4 
INTRODUZIONE 
 
 
Questo lavoro nasce dall’interesse per l’indagine sull’ontologia in gioco 
nel passaggio dall’estetica, all’ermeneutica e all’interpretazione nell’opera 
di Hans Georg Gadamer e di Luigi Pareyson. Ovvero desideriamo 
indagare in che modo e perché l’ermeneutica sfoci nell’ontologia, fin 
dove giunga l’interpretare, fin dove possa spingersi nella ricerca del senso 
e dell’ulteriorità che emergono sia nell’opera d’arte sia in un testo e 
quando, invece, debba arrestarsi di fronte all’essere e alla verità. 
Emergerà in tutto il pensiero ermeneutico un rifiuto della metafisica 
come pensiero oggettivante e un riconoscimento del valore di esperienza 
extra-scientifiche ed extra-metodiche quali la poesia e l’arte.  
Luigi Pareyson e Hans Georg Gadamer sono due filosofi che 
hanno attraversato il XX secolo, i cui interessi e  lavori si sono intrecciati 
spesso nel corso degli anni, come altrettanto spesso si sono allontanati, 
pur nella condivisione dell’indagine ermeneutica. Di Pareyson 
affronteremo tutto il percorso filosofico dalle opere estetiche al 
personalismo ontologico ed esistenziale, all’ontologia dell’inesauribile 
fino all’ultima fase dell’ontologia della libertà, soffermandoci, 
principalmente, sugli aspetti del suo pensiero che più interessano il 
nostro lavoro; di Gadamer affronteremo Wahrheit und Methode, ed alcuni 
saggi successivi, che chiariscono, correggono, a volte confutano le 
conclusioni alle quali giunse in Verità e metodo. Attraverso il filtro e il 
lavoro di Pareyson e Gadamer, ci rivolgeremo ad altri filosofi, quali 
Kant, soprattutto per quanto riguarda la prima parte della Critica della 
facoltà di giudizio, e Ricoeur − in un dialogo il più delle volte affidato alle 
note −, utile punto di confronto e di critica sia dell’opera gadameriana, 
sia in relazione all’opera pareysoniana (nonostante i due filosofi
5 
procedano nelle loro ricerche in maniera indipendente, senza che le due 
prospettive entrino mai direttamente in dialogo tra loro); non mancherà, 
inoltre, il confronto di Pareyson con Dostoevskij e in controluce, 
emergerà in tutto il percorso il confronto con il pensiero di Martin 
Heidegger. 
Nello specifico, nel primo capitolo affronteremo la questione 
dell’estetica e il superamento dell’opposizione moderna tra soggetto ed 
oggetto; a tal proposito partiremo da Immanuel Kant che per primo, in 
epoca moderna, ha sistematizzato e chiarito il concetto che è alla base 
dell’estetica così come ancora oggi è concepita. Vedremo come Pareyson 
si immetta, pur con tutte le proprie specificità, nel percorso tracciato da 
Kant, per poi giungere alla delineazione di una propria teoria estetica, 
ossia dell’estetica come teoria della formatività che assegna un valore ed 
un’importanza identiche al soggetto, all’artista che fa l’opera e all’opera 
d’arte, che si “lascia formare”; per contro vedremo come Gadamer in 
Verità e metodo contesti e confuti le affermazioni kantiane e tutta la sua 
concezione dell’estetica, che ai suoi occhi ha perso di vista la verità, 
favorendo uno sterile metodologismo, per poi correggere alcune sue 
affermazioni e rivalutare negli scritti successivi diverse idee di Kant, 
facendolo attraverso un dialogo fecondo e sofferto. In entrambi ci 
apparirà chiaro come la circolarità tra soggetto ed oggetto, tra artista ed 
opera, tra opera ed interprete si sviluppi in modo positivo e ricco di 
spunti fecondi; in entrambi, inoltre, cercheremo di mettere in luce come 
già da queste prime battute, cioè a partire dall’opera d’arte si assista 
all’emergere di un terzo elemento, della verità che l’opera d’arte porta a 
manifestazione. Vedremo, quindi, come ciò sposti l’asse d’indagine 
mettendo a fuoco una nuova ottica: la verità in questione non è più 
imposta dall’io ma è lasciata libera di emergere e in questa sua possibilità
6 
di essere lascia altrettanto liberi di arricchirsi reciprocamente soggetto e 
oggetto. 
Nel secondo capitolo seguiremo il passaggio dall’estetica 
all’interpretazione, non solo dell’opera d’arte, e ci soffermeremo ad 
analizzare il rapporto tra infinità delle interpretazioni e unicità di ciò che 
viene interpretato, tra ulteriorità della verità e molteplicità dei soggetti 
interpretanti. Qui potremo constatare come le due ermeneutiche a 
confronto approdino a conclusioni differenti e apparentemente 
inconciliabili: Gadamer compie il passaggio dall’opera d’arte in generale 
al linguaggio, affrontando in modo puntuale il problema della 
comprensione attraverso la rivalutazione della distanza temporale, non 
cadendo, anzi superando, il doppio tentativo ingenuo e pericoloso di 
porre il proprio io tra parentesi o di isolare l’opera nell’atto del 
comprendere. Grazie, invece, alla virtuosità del circolo ermeneutico e 
spingendosi fino alla fusione degli orizzonti, potrà affermare che l’orizzonte 
di verità del soggetto entra in gioco con tutto il passato che lo precede, 
permettendo, così, una feconda tensione tra tradizione e presente e lo 
sviluppo di un senso condiviso. Ma Gadamer non chiarirà se questo 
senso che ci precede e l’essere che si manifesta a partire dal linguaggio 
costituiscano la stella polare dell’interpretazione e della comprensione o 
se la creatività del soggetto goda di una libertà illimitata. In Pareyson, 
invece, il concetto d’interpretazione si mostra, almeno in apparenza, 
meno complesso: fin da subito ci dice che essa è storica e particolare, 
perché la nostra condizione è quella della storicità, ma è guidata 
dall’inesauribilità della verità, che in tutte esse si manifesta, pur restando 
ulteriore e, quindi, libera di manifestarsi. 
Il terzo capitolo ruota intorno all’essenza dell’ontologia in 
questione e della verità, che Pareyson individuerà nella libertà  dell’uomo
7 
in quanto possibilità per l’individuazione della libertà nell’assoluto, anzi 
dell’assoluto concepito come pura libertà, tema che emergerà attraverso 
la critica puntuale e costruttiva al pensiero di Heidegger. Per quanto 
riguarda Gadamer, invece, nel quale, il tema della libertà non emergerà 
mai in modo così netto, (forse per il suo costante riferimento ad 
Heidegger), proveremo a discostarci da Verità e metodo e ci avvicineremo 
di nuovo ai suoi scritti successivi per tentare di cogliere consonanze e 
dissonanze con il pensiero di Pareyson.
8 
CAPITOLO I 
 
 
Niente per lungo tempo, 
e poi, improvvisamente  
si hanno gli occhi giusti 
2
. 
 
 
Il superamento del dualismo soggetto/oggetto 
 
La posta in gioco estetica e la Kritik der Urtheilskraft: Luigi 
Pareyson e Hans Georg Gadamer.  
 
La nostra facoltà conoscitiva nel suo complesso ha 
due domini, quello dei concetti della natura e quello 
del concetto della libertà, poiché essa è legislativa a 
priori mediante entrambi. Perciò anche la filosofia si 
divide, conformemente ad essa, in teoretica e 
pratica… La legislazione mediante concetti della 
natura avviene mediante l’intelletto, ed è teoretica. La 
legislazione mediante il concetto della libertà avviene 
mediante la ragione, ed è soltanto pratica… Intelletto 
e ragione hanno quindi due legislazioni differenti in 
un unico e medesimo territorio dell’esperienza, senza 
che l’una pregiudichi l’altra… Ma nella famiglia delle 
facoltà conoscitive superiori c’è un membro 
                                                 
2
 R. M. Rilke, Briefe über Cézanne, tr. it. Lettere su Cézanne, a cura di G. Buss-De Giudici, 
Passigli editori, Firenze, 2001, pag. 59.
9 
intermedio tra l’intelletto e la ragione. Ed è la facoltà 
di giudizio
3
. 
 
Così scriveva il filosofo di Königsberg nell’ Introduzione all’edizione 
del 1790 della Kritik der Urtheilskraft. Da qui partiremo, perché questa 
opera rappresenta il punto di svolta per tutta l’ estetica ad essa 
successiva: cercheremo di capirne il movimento interno e la sua 
straordinaria grandezza, cosa che faremo interrogandola indirettamente 
attraverso lo studio e l’interpretazione che ne hanno dato Pareyson e 
Gadamer, servendocene, dunque, come di un termine medio di 
confronto. Perché, nella cornice del nostro operare, il tentativo sarà 
appunto quello di “dialogare” e “far dialogare”, anche attraverso il filtro 
del tempo e di altri pensatori, questi due grandi interpreti della filosofia, 
per scoprirne somiglianze, metterne in luce differenze, coglierne 
analogie. 
 
1. Luigi Pareyson e la Terza Critica kantiana. Messa in questione 
 
1.1 Il bello 
 
Secondo Luigi Pareyson, Kant giunge alla delineazione del giudizio 
di gusto e alla fondazione dell’estetica, così come noi ancora oggi la 
intendiamo: 
 
Quanto alla distinzione del sentimento come facoltà 
autonoma, distinzione ch’egli, dunque, eredita 
dall’estetica settecentesca, si aggiunge il 
riconoscimento della necessità e della possibilità di 
                                                 
3
 I. Kant, Kritik der Urtheilskraft, trad. it. Critica della facoltà giudizio, a cura di E. Garroni 
e H. Hohenegger, Einaudi editore, Torino, 1999, pagg. 10-13, §§ 2-3.
10 
farne una critica: infatti solo se è possibile trovare una 
nuova facoltà indipendente ch’è il sentimento, e solo 
se è possibile farne la critica, cioè trovarne il principio 
a priori, sarà possibile fondare l’ estetica
4
. 
 
Come leggiamo nella Critica della facoltà di giudizio, ripetendo la 
distinzione della filosofia in teoretica e pratica, Kant sostiene che con la 
prima è possibile la conoscenza sensibile, grazie all’intelletto, che si 
conforma ai concetti della natura; attraverso la seconda è, invece, 
possibile la rappresentazione degli oggetti con le idee e ciò avviene grazie 
alla ragione, che si conforma al concetto della libertà, innato in noi
5
. Se 
nella Critica della Ragion pura abbiamo la presenza di un intelletto 
legislatore che conosce (siamo quindi nell’ambito della necessità), nella 
Critica della Ragion pratica siamo in presenza di una ragione legislatrice di 
sé (l’ambito è, quindi, quello della libertà). Non si tratta di stabilire, 
sostiene Kant, un accordo tra due mondi opposti, poiché questo è 
possibile solo in quanto i due ambiti sono e restano separati
6
. I mondi 
sono due e tali devono restare: alla Terza Critica spetterà il compito di 
rappresentare e configurare il passaggio soggettivo, non oggettivo, da un 
mondo all’altro
7
. L’uomo, infatti, appartiene ad entrambi: « L’ordine 
propriamente umano è quella medietà nella quale noi ci muoviamo 
                                                 
4
 L Pareyson, L’estetica di Kant, Mursia, Milano, 1968, pag. 11. 
5
 «La legislazione mediante concetti della natura avviene mediante l’intelletto, ed è 
teoretica. La legislazione mediante il concetto della libertà avviene mediante la ragione 
ed è soltanto pratica.» (I. Kant, Critica della facoltà giudizio, cit., pag. 10, § II). 
6
 Cfr. le quattro antinomie cosmologiche della Ragion pura. Kant stesso ci dice che 
«esse non permettono neppure che la ragione la pensi in accordo con le leggi 
universali dell’esperienza. Eppure queste idee non sono escogitate arbitrariamente: la 
ragione è piuttosto condotta necessariamente ad esse, quando vuol cogliere nella sua 
totalità assoluta, ciò che non potrà mai venir determinato, se non 
condizionatamente.» (I. Kant, Kritik der Reinen Vernunft, tr. it. Critica della ragion pura, a 
cura di G. Colli, Adelphi, Milano, 1995, pag. 521). 
7
 Cfr. Pareyson, L’estetica di Kant, cit., pag. 13.
11 
costantemente… Bisognerebbe riflettere sulla posizione stessa del corpo 
nella natura: esso è ad un tempo corpo tra i corpi (cosa tra le cose), e 
modo di esistere di un essere capace di riflettere, di riprendersi e di 
giustificare il proprio comportamento… L’ uomo è tale proprio perché 
appartiene al tempo stesso al regime della causalità e a quello della 
motivazione»
8
.  
Quindi, i mondi pur essendo e restando due, le Critiche diventano 
tre, e nella Terza i due orizzonti si incontrano e si conciliano nel soggetto. 
L’ accordo non è, però, oggettivo, in tal caso non vi sarebbe filosofia ma 
solo necessità pura e determinante, bensì soggettivo
9
. Si tratta, infatti, di 
trovare la concordanza tra un concetto dell’ intelletto (il cui risultato è 
conoscere) con un concetto della ragione (il cui esito è porre fini). In 
altre parole, il compito è quello di commisurare un concetto 
dell’intelletto ad una facoltà della ragione (per questo il giudizio che ne 
scaturisce non è sintetico ma riflettente)
10
. Intelletto e Ragione hanno 
legislazioni diverse all’interno dell’esperienza; il passaggio dall’uno 
all’altra è possibile solo con la Critica della facoltà di Giudizio, grazie alla 
quale le due parti, altrimenti separate e disgiunte, si armonizzano. 
Nello specifico, il puro giudizio di gusto, in quanto giudizio, 
dovrebbe rappresentare la possibilità di pensare il particolare sotto 
l’universale ma, dal momento che è dato solo il particolare, si ha un 
giudizio riflettente, diverso dal giudizio determinante proprio della Ragion 
pura: non siamo di fronte ad un giudizio che  presuppone un concetto, 
perché l’unità del molteplice è ricondotta alla pura forma e alle facoltà 
conoscitive del soggetto; il bello presuppone un giudizio estetico, legge a 
                                                 
8
 P. Ricoeur, Dell’ interpretazione ora in Du texte à l’action, tr. it. Dal testo all’azione, a cura 
di G. Grampa, Jaca Book, Milano, 1983, pag. 16. 
9
 I. Kant, Critica del giudizio, cit., pag. 39, § 1. 
10
 Cfr. L. Pareyson, L’estetica di Kant, cit., pagg. 16 e segg.
12 
sé, senza essere oggetto di un giudizio logico. Il giudizio di gusto lega 
insieme conoscenza e praticità: si basa sulle facoltà conoscitive (ma non 
per conoscere) e sul concetto di finalità, senza invadere il campo morale; 
è, quindi, una conoscenza sui generis, perché è contemplazione pura che 
produce piacere ed è una finalità senza legge
11
. Ciò vuol dire che, 
essendo una conoscenza, è universale e necessario e che, essendo puro, è 
privo di desiderio: «La facoltà estetica di giudizio è quindi una speciale 
facoltà di giudicare le cose secondo una regola, non secondo i 
concetti»
12
. 
Partendo dal testo kantiano, Pareyson può dunque affermare che 
nel bello il soggetto sente soltanto se stesso
13
, motivo per cui si tratta di 
un piacere disinteressato privo di conoscenza e volontà, distinto sia dal 
gradevole (un piacere interessato, poiché il soggetto si sente e si rivolge 
all’esistenza dell’oggetto), sia dal pregevole (nel quale il soggetto è agente 
e volente, quindi, legato alla volontà)
14
. Per distinguere qualcosa di bello 
ci riferiamo non all’oggetto mediante l’intelletto, ma al soggetto e al suo 
sentimento di piacere o dispiacere mediante l’immaginazione 
(ovviamente legata con l’intelletto). Il bello, che non si fonda su un 
concetto, è differente anche dal piacevole, perché ciascuno avrebbe il suo 
proprio gusto personale (in questo caso, però, non siamo di fronte al 
gusto dei sensi ma a quello della riflessione). La conferma della propria 
validità non la ottiene, quindi, dai concetti, ma dall’adesione della sfera 
dei giudicanti. Il giudizio di gusto non è il sentimento di rispetto che si 
fonda sulla causalità della libertà, non ha nessun fine pratico ma è solo ed 
esclusivamente contemplativo.  
                                                 
11
 Cfr. G. Garelli, Kant e la verità estetica, Olschki, Firenze, 1990. 
12
 I. Kant, Critica della facoltà di giudizio, cit., pag. 30, § IX. 
13
 Cfr. L. Pareyson, L’estetica di Kant, cit., pag. 41. 
14
 Cfr. I. Kant, Critica della facoltà di giudizio, cit., pagg. 41-45, §§ 2-3.