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CAPITOLO I 
 
Evoluzione storica del rito abbreviato 
 
SOMMARIO: 1. Il giudizio abbreviato originario. — 2. Il rito abbreviato tipico ed il rito abbreviato 
pretorile. — 3. Primi interventi avversi al rito della Corte costituzionale. — 4. Riforma del giudizio 
abbreviato e primi dubbi di legittimità costituzionale della legge 16 dicembre 1999 n. 479. 
 
1. — Tra i procedimenti speciali, il rito abbreviato costituisce l’istituto del 
tutto nuovo ed originale del riformato codice di rito del 1988 che, pur 
discostandosene significativamente, prende l’ispirazione dai modelli di 
semplificazione processuale tipici degli ordinamenti stranieri di common 
law, ossia il modello inglese e quello americano
1
. 
La particolarità di fondo di questo nuovo codice di procedura penale sta 
nella espressa volontà del legislatore, ben desumibile già dall’articolo 2 
                                                 
1
 Per quanto attiene al modello britannico si veda P. TONINI, I procedimenti semplificati, in Le nuove 
disposizioni sul processo penale, Padova, 1989, p. 106-107, dove si ricorda che il rito abbreviato è 
assimilabile al summary trial inglese ossia al rito davanti a una magistrate’court senza la partecipazione 
della giuria. In questo procedimento (esperibile normalmente per i reati minori, ma con il consenso 
dell’imputato, anche per reati più gravi) si ha una sorta di anticipazione del dibattimento all’interno 
dell’udienza preliminare entro la quale l’imputato può chiedere ed ottenere di esser giudicato solo se la 
pubblica accusa presta il suo consenso e il giudice accoglie l’istanza. La procedura segue poi il modello 
accusatorio in quanto viene rispettato il principio del contraddittorio e consentito l’esame incrociato. Per 
un confronto, invece, del nostro ordinamento con quello statunitense, si veda E. SELVAGGI, Voce 
Giudizio abbreviato in Digesto Discipline Penalistiche, Torino, 1991, vol. V, p. 513 per il quale il nostro 
rito abbreviato può essere ricollegato al bench trial, cioè il dibattimento senza giuria davanti ad un 
giudice togato, la cui celebrazione è subordinata all’assenso del prosecutor e all’approvazione del giudice. 
Questo è un procedimento più agile e rapido di quello ordinario (jury trial) caratterizzato da un 
affievolimento delle regole probatorie, dall’eliminazione della giuria e, di converso, da uno sconto della 
pena per l’imputato valutato colpevole.
4 
della legge delega del 1987
2
, di tagliare i ponti con il passato e di passare, 
da un modello inquisitorio quale quello del codice Rocco del 1930
3
, ad uno 
accusatorio caratterizzato, tra l’altro, dalla «massima semplificazione nello 
svolgimento del processo con eliminazione di ogni atto o attività non 
essenziale» (direttiva n. 1 dell’art. 2 legge delega citata), dalla «adozione 
del metodo orale» (direttiva n. 2) e dalla «partecipazione dell’accusa e 
della difesa su basi di parità in ogni stato e grado del procedimento»
4
. Le 
spinte verso il modello accusatorio, pagavano, però, lo scotto di un 
meccanismo procedimentale lungo e complesso; questo strideva con 
esigenze pragmatiche come il buon andamento e l’efficienza dell’apparato 
giustiziale ed era quindi necessario limitare “l’abuso del dibattimento” per 
evitare il collasso del sistema. Cosciente di tutto ciò, il legislatore ha 
previsto, accanto ad un archetipo procedimentale ordinario (diluito cioè 
nella sequenza indagini preliminari – udienza preliminare – dibattimento), 
moduli alternativi con palesi finalità di economia
5
. I procedimenti speciali, 
quindi, configurano meccanismi che ambiscono alla maggiore celerità 
della risposta sanzionatoria attraverso un’accentuata semplificazione delle 
forme e la sveltezza delle pronunce cosicché l’impianto penale possa 
                                                 
2
 Il riferimento è all’art. 2 legge 16 febbraio 1987 n. 81, dove si afferma che il codice, oltre ad «attuare i 
principi della Costituzione e adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia 
relative ai diritti della persona e al processo penale», ha il dovere di «attuare nel processo penale i 
caratteri del sistema accusatorio secondo i principi e criteri che seguono:…». 
3
 Questo sistema era tutto imperniato sull’antitesi tra “istruzione” (segreta e scritta) e “giudizio” 
incentrato sul dibattimento (pubblico e orale) con la netta prevalenza della prima sul secondo. 
4
 A tal riguardo G. CONSO, Compendio di procedura penale, Padova, 2006, p. XXI. 
5
 Si veda O. BRUNO, L’ammissibilità del giudizio abbreviato, Padova, 2007, p. 1, nonché G. 
LATTANZI, Giudizio abbreviato e patteggiamento, in Cass. pen., 1988, p. 2199 e F. ZACCHÉ, Il 
giudizio abbreviato, Milano, 2004, p. 2.
5 
funzionare meglio
6
. Tra questi procedimenti, il “figliol prodigo” del 
legislatore, l’istituto sul quale erano state riposte le principali speranze 
deflative, era sicuramente il rito abbreviato.  
Attraverso il giudizio abbreviato, infatti, il legislatore intendeva perseguire 
obiettivi (poi non raggiunti) dichiarati ed univoci che s’incentravano, in 
ogni modo tutti, sull’ alleggerimento del carico dibattimentale (con 
l’offerta di una cospicua riduzione di pena collegata alla rinuncia, da parte 
dell’imputato, di determinati diritti di difesa tipici del dibattimento)
7
. 
Strutturalmente, la previsione e fisionomia originaria dell’abbreviato, al 
quale nella Relazione al codice
8
 è subito dato l’appellativo di 
“patteggiamento sul rito” per contrapporlo all’istituto dell’applicazione 
della pena su richiesta delle parti (che rappresenta invece un 
patteggiamento sulla pena) e per porre l’accento sul fatto che questo 
“patteggiamento” non tocca il merito dell’imputazione in quanto l’accordo 
tra imputato e accusa concernerebbe solo il rito semplificato da seguire, 
compare per la prima volta nel Progetto di legge-delega (sfociato poi nella 
l. 16 febbraio 1987, n. 81) per una nuova codificazione processuale penale 
                                                 
6
 Sul punto O. BRUNO , op. cit., ricorda la Relazione al prog. prel. del c.p.p. ( in G. CONSO - V. 
GREVI- G. NEPPI MODONA, Il nuovo codice di procedura penale. Dalle leggi delega ai decreti 
delegati, IV, Il progetto preliminare del 1988, Padova, 1990) secondo la quale «le deviazioni che nei 
procedimenti speciali si riscontrano rispetto al modello […] ordinario tendono tutte a semplificare i 
meccanismi processuali o ad abbreviare la durata del processo mediante forme di definizione anticipata 
rispetto alle forme del giudizio dibattimentale».  
7
 In proposito, E. LUPO-G. LATTANZI, Codice di procedura penale, a cura di D. CARCANO, Milano, 
1997, libro VI, tit. I, p. 5. 
8
 In proposito Relazione al progetto preliminare, Supplemento ordinario n. 2 alla G.U. n. 250 del 24 
ottobre 1988, p. 104.
6 
licenziato dal Comitato ristretto della Commissione Giustizia della 
Camera
9
. 
L’originario intento dei riformatori, confermato dal primo testo della 
direttiva (ossia la n. 47 del testo della legge delega approvato dalla 
Commissione giustizia della Camera il 15 luglio 1982), tuttavia, da un lato, 
prevedeva l’obbligo per il legislatore delegato di individuare e 
circoscrivere i reati per i quali il procedimento poteva essere promosso 
restringendone l’ambito d’applicazione, in quanto si riteneva logico e 
doveroso escludere il rito abbreviato per i reati più gravi e, dall’altro lato, 
condizionava il meccanismo di semplificazione alla sola richiesta 
dell’imputato nonché alla constatazione, da parte del giudice dell’udienza 
preliminare, della possibilità di poter decidere allo stato degli atti e 
comunque conferendo ad esso l’eventuale potere di compiere gli atti 
assolutamente indispensabili per la decisione del merito: in sintesi si 
riconosceva il diritto dell’imputato al rito. 
Tuttavia, nelle successive vicende parlamentari che portarono 
all’approvazione della definitiva legge delega 16 febbraio 1987 n. 81, 
queste originarie idee legislative vennero meno. 
In primo luogo, al Senato cadde l’inciso della direttiva n. 47 «per categorie 
di reato determinate» e la sua eliminazione fu giustificata dall’esigenza di 
«non vincolare il legislatore delegato, lasciandolo libero di seguire i criteri 
di esclusione o di indicazione positiva, anche indipendentemente dal titolo 
                                                 
9
 Vedi direttiva n. 39 lettera h) adottata nel 1980 (divenuta poi la n. 47 lettera e) nel testo approvato dalla 
Commissione nel 1982) in G. CONSO - V. GREVI- G. NEPPI MODONA, Il nuovo codice di procedura 
penale. Dalle leggi delega ai decreti delegati, vol. II, Dal preliminare del 1978 alla legge delega del 
1987, Padova, 1989, p. 74.
7 
del reato o dalla misura edittale della pena»
10
. Sulla scia di questa 
rimozione, il legislatore delegato non sentì il bisogno di circoscrivere 
l’ambito di applicazione dell’istituto cosicché fu attribuita ad esso una 
possibilità d’utilizzazione illimitata anche ad ipotesi di reato punibili con 
l’ergastolo
11
 ai quali, data l’impossibilità di riduzione di un terzo della 
sanzione, si sostituiva la pena della reclusione di anni trenta. Sin dal primo 
momento, la dottrina sottolineò l’inopportunità di questa previsione
12
 e 
dello stesso avviso fu la Corte costituzionale che, con la sentenza n. 176 
del 23 aprile 1991, dichiarò l’illegittimità, per contrasto con la legge 
delega (art. 2 n. 53) e, quindi, con l’art. 76 Cost.
13
, dell’art. 442 comma 2 
c.p.p. «nella parte in cui prevede che possa procedersi con il giudizio 
abbreviato anche per i reati punibili con la pena dell’ergastolo e possa 
conseguentemente, in caso di condanna, sostituirsi tale pena con la 
reclusione di anni trenta»
14
. Nell’occasione, quindi, il Giudice delle leggi, 
rilevando un eccesso di delega, sottolineò che la previsione del giudizio 
abbreviato poteva riguardare solo i reati punibili con pene detentive 
                                                 
10
 Questo il pensiero dell’On. Coco, Relazione della II Commissione permanente giustizia comunicata alla 
Presidenza il 18 novembre 1986, in Il nuovo codice di procedura penale, Lavori preparatori della legge 
delega 16 febbraio 1987, n. 81, a cura della Camera dei deputati, 1988, p. 444. 
11
 Sul punto si confrontino le osservazioni di G. DI CHIARA, Considerazioni in tema di rito abbreviato, 
finalità del processo e tecniche di giudizio, in Riv. it. dir. proc. pen., 1989, p. 579. 
12
 Tra gli altri si veda S. RAMAJOLI, I procedimenti speciali nel nuovo codice di procedura penale, in 
Cass. pen.,1989, I, p. 1342 ed in particolare G. ILLUMINATI, I procedimenti a conclusione anticipata e 
speciali nel nuovo codice di procedura penale, in Pol. dir., 1990, n. 2, p. 268, il quale, interpretando le 
parole dell’On. Coco sopra citate, ritiene che il vero intento della soppressione dell’inciso “per categorie 
di reato predeterminate”, era solamente quello di consentire al legislatore di prevedere una 
differenziazione tra giudizio abbreviato e  giudizio ordinario anche sulla base di altri criteri, diversi da 
quelli determinati dal tipo di reato. 
13
 Art. 76 Costituzione: «L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al governo se non 
con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.» 
14
 Corte cost., 23 aprile 1991, n. 176, in Giur. cost., 1991, p. 1456.
8 
temporanee o pecuniarie, essendo la diminuzione di un terzo concepibile 
solo se riferita ai reati punibili con una pena quantitativamente 
determinata, cosa che escludeva in radice i reati punibili con l’ergastolo
15
. 
Questa pronuncia comportò comprensibilmente sia un vivacissimo 
dibattito in dottrina, sia dubbi di costituzionalità della nuova disciplina. In 
particolare, queste perplessità riguardavano il potere (riconosciuto 
indirettamente dalla Corte) del p.m. di incidere sulle scelte dell’imputato 
attraverso l’imputazione: in sostanza, si affermava, che le sorti 
dell’imputato erano messe in serio pericolo dal fatto che esso, accusato in 
prima battuta dal p.m. di aver commesso un reato punibile con l’ergastolo, 
successivamente fosse giudicato autore di un reato passibile di pena 
temporanea
16
. Questo ed altri allarmi dottrinali rimasero “in vita” per circa 
otto anni, fino cioè alla legge n. 479 del 1999 con la quale i riformatori 
risolvono i problemi riesumando, come vedremo, l’original intent del 
legislatore del 1988 ossia prevedendo  l’applicabilità del rito alternativo 
anche ai reati punibili con l’ergastolo. 
In secondo luogo, per quanto riguarda invece l’originaria volontà di 
condizionare l’esperibilità del rito alla sola richiesta dell’imputato e alla 
constatazione, da parte del g.u.p. di poter decidere allo stato degli atti, 
anche questa idea venne meno perché si ritenne necessario l’inserimento 
del consenso del pubblico ministero tra i presupposti del procedimento 
                                                 
15
 Si veda V. MAFFEO, Voce Giudizio abbreviato, in Enciclopedia Giuridica Treccani, volume XV, 
Roma 1989, aggiornata al 2003, p. 13. 
16
 Apprezzabili testimoni di queste “inquietudini” sono G. TRANCHINA, Giudizio abbreviato e reati 
punibili con l’ergastolo, in Foro it., 1991, vol. I, p. 2318 e P. CORVI, L’ergastolo non può più essere 
abbreviato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1991, p. 1029.
9 
speciale. Questo fu giustificato con la volontà di far prevalere la natura 
negoziale di queste forme procedimentali che si sarebbero dovute 
necessariamente fondare sull’accordo di entrambe le parti del processo 
17
. 
Lo schema tipico e definitivo
18
 del giudizio abbreviato che emergeva dai 
lavori parlamentari era quindi il seguente: richiesta da parte dell’imputato a 
che il processo sia definito nel corso dell’udienza preliminare e consenso 
del pubblico ministero
19
 (art. 438)
20
; decisione insindacabile del giudice 
che accoglie la richiesta se ritiene che il processo possa essere definito allo 
                                                 
17
 Al riguardo V. MAFFEO, Il giudizio abbreviato, Napoli, 2004, p. 54. 
18
 Si veda art. 2 direttiva 53 della l. 16 febbraio 1987 n. 81 in E. LUPO-G. LATTANZI, Codice di 
procedura penale, a cura di D. CARCANO, Milano, 1997, libro VI, tit. I, p. 4, che, delineando già la 
fisionomia del rito abbreviato, prevede: «potere del giudice di pronunciare nell’udienza preliminare anche 
sentenza di merito, se vi è richiesta dell’imputato e consenso del pubblico ministero a che il processo 
venga definito nell’udienza preliminare stessa e se il giudice ritiene di poter decidere allo stato degli atti; 
previsione che nel caso di condanna le pene previste per il reato ritenuto in sentenza siano diminuite di un 
terzo; previsione di limiti all’appellabilità della sentenza; previsione che la sentenza faccia stato nel 
giudizio civile soltanto quando la parte civile consente all’abbreviazioni del rito». 
19
 La richiesta, come testimonia G. LOZZI, Il giudizio abbreviato in Riv. it. dir. proc. pen., Milano, 
2000,p. 449, poteva avvenire in due differenti modi: prima dell’udienza preliminare, ed esattamente 
almeno cinque giorni prima di essa, con il deposito in cancelleria della richiesta stessa e del consenso del 
p.m. oppure nel corso dell’udienza con la presentazione della richiesta al giudice sino a quando non 
venivano formulate le conclusioni previste dall’art. 421 comma 3 c.p.p. (ossia quelle effettuate nel corso 
della discussione successiva agli accertamenti relativi alla costituzione delle parti) o le conclusioni 
previste dal vecchio art. 422 comma 7 c.p.p. (ossia quelle effettuate nel corso della discussione successiva 
all’assunzione delle prove ammesse ex art. 422 comma 2 vecchio testo). 
Per quanto concerne, invece, il fondamentale consenso del pubblico ministero, M. BONETTI, Il giudizio 
abbreviato, in AA. VV., I procedimenti speciali in materia penale, a cura di M. PISANI, Milano, 2003, 
p. 19, specifica che tale consenso seguiva l’andamento della richiesta dell’imputato: se questa era 
proposta anteriormente all’udienza preliminare, esso era scritto; se la richiesta era proposta 
successivamente, il consenso rivestiva la forma orale. Inoltre, in caso di richiesta scritta era onere 
dell’imputato raccogliere il benestare dell’accusa e trasmetterlo al giudice, mentre, nell’ipotesi di 
domanda verbale, si verificava una necessaria compresenza di tutti i soggetti processuali davanti al 
giudice dell’udienza preliminare, ex art. 420 c.p.p. 
20
 Il testo originario dell’articolo 438 c.p.p., in E. LUPO-G. LATTANZI, ult. op. cit., era il seguente: 
«L’imputato può chiedere, con il consenso del pubblico ministero, che il processo sia definito 
nell’udienza preliminare [420 s., 452, 458, 461, 464, 556, 557, 560, 566
8
; 247 trans.]. 
La richiesta e il consenso nell’udienza sono formulati oralmente; negli altri casi sono formulati con atto 
scritto. 
La volontà dell’imputato è espressa personalmente o a mezzo di procuratore speciale [122] e la 
sottoscrizione è autenticata nelle forme previste dall’articolo 583 comma 3».
10 
stato degli atti (art. 440) depositati dal p.m. all’esito delle indagini 
preliminari; svolgimento del giudizio nelle forme previste per l’udienza 
preliminare e pronuncia della sentenza da parte del giudice terminata la 
discussione; irrogazione di una pena in concreto diminuita di un terzo in 
caso di condanna (alla pena dell’ergastolo è sostituita quella della 
reclusione di anni trenta
21
); la decisione di merito incontra dei limiti 
all’appello
22
 (art. 443) che comunque si svolge con la procedura camerale 
disciplinata dall’art. 599 in quanto la procedura sfugge alle regole della 
pubblicità
23
. 
A mio parere, da questo quadro emergeva chiaramente che i protagonisti 
del rito abbreviato erano pubblico ministero, da una parte, e giudice 
dell’udienza preliminare, dall’altra.  
Il primo, infatti, “vincolava” lo svolgimento del processo in due modi: da 
un lato, doveva prestare il suo consenso al rito, consenso che, essendo 
espressione di esercizio dell’azione penale, è frutto di una decisione 
discrezionale non ancorata a parametri oggettivi, e perciò immotivata e 
insindacabile e, dall’altro lato, egli poteva frenare l’attuazione del giudizio 
speciale, in quanto – molto semplicemente – era proprio (ed 
esclusivamente) attraverso la sua attività investigativa, che si riusciva o no 
                                                 
21
 Questo, naturalmente, fino alla citata sentenza n. 176 del 1991 della Corte costituzionale. 
22
 In proposito E. SELVAGGI, Voce Giudizio abbreviato, cit., p. 518, ricorda che i limiti all’appello sono 
posti sia nei confronti dell’imputato sia nei confronti del p.m.: il primo non può impugnare la decisione 
con la quale sia stata irrogata una pena pecuniaria oppure una pena che comunque non deve essere 
eseguita , il secondo non può proporre appello avverso la sentenza di condanna a meno che il giudice 
abbia modificato il titolo del reato. 
23
 Così E. SELVAGGI, Voce Giudizio abbreviato, cit., p. 514 e ss.
11 
a raggiungere quella definibilità allo stato degli atti, necessaria al g.u.p. per 
poter accordare il rito alternativo
24
. 
Perciò bastava che il p.m. non compiesse le indagini con l’apertura e la 
completezza che ogni caso imporrebbe oppure, pur a fronte di indagini 
complete, esercitasse il suo potere di diniego al rito per una sua personale 
posizione processuale
25
, affinché il giudizio abbreviato rimanesse bloccato, 
restasse, per così dire, lettera morta. 
Per quanto riguarda invece il g.u.p., anch’esso poteva costituire ostacolo 
alla celebrazione del procedimento atteso che, secondo questa prima 
disciplina, poteva legittimamente ed insidacabilmente decidere di non 
procedere all’abbreviato adducendo, ad esempio, l’esigenza di superare 
situazioni d’insufficienza o contraddittorietà probatoria con la più 
completa e pregnante verifica dibattimentale (sulla scia di un naturale 
atteggiamento del giudice a non ammettere una decisione sulla base di atti 
non raccolti innanzi a lui).  
In questa situazione impari l’imputato, a mio avviso, non solo rimaneva 
per così dire alla finestra, impotente di fronte alla scelta discrezionale di un 
soggetto, il pubblico ministero
26
, che comunque lo accusava e che quindi 
era distante dai suoi interessi, ma inoltre, quasi sicuramente, non aveva 
                                                 
24
 Così V. MAFFEO, op. cit., p. 45. 
25
 Per un esempio P. CAPRIOGLIO, Il processo penale dopo la “legge Carotti”. Commento agli artt 27-
31 della l. 479 del 1999, in Dir. pen. e proc., 2000, p. 296 ss, che fa riferimento ai casi di reati commessi 
da più persone. 
26
 Infatti, l’instaurazione del rito ed, in particolare, la conquista del beneplacito dell’accusa rappresentava 
un vero onere per la parte: ciò, al contrario di quanto si verificava nel rito pretorile ove il pubblico 
ministero, impegnato promuovere esiti alternativi della procedura, ben poteva prestare il proprio consenso 
alla celebrazione del giudizio in via anticipata, facendo pervenire all’imputato anche consistenti segnali in 
merito al percorso da seguire.
12 
l’interesse sostanziale e processuale a chiedere la celebrazione del giudizio 
abbreviato, posto che difficilmente dalle indagini del p.m. sarebbe emersa 
la sua innocenza
27
. 
È chiaro che un imputato posto in queste condizioni avrebbe richiesto con 
pochissime probabilità il giudizio abbreviato, andando così a snaturare ed 
eludere la stessa natura deflativa del rito così cercata e voluta dai padri 
della riforma: non c’è quindi da stupirsi, secondo me, se, sin dalla sua 
entrata in vigore, il procedimento in esame suscitò numerose critiche ed 
interventi sia dottrinali sia giurisprudenziali, che ben presto andarono a 
minare le già barcollanti fondamenta dell’istituto. 
  
   
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                 
27
 Naturalmente e sempre a mio avviso, il discorso non vale per l’imputato effettivamente colpevole, per 
il quale la riduzione della pena di 1/3 costituiva un forte incentivo, al di là della bontà e completezza delle 
indagini condotte dal pubblico ministero.