontà di alcuni attori sociali? 
In seconda battuta gli studiosi indagano se la mondializzazione segni un indebolimento 
o un rafforzamento dello Stato-nazione: la globalizzazione comporta necessariamente 
un esautoramento di quella istituzione politica tipicamente moderna che è lo Stato-
nazione? Oppure concede ancora degli spazi di autonomia alla sovranità statale? O 
piuttosto, essendo essa stessa il risultato di deliberate scelte da parte degli Stati stessi, è 
a sua volta uno strumento in mano ai governi nazionali per il perseguimento di politiche 
di potenza? 
Un terzo interrogativo riguarda il carattere di rottura o meno che essa avrebbe: la 
globalizzazione come evento storico si pone su un piano di discontinuità o al contrario 
8 
Marramao ricorda come anche per David Harvey la linea di frattura tra la Modernità e l’era globale 
corra proprio lungo l’idea di una «compressione spazio-temporale» (D. Harvey, The Condition of 
Postmodernity, Basil Blackwell, Oxford, 1989, in G. Marramao, Passaggio a Occidente cit., p. 36). 
9
 Si consulti innanzitutto il sito internet http://www.sociology.emory.edu/globalization/debates.html, 
curato da Frank Lechner, ottimo viatico per un ingresso ragionato nei dibattiti sulla globalizzazione; si 
veda poi F.J. Lechner, J. Boli (a cura di) The Globalization Reader cit., in particolare l’Introduzione; 
Danilo Zolo mette la nozione di globalizzazione al vaglio di una puntuale analisi concettuale e 
chiarificazione teorica in Id., Globalizzazione cit. (piuttosto suggestivo il cap. I, “Definire la 
globalizzazione”); David Held e Anthony McGrew, insieme con David Goldblatt e Jonathan Perraton 
curano un ottimo sito “The Global Transformations Website”, consultabile all’indirizzo 
http://www.polity.co.uk/global/default.asp; si veda anche di Held e McGrew, The Great Globalization 
Debate. An Introduction, in Idd. (a cura di), The Global Transformations Reader, Cambridge, Polity 
Press, 2000, senza dimenticare il loro Globalization/Anti-Globalization, cit.; A. Caillè e A. Salsano (a 
cura di), Quale «altra mondializzazione»?, Bollati Boringhieri, Torino, 2004, in particolar modo la 
Presentazione, ad opera dei due curatori, pp. VII-XXIII e il “Questionario sull’«altra mondializzazione»”, 
in ivi, pp. 21-22. Si segnala infine un articolo introduttivo al tema della globalizzazione scritto da 
Massimiliano Panarari: “Globalizzazione”, 21 Mar 2007, consultabile all’indirizzo 
http://www.resetdoc.org/IT/Globalizzazione.php. 
11 
di continuità rispetto alle tendenze del passato? Dove affonda le sue radici? Dove sta la 
«novità» del fenomeno? 
Un quarto dibattito, che interessa da vicino Latouche, pertiene alle conseguenze 
culturali della mondializzazione: questa produce uniformazione o differenziazione? 
Sfocia inesorabilmente in un’omogeneizzazione dei modi di vita, oppure offre le 
condizioni per il fiorire di una diversificazione culturale? 
Un quinto filone di discussione inerisce al giudizio su di essa: preso atto della natura del 
fenomeno, se ne trae un bilancio assiologico positivo o negativo? E soprattutto: rispetto 
a quali scale di valore? 
Infine, gli intellettuali contemporanei sono chiamati ad uno sforzo propositivo, e ad 
individuare quale politica la globalizzazione richieda: in virtù della descrizione e del 
giudizio maturati sulla mondializzazione, quali risposte offrire alle sfide che essa 
lancia? 
Nella ricostruzione critica della tessera che Latouche aggiunge al mosaico del 
dibattito sulla globalizzazione si andrà a far notare il taglio originale che il Francese 
propone: l’uniformazione rispetto ad un modello culturale non sarebbe soltanto una 
«conseguenza» della globalizzazione, ma ne costituirebbe anzi la natura più profonda. 
La riflessione sulle caratteristiche del fenomeno, sulle sue ricadute, sulle correzioni ad 
esso apportabili – ovvero gli altri punti della discussione – viene ancorata da Latouche a 
questa intuizione teorica di fondo, attorno alla quale, concentricamente, si dispongono 
le considerazioni sulla modernizzazione. È dunque questo nocciolo duro che occorrerà 
andare ad incidere. 
Tuttavia, prima di immergersi nella critica del modello filosofico vero e proprio, è 
necessario affrontare una questione che corre in un certo senso parallela rispetto ad 
esso. Un problema di metodo, piuttosto che di contenuto: si tratta di fare luce sul punto 
di vista che Serge Latouche adotta per guardare al fenomeno della globalizzazione. A 
questa analisi preliminare è dedicato il paragrafo che segue. 
12 
1.1. Uno sguardo indietro 
Quando Frank J. Lechner traccia la propria mappa concettuale per inquadrare il 
dibattito sulla globalizzazione, indica come controversia essenziale quella sul carattere 
10
«Hard» oppure «Soft» della «Spiegazione» del fenomeno: semplicemente, la 
mondializzazione può essere studiata da prospettive epistemiche differenti. Se si 
11
conviene con Zolo che essa è il “paradigma della situazione umana contemporanea”, 
allora è evidente che discipline scientifiche diverse ne andranno a declinare 
diversamente l’analisi. In realtà, è ben chiaro che non ci si trova di fronte a posizioni 
alternative: i diversi punti di vista non si escludono a vicenda, ma sono piuttosto 
complementari, e concorrono congiuntamente a cogliere la globalizzazione nella 
pluralità delle sue sfaccettature. Si avranno dunque «più mondializzazioni», perché 
12
molteplici sono le angolazioni da cui si può guardare ad essa. 
Lo spettro delle posizioni possibili, stando alla distinzione di Frank Lechner, va dal 
versante hard della comunità intellettuale, attento alle dinamiche più specificamente 
politiche, giuridiche ed economiche della globalizzazione, ad un versante soft, che 
focalizza la sua analisi sui flussi globali di immagini e modelli di vita e sui meccanismi 
più specificamente culturali della mondializzazione. I nomi acrivibili ai due gruppi sono 
naturalmente infiniti. 
Per il primo si può fare riferimento alla prospettiva squisitamente politica di Samir 
13
Amin, di Luigi Bonanate, o dello stesso Danilo Zolo. Più numerosi ancora, rimanendo 
sul versante hard, sono gli studi di carattere economico, e in particolare 
14
macroeconomico. È sufficiente sfogliare un’antologia per farsi un’idea di quanto sia 
10
 Si veda il già citato sito internet: http://www.sociology.emory.edu/globalization/debates.html 
11
 D. Zolo, Globalizzazione cit., p. VII. 
12
 Marco Revelli distingue ad esempio almeno tre diverse possibili accezioni del termine: globalizzazione 
«geografica», che chiama in causa il rapporto con lo spazio, globalizzazione «culturale», globalizzazione 
«economica» (M. Revelli, “La globalizzazione. Definizioni e conseguenze”, in Teoria politica, XVIII, n. 
3, 2002, pp. 45-62). 
13
 S. Amin, “La strategia del pugno invisibile”, in G. de Martino (a cura di), Antologia del dissenso. 
Orizzonti politici e culturali del movimento antiglobalizzazione, Edizioni Intra Moenia, Napoli, 2001, pp. 
313-318; L. Bonanate, La politica internazionale tra terrorismo e guerra, Laterza, Roma-Bari, 2004; D. 
Zolo, La globalizzazione cit. (segnatamente il cap. VI, attento al profilo giuridico della globalizzazione). 
14
 Ovvero lo studio degli effetti che la globalizzazione degli attori economici esercita sia sulla produzione 
di benessere in senso assoluto, sia sulla distribuzione dei redditi, con particolare riferimento al rapporto 
con il contesto istituzionale politico-economico. Le aree di interesse includono la demolizione dello stato 
sociale, la disoccupazione e il lavoro precario come conseguenze della deregolamentazione del mondo del 
lavoro, la mercificazione della natura, lo squilibrio di potere nel rapporto commerciale con i paesi del 
Terzo mondo, il debito Nord-Sud, la critica degli organismi internazionali (WTO, FMI, Banca mondiale). 
Cfr. G. de Martino, Antologia del dissenso cit., pp. 380-381, e poi p. 636 e p. 649. 
13 
15
ampio il ventaglio delle possibili posizioni tra gli economisti: si va dall’apologia del 
liberismo di Milton Friedman e di Francis Fukuyama, alle numerosissime – ed 
eterogenee – critiche al sistema neoliberista di Susan George, Joseph Stiglitz, Amartya 
Sen, Noam Chomsky, Ignatio Ramonet, Antonio Negri, James O’Connor, Luciano 
16
Gallino, per arrivare al filone neomarxista del «sistema-mondo» wallersteiniano. 
Sul versante opposto – il versante soft della riflessione sulla globalizzazione – ci si 
soffermerà più diffusamente nel corso della tesi. Anche questo gruppo conta 
ovviamente un’infinità di voci; basti qui menzionare i nomi di alcuni esponenti 
17
autorevoli: Roland Robertson, Arjun Appadurai, Ulf Hannerz, Clifford Geertz. 
15
 F.J., Lechner, J. Boli (a cura di) The Globalization Reader cit.; G. de Martino, Antologia del dissenso 
cit.; D. Kellner, “Theorizing Globalization”, in Sociological Theory, vol. 20, n. 3 (Nov. 2002), pp. 285-
305; D. Zolo, Globalizzazione cit. Numerosi ed interessanti riferimenti bibliografici sulla dimensione 
politico-istituzionale ed economica della mondializzazione sono poi offerti da Anonimo, “Informazioni 
bibliografiche”, in S. Latouche, La Planète uniforme, Climats, Castelnau-le-Lez, 2000 (edizione it. Il 
pianeta uniforme. Significato, portata e limiti dell’occidentalizzazione del mondo, Paravia, Torino, 1997, 
pp. 133-134). 
16
 Si vedano ad esempio alcuni interventi raccolti da G. de Martino nell’Antologia del dissenso cit.: S. 
George, “La globalizzazione: i suoi padroni, le sue vittime”, pp. 187-200; N. Chomsky, “La passione per 
il «libero mercato» e l’assalto alle risorse mondiali”, pp. 285-304; I. Ramonet, “I regimi globalitari”, pp. 
301-304; A. Negri, “L’«Impero», stadio supremo dell’imperialismo”, pp. 305-312; S. Amin, “La 
mondializzazione-finanziarizzazione del capitale e il lavoro su scala mondiale”, pp. 407-418: J. 
O’Connor, “Seattle, gli Usa e la sinistra rosso-verde”, pp. 619-633. Si legga ancora L. Gallino, 
Globalizzazione e disuguaglianze, Laterza, Roma-Bari, 2000; A. Sen, “How to Judge Globalism”, in The 
American Prospectus, 13, 1 gennaio 2002, ora in Lechner F.J., Boli, J. (a cura di) The Globalization 
Reader, cit., pp. 16-21; J. Stiglitz, “Globalism’s Discontents”, in The American Prospect, 13, 1 January 1-
14, 2002, ora in Lechner F.J., Boli, J. (a cura di) The Globalization Reader, cit., pp. 200-207. Sul sistema 
mondo e in merito alla scelta di un vertice ottico squisitamente economico si legga I. Wallerstein, 
“Culture as the Ideological Battleground of the Modern World-System”, in Theory, Culture and Society, 
vol. 7, n. 2-3, 1990, pp. 31-56, ora in Mike Featherstone (a cura di), Global Culture, Nationalism, 
Globalization and Modernity, SAGE, London, 1990, trad. it. “La cultura come terreno di scontro 
ideologico del sistema-mondo moderno”, in Cultura globale. Nazionalismo, globalizzazione e Modernità, 
Edizioni SEAM, Roma, 1996, pp. 93-119; si vedano altresì le obbiezioni mosse a Wallerstein da R. 
Boyne, “Cultura e sistema mondo”, in Mike Featherstone (a cura di), Cultura globale cit., pp. 121-127, 
che rimarca proprio la scarsa attenzione da parte del teorico del sistema-mondo per l’autonomia della 
cultura e ne critica la concezione meramente derivativa; infine le repliche di I. Wallerstein, “La cultura è 
il sistema-mondo: una replica a Roy Boyne”, in Mike Featherstone (a cura di), Cultura globale cit., pp. 
129-132, e di A. Bergesen, “Capovolgendo la teoria del sistema-mondo”, in Mike Featherstone (a cura 
di), Cultura globale cit., pp. 133-148; si veda poi “Modern History Sourcebook: Summary of Wallerstein 
on World System Theory” in http://www.fordham.edu/halsall/mod/wallerstein.html; per una panoramica 
sulla teoria del sistema-mondo e dei suoi limiti: P. Worsley, “Models of the Modern World-System”, in 
Theory, Culture and Society, vol. 7, n. 2-3, 1990, pp. 83-96, ora in Mike Featherstone (a cura di), Global 
Culture cit., trad. it. “Modelli del sistema-mondo moderno”, in Cultura globale cit., pp. 149-162. Si 
segnala inoltre E. Dal Bosco “È possibile un altro mondo economico?”, in Alain Caillé e Alfredo Salsano 
(a cura di), Quale «altra mondializzazione»? cit., pp. 149-164; S. Dalmazzone, “Il Wto e il buon uso del 
mercato”, in Dossier, n. 10, L’Indice, Marzo 2003. 
17
 R. Robertson, Globalization. Social Theory and Global Culture, SAGE, London, 1992 (trad. it. 
Globalizzazione. Teoria sociale e cultura globale, Asterios Editore, Trieste, 1999); A. Appadurai, 
Modernity at Large. Cultural Dimensions of Globalization, University of Minnesota Press, Minneapolis-
London, 1996 (trad. it. Modernità in polvere. Dimensioni culturali della globalizzazione, Meltemi, Roma, 
2001); U. Hannerz, Cultural Complexity. Studies in the Social Organization of Meaning, Columbia 
University Press, New York, 1992 (trad. it. La complessità culturale. L’organizzazione sociale del 
significato, Il Mulino, Bologna, 1998); C. Geertz, Mondo globale, mondi locali. Cultura e politica alla 
fine del ventesimo secolo, Il Mulino, Bologna, 1999. 
14 
1.2. La prospettiva di Serge Latouche 
Il punto di vista da cui Serge Latouche guarda alla globalizzazione è sicuramente 
quello di uno studioso eclettico, che osserva il fenomeno da più angolazioni. L’impianto 
ermeneutico di cui il Francese si serve per lo studio della mondializzazione 
contemporanea è il risultato di una transizione, iniziata nel corso degli anni Settanta, 
con cui l’autore abbandona un approccio «hard» alle contraddizioni delle dinamiche 
globali e si sposta verso una prospettiva «soft». Latouche mette la propria formazione 
intellettuale di economista e le proprie idee di stampo marxista-leninista al vaglio di una 
serrata (auto)critica, condotta sia con gli strumenti offerti dall’economia stessa, sia – qui 
sta il punto più interessante – con quelli della psicanalisi, dell’epistemologia, e, in anni 
più recenti, dell’antropologia, della filosofia, dell’etnologia, della sociologia, della 
storia economica, dell’ecologia. Una digressione sulle opere meno recenti e meno note 
dello studioso offre alcuni elementi per comprendere questa evoluzione nel pensiero del 
Francese. 
Volendo suggerire un filo logico del percorso intellettuale che Serge Latouche 
sviluppa dalla fine degli anni Settanta alla fine degli anni Ottanta, non sarebbe scorretto 
dire che si tratta nel complesso di un’unica ed articolata opera di critica rivolta a 
quell’interpretazione economica delle dinamiche di sviluppo e sottosviluppo, improntata 
al terzomondismo marxista-leninista, che ne aveva pesantemente condizionato i primi 
scritti. Tra questi, è emblematica la tesi di dottorato del Francese: ne La Paupérisation à 
l'échelle mondiale traspone su scala mondiale la tesi di Marx sulla pauperizzazione 
18
assoluta o relativa dei lavoratori, e alla luce di questa spiega le cause del sottosviluppo. 
Il clima intellettuale della fine degli anni Sessanta segna però in profondità Serge 
Latouche, minando quelle ortodossie che ne avevano guidato le opere giovanili: 
Occorre dire che, tra il sostenimento della tesi (1966) e la mia prima opera sul Terzo Mondo, 
Critique de l’impérialisme (1979), ho compiuto una sorta di ritiro filosofico, favorito dagli 
avvenimenti francesi del Maggio ’68. L’effervescenza intellettuale dell’epoca incitava ad 
18
 S. Latouche, La Paupérisation à l'échelle mondiale, Tesi di Dottorato in Scienze Economiche, 
Dattilografata, Parigi, 1966. Non è stato possibile prendere direttamente visione del lavoro: ci si limita 
alle informazioni che ne dà lo stesso autore nella prefazione all’edizione italiana di Faut-il refuser le 
développement? Déculturation et sous-développement, Presses Universitaires de France, Paris, 1986 
(trad. it. I profeti sconfessati. Lo sviluppo e la decolturazione, La Meridiana, Bari, 1995). 
15 
operare delle rimesse in discussione radicali e delle contestazioni anarco-gauchiste. I dogmi più 
19
solidi, quand’anche rivoluzionari, ne sono usciti scossi. 
Il Francese intraprende un cammino di autocritica che percorre un doppio sentiero: da 
una parte un esame – condotto con strumenti economici – della spiegazione marxista-
leninista del sottosviluppo; dall’altra una ricerca epistemologica sulla scienza 
economica nel suo complesso. 
La prima linea di riflessione critica seguita da Latouche si appunta sul terzomondismo 
di matrice marxista-leninista. Se ancora nel 1975 il Francese pubblica un’opera, di 
importanza secondaria, che si rifà ai principali costrutti teorici economici del marxismo, 
comparandoli a quelli neoclassici – in merito al concetto di «valore» (e 
conseguentemente di prezzo), di riproduzione del capitale, e in rapporto alle dinamiche 
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economiche a lungo termine – la fiducia nella tenuta dei postulati marxisti-leninisti 
sfuma rapidamente negli anni che seguono, per approdare ad una critica radicale, 
21
compiutamente esposta, nel 1979, nel testo Critique de l’imperialisme: 
La convinzione che il marxismo fosse l’apparato scientifico adeguato per dar conto della realtà 
positiva dell’imperialismo si è spenta progressivamente. Questa disillusione fu il risultato di tre 
fattori: innanzitutto, lo spettacolo sconsolante di ciò che accade nelle parti del mondo che hanno 
fatto del marxismo una istituzione, in seconda battuta, la presa di coscienza del fatto che il 
marxismo costituisce ovunque uno strumento di terrorismo intellettuale, in terza battuta, una 
22
riflessione sullo statuto epistemologico della conoscenza della realtà sociale. 
In Critique de l’imperialisme la riflessione rimane però tutto sommato «interna» alla 
disciplina economica, gli strumenti concettuali sono mutuati dalle discipline 
economiche stesse: è l’assenza di riscontri empirici a sostegno delle ipotesi economiche 
su cui avrebbe dovuto poggiare la teoria marxista-leninista sul sottosviluppo (caduta 
tendenziale del saggio di profitto, caduta del saggio di accumulazione, esistenza di un 
19
 S. Latouche, I profeti sconfessati cit., p. 15. 
20
 S. Latouche, Le projet marxiste. Analyse économique et materialisme historique, PUF, Paris, 1975. 
21
 S. Latouche, Critique de l’impérialisme. Une approche marxiste non léniniste des problemes 
théoriques du sous-développement, Édition Anthropos, Paris, 1979 (2ª ed., 1984). Si vedano anche le note 
autobiografiche in S. Latouche, I profeti sconfessati cit., pp. 16-17). L’opportunità dell’abbandono delle 
categorie politico-economiche leniniste è ribadita in S. Latouche, S. Tamba, “Vers quel désordre 
mondial?”, in L’homme et la société, n. 105-106, juillet-décembre, 1992, pp. 3-4. 
22
 S. Latouche, “Avant-propos” di Critique de l’impérialisme cit., p. 7, trad. di chi scrive. 
16 
eccedenza di capitale nei paesi sviluppati…) a motivare l’abbandono della “mitologia 
23
leninista dell’imperialismo”. 
Parallelamente alla critica «interna», «economica» del leninismo, Latouche imbastisce 
una riflessione, più ampia e complessa della precedente, attorno alle fondamenta stesse 
del paradigma economico. A partire dai primi anni Settanta, intraprende un lungo lavoro 
di ripensamento dello statuto della scienza economica stessa, che lo porta ad abbracciare 
una prospettiva inizialmente epistemologica e psicanalitica, quindi filosofica, 
24
antropologica, sociologica, storica, etnologica. 
Nel 1973 Serge Latouche inaugura questo suo nuovo approccio critico alla scienza 
economica con la pubblicazione di Épistemologie et économie. Essais sur une 
25
anthropologie sociale freudo-marxiste, un testo impegnativo, che esplora il rapporto 
della conoscenza con il reale, e più specificamente i presupposti epistemologici della 
scienza economica. La metodologia adottata nel libro coniuga, sulla scia delle suggestioni 
francofortesi, il materialismo dialettico e storico con la scoperta delle risorse offerte dalla 
psicanalisi. Épistemologie et économie si appunta su uno studio del soggetto 
antropologico dell’economia politica – l’homo œconomicus – e indaga le motivazioni 
profonde sottese al suo agire; la critica latouchiana invita ad una problematizzazione 
della razionalità economica, che osi andare al di là del contenuto manifesto dell’agire 
economico, e si addentri nella sua realtà latente: 
Gli atti economici non sono soltanto atti coscienti fatti da soggetti coscienti che vogliono la 
storia che fanno, sono atti fatti da uomini il cui essere non padroneggia che una parte delle 
pulsioni e che non fanno la storia che vogliono. […] La psicanalisi, come scienza del 
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subconscio, permette di vedere meglio il simbolico dei diversi aspetti dell’economicità. 
Sulla scorta di Sandor Ferenczi, Karl Abraham, Wilhelm Reich, Erich Fromm e 
naturalmente dello stesso Sigmund Freud, Latouche sostiene che l’economia 
23
 Cfr. anche le annotazioni in merito all’opera offerte dallo stesso Latouche nella Prefazione all’edizione 
italiana de I profeti sconfessati (S. Latouche, Faut-il refuser le développement? Déculturation et sous-
développement, Presses Universitaires de France, Paris, 1986 (trad. it. I profeti sconfessati. Lo sviluppo e 
la decolturazione, La Meridiana, Bari, 1995)). 
24
 Nel senso di un’«antropologia della Modernità» in quanto studio comparato dei sistemi di idee e di 
valore caratteristici delle società moderne. L’espressione è di Louis Dumont, Essais sur l’individualisme. 
Une perspective anthropologique sur l’idéologie moderne, Éditions du Seuil, Paris, 1983 (trad. it. Saggi 
sull’individualismo. Una prospettiva antropologica sull’ideologia moderna, Adelphi, Milano, 1993, p. 
23). 
25
 S. Latouche, Épistemologie et économie. Essais sur une anthropologie sociale freudo-marxiste, Édition 
Anthropos, Paris, 1973. 
26
 Ivi, p. 86, trad. di chi scrive. 
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