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elementari, quelle mediate dall‟azione, ad attività intellettive rappresentativo-simboliche. 
Tuttavia, nelle teorie classiche, il bambino era visto come un individuo poco competente, per 
Piaget l‟attività imitativa nei primi mesi di vita non sarebbe vera imitazione, bensì, una 
pseudo-imitazione; l‟autore sostiene che l‟infante, anche se imita, non è capace di farlo in 
modo attivo. La concezione classica, considerava i comportamenti imitativi precoci quasi 
come degli arcaici riflessi. Prendendo spunto da questi assunti, dagli anni ‟70 si sono 
sviluppate numerose ricerche che, grazie ad autorevoli studi sperimentali, hanno indagato 
l‟attività imitativa, ed in particolare l‟imitazione facciale, alimentando un forte dibattito. 
Alcuni autori come S. W. Jacobson (1979), Abravanel e A. D. Sigafoos (1984), sostenevano 
l‟idea che non poteva esserci una vera imitazione precoce e, similmente alle teorie 
tradizionali, consideravano il comportamento imitativo alla stregua di una risposta fissa e 
stereotipata a determinati stimoli che la provocano; altri, invece, come J. Gardner e Gardner 
(1970), Meltzoff e M. K. Moore (1977), sostenevano che gli infanti sono in grado di imitare 
già dopo poche ore dalla nascita. Nel complesso, il dibattito, fornì una risposta alla domanda 
sull‟esistenza dell‟imitazione, la quale, sembrava confermata dalla quasi totalità delle 
ricerche, e spinse gli autori a spostare il fulcro della discussione sui meccanismi imitativi, 
cioè, su come avviene l‟imitazione precoce.  
Nel secondo capitolo, affronto il tema dei meccanismi esplicativi dell‟imitazione. Le teorie 
che spiegano tali meccanismi sono numerose e molto diverse tra loro: S. W. Jacobson (1979), 
ipotizzò che l‟imitazione avvenisse grazie ad un “meccanismo innato di attivazione”, detto 
IRM, “innate releasing mechanism”. L‟autrice riteneva quindi che l‟attività imitativa fosse un 
riflesso, una risposta stereotipata, conseguente a precisi stimoli in movimento. Meltzoff e M. 
K. Moore (1997), invece, ipotizzarono un meccanismo di “mappatura intermodale”, detto 
AIM, “ active intermodal mapping”. Per i due autori, gli atti umani percepiti e quelli prodotti, 
sono codificati all‟interno di una struttura sopramodale comune; tale struttura consente ai 
neonati di percepire le equivalenze tra i loro atti e gli atti che osservano. Il modello AIM 
sembra confermato anche dagli studi di Rizzolati (2005), che, nelle scimmie, avrebbe scoperto 
dei neuroni detti “neuroni specchio”, “mirror neurons”, i quali permetterebbero un 
collegamento tra ciò che viene visto e ciò che viene ripetuto in modo motorio; tale 
meccanismo sarebbe sottostante al modello intermodale. 
Nel terzo capitolo affronto il tema delle funzioni dei comportamenti imitativi. L‟imitazione 
racchiude due principali funzioni: la funzione sociale e quella cognitiva. Prendendo in prestito 
le parole di C. Bambagiotti e B. Benelli (1983), “l‟imitazione non è un processo passivo per 
cui colui che è sottoposto ad una situazione nella quale gli è data l‟opportunità di imitare un 
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modello riproduce in modo automatico il comportamento che gli è stato mostrato; al 
contrario, l‟imitazione implica processi di natura cognitiva e sociale. Di natura sociale in 
quanto si verifica in un contesto di comunicazione o comunque di interazione sociale per cui 
l‟infante, posto di fronte al modello, lo imita solo se è sufficientemente motivato a farlo. Di 
natura cognitiva in quanto egli può imitare solo quei comportamenti che è in grado di 
comprendere, o che comunque rientrano nel campo delle sue attuali potenzialità mentali” 
(C.Bambagiotti, B. Benelli, 1983, p. 435).  
Non è sbagliato affermare che, l‟imitazione, media i processi cognitivi e le esperienze sociali 
e fornisce agli infanti la possibilità di accrescere e consolidare i loro progressi mentali, grazie 
all‟interazione sociale consentita dal comportamento imitativo. Vista da questa prospettiva, 
l‟imitazione, può essere considerata un processo dialettico in cui l‟esperienza sociale produce 
i suoi effetti positivi sullo sviluppo mentale e, quest‟ultimo, va a riflettersi nell‟esperienza 
sociale, nella misura in cui fornisce al bambino la base sulla quale impostare i suoi successivi 
comportamenti imitativi.  
La funzione sociale e comunicativa ricopre un ruolo fondamentale quando si affronta il tema 
dell‟imitazione reciproca, così, per comprendere appieno le implicazioni dell‟imitazione in 
riguardo allo sviluppo psico-sociale degli infanti, è necessario analizzare dettagliatamente il 
processo dialettico tra la funzione cognitiva e quella sociale. 
A livello cognitivo, occorre sottolineare lo stretto legame tra l‟imitazione e i processi 
mnemonici. Molti studi, tra i quali quello di Meltzoff (1988b), hanno mostrato che, a partire 
dai nove mesi di età, gli infanti hanno la capacità di ricordare e di ripetere un‟azione osservata 
anche dopo qualche tempo; altri, hanno mostrato che i bambini utilizzerebbero l‟imitazione 
differita, cioè l‟imitazione di un‟azione che si basa sulla rievocazione della memoria a lungo 
termine, come base per sperimentare oggetti e contesti nuovi e per conoscere o riconoscere gli 
altri. Prendendo spunto da questi studi, sottolineo che, grazie allo scambio imitativo con le 
altre persone e soprattutto con i pari, l‟infante sviluppa le proprie capacità cognitive e, grazie 
a questo sviluppo si verifica anche un miglioramento delle sue abilità sociali e comunicative. 
L‟interazione imitativa, permette ai bambini di acquisire il senso di sé e degli altri, inoltre, 
dall‟osservazione e dalla riproduzione dell‟altrui comportamento, essi apprendono come 
solitamente le altre persone agiscono, acquisendo così, un proprio modo di comportarsi e di 
pensare generalizzabile a situazioni simili. I comportamenti imitativi permettono uno scambio 
gestuale tra individui, quindi, l‟imitazione ha in sé un aspetto sociale e comunicativo molto 
rilevante. 
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Howe (1993), sostiene che, nella loro interazione reciproca, i pari cercano di raggiungere una 
conoscenza condivisa degli eventi e, l‟imitazione, che deriva da tale interazione reciproca 
sarebbe una delle forme più precoci di conoscenza condivisa. Il fenomeno dell‟imitazione 
precoce quindi, permette a due pari, che danno inizio ad una sequenza imitativa, di beneficiare 
dei contributi sociali e cognitivi che l‟imitazione reciproca offre. Per quanto riguarda i 
contributi sociali, uno dei compiti principali dell‟infanzia consiste nel costruire il senso di sé, 
che è un tentativo di rispondere alla domanda: “chi sono io?”.  
Il senso di sé si costruisce principalmente nel contesto relazionale, all‟inizio con i genitori, in 
seguito sempre più frequentemente con i pari. L‟opinione dei pari sul bambino e il modo in 
cui si comportano nei suoi confronti hanno un enorme importanza, a partire dalla fase 
prescolare fino all‟adolescenza. 
Per quel che riguarda le influenze dei pari sullo sviluppo cognitivo, va sottolineato che sono 
notevoli; la ricerca attuale sulla collaborazione tra pari, mostra l‟esistenza di numerose prove 
del fatto che quando i bambini affrontano un problema collaborando tra loro, progrediscono 
nella comprensione del problema stesso più di quanto non accada quando lo affrontano con 
l‟aiuto degli adulti o da soli. 
Nel quarto capitolo tratterò l‟imitazione reciproca concentrandomi sull‟imitazione tra gli 
infanti e le persone che entrano in contatto con loro, ponendo particolare attenzione 
all‟imitazione tra pari. Cercherò anche di fornire una descrizione dei modi con i quali 
avvengono gli scambi imitativi tra i pari, provando a fornire un quadro delle frequenze con 
cui si verificano le sequenze imitative all‟interno di un setting naturale di interazione, della 
natura dell‟alternanza dei turni ed anche gli atti caratteristici delle sequenze comunicative che 
di solito accompagnano le sequenze imitative, come il prestarsi attenzione reciproca, il 
guardare i pari durante un gioco di costruzione, il prestare attenzione ai movimenti 
sull‟oggetto da parte dei pari e l‟eccitamento mostrato durante la sequenza comunicativa. 
Asendorpf e Baudonnière (1993), in un loro studio molto interessante, hanno affrontato 
l‟aspetto dell‟interattività nell‟imitazione: essi osservarono che infanti, di circa diciotto mesi 
di vita, erano capaci di coordinare la loro attività adattandosi reciprocamente, poiché gli atti di 
ogni membro della diade sono modulati su quelli del partner. I due autori hanno osservato che 
“… gli infanti che si trovano in compagnia di pari sconosciuti, si avvicinano l‟uno con l‟altro 
attraverso un gioco parallelo, quindi, interagiscono tra loro attraverso l‟imitazione sincronica 
dell‟uso degli oggetti, che è una forma di comunicazione preverbale; i pari, imitano 
reciprocamente le azioni che compiono sugli oggetti che usano nel gioco, per instaurare in 
qualche modo una conversazione. Essendo evidente che i bambini che mettono in atto 
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l‟imitazione sincronica usano un codice comune, ovvero l‟uso degli oggetti in modo molto 
simile, e sono consapevoli della reciprocità del loro comportamento, si può affermare che 
questa sia una vera e propria forma di comunicazione”, Asendorpf e Baudonnière (1993). 
Affinché una sequenza possa essere definita come imitativa, è necessario che l‟atto prodotto 
da un partner sia riprodotto dall‟altro partner e che i due atti siano in relazione diretta uno con 
l‟altro, cioè che la riproduzione dipenda dalla produzione dell‟atto iniziale. Questi due atti 
sono gesti comunicativi che costituiscono un anello nella catena alternata dei gesti. La mia 
tesi ha come obiettivo esaminare il comportamento imitativo reciproco all‟interno della 
prospettiva generale relativa alla comunicazione. 
Per finire, ho tratto le mie conclusioni: è necessario studiare l‟imitazione da un punto di vista 
di reciprocità per poterla comprendere perché solo così si possono spiegare le sue funzioni 
nello sviluppo socio-cognitivo degli infanti. I bambini, nella loro conversazione imitativa, 
dapprima con la madre, in seguito con i propri pari, pongono le basi per distinguere il sé dagli 
altri e anche per capire che, proprio come loro hanno pensieri, emozioni e desideri, anche gli 
altri le hanno; così, gli infanti iniziano a gettare le fondamenta per quei comportamenti più 
sofisticati e complessi, quali, la produzione del linguaggio e la formazione di una teoria della 
mente.