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INTRODUZIONE 
 
Questo lavoro di tesi ha come oggetto di indagine due ambiti di ricerca 
ampiamente studiati in letteratura: il pregiudizio etnico e l’adozione 
internazionale.  
Da una ricerca bibliografica approfondita è emerso però come questi due ambiti 
siano sì oggetto di indagine, ma mai congiuntamente. 
Per questo motivo e l’interesse per il tema dell’adozione nato durante il corso di 
questo indirizzo di Laurea Magistrale, mi ha portato a chiedermi se coloro che 
scelgono di adottare un figlio di diversa etnia nutrano minori pregiudizi nei 
confronti di persone appartenenti a minoranze etniche.  
Molteplici le teorie che si sono occupate di comprendere l’origine del pregiudizio 
etnico e le implicazioni che ha nelle relazioni. Dovidio ha identificato tre ondate 
di studi sociali e psicologici riguardanti il pregiudizio e che riflettono diverse 
ipotesi e paradigmi  (Dovidio, 2001). 
Nel corso degli anni si è assistito ad un passaggio da una prospettiva 
individualistica, che portava a considerare il pregiudizio come un fenomeno 
psicopatologico da eliminare, ad una prospettiva secondo la quale socializzazione 
e norme sociali favorivano e sostenevano la formazione e trasmissione dei 
pregiudizi  (Dovidio, 2001). 
Più recentemente, invece, si è aperta una fase durante la quale il focus è rivolto 
alle forme moderne di pregiudizio, che sono sempre meno facilmente 
identificabili  (Pacilli, 2008). 
Per quanto riguarda il secondo ambito di indagine di questo lavoro, l’adozione, 
numerose ricerche si sono focalizzate sui compiti di sviluppo dei genitori, in 
quanto proprio nel caso dell’adozione internazionale, i genitori devono essere in 
grado di favorire l’integrazione del bambino in un contesto etnicamente e 
culturalmente diverso  (Barni, Leòn, Rosnati, & Palacios, 2008) e questo è 
possibile facilitando lo sviluppo dell’identità etnica del bambino  (Phinney, 
Horenczyk, Liebkind, & Vedder, 2001; Castle, Knight, & Watters, 2011) e
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favorendo la socializzazione culturale  (Yoon, 2001);  (Lee D. , 2005; Lee & al., 
2006), cioè valorizzando il suo paese d’origine. 
La ricerca presente in questo elaborato ha l’obiettivo di analizzare il pregiudizio 
etnico nelle coppie che hanno scelto di adottare un bambino di diversa etnia.  
A questo proposito, però, si è scelto di confrontare questo campione con un 
gruppo di controllo costituito da coppie senza figli, rendendo così possibile la 
valutazione di obiettivi più specifici, relativi : 
 alle emozioni positive e negative nei confronti dei diversi gruppi etnici; 
 al contatto intergruppo, ossia la misurazione del numero di persone di etnia 
diversa conosciute; 
 alla distanza sociale percepita nei confronti dei diversi gruppi etnici.  
Questo lavoro è articolato in tre parti: le prime due approfondiscono i due ambiti 
di indagine presi in considerazione da un punto di vista puramente teorico, mentre 
la terza presenta la ricerca, che vuole rappresentare un tentativo di integrazione di 
questi due ambiti. 
Il primo capitolo, quindi, si focalizza inizialmente sul tema del pregiudizio, 
descrivendone le principali teorie presenti in letteratura, per proseguire con la 
presentazione e definizione del pregiudizio etnico, delle principali teorie che si 
occupano di questo aspetto e degli strumenti utilizzati. Infine, l’ultima parte è 
dedicata alla descrizione delle principali strategie di riduzione del pregiudizio. 
Nel secondo capitolo, in seguito ad una breve descrizione dell’adozione in sé e ad 
un’analisi degli ultimi dati riguardanti le adozioni, ci si focalizza principalmente 
sui ruoli genitoriali, in particolar modo lo sviluppo dell’identità etnica e la 
valorizzazione della socializzazione culturale. 
Infine, nel terzo capitolo verrà presentata una ricerca esplorativa condotta 
dall’équipe di ricerca del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia 
dell’Università Cattolica di Milano, con l’intento di coniugare i due ambiti di 
ricerca descritti nei capitoli precedenti, mediante la misurazione del pregiudizio 
etnico in coppie in attesa di adozione e in coppie senza figli.
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CAPITOLO 1. IL PREGIUDIZIO 
 
1.1 Introduzione 
Il pregiudizio è un tema che oggigiorno viene studiato da molteplici punti di vista 
e numerose sono in letteratura le ricerche che si sono occupate della sua genesi ed 
evoluzione.  
Dagli anni ’60 e ’70 del Novecento, però, in seguito alle lotte per i diritti civili e 
alla condanna sociale nei confronti degli atteggiamenti pregiudiziali, si è assistito 
al declino ad una minore presenza di questa tipologia di comportamenti. Questa 
diminuzione di atteggiamenti pregiudizievoli ha portato inizialmente i ricercatori 
ad affermare la loro eliminazione dal contesto sociale. In realtà, questi 
comportamenti non sono mai spariti dal contesto sociale e culturale, ma data la 
loro condanna e sanzione, hanno assunto nuove forme, definite latenti e subdole, 
che hanno influito sui rapporti umani, anche se in maniera meno evidente, in 
quanto si tratta di comportamenti accettati dalla società.  
Essendo un costrutto composito, numerosi sono gli aspetti che si possono indagare 
in merito al pregiudizio: questo lavoro si focalizza sul pregiudizio etnico, in 
quanto il contatto tra persone con culture diverse, oggigiorno, è un fenomeno di 
importante entità a causa della presenza, all’interno della nostra cultura, di 
profonde ostilità tra i diversi popoli. Questo tema, quindi, ha ripercussioni sulla 
percezione che ognuno di noi ha di un soggetto di diversa etnia e che quindi 
influisce anche nella relazione con questo ultimo. 
All’interno di questo capitolo, quindi, dopo una panoramica generale riguardante 
le definizioni presenti in letteratura sul costrutto del pregiudizio ed un breve 
excursus sulle teorie presenti a riguardo, l’attenzione sarà maggiormente rivolta al 
pregiudizio etnico. A questo proposito, quindi, mi soffermerò sui principali 
approcci esistenti e sugli strumenti di misurazione principale, ed infine verranno 
individuate le strategie di riduzione del pregiudizio e le eventuali applicazioni 
pratiche di queste strategie nella nostra società.
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1.2 Pregiudizio : alcune definizioni 
Il pregiudizio, così come lo definisce il Grande dizionario della lingua italiana di 
Salvatore Battaglia (1996), è una “opinione precostituita, un giudizio preventivo 
affrettato o avventato privo di giustificazione razionale o emesso a prescindere da 
una conoscenza precisa e quindi tale da impedire valutazioni corrette; una 
posizione mentale assunta acriticamente, fondata su convinzioni tradizionali o 
comuni ai più, imposta dall’ambiente e dall’educazione, solitamente espressione 
di diffidenza, disposizione sfavorevole verso qualcuno, derivante da ristrettezze di 
idee, da posizioni mentali anguste e retrive che vengono a costituire oltraggio ai 
valori etici, umani e sociali” (Battaglia, 1996). 
Nella letteratura psicosociale esistono numerose definizioni del termine 
“pregiudizio”. Una delle più celebri, da cui ha avuto inizio lo studio psicosociale 
del pregiudizio, è stata proposta da Gordon Allport nel suo testo del 1954, “La 
Natura del Pregiudizio”. 
Allport all’interno di questa sua opera  pubblicò la seguente definizione: 
“Il pregiudizio etnico è un’antipatia fondata su una generalizzazione falsa e 
inflessibile. Può essere sentito internamente o espresso. Può essere diretto verso 
un gruppo nel suo complesso o verso un individuo in quanto membro di quel 
gruppo”  (Allport, 1954; ed. italiana 1973). 
La definizione di Allport è ritenuta ancora oggi valida, anche se sotto certi aspetti 
è limitata. Nel corso degli anni, infatti, si è osservato che il pregiudizio non è solo 
un sentimento di “antipatia”, ma può coinvolgere in modo più ampio giudizi, 
valutazioni ed anche emozioni e comportamenti. Inoltre, i termini “falsa ed 
inflessibile” fanno pensare ad un processo errato. 
Successivamente altri autori seguendo il percorso iniziato da Allport, hanno 
proposto nuove definizioni, ponendo sempre l’accento su caratteristiche quali la 
“scorrettezza” o l’ “inaccuratezza” del pregiudizio. Ad esempio Jones scrive: 
“Il pregiudizio è un giudizio negativo a priori dei membri di una razza o di una 
religione o 
nei confronti di chi assolve un qualunque altro ruolo sociale significativo, 
mantenuto a
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dispetto dei fatti che lo contraddicono” (Jones 1972, p. 61). 
Oppure più recentemente Worchel, Cooper e Goethals lo definiscono come: 
“Un atteggiamento negativo ingiustificato che si fonda unicamente 
sull’appartenenza del 
medesimo individuo ad un particolare gruppo” (Worchel, Cooper e Goethals, 
1988, p. 449). 
Elemento comune di queste definizioni è l’ orientamento sociale nei confronti di 
certi individui per il fatto che essi appartengono a particolari gruppi. Nel corso 
degli ultimi anni si è fatta strada l’idea che il pregiudizio, invece, sia il risultato di 
un processo assolutamente “normale”, legato al consueto funzionamento 
cognitivo e motivazionale della mente umana. 
Alla luce di questi limiti, Rupert Brown (1995), allievo di Tajfel, ha proposto una 
diversa definizione del fenomeno: 
“Il pregiudizio presuppone la presenza di almeno alcune di queste caratteristiche: 
il mantenimento di atteggiamenti sociali o credenze cognitive squalificanti, 
l’espressione di emozioni negative, o la messa in atto di comportamenti ostili o 
discriminatori nei confronti dei membri di un gruppo per la loro sola 
appartenenza ad esso”  (Brown, 1995). 
Brown attraverso questa definizione ha ampliato la definizione del pregiudizio, 
non considerandolo esclusivamente un fenomeno puramente cognitivo o 
attitudinale, ma ha voluto prestare invece attenzione alle componenti emotive e 
alle sue espressioni comportamentali. Inoltre, in secondo luogo, attraverso questa 
definizione si assume una prospettiva sociale, che permette di studiare il 
fenomeno sia come fatto fondato  nel gruppo che come  prodotto del 
comportamento individuale  (Voci & Pagotto, 2010). 
Le ragioni che vedono il pregiudizio come un evento che trae origine da processi 
di gruppo sono tre. La prima relativa al fatto che anche quando si rivolge a un 
singolo individuo ciò che conta non sono i singoli tratti di quel soggetto, ma la sua 
appartenenza ad un gruppo piuttosto che a un altro. Un secondo motivo è che esso 
rappresenta un orientamento per cui in una società un ampio numero di persone, 
connotate come ingroup, tenderà a esprimere, nei confronti di un qualsiasi
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outgroup, stereotipi negativi. Da queste ragioni deriva la terza e ultima 
osservazione. La natura del pregiudizio è fondata sulla relazione intergruppi, nella 
misura in cui il giudizio di un gruppo determina il rapporto che essi avranno con 
l’altro gruppo, ovvero con l’outgroup. 
Una seconda analisi è rivolta specificatamente all’individuo. L’attenzione di 
Brown è orientata alla stima dell’impatto di diversi fattori causali sulle percezioni, 
le valutazioni e le reazioni comportamentali espresse dai soggetti nei confronti di 
membri di altri gruppi. Tali fattori possono assumere molteplici forme e collocarsi 
a un livello individuale; è anche vero però che questi risiedono spesso nelle 
caratteristiche della situazione sociale in cui le persone si trovano a interagire 
oppure dal singolo contesto. 
Per Brown occorre distinguere, come già rimarcato da Sherif (1966) e Tajfel 
(1978), fra individui che agiscono singolarmente e individui che agiscono in 
quanto membri di gruppi rispetto alle loro appartenenze. 
I due punti di vista apparentemente sembrano inconciliabili e contradditori, ma 
pensando ad una relazione fondamentale tra individuo e comunità la prospettiva 
potrebbe cambiare. Infatti, l’agire umano non si realizza nel vuoto sociale perché 
l’azione ha sempre un effetto sul mondo esterno e allo stesso tempo il 
comportamento individuale è condizionato dall’appartenenza ad un gruppo. Si 
comprende così come le due prospettive riflettano due modi di vedere lo stesso 
oggetto. 
Per comprendere il pregiudizio, secondo Brown, si deve tenere conto delle forze 
economiche, storiche, politiche, sociopsicologiche che operano in ogni contesto; 
tutte le dimensioni hanno un ruolo importante nel regolare la relazione intergruppi  
(Mazzara, 1997). 
La definizione di Brown presenta tuttavia dei limiti. Viene definita da alcuni 
autori eterogenea, in quanto, le emozioni non sono un tipo di pregiudizio, ma un 
precursore di questo fenomeno. Inoltre, i comportamenti sembrano essere una 
conseguenza del pregiudizio. In genere, in letteratura, per descrivere i 
comportamenti “ostili o discriminatori” guidati da un giudizio negativo si utilizza