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Introduzione
Svolgere una tesi di laurea sul mondo dell’autismo non è un compito semplice,
in quanto è necessario concentrare l’attenzione sul ruolo dell’assistente sociale
sperimentato in un determinato ambito d’intervento professionale. Una seconda
difficoltà è rappresentata dall’esiguo numero di contributi teorici dedicati al ruolo
svolto dal professionista nel campo dell’autismo. Questa dissertazione intende
dunque tentare un approfondimento sul tema, orientato all’innovazione, volto alla
creazione di nuove ipotesi che possano essere prese in considerazione per ampliare
e migliorare gli interventi offerti dai diversi servizi nei confronti delle persone
autistiche e delle loro famiglie.
Nel primo capitolo si tratterà il tema dell’autismo tentandone una definizione e
approfondendone il cambiamento nella storia. Dall’analisi di questi aspetti emerge
come tale patologia, ancora oggi nel 2016, non trovi una cura, ma possa essere per
certi aspetti controllata e gestita. Saranno delineati i sintomi che innescheranno un
meccanismo d’allerta nei genitori che notano alcune lacune nei propri figli, ma
soprattutto verranno esplicitate le difficoltà incontrate e il comportamento tenuto
dalle famiglie dopo la scoperta della diagnosi. Verranno, infine, individuate le
diverse strategie utilizzate dagli stessi per convivere con questa situazione.
Nel secondo capitolo si offrirà una panoramica di alcuni interventi d’aiuto
presenti in Italia sia per i soggetti affetti dalla sindrome dello spettro autistico che
per le loro famiglie, ma ci si concentrerà soprattutto, su un livello micro, prendendo
in esame i servizi offerti dalla Domus Laetitiae, concentrandoci sull’esperienza
della “Casa dell’Autismo”, centro specialistico nel settore autismo, una realtà
interessante da studiare in quanto considerata un punto di riferimento sul territorio
biellese. Si delineeranno, inoltre, le attività svolte dall’assistente sociale all’interno
del centro, con particolare attenzione all’attività di sviluppo dell’empowerment.
Nel terzo e ultimo capitolo si proporranno delle innovazioni in ambito
professionale, a partire dall’analisi dei questionari di gradimento, somministrati alle
famiglie ogni due anni da parte dell’Ente. Prendendo in considerazione gli
interventi di servizio sociale già attuati alla “Casa dell’Autismo” verranno
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ipotizzate possibili funzioni, attività e obiettivi che il professionista potrebbe fornire
in ambito autistico, rivoluzionando il compito svolto dallo stesso, in un settore in
cui la sua presenza risulta oggi, nella maggior parte delle strutture, soltanto minima.
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1.4 Dalla diagnosi all’accettazione
L’esperienza di ogni famiglia con l’autismo è unica, tuttavia il primo incontro
con esso presenta dei tratti comuni. La persona affetta da autismo solitamente nasce
al termine di gravidanze normali, appare fisicamente integra. È il bambino normale
e sano che i genitori hanno sempre sognato. Marcus et al. notano che i genitori
sospettano presto che il loro bambino abbia un problema di sviluppo
32
e anche Gray
(1994) suggerisce che in genere sono i genitori i primi a riconoscere i sintomi e
successivamente hanno difficoltà nel convincere del problema i nonni riluttanti.
Questi ultimi infatti spesso liquidano le preoccupazioni della coppia dicendo che
ognuno ha tempi diversi di crescita, che il bambino è magari solo meno attivo o più
difficile di altri e accusano soprattutto la madre di essere troppo apprensiva. Nello
studio di Midence e O’Neill (1999), tutti i genitori hanno riportato che il proprio
figlio aveva avuto uno sviluppo diverso da quello atteso. I primi sintomi sono sottili
e a volte confusi dentro a un percorso di sviluppo che sembra procedere
normalmente fino ai 18 mesi. Non comprendere perché il proprio figlio si comporti
in un certo modo è fonte di confusione e di disperazione, e porta alcuni genitori a
sentirsi in colpa e ad autoaccusarsi. La sensazione che qualcosa non rientri nella
norma spinge a cercare una spiegazione per il comportamento del proprio bambino.
Il percorso diagnostico dell’autismo viene visto dalle famiglie come un periodo
estremamente difficile e stressante della loro vita; in alcune testimonianze viene
utilizzato il termine “calvario”
33
I genitori vorrebbero sapere il prima possibile se
c’è qualcosa che non va, anche se i medici non sono sicuri riguardo all’esatta natura
del problema. Spesso la disabilità non viene diagnosticata durante l’infanzia e i
genitori devono continuare per anni a cercare la causa dei problemi del figlio. In
molti casi si hanno indicazioni sbagliate o diagnosi iniziali scorrette che hanno
come risultato sentimenti di confusione e disperazione. Quello della diagnosi è il
primo momento di “incontro” con la disabilità. Comunicare in modo chiaro e
31
Ibidem.
32
Marcus L, Kunce L.J. e Schopler E., “Working with families”. In D.J. Cohen e F.R. Volkmar (a
cura di), Handbook of autism and developmental disorders, New York, Wiley, 1997.
33
Hanau C. e Cerati D.M. (2003) (a cura di). Il nostro autismo quotidiano, storie di genitori e figli.
Trento: Erickson.
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graduale la diagnosi dimostra l’attenzione che viene rivolta ai genitori e al loro
vissuto. Passare dallo shock iniziale della diagnosi a cimentarsi con le implicazioni
del disturbo rappresenta una transizione critica che le famiglie affrontano nei primi
tre anni di vita del bambino. L’evento ha un effetto dirompente sugli equilibri
personali e familiari. Nella maggior parte dei casi è necessario un certo lasso di
tempo per affrontare la situazione, mettendo in funzione le proprie risorse emotive,
cognitive e organizzative. Anche risposte in cui temporaneamente prevalgono ansia
o, viceversa, la tendenza a minimizzare i problemi, possono avere valenze positive:
la prima consente di attivarsi in momenti di scoraggiamento e calo dell’energia
vitale, la seconda può favorire la graduale assunzione di informazioni e moderare
l’effetto traumatico di una notizia carica di valenze negative.
34
Midence e O’Neill
hanno effettuato, nel 1999, uno studio nel Nord del Galles, dove i genitori
riferiscono che, dopo aver ricevuto la diagnosi, l’accettazione della condizione del
bambino è di primaria importanza. Tutti i partecipanti evidenziano l’accettazione
dell’autismo come componente del bambino: i genitori considerano l’autismo come
parte della personalità del proprio figlio e affermano che non possono immaginare
il loro bambino non autistico.
35
Molti genitori lamentano di essere stati lasciati soli
di fronte alla diagnosi e sottolineano la presenza forte di un atteggiamento da parte
degli operatori (soprattutto medici) che tende a un’eccessiva rigidità all’atto della
comunicazione iniziale e nelle fasi immediatamente successive
36
Questa esperienza
di solitudine si crea soprattutto alla scoperta della disabilità: ai genitori, che di solito
non sono preparati all’evento e mancano delle conoscenze necessarie per
affrontarlo, le istituzioni non indicano chiaramente le strade possibili da percorrere.
La famiglia inizia così una ricerca faticosa degli interventi possibili. Gli studiosi
che hanno indagato sulle reazioni della famiglia di fronte ad una diagnosi di
disabilità grave hanno rilevato la presenza di alcuni comportamenti tipici. Patterson
e Garwick nel 1994, individuano l’esistenza di due fasi che le famiglie affrontano
nel rapportarsi al cosiddetto periodo di crisi determinata dalla disabilità del figlio:
34
Kearney P.M. & Griffin T. (2001), Between joy and sorrow: Being a parent of a child with
developmental disability. Journal of Advanced Nursing 34, pp.582-592.
35
Midence K. e O’Neill M. (1999), L’esperienza dei genitori nell’affrontare la diagnosi di autismo:
uno studio pilota, in “Autismo e Disturbi dello Sviluppo”, vol. 3, n° 1, Gennaio 2005, cit. p. 48.
36
Zanobini M. et al., La famiglia di fronte alla disabilità, Trento, Erickson, 2002, p.25.
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La fase di adjustment nella quale le famiglie oppongono resistenza ai
cambiamenti e cercano di rispondere alle nuove richieste con le risorse che già
posseggono;
La fase di adattamento, durante la quale le famiglie cercano di trovare un
nuovo equilibrio e nuove risorse per poter far fronte ai diversi problemi.
Ulteriori modelli, come quelli di Pascoletti del 1997 e di Cellamare del
1999, pongono diverse fasi tipiche affrontate dalle famiglie di fronte alla disabilità:
La fase della negazione: ci si rivolge al passato, sul piano emozionale
prevale la depressione mentre i fattori sociale sono caratterizzati dal restringimento
della rete sociale con la presenza di conflitti di coppia;
La fase dell’adattamento: ci si sofferma al presente, i fattori emozionali sono
contraddistinti da variazioni dell’umore e i fattori sociali sono contrassegnati da una
selezione dei rapporti con gli altri;
La fase di pianificazione: ci si orienta verso il futuro prossimo, si
manifestano pensieri, atteggiamenti e comportamenti di accettazione della disabilità
o della/e difficoltà del figlio e si attiva la ricerca di rapporti sociali più ampi;
La fase dell’attivismo, in cui prevale l’ottimismo e si verifica una decisa e
sistematica estensione dei rapporti sociali.