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vista, conservativo fino al punto di fare arretrare un paese avanzato come l’Italia nei 
confronti del resto d’Europa.      
Ho scelto questa tesi dopo aver studiato che i limiti del commercio italiano sono dovuti  
sopratutto ad una ancora forte presenza nel territorio di un tipo di commercio 
tradizionale, basato su numerose e piccole imprese di tipo familiare. Il lavoro si 
sviluppa con lo scopo di capire come sia intervenuto“il legislatore comunale” dal 1971 
ad oggi, nel compito, finora rimasto incompiuto, di ammodernare la rete distributiva.  
La tesi “Impatto della normativa commerciale sulla rete distributiva del Comune di 
Lonigo” si sviluppa in quattro capitoli che riassumono quale è stato l’intervento 
regolamentatore del Comune di Lonigo e mirano a verificare quali siano stati i 
mutamenti della consistenza distributiva negli anni della pianificazione commerciale. 
Il primo capitolo cerca di definire quali siano stati gli interventi legislativi nazionali e 
regionali dall’inizio della pianificazione commerciale ad oggi. Infatti, con la legge 
426/1971 si può affermare sia stata fondata la pianificazione dell’attività della 
distribuzione e che  quindi  sia stato finalmente disciplinato con chiarezza  un settore da 
sempre considerato marginale. 
Il capitolo 1 si apre spiegando quali siano le funzioni di un Istituto creato nel 1971, il 
Piano comunale di adeguamento e sviluppo della rete distributiva. Prosegue poi 
chiarendo quali sono i motivi che spingono il legislatore nazionale ad intervenire in 
modo così specifico sul settore del commercio. L’intento di ammodernare la rete 
distributiva può essere raggiunto, secondo il legislatore del 1971, tramite un regime 
autorizzativo nazionale e comunale che favorisca la professionalizzazione dei 
commercianti e la nascita di tecniche e forme di vendita più moderne. Però gli anni di 
applicazione della legge hanno dimostrato che l’obiettivo non è stato raggiunto 
completamente e che sono stati necessari altri interventi normativi nazionali (dal 1982 al 
5 
1998) che riducessero gli ambiti economici colpiti dalla programmazione degli Enti 
Pubblici e che delegassero alcuni compiti alle Regioni, nel rispetto della richiesta 
diffusa tra i cittadini di diminuire il centralismo statale. Di tali interventi normativi vi è 
breve indicazione nella tesi, mentre vengono affrontati in modo specifico nella seconda 
parte del capitolo 1 le Leggi Regionali emanate dal Veneto a seguito dell’entrata  in 
vigore del Decreto 114/1998. 
Ho ritenuto di dover offrire al lettore della tesi una breve panoramica sul Comune 
oggetto di studio, e per questo ha provveduto nel capitolo 2 a descrivere la Storia e la 
situazione economica attuale del Comune di Lonigo. La scelta è ricaduta sulla Città di 
Lonigo a seguito di uno stage che ho avuto modo di svolgere nell’agosto 2005 presso 
l’Ufficio commercio del Municipio; durante l’attività sono entrato in contatto con 
questa tematica e ne sono stato interessato. Ho potuto reperire con facilità i dati e i 
materiali necessari per la stesura della tesi anche grazie alla cortese disponibilità degli 
impiegati dell’ufficio comunale. 
Dopo un’attenta ricerca nell’archivio del Comune è stato possibile rintracciare i Piani 
comunali del 1975, 1982 e del 1989; questi, insieme ai regolamenti comunali più 
recenti, sono stati oggetto di una attenta analisi nel capitolo 3. La stesura del capitolo 3 
si divide in 4 paragrafi, riferiti rispettivamente ai tre Piani comunali e ai criteri 
comunali, emanati a seguito del Decreto Bersani, per la concessione di autorizzazioni 
commerciali alle medie strutture di vendita. Questi paragrafi cercano di riassumere al 
meglio la normativa comunale per il regime autorizzativo, mentre cercano di 
soffermarsi sullo studio della consistenza della rete distributiva nei diversi anni; il tutto 
è analizzato in maniera differente a seconda della suddivisione del territorio comunale 
in zone commerciali omogenee. E’ stato interessante in questi capitoli effettuare un 
confronto per tabelle merceologiche tra gli anni 1982 e 1975, oltre che tra gli anni 1989 
6 
e 1982 in quanto ciò ha permesso di capire che, ad eccezione della tabella VIII, il trend 
di aumento della superficie di vendita colpisce, sia a livello nazionale che a livello 
locale, le tabelle merceologiche del settore classificato come non alimentare. 
Nel capitolo 4 è stato possibile analizzare i dati sul commercio a Lonigo nell’agosto del 
2005 ed effettuare un confronto con la rete distributiva del 1975 e del 1989, pur con i 
dovuti aggiustamenti e con le dovute congetture. In questo capitolo è risultato 
interessante analizzare come sia variato negli anni il peso dei settori alimentare e non 
alimentare, in considerazione degli indici di servizio e di concentrazione dei punti 
vendita. Tali indici hanno permesso di verificare se e quanto siano stati raggiunti gli 
obbiettivi della pianificazione comunale, di incrementare il rapporto abitanti per punto 
vendita e di diminuire l’eccessivo accentramento nella zona del capoluogo sia del 
numero che della superficie degli esercizi di vendita. 
Nella conclusione fornisco un’interpretazione delle variazioni e dei mutamenti avvenuti 
nei 30 anni oggetto di ricerca. Di fatto la conclusione consiste, insieme all’ultima parte 
del capitolo 4, nella espressione delle interpretazioni personali che permettono al 
sottoscritto di esprimere le proprie opinioni e considerazioni sulla situazione attuale 
della rete distributiva leonicena. Con tali opinioni si conclude la tesi che vuole fornire 
un sintetico modello di analisi della rete distributiva leonicena, che potrebbe costituire, 
per il Comune di Lonigo, pretesto per individuare indicazioni utili per gli interventi 
regolamentativi da attuare negli anni a venire. 
7 
1. PREFAZIONE: LA DISCIPLINA DELLA PIANIFICAZIONE 
COMMERCIALE  
 
1.1 INTERVENTO NORMATIVO DEL LEGISLATORE NAZIONALE 
 
La pianificazione commerciale effettuata dallo Stato e dagli Enti locali trova 
fondamento nella disciplina dottrinaria e quindi nella visione giuridica del ruolo che lo 
Stato deve avere nell’economia. In Italia i primi forti segnali d’intervento dello Stato, 
quale soggetto attivo nel mercato, si vedono con la nascita della Repubblica; essi  
lentamente spingono la società ad abbandonare una visione economica di stampo 
liberista  aderendo ad una visione di stampo interventista.  
In particolare all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, il ruolo dello Stato e 
quello degli Enti pubblici nei confronti dell’attività commerciale assumono una diversa 
caratterizzazione; non solo nell’ambito giuridico, ma persino a livello di Diritto positivo 
essi ormai si presentano quali soggetti d’attività economica accanto ai privati, facendo 
così perdere all’attività economica la qualificazione di necessaria privatezza che l’aveva 
sino a quel punto caratterizzata
1
. Infatti dall’idea interventista dello Stato  s’inizia a 
promuovere un’ attività di programmazione economica nazionale. 
La programmazione economica nazionale colpisce tutti i settori economici; in 
particolare dall’analisi del settore distributivo nasce la legge definita fondamento della 
disciplina del commercio in Italia, la Legge dell’11 giugno 1971 n.426. La legge 426 
del 1971 instaura un sistema autorizzativo per gli esercizi commerciali, introduce il 
registro degli esercenti per il commercio ed impone ai Comuni il compito di procedere 
alla stesura dei Piani di sviluppo e di adeguamento della rete di vendita. 
                                                 
1
 Dal capitolo I del libro Studi sulla disciplina giuridica dell’insediamento commerciale di M.T. 
Paola Caputi Jambrenghi, MILANO – GIUFFRE’ 2000. 
8 
In particolare i Piani Comunali avevano il compito di rilevare la consistenza della rete 
distributiva nel territorio e di assicurare, nel rispetto delle previsioni urbanistiche, la 
miglior produttività e funzionalità della rete distributiva, garantendo il maggior 
equilibrio possibile tra installazioni commerciali e popolazione residente e fluttuante. 
Secondo la Legge, il Sindaco poteva rilasciare, nel rispetto del Piano Comunale, 
l’autorizzazione all’apertura dell’esercizio commerciale solo dopo aver sentito la 
commissione e, nel caso di grandi strutture di vendita, solo dopo aver ottenuto il nulla 
osta alla nuova apertura dalla Regione. L’apertura di un nuovo esercizio di vendita era 
anche subordinata all’iscrizione nel registro delle Imprese, tenuto dalla Camera di 
Commercio e ciò avveniva solo nel caso in cui il soggetto richiedente fosse titolare dei 
requisiti professionali e morali richiesti dalla legge. Tutto questo non faceva altro che 
complicare le procedure per gli aspiranti imprenditori.  
Nelle intenzioni del legislatore del 1971 venivano annoverati come obiettivi quelli di 
promuovere, con l’adozione di tecniche moderne, lo sviluppo e la produttività del 
sistema, assicurando il rispetto della libera concorrenza; di fatto, però, venne scelto di 
respingere il criterio liberistico per preferirgli quello della programmazione. Infatti, la 
creazione di apposite commissioni comunali e regionali, di prevalente composizione 
burocratico-corporativa, con competenza a decidere su questioni fondamentali, ha 
spesso messo in secondo piano l’esigenza dei consumatori di accedere a forme più 
efficienti d’approvvigionamento. Ciò si è verificato quando le commissioni hanno agito 
con una stringente limitazione della concessione di autorizzazioni, nell’intento di 
conservare lo status quo della rete distributiva presente sul territorio.”
2
 
                                                 
2
 Citazione dal secondo paragrafo del capitolo II del libro Studi sulla disciplina giuridica 
dell’insediamento commerciale di M.T. Paola Caputi Jambrenghi, MILANO – GIUFFRE’ 
2000. 
 
 
9 
Dal 1981, dopo un primo periodo di applicazione, la legge 426 del 1971 è stata oggetto 
di modifiche ed interventi normativi
3
 aventi come obiettivi una maggiore 
liberalizzazione dei trasferimenti, degli ampliamenti e delle concentrazioni di esercizi 
già esistenti, oltre all’applicazione da parte dei Comuni di un regime di maggiore 
flessibilità sugli orari di apertura
4
. Nonostante gli interventi normativi degli anni ’80, 
rivolti a limitare le possibilità di intervento delle Commissioni per dare un reale impulso 
al commercio e  attuare una deregolamentazione, all’inizio degli anni ’90 la disciplina 
del commercio in Italia, a confronto con quella dei maggiori Paesi europei, si 
caratterizzava per un grado elevato di restrittività nei riguardi del libero funzionamento 
della concorrenza. Nel 1993 l’Autorità garante della concorrenza con la sua prima 
relazione sottolineava, infatti, gli ostacoli amministrativi allora esistenti nel nostro 
ordinamento commerciale; tali ostacoli alla possibilità di entrare nel mercato venivano 
considerati veri e propri vincoli, che introducevano distorsioni e limitavano l’efficacia 
delle funzioni del libero mercato, impedendo di fatto l’operare della concorrenza. 
L’autorità garante metteva quindi sotto accusa il regime che disciplinava il rilascio della 
licenza di commercio e che traeva origine dal R.D.L.16 dicembre 1926 n.2174, affidato 
appunto nella disciplina del 1971 al Piano Comunale. Si doveva assicurare un 
coordinamento dei vari insediamenti commerciali in modo da garantire in tutte le zone 
del territorio comunale la copertura delle diverse tipologie di prodotti. 
I Piani comunali, però, avevano mostrato spesso la loro inefficienza, rimanendo per lo 
più inattuati e spesso non aggiornati secondo i termini di legge (ogni 4 anni). 
                                                 
3
 Tra i quali spiccano il D.M. n.316 del 1987 che inizia a definire giuridicamente con chiarezza i 
Centri Commerciali e il D.M. n.375 del 1988 che presto definito “Testo unico sul Commercio” 
procede tramite deregolamentazioni parziali a rendere più semplice l’accesso alla professione di 
commerciante. 
4
 Riferimento alle leggi n.887 del 1982 e  n.121 del 1987  che hanno iniziato la liberalizzazione 
di trasferimenti, ampliamenti, concentrazioni ed orari di apertura. 
10
 
Quindi si andò sviluppando un dibattito per rivedere la normativa nazionale anche alla 
luce degli interventi normativi e giurisprudenziali delle istituzioni comunitarie, ma ogni 
modifica fatta nell’interesse dei consumatori e della concorrenza sarebbe risultata lesiva 
degli interessi dei commercianti. Gli interessi in gioco, infatti, non erano soltanto quelli 
dei consumatori ma anche quelli contrapposti dei “commercianti in atto” e dei 
“commercianti in potenza”, gli uni favorevoli al sistema autorizzativo vigente, perché 
limitativo del numero dei concorrenti, gli altri schierati per la revisione del sistema “per 
potersi immettere senza barriere nel commercio ”. 
Dopo accesi dibattiti, negli anni ’90, si è deciso di intervenire sulla disciplina del 
commercio tenendo conto del principio di libertà dell’iniziativa economica sancito 
dall’art. 41 della Costituzione. Gli interventi normativi attuati sono stati numerosi e tutti 
rivolti a semplificare i procedimenti amministrativi (ad esempio nel 1994 il principio 
del silenzio assenso) per ottenere l’autorizzazione e poter iniziare l’attività 
commerciale.  
Oggi, grazie al D.Lgs del 31 marzo 1998 n.114, l’apertura, il trasferimento di sede e 
l’ampliamento degli esercizi di vicinato sono assoggettati solo all’obbligo di presentare 
al Comune un’apposita comunicazione di inizio attività e un’auto-dichiarazione che 
indichi il possesso dei requisiti morali per l’esercizio di attività nel settore non 
alimentare e i requisiti morali e professionali in caso di attività in settore alimentare. Di 
fatto il regime autorizzativo permane solo per le medie e grandi strutture di vendita che 
devono vedersi accolta la domanda dalla Conferenza dei Servizi, composta dai 
rappresentanti competenti per territorio di Provincia, Comune e Regione. 
 Di fatto con il “Decreto Bersani” viene assegnato alla Regione il compito di procedere 
alla programmazione commerciale, stabilendo, nel rispetto del Decreto, gli indirizzi 
generali cui i Comuni dovranno attenersi per l’insediamento delle attività commerciali e 
11
 
fissando i criteri di programmazione urbanistica ai quali dovranno attenersi i Comuni 
per la fissazione dei propri. 
 
1.2 INTERVENTO NORMATIVO DEL LEGISLATORE REGIONALE 
 
Il Decreto Legislativo 114 del 1998, nel determinare la disciplina generale della 
pianificazione territoriale del commercio, affida alle Regioni il compito di definire gli 
indirizzi per l’insediamento delle attività commerciali e i criteri della programmazione 
urbanistico- commerciale. E la regione Veneto interviene in tal senso già il 9 agosto 
1999 emanando la Legge Regionale n.37. 
La legge Regionale n.37 del 1999, pur ispirandosi ai principi del Decreto, ha come 
principali finalità quelle di agevolare gli insediamenti commerciali nel territorio 
rispettando e salvaguardando i livelli occupazionali delle singole aree, oltre che 
 valorizzando e ammodernando la funzione commerciale. La Regione sottolinea 
l’importanza della riqualificazione e rivitalizzazione del tessuto economico, sociale e 
culturale sia nei centri storici delle città, sia nelle zone rurali e di montagna; tali obiettivi 
sono raggiungibili con incentivi o con la promozione della formazione professionale e 
di centri polifunzionali (definiti come punti di vendita del settore alimentare che 
compiono unitamente almeno tre diverse attività commerciali, economiche o 
amministrative). Inoltre per legge è assegnato alla Regione il compito di monitorare la 
rete distributiva e il Veneto vi provvede istituendo un osservatorio regionale, composto 
da un comitato consultivo e da uno tecnico-scientifico. 
La Regione, al fine di svolgere la propria funzione di analisi e programmazione del 
commercio, con questa Legge Regionale provvede a suddividere il territorio in diciotto 
ambiti territoriali con caratteristiche socio-economiche e demografiche omogenee.