valutare il grado di “giustizia” di un sistema processuale di diritto 
positivo
1
. 
1.1. La nozione di “giusto processo”. Dal Bill of Rights alla 
Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo.  
Da sempre, i principi che fanno di un processo un processo 
“giusto” sono indissolubilmente legati ai diritti fondamentali 
dell’individuo (grundrechte), che, sul finire del XVIII secolo, la 
Costituzione americana poneva, per la prima volta, alla base di un 
intero tessuto sociale.  
Prima del 1789, anno in cui la costituzione federale entrava 
in vigore, non vi era mai stato un riconoscimento, per così dire, 
"socialmente trasversale" di tali diritti, che coinvolgesse e 
condizionasse una intera comunità nella sua nascita e nella sua 
evoluzione storica. 
La Magna Charta del 1215, la Petition of rights del 1628 e il 
Bill of rights del 1689, infatti, pur costituendo il fondamento 
costituzionale della evoluta civiltà anglosassone e avendo concorso 
alla sua evoluzione in senso democratico, si inserivano, come 
espressione di un particolare gruppo di interessi, in un contesto 
sociale stabile e saldamente ancorato alle proprie  tradizioni
2
. 
                                                          
1
 In proposito cfr. M.CHIAVARIO, La Convenzione europea dei diritti 
dell’uomo, I, Milano, 1966, p.8. L’Autore sostiene che le scelte politiche relative 
alla disciplina positiva della materia penalistica rivestono un ruolo importante 
“quali indici del grado di civiltà e di democrazia di una società”. 
2
 Per un approfondimento sul tema si rinvia al testo curato da 
F.BATTAGLIA, Classici del liberalismo e del socialismo, le carte dei diritti, Firenze, 
1946. 
 2
Sul finire del XVIII secolo, dunque, la neonata Federazione 
degli Stati Uniti d’America riconosceva molteplici ed importanti 
diritti i cui titolari erano, indistintamente, tutti i cittadini di quella 
stessa nazione. Il nuovo sistema sociale si fondava su un corpo di 
norme superiori, di rango costituzionale, introdotti nel 1791 con il 
primo Congresso: il c.d. Bill of Rights
3
 (“Carta dei diritti”). 
All’interno di questo primo nocciolo duro, composto da dieci 
emendamenti, contenenti ciascuno anche diversi “clause” -  
letteralmente “clausole”, ma sostanzialmente dei principi di diritto - 
veniva riconosciuto ad ogni cittadino il diritto ad un regolare 
procedimento legale, cioè, secondo l'espressione originaria, il diritto 
ad un due process of law
4
. 
Con tale formula il V emendamento costituzionalizzava una 
nozione già patrimonio della Common Law grazie all’elaborazione 
che nel XVII secolo Sir Edward Coke fece della più antica rule of 
                                                          
3
 Per una lettura completa del Bill of rights americano nella traduzione 
italiana, si segnala l’opera di P. BISCARETTI DI RUFFIA, Costituzioni straniere 
contemporanee, vol. I, Milano, 1994. 
4
 V emendamento: “alcuno potrà essere sottoposto due volte, per un 
medesimo delitto, a un procedimento che comprometta la sua vita o la sua 
integrità fisica; né potrà essere obbligato, in qualsiasi causa penale, a deporre 
contro sé medesimo, né potrà essere privato della vita, della libertà o della 
proprietà, se non in seguito a un regolare procedimento legale”. Per la precisione, 
originariamente la garanzia di un “dovuto processo di legge” interessava in 
maniera esclusiva i procedimenti federali, ed i singoli Stati della neonata 
federazione erano considerati sovrani nell’ambito dell’amministrazione della 
giustizia. Tale situazione mutava solo molti decenni più tardi, nel 1868, quando 
si stabiliva per la prima volta l’assoggettamento dei procedimenti statali 
americani al riesame della Corte Suprema, ma soprattutto si introduceva un 
nuovo emendamento (il XIV) in forza del quale nessuno  Stato  avrebbe  potuto 
privare  “alcuna  persona della vita, della libertà, o della proprietà se non in 
seguito a regolare procedimento legale” , né avrebbe potuto rifiutare “a 
chicchessia nei limiti della sua giurisdizione l’eguale protezione delle leggi”. A 
questo punto, la costituzione americana garantiva anche a livello statale il diritto 
 3
law, embrione medievale del moderno principio di legalità e di 
indipendenza del potere giudiziario
5
. 
Seppure il processo americano presentava fondamentalmente 
i caratteri propri di un processo “giusto”, con l’espressione due 
process of law si specificava semplicemente su un piano 
processuale il più ampio principio di legalità: lo Stato crea le leggi e 
ad esse vi si assoggetta
6
. 
Può dunque affermarsi che l’espressione americana indicata 
quale fondamento storico-giuridico del c.d. “giusto processo”, 
originariamente, non possedeva quel significato fortemente 
ideologico che oggi le viene riconosciuto. Verosimilmente, sono 
state le vicende storiche e l'evoluzione giuridica che hanno portato 
quella nozione ad acquisire una così grande forza espressiva e 
simbolica. 
Solamente nel 1934, risolvendo il caso Snyder v. 
Massachussets, la Corte Suprema degli Stati Uniti dava conto 
dell’esistenza di un principio di giustizia sostanziale che andasse al  
di là di una  semplice  previsione  legislativa.  In  tale  occasione  la 
Corte tracciava il minimum standard che un procedimento (statale, 
nella  fattispecie) doveva possedere  affinchè fosse rispettato  quello 
                                                                                                                                                               
di ciascun cittadino ad essere giudicato mediante il procedimento previsto ex 
lege per il suo caso. 
5
 Si veda in proposito U.MATTEI, Common Law: il diritto angloamericano, 
Torino, 1992, p.33 s. e p.150 ss.. 
 4
stesso principio che la Corte diceva essere “così radicato nelle 
tradizioni e nella coscienza del nostro popolo da essere ritenuto 
fondamentale” (sic!). 
Grazie all'elaborazione giurisprudenziale, il due process of 
law assurgeva a cardine fondamentale dell'intera società 
democratica americana e alla base di un sistema giudiziario che 
sarebbe stato considerato come il più prossimo alla realizzazione 
del “giusto processo”. 
Non bisogna però dimenticare che nel XVIII secolo anche il 
vecchio continente vedeva svilupparsi una grande e diffusa 
sensibilità sociale nei confronti dei diritti dell’individuo in quanto 
tale. 
Nei primi decenni del settecento, come è noto, l’illuminismo 
giuridico
7
 dava vita ad un processo di trasformazione culturale, 
basata sulla critica radicale del potere temporale della Chiesa ed i 
regimi politici tirannici, e questa nuova diffusa consapevolezza, 
trasportata dall’eco degli ideali di libertà d’oltreoceano, preparava 
le condizioni che avrebbero favorito l’innesco della Rivoluzione 
francese. 
                                                                                                                                                               
6
 A conferma dell’assenza, in origine, di una maggiore portata 
nell’espressione due process of law, basti pensare che solamente nel 1927 vi fu il 
primo annullamento di una sentenza di condanna emessa da un giudice statale 
con la motivazione che le regole procedurali adottate violavano il “principio del 
processo giusto” [Tumey v. Ohio, 273 U.S. 510, 1927]. 
7
 Nel 1748 Montesquieu pubblicava “Lo spirito delle leggi” in cui riprende 
le tesi di Locke sulla divisione dei poteri. Nel 1755 Morelly scriveva “Il codice 
della natura”, nel 1764 vedeva la luce “Dei delitti e delle pene” di Cesare 
Beccaria e nel 1762 “Il contratto sociale” di J. J. Rousseau.   
 5
E’ proprio nella prima fase della rivoluzione, e precisamente 
il 26 agosto del 1789, che l’Assemblea costituente approvava la 
“Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”, atto che 
sanciva  la  fine  dell’ancient regime  ed annunciava i nuovi principi 
sui quali si sarebbe fondato il  sistema liberale e costituzionale 
dello Stato moderno. 
Per quanto concerne le garanzie giurisdizionali riconosciute 
dalla Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo, oltre 
all’esplicitazione del principio di legalità e al richiamo del principio 
di presunzione di innocenza
8
, è interessante constatare lo sforzo, 
seppure modesto nel contesto della Dichiarazione stessa, operato 
al fine di individuare una regola processuale fondamentale per il 
rispetto della persona indagata. All’art.14, il primo capoverso 
precisava che “Nessuno deve essere giudicato e punito se non dopo 
essere stato ascoltato o legalmente citato, e in virtù di una legge 
promulgata anteriormente al delitto”.  
Come fra breve apparirà più chiaro, si deve sottolineare come 
la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino e la 
Costituzione  americana,  pur  segnando e  condizionando la  storia 
dei popoli, rimanevano confinate all’interno di singole, seppure 
importantissime, esperienza giuridiche. 
                                                          
8
 Art.10, 1°cpv.: “Nessuno deve essere accusato, arrestato né detenuto, se 
non nei casi determinati dalla legge e secondo le forme da essa prescritte”.  
Art.13: “Ogni uomo essendo presunto innocente fino a quando non sia stato 
dichiarato colpevole, se si giudica indispensabile arrestarlo, ogni rigore che non 
 6
 Sul piano internazionale invece, mai fino alla metà del XX 
secolo si assisteva ad un riconoscimento di quei principi che oggi si 
considerano connaturati all’individuo, e che ricomprendono i diritti 
relativi all’amministrazione di una “giustizia giusta”. 
Solamente col finire del periodo più buio per la storia 
moderna, nel corso del quale i diritti dell’uomo sono stati violati e 
calpestati da regimi politici totalitari, gli Stati della comunità 
internazionale si sono resi conto della necessità di riconoscere e 
garantire su un piano sovranazionale i diritti della persona umana 
in quanto tale, al fine di assicurare non solo la pace all’interno 
delle singole società, ma soprattutto una stabile sicurezza 
internazionale. 
Così, il 10 dicembre 1948 l’Assemblea generale delle Nazioni 
Unite adottava il testo definitivo della “Dichiarazione Universale dei 
Diritti dell’Uomo”, il primo atto internazionale che riconosceva tutti 
gli essere umani come individui nati liberi ed uguali e per questo 
titolari dei medesimi diritti.   
All’interno di questa fonte due sono, in particolare, gli articoli 
che interessano il diritto processuale penale, e precisamente 
l’art.10 e l’art.11. 
Il primo sancisce il diritto di ogni persona “a che la sua 
causa sia ascoltata equamente e pubblicamente da un tribunale 
                                                                                                                                                               
fosse necessario per assicurarsi della sua persona deve essere severamente 
 7
indipendente e imparziale, che deciderà sia dei suoi diritti e dei 
suoi obblighi, sia del fondamento di qualunque accusa in materia 
penale, rivolta contro di essa”. Vengono quindi individuati              
i  caratteri   essenziali   di  un  tribunale  “sereno”  –  cioè  appunto 
indipendente e imparziale - nell’espletamento delle proprie 
funzioni, necessario presupposto perché si possa giungere ad una 
decisione che rispecchi la verità dei fatti e, allo stesso tempo, 
rispetti quelle norme di legge che lo stesso tribunale è chiamato ad 
applicare. In aggiunta, e non pare secondario sottolinearlo, nella 
norma si specifica la necessità in ambito penale di una decisione 
riguardo la fondatezza dell’accusa mossa nei confronti di un 
individuo, al fine di evitare qualsivoglia arbitrio ed abuso 
processuale. 
L’articolo 11, invece, si concentra sulle garanzie 
dell’imputato, innanzitutto stabilendo  la presunzione di innocenza 
della persona accusata, fino a che non si accerti legalmente il 
contrario nel corso di un pubblico processo nel quale siano state 
assicurate tutte le garanzie necessarie alla difesa. L’articolo 
continua rifacendosi sostanzialmente al principio di legalità della 
pena che suole ricordarsi con il brocardo latino nullum crimen, 
nulla poena sine lege. 
Gli articoli della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo 
non possono tuttavia considerarsi giuridicamente vincolanti e 
                                                                                                                                                               
represso dalla Legge”. 
 8
quindi idonei ad una effettiva e diretta applicazione. Manca infatti 
un sistema sanzionatorio che impedisca in concreto la violazione di 
questi principi universali. Non sembra dunque infondato sollevare 
qualche perplessità sull’effettivo rispetto di questa importante 
Carta dei diritti umani, non ritenendo sufficiente  l’impegno morale 
preso dagli Stati in ambito internazionale, vista la complessità e la 
delicatezza della materia. 
E' per questo motivo che, come si dirà fra breve, maggiore 
rilevanza deve essere attribuita ad un altro atto internazionale con 
il quale i diritti dell'individuo hanno trovato legale riconoscimento: 
la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle 
libertà fondamentali. 
 
1.2. La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e l’equo 
processo.  
In un momento storico considerato da molti irripetibile
9
,       
il 4 novembre 1950, gli Stati allora membri del Consiglio d’Europa 
firmavano a Roma la c.d. “Convenzione europea”
10
.  
Quest’ultima entrava successivamente in vigore il 3 
settembre 1953 con il deposito del decimo provvedimento di 
ratifica, come previsto dal 2° cpv. dell’originario art.66
11
. 
                                                          
9
 A.GIARDA, Diritti dell’uomo e processo penale italiano: un bilancio e 
prospettive operative, in Riv.it.dir.proc.pen.,1981, p.917. 
10
 Il relativo Statuto venne firmato il 5 maggio del 1949. 
 9
Pare corretto precisare sin d’ora le differenze che 
intercorrevano tra la Convenzione in discorso e la Dichiarazione dei 
diritti dell’uomo. Seppure sul piano contenutistico si riscontri una 
certa omogeneità di valori,  l’atto europeo si differenzia innanzitutto 
per la giustificazione storica che ne è alla base. Tale motivazione 
era rinvenibile nella volontà dell’allora Movimento europeo di 
creare una unione di carattere regionale fondata su un substrato di 
valori e principi comuni che potesse dar vita ai necessari 
presupposti di omogeneità culturale in vista di una più profonda e 
diversificata collaborazione fra gli Stati membri. La Dichiarazione 
dei diritti dell’uomo, invece, non era nata con questa finalità 
politica, ma con l’esclusivo intento di garantire ai diritti 
dell’individuo un riconoscimento sul piano internazionale. 
La novità più importante della Convenzione europea, 
nondimeno, sta nell’aver realizzato uno strumento giuridico in 
grado di tutelare in modo effettivo i diritti in essa riconosciuti 
attraverso un sistema sanzionatorio
12
. E’ infatti lapalissiano che 
l’effettività della tutela dei diritti dell’individuo sia immediatamente 
collegata alla loro diretta azionabilità. 
                                                                                                                                                               
11
Oggi è l’art.59, dopo la modifica alla numerazione dell’articolato ex art.2 
del Protocollo n.11, adottato a Strasburgo l’11 maggio 1994 e in vigore per l’Italia 
dal 1° novembre 1998. 
12
 La Convenzione europea è oggetto di disamina accurata in E.AMODIO, 
La tutela della libertà personale dell’imputato nella Convenzione europea dei diritti 
dell’uomo, in Riv.it.di.proc.pen., 1967, p.843. L’Autore, in particolare, osserva in 
maniera efficace che “titolare della pretesa alla tutela giuridica nei confronti dello 
Stato” è l’individuo, e quindi “si potrebbe parlare di una protezione diretta dei 
diritti umani”. 
 10
Essenziale a questo scopo è la possibilità di investire con 
ricorso due organi preposti, la Commissione e la Corte, con la 
finalità di reprimere eventuali comportamenti lesivi delle garanzie 
stabilite dalla Convenzione posti in essere dagli Stati aderenti alla 
stessa
13
. In particolare si delinea un duplice diritto di azione, in 
corrispondenza delle due categorie di ricorso, interstatale ed 
individuale, previste dalla Convenzione rispettivamente agli artt.33 
e 34
14
. Alla luce di questo profilo, si può dunque affermare che “un 
legame inscindibile unisce l’aspetto sostanziale della tutela dei 
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ed il suo aspetto 
processuale”
15
. 
Venendo ora alle disposizioni della Convenzione, innanzitutto 
si deve sottolineare l’analiticità con cui le garanzie processuali sono 
state articolate. 
All’interno di un complesso di norme accomunate dalla 
medesima finalità, ossia quella di delineare un ordinamento 
                                                          
13
 Sulle procedure di controllo cfr. C.ZANGHÌ, Diritti dell’uomo (protezione 
internazionale dei), in Enc.giur.Treccani, XI, Roma, 1989, p.6. Per un 
approfondimento sul tema si veda DE SALVIA, La Convenzione europea dei diritti 
dell’uomo, Napoli, 1997, p.43 ss.. 
14
 L’art.33 recita: “Ogni Alta Parte Contraente può definire alla Corte ogni 
inosservanza delle disposizioni della Convenzione e dei suoi protocolli che essa 
ritenga possa essere imputata ad un’altra Parte Contraente”. Mentre il seguente 
art.34 precisa: “La Corte può essere investita di una domanda fatta pervenire da 
ogni persona fisica, ogni organizzazione non governativa o gruppo di privati che 
pretenda di essere vittima di una violazione da parte di una delle Alte Parti 
Contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli. La Alte 
Parti Contraenti si impegnano a non ostacolare con alcuna misura l’effettivo 
esercizio efficace di tale diritto”.    
15
 Così M. DE SALVIA, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Napoli, 
1997, p.43. 
 11
processuale volto al pieno rispetto della persona umana, occorre 
dare risalto essenzialmente a due articoli. 
Il primo di questi concerne il diritto alla libertà ed alla 
sicurezza, indicando il primo comma i casi tassativi nei quali è 
ammessa la privazione della libertà del singolo. Questa elencazione 
contribuisce a dare maggiore concretezza al principio di legalità già 
incontrato nelle fonti normative di cui si è precedentemente 
trattato
16
. 
Questa disposizione della Convenzione pone due condizioni 
perché la privazione della libertà sia legittima alla luce delle 
garanzie dalla stessa sancita: una condizione di “legalità” ed una 
condizione di “regolarità”. La prima fa riferimento al rispetto delle 
disposizioni di legge in materia di arresto e la seconda alla 
conformità della privazione della libertà ai fini indicati dalla legge e 
per i quali essa è stata prevista e disciplinata
17
. 
                                                          
16
 Si tratta dell’articolo 5, comma 1° della CEDU: “Ogni persona ha diritto 
alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà salvo che 
nei casi seguenti e nei modi previsti dalla legge: a) se è detenuto regolarmente in 
seguito a condanna da parte di un tribunale competente; b) se è in regolare stato 
di arresto o di detenzione per violazione di un provvedimento legittimamente 
adottato da un tribunale ovvero per garantire l’esecuzione di un obbligo imposto 
dalla legge; c) se è stato arrestato o detenuto per essere tradotto dinanzi 
all’autorità giudiziaria competente quando vi sono ragioni plausibili per 
sospettare che egli abbia commesso un reato o ci sono motivi fondati per ritenere 
necessario di impedirgli di commettere un reato o di fuggire dopo averlo 
commesso; d) se si tratta della detenzione regolare di un minore, decisa per 
sorvegliare la sua educazione, o di sua legale detenzione al fine di tradurlo 
dinanzi all’autorità competente; e) se si tratta della detenzione regolare di una 
persona per prevenire la propagazione di una malattia contagiosa, di un 
alienato, di un alcoolizzato, di un tossicomane o di un vagabondo; f) se si tratta 
dell’arresto o della detenzione legali di una persona per impedirle di penetrare 
irregolarmente nel territorio, o di una persona contro la quale è in corso un 
procedimento d’espulsione o d’estradizione”. 
17
 Così M. DE SALVIA, Op. cit., p.88. 
 12
L’articolo della Convenzione prosegue individuando alcune 
garanzie fondamentali della persona arrestata o detenuta, come 
quella di “essere informata al più presto e in una lingua a lei 
comprensibile dei motivi dell’arresto e di ogni accusa elevata a suo 
carico”
18
, quella di “essere tradotta al più presto dinanzi a un 
giudice […], di essere giudicata entro un termine ragionevole o di 
essere posta in libertà durante l’istruttoria”
19
. Si completa il quadro 
con la previsione del “diritto di indirizzare un ricorso ad un 
tribunale affinchè esso decida, entro brevi termini, sulla legalità 
della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è 
illegale” e con il riconoscimento del “diritto ad una riparazione” in 
caso di detenzione o arresto in violazione di una delle disposizioni 
della Convenzione
20
. 
Le disposizioni appena citate, relative ai diritti e alle garanzie 
della persona privata della libertà, e di converso anche della 
persona libera che eventualmente verrà sottoposta a misure 
restrittive omologhe, lasciano ora spazio all’analisi dell’articolo 
successivo della Convenzione, che completa il quadro delle 
garanzie giurisdizionali apportando un contributo normativo 
importante nel connotare su un piano endo-processuale il sistema 
penale. 
                                                          
18
 Comma 2°, art.5 Cedu. Per la lettura integrale del testo della 
Convenzione si segnala l’opera di A.TIZZANO, Codice dell’Unione europea, Padova, 
1998, p.293 ss.. 
19
 Comma 3° art.5 Cedu. 
20
 Rispettivamente commi 4 e 5, art.5 Cedu. 
 13
La rubrica dell’art.6 reca l’espressione “equo processo”  e non 
pare superfluo quindi chiedersi in primo luogo se tale espressione 
coincida con quella di “giusto processo” desunta dalla legislazione 
americana. 
 Prescindendo da una questione meramente letterale che 
vuoterebbe di significato lo stesso interrogativo posto, dalla lettura 
della norma si desume una serie di principi del medesimo tenore di 
quelli incentrati nel Bill of rights e nella Dichiarazione universale 
dei diritti dell’uomo, ma vero è che l’art.6 della Convenzione 
europea risulta essere maggiormente esaustivo e puntuale. 
La terminologia usata nella rubrica dell’articolo in esame è 
passibile principalmente di due interpretazioni. Se con il termine 
“equo” si vuole indicare un processo equilibrato negli interessi ad 
esso sottesi, che dunque si possa considerare “ragionevole”, allora 
l’equo processo è da intendersi sostanzialmente coincidente con la 
nozione di “giusto processo”. Se, al contrario, il termine “equo”  
vuole sottolineare l’importanza di una posizione di parità fra le 
parti che si contrappongono nel procedimento, allora l’”equo 
processo” indicherà una specificazione del concetto più ampio e 
generale di “giusto processo” e certamente ne costituirà il 
presupposto
21
. 
                                                          
21
 Questa seconda posizione sembra condivisa da M. DE SALVIA, La 
Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Napoli, 1997, p.94: “Ciò che domina 
l’insieme delle garanzie ivi previste è il principio di equità, secondo cui in un 
procedimento di natura giudiziaria una parte non deve essere sostanzialmente 
svantaggiata rispetto all’altra. Ha risalto in particolare il concetto di “uguaglianza 
 14