8
Troppo spesso è considerato uno strumento alternativo o meglio 
subordinato alla giurisdizione ordinaria, magari riservato a chi ha 
le risorse economiche necessarie per evitare la giustizia statale con 
le sue croniche lentezze e inefficienze, in realtà sarebbe quanto 
mai opportuno distinguere, nei rapporti tra giurisdizione e altri 
sistemi di risoluzione delle controversie giuridiche, il concetto di 
priorità della giurisdizione da quello di centralità della 
giurisdizione, quest’ultima espressione è un principio ovvio che si 
ricava dal nostro testo costituzionale (artt. 24 e 111 Costituzione) 
per cui la tutela giurisdizionale è un diritto e un’attività necessaria 
che il legislatore non può circoscrivere o tanto meno eliminare. 
Diverso invece è il primo concetto che va ad indicare uno stato 
psicologico istintivo in base al quale, in caso di diritti da tutelare, il 
ricorso alla giurisdizione è sentito come il primo ed immediato 
rimedio, ciò è un antico retaggio che oggi non si adatta ad una 
realtà che si basa sul principio di sussidiarietà, ossia si dovrebbe 
far si che il ricorso all’autorità giurisdizionale (pur sempre 
possibile e dovuto) diventi l’ultima chances al quale ricorrere 
quando le altre forme di risoluzione delle controversie, dove 
utilizzabili, falliscono.
1
 
                                                 
1
 LUISO, La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti, www.judicium.it  
 9
Volendo semplificare, pensiamo ad una controversia giuridica tra 
un soggetto X ed un soggetto Y, essi dovrebbero cercare di 
risolvere il loro contrasto con gli strumenti negoziali che 
l’ordinamento offre, qualora non sia possibile si dovrebbe tentare 
la conciliazione per mezzo di un terzo soggetto che svolgerebbe la 
funzione di un catalizzatore tra le parti; scartate tutte le ipotesi 
negoziali allora si dovrebbe come prima cosa aprire la via 
arbitrale; soltanto se il contrasto è tale da non trovare un punto di 
incontro neanche nella convenzione arbitrale, si passerà alla 
giurisdizione statale. 
La materia arbitrale è regolata nell’ultima parte del codice di 
procedura civile ed ha subito negli anni vari interventi che hanno 
portato a modifiche spesso rilevanti di cui non parlerò in questa 
sede, basti ricordare la più recente, ossia il D.lgs 2 febbraio 2006, 
n. 40 che è intervenuto su varie parti del codice di rito e che ha 
riscritto l’intero titolo dedicato appunto all’arbitrato seguendo la 
delega dell’anno precedente (legge delega 14 maggio 2005, n. 80). 
Nella tesi ho cercato di esaminare l’istituto dell’arbitrato da una 
precisa prospettiva, ossia cercando di analizzare il necessario 
rispetto del principio d’imparzialità dell’arbitro che deve permeare 
 10
ogni processo che voglia definirsi tale, pubblico o privato che sia, 
naturalmente approfondendo l’istituto che si pone a tutela 
dell’imparzialità e della terzietà del giudicante, la ricusazione. 
Il primo capitolo affronta il tema dell’imparzialità e 
dell’indipendenza degli organi giudicanti ( naturalmente con 
specifici riferimenti all’arbitro ) e della ricusazione e astensione 
nella giurisdizione statale, tale capitolo è l’unico che è diviso in 
due parti, poiché parlando di imparzialità del giudicante nel 
processo arbitrale non potevo prescindere da una pur breve analisi 
delle questioni riguardanti l’arbitrato multiparte e i tentativi di 
soluzione ai problemi sorti in materia dati dal legislatore, sia nella 
riforma del 2006 che, prima, nel 2003 in occasione della riforma 
del processo societario con il D.lgs 17 gennaio 2003, n. 5. Tale 
materia avrebbe avuto bisogno di maggior spazio e probabilmente 
di una autonoma dissertazione stante le innumerevoli voci e 
problematiche che si sollevano sul punto, in ogni modo per 
garantire all’argomento l’importanza che merita ho cercato di 
separarlo dal resto del capitolo in modo da focalizzarne 
l’importanza. 
 11
Il secondo capitolo è interamente dedicato alla totale riscrittura 
dell’art. 815 c.p.c. che si riferisce specificatamente alla ricusazione 
degli arbitri, un istituto che fino alla recente riforma richiamava gli 
articoli del codice che regolavano la materia nel processo 
ordinario. 
Nel capitolo terzo ho esaminato quella particolare figura che è 
l’arbitro – parte, un soggetto molto discusso proprio in relazione a 
ciò che comporta la sua nomina in termini di effettiva imparzialità 
ed equidistanza rispetto a tutte le parti coinvolte nel processo 
arbitrale. 
Il capitolo quarto è dedicato alla ricusazione nell’arbitrato 
internazionale, la materia potrebbe sembrare ad oggi di scarsa 
rilevanza visto che si è intervenuti abrogandola, in realtà continua 
ad alimentare una serie di discussioni e contributi da parte degli 
studiosi in materia, perciò meritava di essere descritta visto anche 
che una sua disposizione ( l’art. 836 c.p.c. ) aveva fatto tanto 
discutere e continua ad essere interessante ed attuale in materia di 
derogabilità convenzionale della ricusazione. 
Non potevo prescindere da una analisi incentrata sulla ricusazione 
nell’arbitrato libero (di cui parlo nell’ultimo capitolo) che presenta 
 12
interessanti spunti di riflessione, ma soprattutto siamo di fronte ad 
un qualcosa di unico, poiché non esiste istituto analogo fuori dal 
nostro ordinamento. 
Nella stesura del testo ho cercato dove possibile di dare conto di 
cosa accade anche all’estero, riferendomi a quei paesi che 
presentano con l’Italia maggiori collegamenti, sia economici che 
giuridici. Ritengo curioso ed importante vedere come i medesimi 
problemi vengono risolti in altre parti del globo ed inoltre è sempre 
un ottimo spunto di riflessione, per non parlare poi delle 
reciproche influenze che i vari ordinamenti esercitano tra loro, 
soprattutto oggi dove tanto si parla di globalizzazione, non a caso è 
da tempo che i comparatisti parlano di un reciproco avvicinamento 
tra i sistemi di common law e civil law. 
Mi rendo conto che durante l’analisi di varie problematiche e delle 
relative e diversificate soluzioni che la dottrina, ma anche la 
giurisprudenza ha cercato di dare, ho lasciato aperte le porte a 
soluzioni diversificate, evitando di prendere una posizione anziché 
un’altra, sia perché mi sto solo affacciando alla materia, perciò non 
possiedo i mezzi e gli strumenti che mi permettono una efficace 
analisi critica di argomenti spesso complessi, sia perché penso che 
 13
alle volte non ci sia effettivamente una linea di pensiero migliore 
rispetto ad un’altra, ma semplicemente due o più modi di 
esaminare una problematica che potano a conclusioni diversificate, 
ma tutte in qualche modo giustificabili. 
Naturalmente in alcune occasioni non si può non condividere una 
determinata linea di pensiero, quindi mi sono sbilanciato 
assumendo precise opinioni su problematiche giuridiche. 
In ogni modo credo che porsi domande o meglio non dare risposte, 
ma affrontare un problema da più punti di vista sia un ottimo modo 
di accrescere il sapere e la curiosità di chi legge.  
 
 
 14
CAPITOLO PRIMO 
IMPARZIALITA’ ED INDIPENDENZA DEGLI 
ORGANI GIUDICANTI E LA RICUSAZIONE 
 
SOMMARIO: PARTE PRIMA 1.1.1 Il concetto di imparzialità ed     
indipendenza nella Costituzione. – 1.1.2 L’imparzialità 
dell’arbitro. – 1.1.3 L’equidistanza e i nuclei di interessi 
contrapposti. – 1.1.4 L’astensione e la ricusazione nel processo 
civile. – PARTE SECONDA 1.2.1 I problemi dell’arbitrato 
multiparte. – 1.2.2 ( segue ) alcune esperienze di regolamenti 
arbitrali e i vantaggi dell’arbitrato amministrato nelle 
controversie con pluralità di parti. – 1.2.3 Tentativi di 
soluzioni: l’art. 816quater c.p.c. e l’art. 34.2 del D.lgs. 17 
gennaio 2003, n. 5. 
 
PARTE PRIMA 
 
1.1.1 Il concetto d’imparzialità ed indipendenza nella 
Costituzione 
 
E’ a tutti noto che il principio dell’indipendent and impartial 
tribunal,  sancito ( oltre che dalla nostra Costituzione ) dalle 
dichiarazioni sovranazionali dei diritti quali l’art. 6 Convenzione 
europea dei diritti dell’uomo e l’art. 14 del Patto internazionale dei 
diritti civili e politici, trovi origine in elaborazioni concettuali 
molto antiche riannodandosi poi alla dottrina della separazione dei 
 15
poteri così come enunciata da Montesquieu ( XVII secolo ) nell’ 
Espirit des lois. 
I concetti di imparzialità ed indipendenza hanno un rapporto di 
necessaria strumentalità, la seconda attiene alla posizione 
istituzionale, quindi statica, del giudice inteso come organo ed è 
funzionale a rafforzare la prima, che si riferisce invece alla 
fisionomia del giudice nei suoi rapporti con le parti e nelle 
dinamiche del processo.
2
  
Come detto il principio di indipendenza garantisce la stabilità 
stessa dell’imparzialità, tale principio è tradizionalmente diviso in 
indipendenza c.d. esterna, che cerca di tutelare il giudice dagli altri 
poteri dello stato ( in special modo dall’esecutivo ) ed interna, che 
vuol proteggere il singolo giudice dagli altri appartenenti 
all’ordine giudiziario. 
La nostra Costituzione riflette questa bipartizione attraverso la 
protezione delle due facce dell’indipendenza in differenti articoli 
del testo, pensiamo, per citarne alcuni, all’art. 101.1 Cost. ”La 
giustizia è amministrata in nome del popolo” e all’ art. 102.1 Cost. 
“La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari 
istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario”  per 
                                                 
2
 FIANDACA e DI CHIARA, Un introduzione al sistema penale, Napoli, 2003, 206 
 16
l’indipendenza esterna e all’art. 101.2 Cost. “I giudici sono 
soggetti soltanto alla legge”  per quella c.d. interna. 
L’imparzialità dell’organo giudicante è l’anima stessa del concetto 
di giudice e di certo non si può prescindere da essa, anche tale 
concetto è da secoli minuziosamente analizzato dalla dottrina: si 
parla di profilo soggettivo quando ci riferiamo alle convinzioni 
personali del singolo magistrato, che si ritengono fino a prova 
contraria in linea con l’esigenza insopprimibile di imparzialità ( 
risulterà non facile per la parte interessata fornire la prova 
contraria che spezzi la presunzione di imparzialità ); ci si riferisce 
invece al profilo oggettivo, quando si verificherà l’eventuale 
presenza nel corso del giudizio di circostanze tali da far dubitare 
dell’imparzialità del giudice, chiaramente inteso come organo 
giudicante. 
Da quest’ultimo punto di vista vedremo come rivesta importanza 
anche la semplice esistenza di circostanze tali da far solo 
sospettare la parzialità. 
Oggi la Costituzione, a seguito della modifica ad opera della L. 
cost. 23 novembre 1999, n. 2 afferma esplicitamente all’art. 111.2 
che “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in 
 17
condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale…”, 
naturalmente si tratta di consacrazione testuale di un principio 
pacificamente riconosciuto da giurisprudenza e dottrina come 
insito nello spirito della Carta costituzionale. 
Il fatto che accanto ad imparziale si sia aggiunto anche terzo ha 
creato forti discussioni sulla natura e i rapporti tra i due aggettivi 
che accompagnano la figura del giudice come organo giudicante; 
senza soffermarsi sulla lunga polemica dottrinale, possiamo 
semplicemente dire che per terzietà ci si riferisce alla collocazione 
istituzionale del giudice diversificata ed equidistanziata rispetto 
alle parti, mentre l’imparzialità si riferisce alle connotazioni 
soggettive dell’organo giudicante
3
. 
Come accennato il solo sospetto di parzialità mina la credibilità 
dell’organo, per questo il legislatore, ma anche e forse soprattutto i 
vari codici deontologici stanno molto attenti alle situazioni che 
possono solo far sospettare l’esistenza di legami poco limpidi tra le 
parti del processo e coloro che sono chiamati ad emanare il 
provvedimento finale del procedimento giurisdizionale. Come si sa 
l’animo umano non è facile da esaminare per cui l’imparzialità del 
                                                 
3
 FIANDACA e DI CHIARA, Un introduzione al sistema penale, op. ult. cit, 212 
 
 18
giudice non può che essere un’apparenza di imparzialità e tale 
apparenza non può che ricavarsi dall’assenza di circostanze le 
quali, secondo quanto comunemente accade, producano parzialità.
4
 
Vale insomma, per l’imparzialità, quanto ci insegna Platone 
riferendosi alla giustizia: “è necessario che tutti diano 
l’impressione di essere giusti, che lo siano o no, ed è pazzo chi non 
finge di essere giusto”.
5
 
 
1.1.2   L’imparzialità dell’arbitro 
 
Affrontare questo tema può talvolta lasciare un senso di disagio 
per chi si trova poi ad analizzare le disposizioni del codice di 
procedura civile da molti ritenute inidonee a svolgere il ruolo che 
dovrebbero assumere in materia, nonostante le reiterate modifiche 
anche specifiche sul tema ( ricordo sia la legge 5 gennaio 1994, n. 
25, sia il più recente intervento del 2006 a seguito della delega 
dell’anno precedente ). Probabilmente questa è la principale 
ragione per il quale le soluzioni interpretative poste in materia 
                                                 
4
 PRENDINI, Questioni in tema di ricusazione nell’arbitrato amministrato, in 
Corriere Giuridico, 2005, 848  
 
5
 PLATONE, Protagora, 322 
 19
lasciano spazio ad opinabilità, ma soprattutto sono talvolta 
sensibilmente divergenti. 
Il tema dell’imparzialità dell’arbitro è venuto alla ribalta negli 
ultimi anni, non solo per i più o meno recenti interventi legislativi, 
ma soprattutto per la grande importanza che l’arbitrato è andato a 
assumere nel nostro sistema giuridico nell’ultimo decennio e alla 
sua rimeditazione attuata anche dai summenzionati interventi del 
legislatore che lo collocano in una posizione di maggiore 
equiparazione rispetto al processo giurisdizionale. Certamente un 
peso deve essere riconosciuto alla crescente crisi della giustizia 
civile in Italia ( pensiamo alla abominevole durata dei processi ) e 
alle esigenze del commercio internazionale che trovano 
nell’arbitrato una più efficace risposta rispetto alla giustizia di un 
singolo stato. Tutto ciò ha permesso uno sviluppo sicuramente da 
apprezzare della c.d. cultura dell’arbitrato.
6
 
In ogni modo non vi è dubbio che il principio d’imparzialità del 
giudice ordinario sia da estendere anche nei confronti dell’arbitro, 
quest’ultimo svolge la stessa funzione del giudice ordinario ossia 
“giudicare una controversia”, basti pensare a quanto ha affermato 
                                                 
6
 SALVANESCHI, Sull’imparzialità dell’arbitro, in Rivista di diritto processuale, 
2004, 411 
 20
la Corte Costituzionale con la ben nota sentenza 28 novembre 
2001 n. 376, in cui ha legittimato l’arbitro rituale alla rimessione 
diretta di fronte ad essa delle questioni di legittimità costituzionale 
che possono insorgere durante il processo arbitrale, ciò 
chiaramente deriva dal fatto che il nostro giudice delle leggi ha 
considerato l’arbitro rituale come un soggetto con identiche 
funzioni giudicanti al pari del giudice ordinario, la Corte prosegue 
sostenendo che l’arbitrato rituale “costituisce un procedimento 
previsto e disciplinato dal codice di procedura civile” per la 
“risoluzione di una controversia, con le garanzie di 
contraddittorio e di imparzialità tipiche della giurisdizione civile 
ordinaria” 
Tutto ciò indica senza possibilità di equivocare che il principio di 
imparzialità è connesso alla funzione del giudicare, ciò fa si che 
l’aspettativa di qualunque soggetto che si trovi coinvolto più o 
meno direttamente nel processo arbitrale, ma volendo 
generalizzare, l’aspettativa della generalità dei soggetti è che gli 
arbitri, come i giudici, riescono ad avere una distanza o estraneità 
emotiva che dir si voglia rispetto alle parti del processo arbitrale e 
nello stesso tempo anche un non coinvolgimento economico con 
 21
gli interessi oggetto del processo. Tale imparzialità deve 
necessariamente riflettersi nella conduzione del procedimento 
nonché nell’atto finale del processo arbitrale
7
, in quanto, come 
affermato efficacemente, è  un valore etico intrinseco al compito di 
giudicare l’altrui contesa.
8
 
Il processo arbitrale per la sua natura di fondarsi sulla volontà delle 
parti, e per il fatto che nella generalità dei casi sono le parti stesse 
a nominare chi dovrà decidere in merito alla loro controversia, è 
più sottoposto al rischio che l’arbitro ( inteso come organo, anche 
eventualmente collegiale ) si trovi in una situazione di conflitto di 
interessi. 
In termini generali il conflitto di interessi è una situazione in cui 
può trovarsi il dominus nell’ambito di un rapporto fiduciario, 
infatti quando egli affida al fiduciario la gestione di un proprio 
affare, quest’ultimo dovrà agire nell’interesse esclusivo del 
dominus, se invece esso ha un interesse proprio nell’affare 
affidatogli, l’egoismo potrebbe far si che trascuri l’interesse del 
dominus compromettendo la propria lealtà.  
                                                 
7
 BALDI, Ipotesi di ricusazione e rapporto arbitri-parti, in Rivista Arbitrato, 2006, 
187 
 
8
 FAZZALARI, L’etica dell’arbitrato, in Rivista Arbitrato, 1992, 2