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A partire da tali considerazioni, scopo di tale tesi è tuttavia non soltanto quello di
tracciare il background culturale e filosofico che ha permesso “l’emergere” della
concezione biologica di Pribram, ma anche di sostenere in particolare che il modello
olografico della memoria di Pribram, “meno meccanico e più biologico” di altri modelli,
costituisce una metafora intuitiva ed efficace in grado di gettare nuova luce sui processi
di memoria e di formazione delle immagini, oltre ad adattarsi meglio alla nascente
concezione dell’essere umano, a cui potremmo dare il nome di sé biologico, e a spiegare
meglio, attraverso l’evoluzione del concetto di emergenza e di struttura, il rapporto da
sempre controverso dell’individuo con la propria natura fisica e il proprio contesto
culturale.
Inoltre, scopo di tale tesi è anche mostrare come, d’altro canto, i modelli meccanici del
funzionamento cerebrale che sono derivati dalle varie teorie della memoria, trascurando
la componente olografica e eidetica del pensiero e della memoria, hanno dato luogo a
delle simulazioni (la macchina di Turing, il sistema tote, i sistemi esperti, le reti neurali
del connessionismo) che, se non si accontentano del ruolo di “finzioni” euristiche, come
Pribram stesso definisce il suo programma Tote e la stessa metafora olografica, corrono
il rischio di essere nulla più prove ad hoc, contemporanee “macchine di Turing”
inscritte nel paradigma teorico di cui sono il prodotto, incappando peraltro nel Teorema
di Incompletezza di Gödel.
Anche le reti neurali più avanzate, come le reti neurali olografiche, pur essendo delle
ottime simulazioni, vanno comprese come metafore del funzionamento cerebrale che
non rendono però totalmente perspicuo il reale funzionamento di quel complesso
microsistema biologico che è il cervello umano.
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Capitolo 1. L’Inscindibilità dell’Individuo biologico
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§ 1.1. Pribram, cenni biografici
Karl Pribram, che nasce il 25 febbraio 1919 a Vienna ed insegna a lungo psicologia e
psichiatria alle Georgetown University, si è occupato, durante la sua carriera di
neuroscienziato, dello studio del sistema limbico, delle sue relazioni con la corteccia
frontale e della corteccia sensomotoria. Pribram è tuttavia noto al pubblico per la sua
teoria del cervello olonomico e per il suo contributo nella ricerca neurologica sulla
memoria, l’emozione, l’intenzionalità e la coscienza.
Il modello olonomico di Pribram, sviluppato in collaborazione con il fisico quantistico
David Bohm, teorizza che i ricordi, o più genericamente, le informazioni, non sono
“registrati” nei neuroni ma risultato di patterns interferenti, cosa che spiegherebbe la
capacità del cervello di immagazzinare una enorme quantità di informazioni in uno
spazio relativamente piccolo.
Pribram ha inoltre fornito altri contributi verso la fine degli anni ‘40 e dell'inizio degli
anni cinquanta, soprattutto per quanto riguarda il ruolo dei gangli basali
nell’organizzazione delle emozioni e delle motivazioni. Egli ha inoltre scoperto i
sistemi specifici sensoriali della corteccia di associazione ed ha indicato che questi
sistemi funzionano per organizzare le scelte che facciamo fra gli stimoli sensoriali, e
non solo per il rilevamento degli stimoli stessi.
§ 1.2. Cenni al problema mente-corpo
Nei capitoli finali dell’opera di Pribram che prendiamo in considerazione, intitolata “I
linguaggi del cervello”, l’autore propone la propria concezione biologica come
momento di sintesi quasi dialettica fra le due posizioni teoretiche antagoniste che hanno
dominato la scena a partire dal XVI° secolo e che vede da una parte il dualismo,
d’origine cartesiana, e dall’altra le teorie dell’identità, che attraverso varie epoche
assumono ora i connotati dell’empirismo materialista ora quelli del fisicalismo.
Nell’analisi che egli fa di entrambe le posizioni, entrambe sostenibili da un punto di
vista logico, individua tuttavia dei limiti intrinseci ineliminabili.
Gli albori delle teorie dell’identità, di tradizione anglo-americana, sono ravvisabili
nell’empirismo materialista di stampo lockeano e humeano, volto a negare l’esistenza di
idee innate o contenuti mentali non riducibili all’esperienza. Nonostante tale
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background tuttavia, le moderne Teorie dell’identità non negano più l’esistenza di
contenuti mentali, ma ne affermano una completa riducibilità e traducibilità in un
linguaggio fisicalista. Ad avviso di Pribram tuttavia, nel momento in cui identificano i
processi mentali con i correlati neurologici, le teorie dell’identità risultano incomplete in
quanto non riescono ad eliminare il controllo del cervello sul processo sensoriale (come
ha mostrato la Gestaltpsychologie) e pertanto non riescono a prescindere da un livello di
astrazione che, secondo Quine necessita di un linguaggio diverso da quello fisicalista. In
sostanza, l’identità presunta non può essere esplicata senza ricorrere ad un ulteriore
livello in grado di spiegare stati mentali più complessi che esulano da semplici catene
stimolo-risposta.
Per quanto riguarda invece la teoria dualista, che affonda le radici nel dualismo
cartesiano, la “mente fenomenica” risulta essere un qualcosa di ontologicamente distinto
dalla res extensa, e i contenuti di pensiero un qualcosa di trascendente e innato, idee
platoniche del tutto svincolate dall’esperienza e dalla materialità.
Se l’innatismo risulta essere insostenibile in virtù della necessità di un contenuto
esperienziale da attribuire alle idee trascendenti, più genericamente il dualismo, che ha
dominato a lungo in virtù della sua compatibilità con l’idea platonica e cristiana
dell’anima, trova oggi ben pochi sostenitori a causa dell’impossibilità di spiegare il
rapporto di interazione e di interdipendenza di mente e corpo, che risulta evidente anche
nella vita quotidiana.
Forme residue di dualismo contemporaneamente più verosimili risultano escludere un
dualismo ontologico per affermare invece una sorta di dualismo delle proprietà; questo è
il caso emblematico del funzionalismo, che descrive appunto i meccanismi psicologi
come delle funzioni utili alla sopravvivenza riducibili pertanto forse dal punto di vista
fisico ma non funzionale ad un linguaggio fisicalista, e dell’Intelligenza artificiale che,
postulando un’identità ontologica di mente e cervello e una non-identità delle proprietà,
sostiene metaforicamente, come Hilary Putnam, che il cervello costituisca la parte
fisica, l’hardware, dei processi mentali e che la mente sia analoga ad un software, ad un
programma gestionale. Vedremo tuttavia più avanti l’inadeguatezza della metafora
mente-computer.
In conclusione inoltre, secondo Pribram ed in totale compatibilità con il mio punto di
vista, un primo tentativo di conciliare il materialismo empirista con l’innatismo
cartesiano si ha all’interno dell’idealismo trascendentale kantiano. Mediante lo
schematismo infatti, il filosofo di Konisberg concilia la necessità di non prescindere dai
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dati molteplici dell’esperienza con la necessità di rendere conto di alcune modalità a
priori di organizzazione del dato fenomenico. Come ben sappiamo tuttavia, Kant non
scioglie il nodo che avviluppa la costruzione soggettiva del mondo alla sua realtà
oggettiva, il fenomenico al noumenico.
§ 1.3. La concezione biologica di Pribram
La concezione che Pribram propone, e che ci viene presentata come un’alternativa al
problema, è appunto definita approccio biologico. La principale differenza fra questa
concezione dell’uomo rispetto a quella cartesiana e a quella dell’identità è di non porre
come assunto teoretico del paradigma un dato concettuale (l’irriducibilità della res
cogitans o l’inesistenza di una realtà non materiale), ma di sviluppare le proprie
considerazioni a partire da una datità incontestabile: quella biologica.
L’oggetto dell’indagine non è più pertanto un essere prevalentemente pensante né
unicamente fisico, ma è un organismo biologico che interagisce con l’ambiente che gli è
più peculiare ed è il suo ambiente naturale. I dati del biologo sono pertanto descrittivi
ma non si limitano ad osservazioni meramente comportamentali.
Ciò che è infatti peculiare alla concezione biologica, è che da essa risulta fondamentale
una caratteristica delle organizzazioni complesse che è la Struttura, problema fulcro di
un atteggiamento che Pribram definisce post-critico.
Pertanto secondo Pribram, la concezione biologica dell’essere umano ha qualcosa delle
filosofie critiche, sebbene le trascenda. All’interno di questa concezione l’uomo, come
anche le altre organizzazioni complesse, viene narrato come un organismo strutturato e
complesso, un Unicum che si relaziona e interpreta manipolandolo e venendone
manipolato, il mondo circostante. All’interno di questa prospettiva anche il Linguaggio
è il risultato di un’opera di interpolazione dell’ambiente che cresce di complessità
giungendo quasi ad assumere vita propria.
Questa soluzione post-critica del problema è una concezione dell’uomo che rivoluziona
il pensiero dell’uomo su sé stesso.