6
Il Piano di sviluppo per le Tecnologie Didattiche ha ottenuto un successo 
forse neanche sperato: i progetti attivati, le esperienze, i corsi 
d'aggiornamento hanno coinvolto scuole e docenti di ogni parte d'Italia, 
superando, in termini di riscontri, ogni più rosea aspettativa. 
Probabilmente prendendo spunto dagli errori commessi da altri Paesi 
(Francia, Gran Bretagna) in Italia si è evitato di dotare le scuole di 
elaboratori costosi e di hardware raffinato, senza prima preoccuparsi 
dell'elemento chiave per utilizzare in modo veramente efficace l'elaboratore 
nella didattica: il software. 
I software didattici sono programmi educativi per elaboratori elettronici, 
non necessariamente costruiti per essere utilizzati all'interno delle aule 
scolastiche. 
Molte scuole sfruttano, infatti, materiale venduto in edicola allegato a 
qualche noto settimanale, la cui qualità non ha nulla da invidiare a quella 
dei software che troviamo solo in centri specializzati. 
Ho più volte usato il termine educazione, eppure qualcuno potrebbe 
contestare il fatto che un software, un programma, possa educare. 
Il termine educazione deriva dal latino "educare". Esistono due origini e 
due significati diversi della parola: la prima, lo vede derivare da "èdere", 
che significa "alimentarsi", la seconda, da "ex-ducere", che significa "trarre 
fuori". 
Se consideriamo i due significati insieme, mettiamo in evidenza una 
dimensione fondamentale dell'educazione: quella relazionale. 
Esiste un rapporto tra due o più persone, una delle quali ha qualcosa da 
donare e l'altro da ricevere. Durante questo movimento, il secondo soggetto 
viene nutrito, cresciuto; e crescendo viene "tratto fuori" da uno stato di 
immaturità, di ignoranza. 
 7
Quando si pensa ad un rapporto del genere, è inevitabile riflettere sull'uso 
che la scuola fa delle nuove tecnologie. 
In effetti, è vero che per quanto queste possano essere affinate, moderne ed 
aggiornate, non potranno mai creare quel rapporto che sta alla base della 
crescita fisica e psichica del bambino. 
Il computer è uno strumento importante per l'istruzione: attraverso il suo 
uso si possono effettuare ricerche ed esperienze non paragonabili a quelle 
svolte con dei mezzi diversi. Attraverso Internet e la Posta Elettronica 
possiamo parlare con il resto del mondo e informarlo dei nostri lavori; 
attraverso programmi di videoscrittura possiamo elaborare giornalini 
scolastici del tutto simili a quelli degli adulti; attraverso programmi di 
disegno e grafica possiamo abbellire, come non mai, i nostri lavori, usando 
ugualmente la fantasia e la creatività. 
Il computer è uno strumento addirittura indispensabile quando all'interno 
della classe vengono inseriti soggetti con bisogni educativi speciali: grazie 
ad apparecchi hardware e software sofisticati, un soggetto non vedente può 
studiare e lavorare, un bambino senza l'uso delle mani può scrivere, un 
soggetto con disturbi dell'apprendimento riesce ad esser motivato e 
incuriosito. 
In alcuni casi (non saranno mai pochi) il computer è l'unico strumento che 
un disabile ha per comunicare con il mondo o per poter condurre uno stile 
di vita il più possibile autosufficiente. 
Ma il computer non è una persona. 
L'insegnante non deve mai dimenticare che i bambini hanno bisogno di 
qualcosa in più di un'ottima istruzione. 
Questo "di più" continuerà ad esistere finché ci saranno docenti preparati 
che sapranno sfruttare le caratteristiche dei software didattici a vantaggio 
 8
non solo della preparazione culturale, ma anche della crescita personale di 
ogni singolo alunno; ma soprattutto che sapranno rendersi conto di quando 
sia il momento per utilizzare il computer e quando, invece, sia idoneo 
utilizzare metodi più tradizionali. 
I docenti delle scuole italiane sono ormai convinti del fatto che l'utilizzo del 
computer e del software in particolare, può veramente migliorare la 
situazione scolastica di tutti i bambini, ma di quelli disabili in modo 
maggiore. 
Educare un soggetto disabile significa mettergli a disposizione non solo 
strumenti che gli consentano di superare i limiti funzionali della sua 
disabilità, ma anche creare le condizioni adatte perché possa apprendere 
con il massimo degli stimoli possibili, grazie ai quali possa rendersi conto 
di poter operare autonomamente, accrescendo il proprio livello di 
autostima. 
La produzione di software didattico per tali soggetti (ma non solo) è 
migliorata e si è ampliata in modo esponenziale negli ultimi anni. 
Si è passati da una concezione di computer come mezzo esercitativo ad una 
concezione di computer come "amplificatore delle facoltà umane", da 
utilizzarsi non solo per meri esercizi, ma per sviluppare la creatività, la 
curiosità, l'intelligenza. 
Negli ultimi tempi si parla di una patente che testimoni la competenza 
informatica. Probabilmente per essere sicuri che non vi siano situazioni in 
cui sarebbe utile l'utilizzo del software didattico ma manca la capacità di 
utilizzarlo.  
Per ora rimane facoltativa, ma non credo che ci sarà bisogno di renderla 
obbligatoria: chiunque non sarà in grado di utilizzare il computer, avrà, in 
futuro (ma già anche oggi), grossi problemi di inserimento lavorativo. 
 9
Perché, dunque, utilizzarlo? Solo perché potrà servire ai lavoratori di 
domani?  
No, il computer, o meglio, i programmi contenuti al suo interno, non 
vengono solo insegnati, ma, soprattutto, utilizzati. 
Spetta all'insegnante decidere quale scegliere, quando e perché. 
I programmi educativi sono molti e vari sia per contenuto che per obiettivi 
e metodi di insegnamento, dipende dal docente la scelta del più adatto 
all'alunno e alla situazione. 
Se penserà di non avere trovato il programma adatto alle sue esigenze, 
potrà persino cercare di costruirlo da solo: non occorre essere esperti 
programmatori, basta sapere utilizzare dei programmi specifici: dei 
software per creare software! 
Validi aiuti per l'insegnante saranno anche i sempre più numerosi cataloghi 
disponibili presso Associazioni e su siti Internet. 
Questi, sono veramente ricchi e completi; al loro interno ritroviamo delle 
schede di valutazione, piuttosto schematiche, che servono per avere un'idea 
dell'area didattica di cui si occupano; a quale fascia d'età sono più adatti; se 
è previsto l'uso da parte di un soggetto disabile e se è necessario possedere 
alcuni requisiti di base, oltre alle notizie strettamente tecniche. Accanto ad 
esse spesso sono presenti descrizioni più approfondite che riguardano 
l'installazione e il suo utilizzo…possono essere paragonate ad un manuale 
d'istruzioni. 
Penso che ormai tutte le scuole d'Italia, di qualsiasi ordine e grado, abbiano 
fatto uso del computer per effettuare progetti ed esperienze nazionali ed 
internazionali. 
In riferimento in particolar modo all'Emilia Romagna, stupisce il grande 
aumento delle esperienze didattiche effettuate col computer in soli tre anni. 
 10
Nel 1995 vennero, infatti, rilevate 650 esperienze, salite, nel 1998, a 1486, 
ben 836 in più
1
. 
Oggi, per avere un'idea della popolarità di questi strumenti basta visitare 
una qualsiasi scuola. Non esistono classi che non abbiano effettuato 
un'esperienza che utilizzasse software ed hardware particolari, o che non 
abbia partecipato ad almeno un progetto che avesse come scopo l'utilizzo 
delle nuove tecnologie didattiche. 
Usiamo, dunque, i software per rendere più agile il cammino scolastico di 
bambini in difficoltà, per completare attività comuni a tutti gli alunni, per 
far conoscere ai bambini le innumerevoli potenzialità in esso contenute, ma 
non ostiniamoci a proporlo sempre e comunque: senza una adeguata 
preparazione e valutazione il suo utilizzo può risultare inutile, se non 
dannoso. 
 
 
                                                          
1
Si veda: AA.VV., Il computer sul banco '98, Cesena,  Il Ponte Vecchio, 1998. 
 11
PARTE PRIMA 
Capitolo Primo 
 
1.1 Le origini dell'elaboratore 
 
Il termine “calcolatore” era già usato molto tempo prima del sorgere del 
calcolatore elettronico. Il vocabolo indicava infatti una persona che 
eseguiva calcoli per mestiere. 
Durante il Medioevo “avvenne una delle più importanti rivoluzioni nelle 
tecniche di calcolo dopo che, (…), furono introdotte in occidente le 
conoscenze matematiche degli Arabi (…). L’abaco, lo strumento allora 
principalmente in uso, viene sostituito a partire dal Trecento da carta e 
penna e dai procedimenti di calcolo basati sulla nuova notazione 
posizionale, che, diversamente dalle tecniche precedenti non ponevano 
limiti di grandezza ai numeri su cui operare. Nella storia degli strumenti di 
calcolo bisogna attendere ancora secoli prima di rilevare altri avvenimenti 
degni di nota”.
2
 
Nel 1620 fu realizzato il regolo calcolatore, strumento per tecnici fino agli 
anni Settanta del nostro secolo. E’ uno strumento analogico: opera cioè su 
grandezze continue e non su quantità discrete come gli strumenti digitali. 
E’ del 1640 la prima, forse, calcolatrice digitale: la Pascalina. Essa deve il 
nome all’inventore: Blaise Pascal. Trenta anni dopo circa Leibniz inventa 
la “ruota dentata” che eseguiva meccanicamente non solo somme e 
sottrazioni ma anche moltiplicazioni e divisioni.
 3
 
                                                          
2
 Alberghi L., Orlandoni A., Ricci R., Turci L., L’elaboratore nella formazione e nella didattica, 
Bologna, Pitagora; Enaip Emilia Romagna, 1990, p. 3. 
3
 Ibidem, p. 4. 
 12
Il calcolatore però, a differenza della “cugina” riesce ad eseguire interi 
processi di calcolo. Il primo a tentare la costruzione di una macchina del 
genere fu il matematico inglese Charles Babbage nel 1830-1840, ma le 
risorse tecnologiche del tempo non lo aiutarono nel suo (forse troppo 
precoce) lavoro. Cento anni dopo Alan Touring, logico matematico 
anch’esso inglese, postulò la base logica della futura disciplina; 
compiutamente realizzata da un matematico ungherese: John Von 
Neumann.
4
 
“Von Neumann fu il primo a descrivere in modo completo la struttura 
logica di una tale macchina, realizzata subito dopo la seconda guerra 
mondiale.”
5
 
Oggi si preferisce usare il termine “elaboratore” perché noi lo utiliziamo 
non solo e non tanto per eseguire calcoli ma per prestazioni che vanno dalla 
gestione di archivi alle elaborazioni musicali.
6
 Ormai si punta alla 
realizzazione di Intelligenze Artificiali. “L’obiettivo è quello di costruire 
automi con prestazioni che saremmo disposti a chiamare intelligenti se 
fosse l’uomo a fornirle”.
7
  
I primi tentativi di applicazione alla scuola di quello strumento che tanto si 
stava rivelando utile in altri settori (economia, scienze sperimentali), non si 
discostano di molto dalle arcaiche “macchine per insegnare” che, sotto la 
spinta empirista d’inizio secolo, ritroviamo in alcune scuole americane. 
Particolare successo ebbe la macchina “Bingley Tutor”; molto semplice e 
quindi adatta ad alunni di scuola elementare. “L’alunno scrive le sue 
risposte su di un nastro di carta che scorre nella finestrella di destra e 
successivamente confronta la sua risposta con quella che gli viene fornita 
                                                          
4
 Ibidem, p. 5. 
5
 Ibidem, p. 5. 
6
 Ibidem, p. 5. 
7
 Ibidem, p. 5. 
 13
dal programma.”
8
 Una sorta di sussidiario con le soluzioni alla fine dei 
capitoli ! 
Si pensava che la scienza potesse risolvere ogni problema: tutti gli ambiti 
della vita umana vennero sottoposti a studi tendenti a valutare la possibilità 
di introdurre una qualche tecnica che potesse facilitare lo scopo. Inutile dire 
che la scuola fu subito reputata idonea ad una “tecnicizzazione” che la 
rendesse più utile, facile, moderna. Senza contare il fatto che essa doveva 
preparare gli uomini di domani. Uomini che, sembrava, avrebbero dovuto 
escludere dalla loro esistenza tutto ciò che non era “quantitativo”, 
misurabile, verificabile, in una parola “scientifico”. 
“Sempre negli anni Venti Pressey inventa una piccola macchina per 
l’autointerrogazione, antenata diretta delle macchine per insegnare e, con 
esse, dell’insegnamento programmato.”
9
 
Lo psicologo americano Pressey, nel 1927, ideò una macchina che 
presentava diverse domande allo studente per poi verificarne l’esattezza; se 
la risposta era giusta il processo rimaneva attivo e l’alunno veniva 
gratificato con la domanda seguente, se la risposta era sbagliata, la 
macchina si bloccava, permettendo allo studente una ulteriore scelta della 
risposta e annotando il numero dei tentativi da lui compiuti.  
La macchina di Pressey dimostrò, pur rimanendo uno strumento di pura 
esercitazione, che anche dei semplici test potevano diventare autovalutativi 
e autoistruttivi. Il merito maggiore dell'ideatore fu proprio l'avere rilevato 
l'importanza del feedback immediato, caratteristica oggi considerata 
fondamentale in ogni software didattico.  
                                                          
8
 Vaccaroni Franco, L’istruzione Programmata: aspetti, problemi, prospettive., in AAVV, Il modo nuovo 
di fare scuola, Milano, Fabbri Editori, 1978, p. 184. 
9
 De Landsheere G., Storia della pedagogia sperimentale, Roma, Armando Armando, 1986, p. 221. 
 14
 
1.2 L'incontro con la società. 
 
Il primo sociologo a rendersi conto che i mutamenti socio-culturali erano 
influenzati, se non causati, dai sistemi di comunicazione fu Marshall 
McLuhan
10
, egli considerò i media estensioni delle nostre facoltà; fisiche e 
psichiche. 
Analizzando i cambiamenti nei sistemi di trasmissione e diffusione dei 
messaggi, e della cultura, McLuhan tentò di spiegare l'evoluzione delle 
forme di vita sociale. 
Nel primo tipo di società storicamente rintracciabile, la prealfabetica,  
prevaleva l'espressione orale e la ricezione uditiva. Il pensiero era legato al 
concreto e all'azione. 
Nella seconda fase, l'invenzione dell'alfabeto e la diffusione della scrittura 
potenziarono il senso della vista, ulteriormente amplificato dall'arrivo della 
stampa,  
che trasformò la cultura in un bene di consumo individuale. 
 Ciò sviluppo negli individui un tipo di pensiero razionale, lineare e 
sequenziale, assolutamente staccato dall'azione e astratto. 
Questa civiltà, che venne definita da Mcluhan "Galassia Gutenberg", oggi 
sta subendo una profonda trasformazione ad opera di tutti i media 
elettronici. 
Ai metodi d'insegnamento propri della società "libresca", si andrebbe a 
sostituire la possibilità, anche da parte dello studente, se in grado, di 
costruire un proprio ambiente d'apprendimento, diventando molto più 
                                                          
10
 Cfr. McLuhan M., Gli strumenti del comunicare, Milano, Il Saggiatore, 1971. 
 15
consapevole delle proprie strutture cognitive e del proprio modo di 
imparare. 
Analizzando gli effetti provocati dai media, egli ne sottolineò due: un 
fenomeno di "esplosione", costituito dallo straordinario sviluppo 
scientifico, culturale e tecnologico, che porta ad una estensione spaziale del 
nostro corpo, ed un fenomeno di "implosione", consistente nell'abolizione 
del tempo e dello spazio, causato dall'impiego della tecnologia applicata 
alle comunicazioni.
 11
  
L'analisi di McLuhan è senz'altro condivisibile, ma è altrettanto 
condivisibile una critica apportata alle sue affermazioni che fa notare come 
il sociologo abbia optato per una logica dell'opposizione dei media a 
scapito di quella, più realistica, della loro integrazione. E' vero, infatti, che 
la comparsa di un nuovo medium non comporta necessariamente la 
scomparsa di tutti quelli precedenti; nasce una presenza simultanea che 
deve dare origine ad una progressiva integrazione delle varie tecnologie. 
Le  tecnologie odierne "sono entrate nella scuola in un modo non molto 
dissimile da come sono entrate nella società (…). 
Nella società l’ingresso delle tecnologie informatiche ha significato nella 
prima fase automazione, (…) e a ciò corrisponde nella scuola la fase 
caratterizzata dall’istruzione programmata e dai tutoriali. La fase 
successiva è stata quella della informatizzazione vera e propria che 
corrisponde nella scuola all’avvento della filosofia del computer come 
utensile cognitivo, e degli strumenti cosidetti general purpose, (scrittura, 
archiviazione, disegno, foglio elettronico.) La terza fase è quella della 
comunicazione, (…) nella scuola cominciano ad apparire adesso i primi 
progetti telematici di collaborazione a distanza.”
12
 
                                                          
11
 Varisco B:M:, Mason L., Media computer società e scuola, Torino, SEI, 1989, pp. 25-27. 
12
 Calvani Antonio, Iperscuola: Tecnologia e futuro dell’educazione, Milano, Murzio, 1994, p .42. 
 16
La descrizione di Calvani è molto chiara: la prima fase corrisponde al 
tentativo di sostituire la macchina all’uomo per compiere lavori sgraditi e 
ripetitivi, il computer viene visto come ciò che può sgravare l’uomo di una 
serie di operazioni da lui compiute mal volentieri. La seconda fase restringe 
l’attenzione alla singola persona: ci si rende conto della sua utilità in 
termini di produttività personale. L’ultima fase è oggi al culmine 
dell’esistenza, (ricordo che Calvani scrive nel 1994). Internet è infatti 
entrato prepotentemente all’interno delle nostre case e, visto l’indissolubile 
rapporto scuola-società, ecco che compare nei laboratori scolastici prima, 
nelle classi subito dopo. 
 
1.3 L’incontro con la didattica: programmazione o costruzionismo? 
 
L’applicazione dell’informatica al campo della didattica risale alla seconda 
metà degli anni cinquanta, sotto la spinta del movimento teorico 
comportamentista di Burthus Frederic Skinner, ispiratore delle tecniche 
didattiche dell’istruzione programmata.
13
 Già nel 1954 Skinner sosteneva 
che l'insegnamento fosse il frutto di alcuni semplici principi, quali iniziare 
dal punto in cui si trovava l'allievo senza dare nulla per scontato, né avere 
troppa fretta nel seguire un ritmo non adatto all'alunno, inoltre le risposte 
sbagliate dovevano essere sempre corrette, così come quelle giuste 
dovevano venire gratificate. Lo psicologo si spinse addirittura ad affermare 
che le allora chiamate "macchine per insegnare" sarebbero diventate 
strumenti essenziali nel campo dell'educazione, in quanto potevano 
svolgere agevolmente tutti questi compiti. Gli scritti di Skinner possono 
                                                          
13
 De michele F., Rocchi L., (a cura di), Informatica e scuola, Atti dell’ottavo Convegno Nazionale CIDI, 
Firenze, Le Monnier, 1985, pp. 200-201. 
 17
essere considerati vere e proprie "profezie", considerando anche il fatto che 
affermò che,  se gli elaboratori fossero stati meno ingombranti, complicati 
e, soprattutto, meno costosi, già allora sarebbero diventati  sicuramente un 
potente mezzo d'insegnamento. 
L'istruzione programmata consiste in un modello di insegnamento-
apprendimento seguito da un insegnante che programma in modo esplicito 
un percorso didattico ritenuto idoneo a raggiungere un obiettivo anch'esso 
determinato a priori. Questo obiettivo viene diviso in tanti sotto-obiettivi 
più semplici, corredati da situazioni-stimolo tenute rigorosamente sotto 
controllo e da aiuti che vengono proposti in precisi momenti, le risposte 
positive vengono gratificate sistematicamente, quelle sbagliate vengono 
analizzate e, dopo la spiegazione, si ripropone il quesito magari formulato 
in modo diverso.   
In sintesi, questa modalità d’insegnamento suddivideva i programmi di 
studio in unità da superare in ordine di difficoltà crescente. L’elaboratore 
poteva quindi essere utilizzato, in quest’ottica, come uno strumento per 
supportare il processo di apprendimento in modo molto riduttivo e ben 
poco creativo. Basti pensare che negli anni ’60 il calcolatore era “relegato” 
quasi esclusivamente al ruolo di sfogliapagine, di ripetitore meccanico.
14
 
Donatella Lombello scrive a riguardo:  “L’apprendimento programmato è 
l’applicazione in campo educativo di principi verificati in laboratori 
psicologici. Skinner appartiene infatti alla scuola comportamentista (…). 
Apprendimento si ha, per Skinner, eliminando l’errore e la conseguente 
frustrazione; apprendimento inoltre è sempre possibile frazionando le 
nozioni da far apprendere. (…) Il materiale da insegnare è pertanto 
programmato, cioè scelto e suddiviso in molte unità (i frames), a seconda 
                                                          
14
Ferraris M., Midoro R., Olimpo G., Il Computer nella didattica: idee, esperienze ed orientamenti per la 
scuola, Torino, SEI, 1987, p. 10. 
 18
sia della complessità della materia, che di come l’insegnante ritiene più 
efficace scandirla. Esso può essere inserito nelle macchine per insegnare, 
nel calcolatore elettronico, o in altri supporti, ed è messo a disposizione 
dell’alunno.” 
15
 
Conclude Lombello: “Ci sembra evidente che l’Istruzione Programmata, 
pur nella possibilità di adeguare il programma alle esigenze dello scolaro 
ed ai ritmi di apprendimento individuale, - possibilità che compete 
all’insegnante di tradurre in pratica-, privilegi l’acquisizione di nozioni, di 
competenze, e quindi si volga solamente ad un aspetto della personalità, 
quello intellettuale, trascurando o subordinando tutte le altre dimensioni e 
capacità della personalità umana.”
16
 
 Nella realtà di tutti i giorni, infatti, succede che i bambini imparino una 
grande quantità di cose senza che qualcuno abbia esplicitamente 
programmato l'apprendimento per loro.  
In questi casi entra in gioco un modello d'apprendimento molto diverso da 
quello Skinneriano: il "costruzionista". 
L'obiettivo didattico non è più definito a priori, non vengono tenute sotto 
controllo tutte le situazioni nelle quali si svolge l'apprendimento, le risposte 
dell'allievo non sono analizzate in continuazione e l'unico tipo di 
gratificazione è quella intrinseca, strettamente connessa alla situazione. Il 
soggetto partecipa in modo attivo alla costruzione delle conoscenze, e, di 
solito, questo metodo viene reputato più liberale, naturale, più rispettoso 
delle caratteristiche e dei bisogni del bambino. 
C'è un'obiezione importante da portare a questo tipo d'apprendimento: esso, 
praticamente, afferma che ogni soggetto ha la capacità di formare da solo la 
propria conoscenza; portato alle estreme conseguenze significa l'inutilità di 
                                                          
15
 Lombello Donatella, Tecniche dell’individuazione e del lavoro di gruppo, in  AAVV, Il modo nuovo di 
far scuola, Milano, Fabbri Editori, 1978, pp. 83-84. 
16
 Ibidem, p. 84. 
 19
qualsiasi tipo di insegnamento e di Istituzione scolastica. Posizioni di 
questo genere, peraltro sostenute da Chomsky nel 1968, sono molto 
pericolose per i soggetti deboli, in quanto sembrano affermare che se un 
individuo non possiede le qualità necessarie per costruire da solo la sua 
competenza logico-linguistica, l'educazione diventa impossibile.  
In realtà, sappiamo che il problema deve essere posto in modo diverso: in 
alcune situazioni un allievo, per imparare qualcosa, avrà bisogno di un 
insegnante che controlli una grande quantità di condizioni; altre volte un 
allievo sarà lasciato più libero di imparare esplorando. 
L'elaboratore, può essere d'aiuto in ambedue i casi, in quanto consente di 
imparare lungo un percorso rigidamente programmato (i software classici 
di tipo CAI ne sono un esempio) o di costruire da solo una parte di 
conoscenza, (si pensi agli ipertesti o a LOGO). L'importante è che 
l'educatore sia consapevole delle diversità dei singoli alunni e riesca ad 
adattare i singoli software alle esigenze specifiche del soggetto e della 
situazione.
17
 
                                                          
17
 Celi F., Romani F., Macchine per imparare, in "Mcmicrocomputer", n° 179, dicembre 1997, pp. 312-
313.