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Iniziative imprenditoriali in Usa e Cina: 
Strategie d’intervento  
 
 
Introduzione  
 
 
L’intensificarsi della competizione su scala mondiale ha portato un numero sempre 
maggiore di imprese a ricercare nuove opportunità sui mercati internazionali. 
L’internazionalizzazione, oggi, non è più solo una modalità con cui l’impresa o il singolo 
operatore creano valore, estende il proprio vantaggio competitivo ed accede a nuove 
opportunità, ma, nell’attuale contesto economico, è una via obbligata per la sopravvivenza 
ed il successo dell’impresa nel tempo. L’internazionalizzazione può, quindi, essere 
considerata come una decisione complessa, accompagnata da un processo di trasformazione 
aziendale, spesso irreversibile, che riguarda, tra gli altri, gli assetti finanziari, la struttura 
organizzativa e tecnica, il posizionamento sul mercato e la gestione delle risorse umane. 
Nell’attuale contesto italiano, caratterizzato da forte recessione e sfiducia verso il proprio 
mercato, molte imprese, infatti, valutano sempre più frequentemente l’ipotesi di mantenere 
o incrementare il proprio fatturato attraverso investimenti in paesi esteri
1
.  
I principali paesi destinatari delle esportazioni italiane extra Ue sono gli Stati Uniti e la 
Cina. L’esportazione verso gli Stati Uniti ammonta a circa 22.500 milioni di euro e verso la 
Cina a circa 7.400 milioni di euro
2
. 
                                                        
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 Dati Istat Dicembre 2012: l’esportazione verso paesi extra Ue è aumentata dell’1,5% rispetto al 2011 
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 Osservatorio Economico Ministero dello Sviluppo Ottobre 2012: Usa 22.492 milioni di euro, Cina 7.332 milioni di 
euro.
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La scelta degli Stati Uniti, inoltre, è stata dettata da motivazioni economiche e storiche, in 
quanto gli States sono da sempre uno dei mercati più appetibili e affidabili per 
l’imprenditore italiano e perché si è sempre contraddistinto per importanza a livello 
internazionale. 
Oltre ad avere il più alto PIL con 15 trilioni di dollari
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 e ad avere il più grande mercato del 
mondo, offre anche variegate soluzioni all’operatore in quanto esistono ben 50 diverse 
normative fiscali e societarie che possono svolgere un ruolo, più o meno significativo nel 
raggiungimento degli obiettivi di business individuati. 
La Cina, invece, è una realtà in continua evoluzione ed è attualmente la seconda potenza 
economica mondiale con oltre 7 trilioni di dollari e lo stato con più alto tasso di crescita.  
All’inizio degli anni ’80 la Cina ha iniziato le proprie politiche di riforma e di apertura verso 
l’esterno determinando così un processo di espansione economica che ha portato il Dragone 
ad essere il “nuovo” mercato di riferimento internazionale. 
Dal luglio 2004, infatti, il governo cinese ha esteso la concessione dei “diritti al 
commercio con l’estero” a tutte le società a capitale totalmente o parzialmente straniero.  
L’imprenditore italiano è attratto dalle grandi opportunità offerte dal mercato cinese, dai 
bassi costi della manodopera e dei servizi. 
L’elaborato fornisce un quadro significativo sulle varie opportunità di ampliamento del 
mercato nazionale definendo le diverse tipologie commerciali, contrattuali e societarie a 
disposizione dell’operatore italiano che intende operare in Usa e Cina. 
In particolare ho analizzato nella prima parte le operazioni di esportazione senza l’utilizzo di 
strutture dedicate, cioè tutte i particolari modi in cui l’operatore può introdursi nel mercato 
senza l’utilizzo di una sede stabile o di una società nel territorio estero. 
Nella seconda parte ho preso in esame le varie forme organizzative di attività d’impresa che 
garantiscono stabili presenze nel territorio estero e , quindi, un insediamento definitivo nei 
mercati di riferimento. 
Ho trattato, infine, la normativa fiscale che viene applicata nei vari casi presi in esame al
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fine di completare il quadro di fattibilità delle operazioni analizzate.  
 
 
 
Capitolo 1 
 
Operazioni di esportazione senza utilizzo di strutture 
dedicate 
 
1.1 L’esportazione negli Usa 
 
1.1.1 Premessa 
 
L’esportazione verso gli Usa, in generale, può assumere la forma di esportazione diretta o 
indiretta. 
L'esportazione diretta, ovvero senza l'impiego di intermediari, è una delle soluzioni più 
comuni adottate dagli operatori italiani orientati verso il mercato americano. Questa 
soluzione richiede, nella maggior parte dei casi, modesti investimenti di capitale. Peraltro, 
proprio perché svolta a livello internazionale, presenta peculiarità, operative e legali, con le 
quali l'imprenditore italiano deve necessariamente confrontarsi. 
L'operatore italiano che è intenzionato ad introdursi nel mercato americano, può avvalersi, 
                                                                                                                                                                                    
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 Seguono Cina (7 trilioni), Giappone (5,9 trilioni), Germania (3,6 trilioni), Francia (2,8 trilioni), Brasile e Regno Unito 
(2,5 trilioni ciascuno). I dati sono stime del PIL 2012, elaborate dal Fondo Monetario Internazionale.
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in luogo dell'esportazione diretta, di intermediari che operino stabilmente in loco. 
L’esportazione indiretta permette all’imprenditore di mantenere basso il livello di rischio e 
di impegno finanziario-organizzativo grazie alla presenza di intermediari commerciali che 
direttamente hanno contatti con l’acquirente finale dei prodotti o servizi realizzati 
dall’impresa. 
 
1.1.2 La verifica delle regole di settore 
 
Nella pianificazione di un programma di vendite diretto al mercato statunitense, è 
opportuno che l'operatore italiano verifichi se esistano regole che, direttamente o 
indirettamente, disciplinino il settore di appartenenza. Infatti, può accadere che 
l'ordinamento statunitense tratti la produzione, la promozione e la commercializzazione di 
certi beni o servizi diversamente da quanto avviene nell'ordinamento italiano. 
 
1.2 Sistema doganale 
 
A partire dall' 11 settembre 2001, le imprese italiane che hanno intenzione di esportare 
prodotti negli Usa devono far fronte a procedure e sottoporsi a controlli particolarmente 
severi a seguito dell'emanazione di nuove disposizioni in materia di importazione e 
sicurezza nazionale. 
Al fine di non incorrere in sanzioni e ritardi nelle procedure di sdoganamento, se non 
addirittura nel blocco della merce in dogana, chi esporta merci negli Usa deve dotarsi di 
una struttura adeguata per far fronte agli adempimenti di legge e a quelli previsti dai 
regolamenti emanati dal Bureau of Customs and Border Protection ("BCBP"). 
Il soggetto che si assume gli oneri relativi allo sdoganamento dei beni è denominato 
l’importer of record. Generalmente tale figura può essere ricoperta dall’acquirente o dallo 
stesso venditore (o da un loro rappresentante) che peraltro devono presentare la 
documentazione necessaria allo sdoganamento della merce.
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La maggior parte delle aziende italiane che esportano merci negli Usa si avvalgono dei 
servizi di un intermediario, il cosiddetto customs broker, al quale vengono affidate le pratiche 
di sdoganamento e tutti gli adempimenti formali. La responsabilità sostanziale rimane 
comunque sempre in capo al soggetto esportatore. 
 
1.2.1 Il valore doganale delle merci negli Usa 
 
La United States lnternational Trade Commission è l'organo preposto all'emanazione delle 
aliquote dei dazi applicabili alle varie categorie merceologiche. 
I dazi doganali sono generalmente calcolati in base al valore delle merci importate (ad 
valorem). Per determinati beni i dazi sono invece calcolati in base ad aliquote specifiche 
(specific rate) con misure diverse dal valore della merce (ad esempio: il peso). In altri casi, 
infine, si fa ricorso ad aliquote miste (compound rate), cioè una combinazione tra i metodi ad 
valorem e specific rate. 
Il codice doganale Usa prevede che il valore di riferimento per l'applicazione del dazio ad 
valorem sia il cosiddetto valore della transazione o transaction value. Il valore della 
transazione corrisponde al prezzo pattuito, vale a dire il prezzo evidenziato in fattura, per 
l'acquisto di un determinato bene destinato all'esportazione negli Usa, al quale si sommano 
alcuni specifici valori incrementativi (ad esempio: costi di imballaggio, provvigioni di 
vendita, materiali e design non inclusi nel valore di transazione, royalties dovute 
dall'importatore). 
Il valore di transazione è ritenuto congruo quando il cedente e l'acquirente sono soggetti 
indipendenti tra loro. Nell'ipotesi in cui questi ultimi siano invece parti correlate, il valore 
di transazione può essere pur sempre fatto valere, a condizione però che si sia in grado di 
dimostrare che i legami di controllo di fatto non abbiano influenzato la pattuizione del 
prezzo di cessione. 
Quando non è possibile dimostrare ciò, il valore di transazione potrà comunque essere 
ritenuto congruo qualora esso sia ricompreso all'interno di alcuni parametri, i cosiddetti test
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value. I test value fanno riferimento al valore di transazione riferibili a cessioni di merce 
identica, o similare, tra soggetti terzi tra loro indipendenti. 
 
1.2.2 La valorizzazione in base al metodo first sale 
 
La crescente concorrenza a livello internazionale comporta per le aziende italiane la 
necessità di contenere i prezzi di vendita dei loro prodotti sul mercato nordamericano. A 
seconda della categoria merceologica, i dazi doganali Usa rappresentano una componente 
significativa del costo complessivo del prodotto. Non tutte le aziende esportatrici italiane 
sono tuttavia a conoscenza di una particolare tecnica di valutazione della merce in dogana: 
il metodo definito first sale. 
Rispettate determinate condizioni, è possibile pagare il dazio Usa commisurandolo al 
cosiddetto first sale, vale a dire al costo di acquisto pagato dalla società italiana ("ITCO'') 
a soggetti terzisti ("TERCO"), piuttosto che al prezzo applicato da ITCO alla società 
americana importatrice ("USCO"). Tramite il metodo di valutazione al fìrst sale, si 
risparmia il dazio relativo alla differenza tra il costo di acquisto di ITCO dei beni da 
TERCO ed il prezzo di trasferimento dei beni da ITCO a USCO. Questa tecnica di 
valorizzazione è stata confermata sia a livello amministrativo che giurisprudenziale.  
Un esempio pratico: ipotizziamo un dazio doganale pari al 20% del valore in dogana della 
merce. Il prezzo di cessione, da ITCO a TERCO (first sale), è pari al $ 100. Il successivo 
prezzo di cessione, da ITCO a USCO (second sale), è pari a $ 130. Il dazio doganale Usa, 
calcolato sul prezzo in fattura da ITCO a USCO (second sale) sarebbe pari a $ 26 (20% X $ 
130). Il dazio calcolato in base al first sale – il prezzo da TERCO ad ITCO – sarebbe pari a 
$ 20 (20% x $ 100). La valorizzazione in base al first sale comporta quindi un risparmio di 
dazi pari a $ 6 ($ 26-20). 
 
  TERCO    ITCO  (first sale $ 100) 
  ITCO    USCO  (second sale $ 130)