6 
Il presente studio, avvalendosi dell’uso di dati telerilevati e misurati in situ (relativi 
all’anno 1998), è rivolto all’analisi delle correlazioni esistenti tra il bacino idrografico del 
fiume Po ed i suoi margini costieri, ponendo particolare attenzione ai rapporti causa-effetto, 
dove la causa è identificabile con le acque ed i suoi costituenti, cioè sali minerali, sostanze 
disciolte e sospese convogliate nel bacino; mentre l’effetto è l’impatto di questi fattori 
sull’ambiente marino in termini di fioriture algali.  
Infatti, l’acqua dolce d’origine fluviale, con i suoi nutrienti, favorisce lo sviluppo del 
fitoplancton, l’insieme di organismi microscopici di natura vegetale che vivono nella zona 
eufotica ed operano la fotosintesi clorofilliana.  
Questo processo potrebbe sembrare parte di una normale catena biologica, ma assume 
particolare rilevanza nel momento in cui le fioriture diventano vere e proprie esplosioni algali 
di forte intensità, dando origine ai purtroppo ormai noti fenomeni di eutrofizzazione. 
 
Tale studio si inserisce nel progetto COAST, condotto dall’Unità Ambiente Marino 
dell’Istituto per le Applicazioni Spaziali del Centro Comune di Ricerca della Commissione 
Europea (vedi Appendice 1), concernente il monitoraggio e la gestione integrata delle zone 
costiere.  
 
Il progetto COAST intende, tra l’altro, mostrare l’utilità dell’osservazione remota 
della terra in un contesto operativo quale appunto quello della gestione delle zone costiere. Gli 
obiettivi di tale programma sono: 
1. identificare indicatori utili per il monitoraggio dei cambiamenti nelle proprietà del sistema 
costiero; 
2. sviluppare modelli per la rappresentazione dei principali processi ambientali ed il 
controllo dell’emissione di inquinanti; 
3. implementare un prototipo di un sistema informativo  di supporto alle decisioni, basato 
sull’approccio DESIMA – Decision Support for Integrated Coastal Zone Management 
(Eleveld, M.A. et al. 2000). 
 
 7 
La presente tesi consta di sei capitoli. 
 
Nel primo capitolo saranno brevemente descritte le tecniche del telerilevamento, 
specialmente in campo marino, e le caratteristiche dei sensori utilizzati per ottenere le 
concentrazioni dei pigmenti di clorofilla attraverso i dati di colore. 
 
Nel secondo capitolo saranno descritte le principali caratteristiche del bacino 
idrografico del Po e del Mare Adriatico, le correnti, le proprietà idrologiche e la loro 
variabilità spaziale e temporale. 
 
Il terzo capitolo sarà dedicato alla descrizione ed ad una prima analisi qualitativa dei 
dati in situ e telerilevati. 
 
Nel quarto e quinto capitolo saranno presentate le analisi svolte, su base mensile e 
giornaliera, per estrapolare le correlazioni esistenti tra il bacino idrografico, identificato da 
portata e carichi del fiume Po, ed il Mare Adriatico, di cui si rileva la concentrazione dei 
pigmenti fotosintetici. 
 
Infine il sesto capitolo sarà dedicato alla discussione dei risultati ottenuti e delle 
prospettive future. 
 
 8 
 
CAPITOLO I 
 
IL TELERILEVAMENTO IN AMBIENTE 
COSTIERO E MARINO 
 
 
 
I.1. Introduzione 
 
Gli ecosistemi costieri dipendono fortemente dall’uso del suolo lungo le coste e nei 
bacini idrografici ad essi afferenti, dagli apporti fluviali e dai vari processi aventi luogo in 
mare. Lo studio ed il controllo di tali ecosistemi richiedono strumenti adeguati, che 
consentano di operare alle scale spazio-temporali tipiche dei processi sotto osservazione.  
Nel caso d’interesse, le grandi scale spaziali e le brevi scale temporali di molti processi 
costieri e marini rendono indispensabile l’uso del telerilevamento. In particolare i sensori 
ottici operanti nel visibile e nell’infrarosso hanno mostrato la loro utilità nel portare nuove 
informazioni sulla fisica, la chimica e la biologia dell’area costiera (Barale et al., 1984). 
Il recente sviluppo di metodi avanzati per l’elaborazione e la classificazione di informazioni 
spaziali e l’uso dei Sistemi Informativi Geografici (o Geographic Information Systems, GIS)  
hanno semplificato notevolmente il monitoraggio, la mappatura e la modellazione dei 
cambiamenti ambientali con l’uso di dati telerilevati. La possibilità di accoppiare i dati da 
satellite con modelli digitali del terreno ed altri parametri idrologici consente di studiare i 
fenomeni naturali sotto diversi punti di vista. 
 
 9 
 Nel presente lavoro, dati da telerilevamento orbitale e classiche informazioni 
ambientali sul principale bacino italiano, quello del fiume Po, sono stati utilizzati, in modo 
integrato, per una valutazione sperimentale della correlazione tra i principali parametri 
geofisici del sistema fluviale e di quello costiero-marino. 
 
I.2. Le tecniche 
 
La regione costiera è una zona altamente dinamica sia dal punto di vista ecologico che 
morfologico. Metodi analoghi a quelli usati per l’osservazione della terra possono essere 
utilizzati con successo anche per studiare le aree d’efflusso fluviale, le possibili sorgenti 
d’inquinanti, il trasporto di sedimenti e la produzione biologica a mare (Barale & Folving, 
1996). 
Utilizzando l’energia elettromagnetica solare (cf. figura I.2.1.) quale fonte di informazione, 
sono state sviluppate tecniche d’osservazione facenti uso della radiazione nel visibile (0.35-
0.75 µ), che consentono di stimare il colore della superficie del mare, dipendente dalla 
presenza di sostanze sospese o disciolte.  
Tecniche facenti uso della radiazione nell’infrarosso (0.75-20 µ) permettono di stimare la 
temperatura in parallelo della superficie marina, da cui è facilmente individuabile la dinamica 
delle masse d’acqua e la distinzione tra correnti diverse. 
Tecniche che utilizzano microonde passive e attive, invece possono essere impiegate per la 
valutazione della “rugosità” o dell’elevazione della superficie marina, parametri indicativi del 
vento e del moto ondoso. 
 
 
 
 
 
 
 
Figura I.2.1. Lo spettro elettromagnetico                                                     
(immagine riportata da:http://www.mclink.it/mclink/astro/ids/lib/spettro.htm). 
 10 
 
Tuttavia è la misura del “colore” del mare (cioè lo spettro di luce visibile osservato 
alla superficie marina) che promette di diventare il più importante strumento per lo studio 
dell’ambiente costiero e marino (Barale & Folving, 1996). 
 
 
I.2.1. Il “colore” del mare 
 
Molti aspetti dei processi bio-chimici aventi luogo in mare possono essere investigati 
rilevando il colore del mare, anche se bisogna tenere presente che questo parametro è relativo 
al solo strato superficiale, variabile all’incirca tra 0 e 100 metri, secondo il tipo di acqua: sarà 
meno profondo quando si tratta di acque torbide, ricche di particolato e di sostanze disciolte e 
sospese, per cui la luce non riesce a penetrare in profondità; sarà più profondo se si tratta 
invece di acque limpide. 
Nello strato superficiale del mare (cf. figura I.2.1.2.) avviene la fotosintesi: le molecole di 
clorofilla, contenute nel fitoplancton marino, assorbono la radiazione solare nel rosso e nel blu 
(cf. figura I.2.1.1.) mentre la riflettono nel verde, producendo glucosio ed ossigeno a partire 
da acqua ed anidride carbonica. Essendo la clorofilla un pigmento facilmente “visibile”, può 
essere misurata, anche da un’altezza orbitale, e sfruttata come indice della presenza di 
biomassa algale. 
 
 
 
 
 
 
 
 
Figura I.2.1.1. Assorbività del fitoplancton in funzione della 
lunghezza d’onda (λ - [nm]), (Kirk, 1996). 
Figura I.2.1.2. Tasso di fotosintesi [mg C 
m-³ h-¹] in funzione della profondità [m],
(Kirk, 1996). 
 11 
Il colore dell’acqua è strettamente collegato alle concentrazioni dei costituenti in essa 
disciolti e sospesi. Lo spettro visibile alla superficie avrà un picco in corrispondenza del blu 
se si tratta d’acqua pulita, in genere in mare aperto, con un eventuale spostamento verso il 
verde, in funzione della presenza di fitoplancton contenente pigmenti del tipo clorofilla. 
Tenderà invece al giallo-rosso in presenza di sostanze organiche disciolte (la cosiddetta 
“sostanza gialla”) derivanti dalla decomposizione dei materiali vegetali, particellato e 
sedimenti sospesi in genere. 
 
Basandosi su queste proprietà ottiche delle acque, una classificazione che si è rivelata 
utile nel contesto del telerilevamento in ambiente marino è quella che divide le acque in due 
tipi (Morel & Prieur, 1977 e Gordon & Morel, 1983): caso 1 e caso 2. 
Le acque di caso 1 sono quelle in cui il fitoplancton ed i suoi prodotti derivati (detriti 
organici) giocano un ruolo dominante nel determinare le proprietà ottiche. A seconda delle 
loro concentrazioni si va da condizioni d’oligotrofia (<10 mg/m³), di mesotrofia (tra 10 e 20 
mg/m³), d’eutrofia (tra 20 e 40 mg/m³) fino a condizioni d’ipertrofia (>40 mg/m³). 
Le acque di caso 2 sono quelle in cui un importante, e talvolta dominante, contributo 
alle proprietà ottiche viene dai sedimenti o da altre particelle disciolte e sospese. In questo 
caso il fitoplancton può o meno essere presente in quantità significative. In genere sono queste 
le acque più tipiche delle zone costiere.  
 
 
I.3. Gli strumenti 
 
Storicamente il telerilevamento delle zone costiere è stato basato sull’utilizzo di 
sensori ad alta risoluzione (pixel dell’ordine di 10 m) che operano nelle regioni spettrali del 
visibile e dell’infrarosso vicino come l’High Resolution Visible (HRV) a bordo del satellite 
SPOT ed il Thematic Mapper (TM) ed il MultiSpectral Scanner (MSS) a bordo del Landsat. 
Invece lo studio del colore superficiale e della temperatura del mare è sempre stato 
condotto con strumenti a bassa risoluzione (pixel dell’ordine di 1 km) operanti nel visibile, 
 12 
nell’infrarosso vicino e termico come il Coastal Zone Colour Scanner (CZCS) a bordo del 
Nimbus7 e l’Advanced Very High Resolution Radiometer (AVHRR) a bordo del satellite 
NOAA. 
Il CZCS è stato il vero e proprio antenato di SeaWiFS (il sensore le cui immagini sono 
state utilizzate nel presente studio). Questo sensore infatti, lanciato nell’autunno del 1978 e 
funzionante fino al 1986, ha prodotto una serie unica di dati sulle proprietà ottiche degli 
oceani fornendo nuove ed importanti conoscenze sul comportamento bio-geo-chimico del 
mare (Hooker et al., 1993).Le principali caratteristiche strumentali del CZCS sono raccolte 
nella tabella I.3.1..  
 
 
 
 
 
 
 
 
I.4. Il progetto SeaWiFS 
 
I.4.1. Obiettivi del progetto 
 
Il primo agosto del 1997 l’Orbital Science Corporation (OSC) ha lanciato (cf. figura 
I.4.1.1.) il satellite Orbview-2 (noto anche col nome Seastar) con a bordo lo strumento Sea 
viewing Wide field-of-view Sensor (SeaWiFS), il primo per la misura del “colore” del mare da 
quando, nel 1986, il CZCS ha cessato di mandare dati dopo oltre sette anni d’operazioni.  
La missione SeaWiFS è basata sull’esperienza acquisita col CZCS ma, a differenza di 
quest’ultimo, che fu concepito come un esperimento, SeaWiFS è progettato per fornire stime 
quantitative accurate delle concentrazioni dei pigmenti fotosintetici.  
 
Banda Lunghezza d'onda (λ) [nm] Risoluzione al nadir: 0.825 km LAC
1 433 - 453
2 510 - 520 Orbita: eliosincrona a 955 km
3 540 - 560
4 660 - 680
5 700 - 800 Passaggio all'equatore: 11.30 ± 23 min.
61.512.5
Tabella I.3.1. Caratteristiche strumentali del CZCS (Hooker et al., 1993). 
 13 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Questo progetto rientra nel programma d’osservazione della Terra (EOS) varato dalla 
NASA, la quale detiene i diritti di uso dei dati per scopi scientifici (mentre il gruppo privato 
OSC è responsabile del segmento spaziale, del controllo della missione e delle stazioni di 
acquisizione dati). 
Gli scopi del progetto SeaWiFS sono: 
1. fornire, per un periodo di 5 anni, dati quantitativi dei valori di clorofilla e della produzione 
primaria per determinare la distribuzione spaziale e temporale delle fioriture algali; 
2. stimare il ruolo degli oceani nel ciclo globale del carbonio ed in altri cicli bio-geo-chimici; 
3. esaminare quali fattori oceanici influiscono sui cambiamenti climatici; 
4. processare i nuovi dati (insieme a quelli storici) per ottenere parametri biologici 
significativi quali i tassi di fotosintesi; 
5. capire il destino dei nutrienti fluviali ed il loro possibile effetto nel budget del carbonio; 
6. rendere i risultati disponibili e leggibili ai ricercatori. 
Nel contesto di questo progetto è stato sviluppato un sistema che processa, calibra, valida, 
archivia e distribuisce i dati ricevuti dal sensore (NASA, 1999). 
 
 
 
 
Figura I.4.1.1. Lancio del vettore 
spaziale che ha portato in orbita 
il satellite Seastar (immagine 
riportata da: 
http://seawifs.gsfc.nasa.gov/SEA
WIFS/SEASTAR/seawifs_launch
_diagram.jpeg). 
 14 
I.4.2. Descrizione del satellite 
 
Il satellite Seastar, che trasporta solo SeaWiFS come strumentazione scientifica, è 
stato lanciato a bordo del vettore spaziale Pegasus XL ad un’altitudine di 278 Km. Da questa 
orbita bassa, usando un sistema di propulsione ad idrazina, ha poi raggiunto autonomamente 
l’orbita polare eliosincrona a 705 Km d’altitudine. Lo stesso sistema di propulsione è anche 
usato per le correzioni d’orbita durante la vita del satellite. 
L’acquisizione dei dati è cominciata il 18 settembre 1997 e da allora, essendo il tempo di 
percorrenza di un’orbita di 98.9 minuti, ogni due giorni si hanno immagini sul 90% degli 
oceani mondiali.  
I meccanismi di scansione, le ottiche ed i detector sono situati nella faccia al nadir della 
piattaforma spaziale, mentre il modulo elettronico contenente gli amplificatori ed il 
convertitore analogico-digitale è direttamente opposto allo scanner. Lo strumento in totale 
pesa circa 49 kg (cf. figure I.4.2.1.-2.) (NASA, 1999). 
. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Figura I.4.2.2. Schema strutturale del satellite Seastar (Hooker et 
al., 1993). 
Figura I.4.2.1. Il satellite Seastar (immagine riportata da: 
http://seawifs.gsfc.nasa.gov/SEAWIFS/IMAGES/seastar_orb
it.jpg). 
 15 
I.4.3. Descrizione del sensore 
 
SeaWiFS è uno spettroradiometro, vale a dire uno strumento che misura la radianza in 
specifiche bande dello spettro elettromagnetico. In questo caso le bande spettrali sono otto e 
suddivise come mostrato in tabella I.4.3.1.. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La banda 1 è una regione di forte assorbimento d’energia elettromagnetica da parte di 
materiale organico, mentre la banda 2 e la 4 lo sono per la clorofilla, la banda 3 è utile per 
valutare il coefficiente d’attenuazione diffusa a 490 nm, la banda 5 è la regione in cui 
pigmenti e sedimenti hanno i picchi di riflettività e le ultime tre bande sono utilizzate per la 
correzione atmosferica. 
L’angolo di scansione è di ±58.3° rispetto al nadir, mentre l’angolo istantaneo di vista (IFOV) 
è di 1.6 millirad. Il rapporto segnale-disturbo (SNR) è circa 600. 
 
Le ottiche primarie di SeaWiFS consistono in un telescopio (cf. figure I.4.3.2.-3.) che 
raccoglie la radiazione proveniente dalla superficie terrestre ed in uno specchio, sincronizzato 
in fase col telescopio e ruotante a metà della sua velocità, che la riceve e la riflette dirigendola 
verso i filtri dicroici che la separano in quattro bande spettrali; poi altri filtri le dividono 
ancora per avere le otto componenti che vanno ad incidere sui detector. 
 
Tabella I.4.3.1. Caratteristiche principali del sensore SeaWiFS (Hooker et al., 1993). 
Banda Lunghezza d'onda (λ) [nm] Risoluzione al nadir: 1.1 km LAC
1 402 - 422 4.5 km GAC
2 433 - 453
3 480 - 500 Orbita: eliosincrona a 705 km
4 500 - 520
5 545 - 565
6 660 - 680 Passaggio all'equatore: 12.00 ± 20 min.
7 745 - 785
8 845 - 885
 16 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
I detector sono rilevatori di tipo fotoresistivo: inseriti in un circuito funzionano da resistenza 
ed al variare della potenza incidente consentono il passaggio della corrente proporzionalmente 
all’intensità della radiazione. Un voltmetro, inserito anch’esso nel circuito, legge i valori di 
tensione che sono prima amplificati e poi, tramite un dispositivo di chopperaggio, discretizzati 
ed infine digitalizzati a 12 bit da un convertitore analogico-digitale, pronti per essere 
trasmessi a terra o registrati a bordo (Hooker et al., 1993). 
 
 
I.4.4. Tipi di dati 
 
SeaWiFS può registrare a bordo una quantità limitata di dati a copertura locale (Local 
Area Coverage, LAC) ad alta risoluzione (pixel di 1.1 km²) e di dati a copertura globale 
(Global Area Coverage, GAC) a bassa risoluzione (pixel di 4.5 km²). Questi ultimi richiedono 
il quasi completo uso della capacità di registrazione a bordo, perciò lo spazio restante 
destinato ai LAC è usato per dati relativi a zone di particolare interesse per qualche progetto 
della NASA. 
Figura I.4.3.2. Schema di funzionamento della ripresa ottica 
(Hooker et al., 1993)). 
Figura I.4.3.1. Foto del sensore (immagine riportata da: 
http://seawifs.gsfc.nasa.gov/SEAWIFS/SEASTAR/seawifs_be
nch.gif). 
 17 
I dati di tipo LAC vengono quindi trasmessi continuamente in formato High 
Resolution Picture Trasmission (HRPT) alle stazioni riceventi (cf. figura I.4.4.1.) e da queste 
convertiti in formato Hierarchical Data Format (HDF) che consente la gestione di grandi 
quantità di dati (Lavender & Groom, 1999). 
 Come anticipato in precedenza, la NASA detiene i diritti sui dati per scopi di ricerca 
mentre il gruppo privato OSC detiene i diritti per scopi commerciali. Le stazioni HRPT 
approvate dalla NASA sono autorizzate a ricevere i dati LAC in tempo reale, senza il bisogno 
di ottenere una licenza OSC. Queste stazioni possono però distribuire dati solo ad utenti di 
ricerca approvati dalla NASA. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
I dati sono archiviati secondo le definizioni standard: 
• livello 1: dati grezzi di radianza misurata dal satellite; 
• livello 2: dati corretti atmosfericamente (cf. figura I.4.4.2.) da cui si estraggono le 
concentrazioni di clorofilla o di altri parametri d’interesse riferiti a tutta la strisciata; 
• livello 3: dati di clorofilla ed altri parametri georeferenziati e tagliati per specifiche zone.  
 
La correzione atmosferica è l’operazione più importante tra le fasi di elaborazione dei 
dati da satellite, pertanto necessita di accurati algoritmi in grado di depurare l’immagine dal 
disturbo arrecato al segnale dall’interazione con l’atmosfera. 
Figura I.4.4.1. Stazioni riceventi i dati in formato HRPT (immagine riportata da: 
http://seawifs.gsfc.nasa.gov/SEAWIFS/HRPT/HRPT_LOCATIONS.html). 
 18 
Gli aerosol, le nuvole ed i gas atmosferici assorbono, diffondono e deviano il segnale di 
radianza, proveniente dalla superficie marina, raccolto dal sensore; quindi il valore di 
concentrazione dei pigmenti da esso derivato rischia di essere poco aderente alla realtà. 
Inoltre il segnale va anche depurato della componente derivante dalla riflessione 
dell’energia solare sulla superficie acquatica, che dipende fortemente dalla geometria della 
riflessione e poco dalle proprietà ottiche dei costituenti. 
La seguente relazione (per una trattazione completa sull’argomento si veda Gordon, 
1993) esprime la molteplice natura della radianza rilevata dallo strumento: 
 
dove si indica con: 
L
sat 
= radianza rilevata dal sensore (1);  
L
atm
 = radianza atmosferica (2); 
T = trasmittanza atmosferica, coefficiente indicante la percentuale di radianza che 
raggiunge il sensore; 
L
sup
 = energia riflessa dall’acqua (3); 
L
w
 = radianza emergente dall’acqua, l’unico parametro d’interesse, dal quale si 
ricavano le concentrazioni dei suoi costituenti (4). 
I numeri tra parentesi si riferiscono alla figura I.4.4.2.  
 
Si noti infine che tali grandezze sono spettrali, cioè il loro valore varia con la lunghezza 
d’onda. Misurando il valore di queste grandezze in varie (specifiche) bande dello spettro 
visibile, come fa SeaWiFS, è possibile apportare correzioni opportune (atmosferiche, 
soprattutto) al segnale grezzo registrato dall’orbita e ricavare quindi i parametri d’interesse 
(concentrazione dei costituenti dell’acqua). Questo tipo di elaborazione viene condotto, in 
generale, utilizzando modelli semplificati ricavati dalla relazione (a) e da algoritmi empirici 
derivati dall’analisi di dati in situ. 
 
() () () () () ()a                   
sup
λλλλλ
wsatsat
LTLTLL ++=
 19 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Nel caso di SeaWiFS, elaborazioni del tipo accennato, possono essere condotte con il 
software Seadas, realizzato dalla NASA con lo scopo di estrarre dai valori grezzi di radianza 
le concentrazioni dei pigmenti disciolti e sospesi in mare, tenendo conto dei vari effetti 
(atmosferici e fisici) che concorrono alla formazione del segnale (Fu et al., 1998 & NASA, 
1999). 
 
 
Figura I.4.4.2. Schema delle componenti del segnale ricevuto dal sensore 
(immagine riportata da: http://seawifs.gsfc.nasa.gov/~grey/calval2.html).