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sul potere d‟acquisto del proprio salario e su perché esso sembri oggi tanto esiguo 
a chi lo intasca. 
Nel mio percorso, aiutata dal mio relatore, ho cercato di recuperare il 
materiale sul quale lavorare tra le più recenti pubblicazioni in materia, per 
aggiornare i lettori sugli ultimi risultati che le ricerche sulla politica dei redditi 
hanno prodotto: in questo, il maggior debito di riconoscenza va al volume 
collettaneo Social pacts, employment and growth, a cura di Acocella e Leoni 
(2006), dal quale è stata tratta, anche se non in via del tutto esclusiva, la parte più 
propriamente macroeconomica di questo lavoro, grazie agli spunti ed agli studi 
dei singoli autori. Per ciò che invece riguarda la ricostruzione del pensiero di 
Tarantelli, essa ha preso le mosse proprio da uno dei suoi più celebri lavori, non a 
caso considerato in dottrina come riferimento costante per i sostenitori della 
politica dei redditi: Economia politica del lavoro (1986). Inoltre, non mancando 
nella trattazione riferimenti a questioni di diritto e/o istituzionali, si è fatto ricorso 
spesso nella trattazione all‟utilizzo di manuali di diritto sindacale,ed  in particolare 
al testo di Giugni (2006). 
La realizzazione complessiva del lavoro non si è, tuttavia, dimostrata cosa 
semplice. La prima difficoltà che ho incontrato, già in fase di raccolta del 
materiale, è dovuta all‟ormai dominante prassi degli autori italiani di scritti 
economici di presentare i loro lavori in lingua straniera per favorirne la diffusione 
internazionale, anche su questioni che riguardano da vicino il nostro Paese. La 
difficoltà è di non poco conto, se si considera che lo studente medio italiano è di 
frequente impreparato alla comprensione diretta e allo studio di testi scientifici 
non in lingua; per questo ho dovuto ricorrere alle mie vecchie reminescenze che, 
nonostante gli evidenti limiti, mi hanno permesso almeno di capire come si ci 
deve approcciare ad un testo in inglese. Altra difficoltà, anche questa non poco 
rilevante, è stata il corretto utilizzo dei programmi di scrittura elettronica, 
anch‟essi spesso poco maneggiati dagli studenti durante il regolare corso di studio 
accademico. In questo, un aiuto sostanziale è venuto dal mio relatore, il professor 
Francesco Pastore, che ringrazio vivamente per avermi istruita all‟uso di tali 
strumenti.  
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Il ruolo del mio relatore non si è, poi, certamente, limitato a questo. Egli ha 
anzi partecipato attivamente e criticamente alla realizzazione complessiva del 
lavoro, guidandomi alla comprensione delle tematiche affrontate ed aiutandomi 
anche nella fase di stesura finale. Anche per questo lo ringrazio apertamente, 
poiché questo testo, così come esso appare nella sua versione definitiva, è il 
risultato del mio impegno interpretativo accompagnato dalla sua grande 
professionalità ed esperienza in materia. 
Fatte queste premesse, la stesura complessiva della tesi si è, invece, rivelata ai 
miei occhi come una sfida assai interessante, e non ha mancato di suscitare in me 
curiosità e slanci interpretativi, che spero vivamente di essere riuscita a 
trasmettere anche ai miei lettori. 
 
  
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Introduzione 
 
 
 
 
 
 
 
 
Questo lavoro è intitolato all‟inflation targeting e alla politica dei redditi in 
Italia. La scelta del titolo non è casuale, ma è bene, fin da ora, mantenere distinti i 
due concetti che in esso risultano appaiati. L‟inflation targeting, ossia la 
programmazione dell‟inflazione in base a determinati obiettivi di politica 
economica, è uno strumento che consente di condizionare le aspettative degli 
agenti quanto all‟andamento futuro del livello generale dei prezzi. Tale strumento, 
pur essendo tipicamente monetario, è stato, comunque, indispensabile in Italia per 
l‟attuazione di una politica dei redditi neokeynesiana improntata alla moderazione 
salariale. Solo, infatti, associando l‟inflation targeting alla politica dei redditi, si è 
riusciti, nel nostro Paese, ad ottenere un controllo più serrato della dinamica del 
livello generale dei pezzi. Prima degli accordi di politica dei redditi, invece, le 
aspettative degli agenti economici erano necessariamente ancorate al passato, a 
causa del meccanismo automatico di indicizzazione salariale allora vigente, la 
“scala mobile”. Ecco spiegato, quindi, il motivo di titolare così questo lavoro: ciò 
che si vuole spiegare con esso è se la disinflazione italiana dell‟ultimo ventennio 
sia dipesa da interventi monetari, oppure essa sia il risultato dell‟adozione di 
politiche neokeynesiane di restrizione salariale. 
La politica dei redditi è nata e si è sviluppata in ambiente teorico keynesiano 
nella seconda metà degli anni ‟60; tuttavia, la sua rilevanza come strumento di 
stabilizzazione del sistema di relazioni industriali e dell‟equilibrio economico 
generale è stata invocata soltanto nel decennio successivo, quando la dilagante 
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spinta inflazionistica e le drammatiche tensioni sociali sul mercato del lavoro sono 
divenute il principale terreno di confronto tra i governi e le parti sociali. 
Le fondamenta teoriche della politica dei redditi sono da ricercare nei modelli 
cosiddetti “non competitivi”, in cui gli agenti influenzano cooperativamente i 
prezzi e la distribuzione dei redditi. Politiche cooperative che coinvolgono lo 
Stato, i lavoratori e le associazioni rappresentative degli imprenditori sono oggi 
diffuse in tutta Europa, ma in Italia la spinta al cosiddetto “neocorporativismo” e 
l‟utilizzo del “patto sociale” come strumento alternativo al monetarismo  si deve 
in via quasi del tutto esclusiva al pensiero di un lungimirante economista, Ezio 
Tarantelli, che largamente in anticipo sui tempi, ha saputo intercettare 
l‟importanza dell‟utilizzo di una politica dei redditi neokeynesiana come scelta 
ottimale per garantire al Paese “la salvaguardia di un certo livello occupazionale 
ottenendo al contempo un certo grado di stabilità dei prezzi” (Tarantelli, 1986). 
Tarantelli non vide mai in vita la realizzazione concreta del proprio pensiero, 
poiché, proprio a causa di quell‟azzardata idea di un sindacato non più conflittuale 
bensì collaborativo, fu brutalmente assassinato a Roma una mattina di marzo del 
1985, a pochi passi dall‟aula dell‟Università  “La Sapienza” in cui aveva appena 
tenuto una lezione. 
Quanto largamente auspicato da Tarantelli nel decennio precedente, è stato 
parzialmente realizzato in Italia soltanto nel 1993, con il cosiddetto “Protocollo di 
luglio”, l‟accordo con il quale le parti sociali hanno deciso di abolire la “scala 
mobile” – il meccanismo automatico di indicizzazione dei salari all‟inflazione – e 
finalmente di adottare una più moderna politica dei redditi lungo le linee guida 
che Tarantelli aveva tracciato nei suoi scritti. 
La tesi che si vuole sostenere attraverso questo lavoro è che una politica dei 
redditi neokeynesiana sia una soluzione migliore all‟alta inflazione e alla 
stagflazione rispetto all‟alternativo strumento, pure in certi casi necessario, della 
politica monetaria restrittiva. In altre parole, quello che si vuole in ultimo 
dimostrare è che Tarantelli (1986) avesse ragione a proporre l‟intervento 
congiunto di Governo, banca centrale e sindacati per risolvere in particolare la 
situazione italiana. La questione che qui si solleva non è affatto banale come può 
inizialmente apparire. Delle politiche di restrizione monetaria, infatti, sono ben 
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noti gli effetti deflativi e le immediate risposte occupazionali, in termini di un 
aumento proporzionale della disoccupazione, che, perciò, deve trovare altri canali 
risolutivi, e quello in preferenza proposto è una riduzione delle rigidità in entrata 
ed in uscita del mercato del lavoro. Quanto alle politiche dei redditi, invece, 
mentre appaiono piuttosto scontate le potenzialità antinflazionistiche di tali 
misure, gli effetti sull‟occupazione e, per conseguenza, sulla crescita economica 
complessiva non sono affatto ovvi. Da questo punto di vista, potremmo dire che 
l‟adozione di una politica dei redditi neokeynesiana, abbia rappresentato, quanto 
all‟occupazione e alla crescita, più una scommessa per il futuro dell‟Italia che una 
certezza metodologica indiscutibile. Il punto di vista neokeynesiano era, in buona 
sostanza, che una riduzione del differenziale inflazionistico italiano rispetto ai 
paesi concorrenti, avrebbe garantito una maggiore competitività del Paese alle 
esportazioni, senza causare una riduzione sostanziale del potere d‟acquisto dei 
salari, che avrebbe dovuto essere sostenuto da politiche di espansione della 
domanda da parte dell‟operatore pubblico. 
 Il problema è quanto mai attuale, poiché, in realtà, buona parte dell‟odierna 
configurazione del sistema di relazioni industriali italiano si deve proprio alla 
scelta di adottare la politica dei redditi come strumento politico preferenziale, 
effettuata con il Protocollo di luglio del ‟93. Tale scelta ha dato il via ad una lunga 
stagione, che in verità dura fino ad oggi, di moderazione salariale – con salari che 
attualmente si attestano tra i più bassi d‟Europa – il che può essere letto sia 
positivamente, in termini di contenimento dell‟inflazione, che criticamente, se 
guardiamo l‟intesa per ciò che essa ha determinato sulla crescita economica del 
Paese. 
Comunque, per orientare il lettore ad una migliore comprensione del tema 
trattato, è doveroso fin d‟ora anticipare che si è scelto di affrontare il problema 
della politica dei redditi da due differenti punti di vista: da un lato si cercherà di 
capire come funziona dall‟interno il sistema di relazioni industriali ripercorrendo 
la linea seguita dalla teoria dei giochi ed in particolare dal dilemma del prigioniero 
con le sue possibili soluzioni cooperative; dall‟altro si guarderanno i risultati più 
propriamente macroeconomici di tale opzione di politica economica. 
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L‟analisi specifica dell‟accordo del ‟93, nella seconda parte dell‟elaborato,  
permetterà perciò di comprendere come esso abbia avuto sia un ruolo 
determinante nell‟evoluzione successiva del sistema di relazioni industriali, sia un 
peso rilevante sull‟andamento delle maggiori variabili macroeconomiche, che 
costituiranno dunque l‟oggetto di indagine della parte finale di questo lavoro. 
La struttura della tesi che si vuole discutere è quindi la seguente. 
Nel primo capitolo, sostanzialmente teorico, saranno brevemente sintetizzate 
le spiegazioni teoriche della stagflazione ed i differenti metodi risolutivi proposti 
da monetaristi e neokeynesiani. Saranno poi spiegate le implicazioni strategiche 
che la politica dei redditi comporta attraverso il dilemma del prigioniero e le sue 
possibili soluzioni cooperative. Si passerà, quindi, ad analizzare il contributo 
specifico di Ezio Tarantelli, il suo approccio teorico allo studio dei comportamenti 
degli agenti sociali all‟interno del sistema di relazioni industriali, la sua “proposta 
politica” per l‟Italia e gli studi attraverso i quali egli è riuscito a dimostrare la 
migliore tenuta dei sistemi di relazioni industriali maggiormente centralizzati. 
Nel secondo capitolo, che si pone domande più istituzionali che propriamente 
economiche, si procederà ad una lettura complessiva dell‟evoluzione del sistema 
di relazioni industriali e del modello concertativo italiano dal dopoguerra al 
Protocollo di luglio del ‟93, ed ancora fino ad oggi, per capire in che misura il 
conflitto industriale sia stato superato e se ciò abbia determinato una 
trasformazione del ruolo dei sindacati e della stessa concertazione. In ultimo, si 
analizzerà nel complesso l‟evoluzione dei patti sociali in Europa secondo un 
modello di analisi formale, che ci permetterà di capire cosa sia cambiato dai patti 
di prima ai patti di seconda generazione, tra i quali rientra l‟accordo di luglio. 
Infine, nell‟ultimo capitolo, ci chiederemo quali effetti sulle variabili 
macroeconomiche abbia comportato l‟adozione della politica dei redditi in Italia, 
vagliando uno ad uno i risultati del Protocollo di luglio sull‟inflazione, 
sull‟occupazione, sulla trasformazione orientata alla flessibilità del mercato del 
lavoro e quindi, complessivamente, sulla crescita del Paese. Non mancheremo, a 
tal proposito, di sottolineare le incongruenze ed gli errori in cui il sistema italiano 
sembra essere caduto, per avere, alla fine, una visione d‟insieme di quanto sia