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Introduzione 
 
 
Come scriveva Gilles Deleuze il compito della filosofia è quello di “creare 
concetti” per cercare di decodificare la realtà, o meglio dare un'interpretazione di 
essa. Tale interpretazione assume, poi, i caratteri di una “conduzione di vita” per 
l'uomo (ma anche più in generale per “comunità di uomini”) che abbraccia un 
determinato tipo di pensiero. Aristotele sosteneva nel IV secolo a.C. che la 
filosofia sia la cosiddetta “scienza prima”, ossia la disciplina che studia l'oggetto 
comune a tutte e i princìpi comuni a tutti. È poi noto che nel corso della storia del 
pensiero le “singole discipline” si sono distaccate dalla “madre di tutte le scienze” 
per poi assumere la forma di “discipline autonome”.           
Anche la disciplina delle Relazioni Internazionali (RI), a sua volta interna alla più 
ampia disciplina della Scienza Politica, si è servita della filosofia, cioè dei vari 
approcci alla realtà nate in seno a quest'ultima, per poter gettare uno sguardo sulla 
politica mondiale ed interpretarla. Esiste un “approccio” marxista, uno liberale, e 
così via, delle Relazioni Internazionali. Ed esiste, ovviamente, anche 
un'interpretazione postmoderna dei fatti inerenti lo scacchiere internazionale.  
Scopo di questa tesi è, appunto, analizzare l'approccio al pensiero postmoderno da 
parte degli studiosi delle RI, o meglio ancora l'approccio postmoderno alle RI. È 
d'obbligo, quindi, un excursus che parta dalla “nascita” del pensiero postmoderno 
all'interno della specifica disciplina della filosofia; nascita che è segnata 
ovviamente da “tappe”. Tale excursus sarà effettuato nel primo capitolo che per 
ovvie ragioni di utilizzo del duro strumento della sintesi non sarà affrontato in 
maniera totalmente esaustiva (in quanto tale excursus potrebbe benissimo essere
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unico argomento di una ipotetica tesi). 
Anche il pensiero postmoderno è il “risultato” di una sorta di evoluzione (anche se 
i postmoderni preferirebbero parlare di “cambiamento”) del pensiero: ogni tipo di 
sistema di pensiero  racchiude a sua volta una diversa ridefinizione del concetto di 
“filosofia”. Come scriveva Richard Rorty, la filosofia è intrinsecamente legata ai 
mutamenti sociali e culturali, e viceversa. Ciò che in tale tesi si intende dimostrare 
è che il movimento postmoderno, oltre che comprendere pensatori di per se 
eterogenei, è nato con la commistione di vari linguaggi e pensieri a partire dalla 
filosofia strutturalista di fine ottocento.                                                                
Il secondo capitolo tratterà specificamente del pensiero postmoderno cercando di 
spiegarne i connotati fondamentali con tutte le difficoltà derivanti dalla non 
univocità di tale concetto. Difficoltà che derivano prima di tutto dall'assenza di 
una definizione vera e propria in quanto il movimento postmoderno fugge da 
qualsiasi “categorizzazione”. E difficoltà provocate dal forte legame del pensiero 
postmoderno alle varie complicazioni del mondo contemporaneo derivanti dal 
progresso tecnologico e soprattutto dall'avvento delle tecnologie informatiche e 
multimediali (argomento, quest'ultimo, cui si è ampiamente occupato il maggior 
rappresentante italiano del filone postmoderno: Gianni Vattimo). 
In seguito si passerà alla trattazione della “giovane” disciplina delle RI cercando 
di darne un quadro generale e ripercorrendo in egual modo le varie tappe 
evolutive della disciplina. Infine l'ultimo capitolo si soffermerà sull'analisi dei 
testi di due studiosi di International Politics che, anche se in maniera del tutto 
differente, hanno deciso di utilizzare un approccio postmoderno per spiegare le 
“issues” contemporanee. Il primo approccio preso in considerazione è quello del 
politologo  inglese Robert Cooper con il suo The Post-Modern State and World 
Order, divenuta ormai un'opera di riferimento all'interno degli studi
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internazionalistici. Il secondo approccio, invece, è quello dell'esponente principale 
della scuola postmoderna delle RI che però si pone in completa antitesi alla 
mainstream delle RI, rappresentando il suo “opposto speculare”: Richard K. 
Ashley del quale si analizzerà il suo articolo Untying the Sovereign State: A 
Double Reading of te Anarchy Problematique. 
Il postmoderno è un movimento poliedrico e apparentemente contraddittorio: la 
particella post denota infatti un qualche riferimento ad una dimensione temporale, 
nonostante il postmoderno contesti la storicità intesa come “successione”. 
Probabilmente uno dei modi per intendere l'eclettismo postmoderno è quello 
basato sul suo tentativo di cercare di pervenire ad una diversa forma della 
temporalità, diversa da quella del pensiero logico-lineare e molto più simile 
all'eterno ritorno dell'uguale nietzscheno. 
Fra le tante espressioni che sono state usate per definire la condizione di 
postmodernità, una delle più efficaci sembra essere quella di villaggio globale che 
sembra comprendere in sé le due tensioni tipiche di tale movimento: e cioè il 
difficile equilibrio tra il progressivo aumento di rapporti interumani (ed 
economici) e una politica che non accantoni la differenza.  
Il postmoderno oltre che essere una riflessione sulla società e la cultura 
contemporanea è anche il tentativo di definire una nuova razionalità, differente da 
quella cartesiana, e che cerchi di riprendere il legame della filosofia kantiana con 
la finitudine: una razionalità non monolitica ma plurale.
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Dallo strutturalismo al postmoderno 
 
 
 
 
La genesi del concetto di postmoderno è tutt'oggi dibattuto tra gli studiosi. Non è 
nemmeno chiaro il rapporto che il postmoderno e conseguentemente le molteplici 
idee ed intuizioni che porta con sé, abbia con l'epoca moderna. Esso infatti non 
vuole essere considerato né come un'opposizione alla modernità né come suo 
superamento: pretese simili, tipiche dei cosiddetti metaracconti e della 
progettualità moderna, permetterebbero un'interpretazione del postmoderno 
principalmente in termini epocali. 
Il termine in questione è, appunto, di difficile definizione proprio a causa della 
polisemia e problematicità concettuale che si porta dietro. Non a caso Umberto 
Eco scriveva «[...] Credo tuttavia che il postmoderno non sia una tendenza 
circoscrivibile cronologicamente, ma una categoria spirituale, o meglio un 
Kunstwollen, un modo di operare»
1
. Un punto su cui tutti  concordano è proprio 
questo, che il postmoderno vada inteso non solo come tendenza temporalmente 
definita ma anche come tendenza ideale, una sorta di “sentire comune” che ha 
investito vari campi del sapere i quali ad un certo punto hanno sentito una forte 
esigenza di cambiamento nei confronti del mondo. Questo spiegherebbe un 
ipotetico rapporto di consequenzialità (sia concettuale che evolutivo) tra correnti 
di pensiero contemporanee in apparente rottura tra loro (come quella fra 
strutturalismo e poststrutturalismo). 
Altri autori, come Michael Hardt e Antonio Negri, nel loro saggio Impero, si 
soffermano sull'aspetto economico del concetto in questione e scrivono: «[...] i 
teorici postcolonialisti e postmodernisti concepiscono un solo obiettivo: la critica 
                                                 
1. 1 Umberto Eco, Postille a Il nome della rosa, Milano, Gruppo Editoriale Fabbri, 1980, p.529
7 
 
delle forme di potere del passato e la liberazione dalla loro persistenza nel 
presente. I postmodernisti ritornano continuamente al tema della perdurante 
influenza dell'Illuminismo inteso come origine di tutte le forme di dominazione 
nella modernità»
2
. La quale forma di antitesi rispetto al “Progetto Illuministico” è 
solo una delle tante peculiarità del pensiero postmoderno. 
Come già detto la stessa genesi del termine è incerta: l'uso di “postmoderno” si è 
diffuso a partire dagli anni sessanta del secolo scorso all'interno di varie discipline 
e campi culturali (filosofia, architettura, arte, musica, letteratura). Michael Köhler 
sostiene che il termine sia apparso per la prima volta nel 1934, 
contemporaneamente nel saggio Antologìa de la Poesia Espaňola 
Hispanoamericana di Federico de Onìs in cui è usato per indicare un movimento 
di contrapposizione al modernismo letterario dell'America Latina, e nel saggio di 
Arnold Toynbee in A Study of History, intendendo in questo caso il principio di 
interdipendenza economica fra gli Stati di fine Ottocento
3
. 
Al contrario Adalberto Vallega ritiene che in principio il termine «sarebbe apparso 
verso la fine dell'Ottocento per indicare correnti d'avanguardia nel campo delle arti 
figurative»
4
; nello specifico fu usato da John Watkins Chapman, il quale “aveva 
parlato di uno stile di pittura postmoderno per andare oltre l'impressionismo 
francese”. Il termine sarebbe stato poi ripreso nel corso degli anni fino ad 
assumere il suo significato “specifico” quando alcuni autori francesi cominciarono 
ad applicare alla critica letteraria i metodi ed i linguaggi tipici del cosiddetto 
“poststrutturalismo”. Il poststrutturalismo a sua volta era una sorta di “evoluzione” 
(ma anche superamento) dello strutturalismo. Il primo a dare luogo a succitata 
                                                 
1. 2 Michael Hardt/Antonio Negri, Impero, Milano, Bur Saggi, 2003, p.136 
1. 3 Gaetano Chiurazzi, Il postmoderno, Milano, Bruno Mondadori Editore, 2002, p. 3 e Michael Köhler, 
«Postmodernismo»: un panorama storico-concettuale, in AA. VV ., Postmoderno e letteratura. Percorsi e 
visioni della critica in America, Bompiani, Milano, 1984, pp. 109-122. citato in Mimmo Pesare, Eziologia e 
genealogia del postmodernismo filosofico: http://mondodomani.org/dialegesthai/map02.htm 
1. 4 http://www.caffeeuropa.it/attualita03/196geografia-vallega.html