Master Polis Making e gestione urbana - 2011/12 
 
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Premessa. 
 
 
 
 
 
L'idea di questa tesi nasce da una sorta di illuminazione avuta a seguito 
dell'incontro con l'architetto Carlo Ratti e del suo seminario sulle smart cities, 
una piovosa sera di ottobre a Milano. Egli ha mostrato ad una mediateca 
gremita quanto il futuro del prossimo domani è dietro l'angolo. Da quel 
momento mi sono documentata. Se ne fa un gran parlare ma, nel momento in 
cui scrivo, non  è ancora stato pubblicato nulla o quasi in merito. La bibliografia 
cartacea utilizzata a supporto di questo lavoro non tratta di questo argomento. 
Tutto ciò che ho appreso su questa realtà l'ho trovato su internet. Forse proprio 
a dimostrare che la tecnologia contribuisce a ridurre gli sprechi diminuendo la 
quantità di carta stampata e creando una sorta di e-biblioteca, anche se la 
biblioteca in questione è piuttosto frammentata e le informazioni sono state 
raccolte nell'arco di mesi e da più e diversi siti istituzionali e non. Ad ogni modo, 
per approfondire l'argomento mi sono avvalsa di Internet, di una corposa 
bibliografia cartacea, ho seguito seminari sull'argomento e partecipato ad un 
concorso in cui, insieme alla collega del progetto, ho cercato di riprodurre un 
sistema di rete segnaletica digitale intelligente per la città di Yverdon les-bains 
(CH), che spiegherò nello svolgersi di questo elaborato.
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Introduzione  
 
Viviamo in un mondo dominato dalla tecnologia. Ci affidiamo ad essa per 
qualunque cosa. In molti casi la tecnologia è un bene del quale non potremmo 
fare senza - si pensi all’uso che se ne fa in medicina o in ingegneria - e in altri 
casi di essa se ne fa un uso esagerato fino ad arrivare ad un abuso. 
Ma la tecnologia, e l’innovazione, ci hanno portati ad essere ciò che siamo 
oggi; hanno permesso l’evoluzione delle società, delle città. Proprio in queste la 
tecnologia ha avuto il suo seme, da queste è maturata. Per esempio si pensi 
all’evoluzione dei mezzi di trasporto in città. Questi si sono evoluti a tal punto da 
diventare sempre più veloci e in grado di percorrere distanze relativamente 
grandi in tempi molto brevi.  
Lo sguardo del mondo sulla evoluzione tecnologica se da una parte 
rimane affascinato dalle possibilità che questa può offrire, dall’altra però ha 
delle riserve all’applicazione e all’uso quotidiano che ne fa. La tecnologia è 
ormai applicata in moltissimi -se non per dire tutti- i campi della nostra vita. 
Computer, cellulari, tv, automobili, treni, elettrodomestici, solo per citarne alcuni 
di uso comune, la fanno da padrona. L’uso di queste stesse tecnologie crea 
anche il problema del loro disuso: cosa fare una volta terminata la loro funzione 
principale?  
Le città  si sono evolute anche grazie alla tecnologia. Possiamo dire che ci 
avviciniamo sempre di più al modello di città ipotizzato dalla fantascienza? In 
cui saranno le macchine a controllarci? O nel 2030 o 2050, quando saranno 
previste circa 9 mld di persone, saremo ancora capaci di avere relazioni umane 
non per forza veicolate dalla tecnologia. Quello che è certo è che possiamo 
usare la tecnologia per vivere meglio, e per ridurre gli sprechi di energia e 
materia prima come l’acqua. Usarla a nostro vantaggio, quindi, rispettando gli 
altri e il nostro pianeta. 
Da qualche tempo si parla sempre di più delle Smart Cities. La parola 
smart ormai per l’uso esagerato che ne si fa è associata alla tecnologia.
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Smartphone, smart signages, smart grid, e via dicendo. Ma cosa si cela 
davvero dietro le Smart Cities? Sono davvero società tecnologiche? Dove la 
tecnologia messa a disposizione di ogni singolo cittadino  serve a un migliore 
uso della città e dei suoi servizi o è semplicemente uno specchietto per le 
allodole, uno modo per fare un make up della città e renderla attrattiva nei 
confronti di vari promotori / stakeholders. In un momento di crisi economica 
come quella attuale parlare di Smart Cities è così lontano dalla realtà o questa 
tende a coincidere con i bisogni delle persone? 
Questi sono i temi di questo elaborato. Cercherò di dimostrare, anche con 
delle critiche l’attualità dell’argomento, ovvero se e in che modo le smart 
cities soddisfano i bisogni dell’uomo che vi vive nell’ottica di una miglior 
qualità di vita. Partendo dalle città, e dal nostro modo di usarle, passando 
dalla sostenibiltà affronterò il tema delle Smart Cities analizzandolo, oltre che 
dal punto di vista dei contenuti, anche da quello legato ai bisogni delle persone. 
Riporterò quindi due esempi di progetti in una Smart City a cui ho lavorato per 
un concorso europeo. Cercherò di evidenziare i lati positivi ma porterò alla luce 
perplessità e contraddizioni di queste città. Arriverò alle conclusioni attraverso 
delle best practices di queste città sulla via della sostenibilibità.
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1. Uso del tempo e dello spazio in città. 
 
Il tempo esiste per far sì che non tutto accada in un colpo. 
Einstein  
 
Tempo e spazio si influenzano a vicenda. Tempo sociale vs tempo della 
città. La città sembra vivere di vita propria, ha i suoi spazi e i suoi tempi 
cadenzati dalle stagioni, dalle ore diurne e notturne, dalle attività commerciali, 
ma soprattutto dai tempi dell'uomo, quindi dal tempo sociale. 
"Tempo sociale è il tempo del coordinamento e del divario (décalage) dei 
movimenti dei fenomeni sociali totali. [Questi] e le strutture che li esprimono 
sono di volta in volta i produttori e il prodotto del tempo sociale: lo fanno 
nascere, e si muovono, scorrendo, al suo interno." (Gurvitch in Colleoni, 2004, 
pag 50). 
 
A seconda del rango della città e dal momento storico (Tempo) la città 
conosce espansione, sviluppo, o al suo contrario abbandono e degrado 
(Spazio). 
I tempi sociali vengono influenzati, come succede per lo spazio, dalle 
stagioni (con il bel tempo si cerca di passare più tempo all'aria aperta e quindi 
ai tempi ricreativi; durante le stagioni più fredde e più calde si ha anche la 
possibilità di usufruire dei periodi di ferie più lunghi. [Anche se con il periodo 
economico attuale, da quando è stata data la possibilità al lavoratore di restare 
a casa dall'attività lavorativa per ristorarsi e riprendersi dalla fatica, "staccare la 
spina", i periodi di ferie sono sempre più presi per periodi brevi ma più spesso 
nell'arco dell'anno lavorativo, sono questi di solito viaggi di breve distanza, dove 
l'attore sociale in questo caso non è più il turista maniera anni 50/60 che si 
stanzia in un posto e vive i tempi e i luoghi di villeggiatura in modo passivo, ma 
è il viaggiatore che cerca di fondersi nella cultura che incontra e vive gli spazi in 
maniera totale, magari cerca il bed&breakfast, fa esperienza di cultura
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attraverso le attività ricreative che il posto offre e i prodotti eno-gastronomici 
locali]. 
"Il turismo non solo è diventato di massa, ma si è destagionalizzato, si è 
articolato in modo da rispondere a una domanda sempre più variegata 
espressa da gruppi di soggetti differenziati per cicli, stili di vita e livelli di reddito, 
disposti a muoversi in più periodi dell'anno."(Nuvolati, 2002, pag 105). 
 
All'interno della società un individuo può ricoprire più ruoli e "questo 
comporta la necessità di dover conciliare i tempi legati a ciascuno di essi, in 
modo da rendere complementari differenti regimi di orario." (Colleoni, 2004, pag 
61) 
Ma i tempi sociali, nelle città, sono cadenzati giornalmente tra lavoro, 
spostamenti da/verso il luogo di meta lavorativa/studio o di servizi, attività 
ricreative e di servizio, e sonno. Talvolta, e negli ultimi 10 anni,  il lavoro non 
segue le normali regole di orari che sono tipici del lavoro dei "tempi della città 
industriali" ovvero 8 ore più pausa pranzo, ma sono lavori atipici, appunto, dove 
l'orario di lavoro è ridotto o allungato (anche a seconda della professione che 
una persona fa: per esempio l'attività medica o la professione giuridica, o per 
l'impiego statale). Non più 40 ore settimanali, tipicamente dalle 9 alle 18 dal 
lunedì al venerdì ma sono "spalmati" su turni e fasce giornalieri che 
comprendono sì turni di riposo ma non sempre coincidono con (il sabato e) la 
domenica e con gli orari notturni.  
"Tradizionalmente, gli abitanti di una città lavorano anche entro le sue 
mura. <<popolazione diurna e popolazione notturna>> (gli abitanti e la forza 
lavoro) coincidevano spazialmente e sociologicamente in larghissima misura.” 
(Martinotti, 1993., pg 143) 
"Il tempo di cui si dispone non è mai sufficiente, poichè non è possibile far 
rientrare nel proprio ruolo funzionale [...] l'infinita gamma di possibilità, di 
attività, di offerte e di richieste che sono teoricamente disponibili e accessibili in 
una società altamente differenziata. L'attività umana si suddivide in diversi 
ambiti parziali, in spezzoni di tempo qualitativamente diversi e separati,
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assegnati secondo quote adeguate ai diversi sottoinsiemi di cui l'individuo fa 
parte [...]" (Colleoni, 2004, pag 61) 
Allora i tempi di lavoro influenzano i tempi di riposo/ricreativi e di sonno. 
Succede quindi che anche le attività nella città vengono influenzate, come si 
diceva in apertura, dai tempi sociali: gli esercizi commerciali, ad esempio, 
aprono prima delle attività tipiche della società dei servizi e chiudono in orari 
serali, e si adattano ai tempi di questi attori che usano la città per lavoro/studio, 
ma anche per ricreazione.  
Cosa cambia? La gente lavora di notte, esercizii aperti di notte, notte 
bianca, mezzi e servizi ad uso di chi fa lavoro atipico. Ne usufruiscono anche le 
persone che usano la città di notte per ricreazione, occupando piazze (quando 
il tempo lo permette) e locali, cinema aperti anche fino a tarda notte, e attività 
culturali che vengono incontro a questi "nuovi bisogni". 
"Ogni città presenta  un ritmo di vita particolarmente articolato e dettato 
dalle ondate di popolazione che la raggiungono, vi sostano e ne dipartono in 
vari momenti della giornata." (Nuvolati, 2002, pag 64) 
 
Cittadini che si muovono, usano lo spazio in modi differenti.  
"L'immagine della città che ne deriva è quella di un luogo di incontro di più 
popolazioni [sociali] che in momenti diversi della giornata si incrociano, si 
scambiano servizi, ma anche si scontrano ed entrano in conflitto, seppur in 
senso metaforico, nel controllo di risorse non infinite." (Nuvolati, 2002, pag 65). 
L'espansione della città è dato da un aumento della popolazione che usa la città 
per lavoro e trova comodo (forse per evitare spostamenti da pendolarismo 
assai lunghi, che vanno oltre l'ora) stabilirsi in quel luogo. La città tende ad 
allargarsi e così le persone devono spostarsi dentro la città. La distanza centro-
periferia arriva a toccare i 40 minuti con i mezzi sotterranei, in una città come 
Milano. 
"In Italia il pendolarismo ha seguito l'evoluzione dei modelli di 
localizzazione delle attività economiche - dai processi migratori si è passati ad 
un aumento del pendolarismo, sia in termini quantitativi (disponibiltà ad 
accettare spostamenti quotidiani anche di raggio medio-lungo pur di continuare
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a risiedere nelle zone di origine) che qualitative (incremento del mezzo privato 
per rispondere ai nuovi bisogni di mobilità policentrica. Questo trend in 
direzione del decentramento ha visto aumentare negli anni ottanta le scelte 
residenziali dettate  da un livello più elevato e diffuso di benessere, dalla ricerca 
di abitazioni sempre più ampie e collocate in contesti di qualità [...]. Il 
pendolarismo è aumentato e soprattutto ha interessato forme di mobilità non 
necessariamente legate al lavoro ma anche al consumo [...] Sono i comuni 
centrali o della prima fascia delle aree metropolitane ad attirare più popolazione 
pendolare determinando una sostanziale differenza tra la popolazione diurna e 
quella notturna". (Nuvolati, 2002, pag 55-56) 
Da pendolari, l'esperienza spaziale è fatta attraverso il mezzo di trasporto. 
In questi casi l'uso del tempo libero e, di conseguenza, di quello dedicato al 
sonno si restringono. La vita feriale è vista come "boulot, metro, dodo" come si 
usava dire nella Parigi modello metropolitano di prima generazione. Vengono 
trasformati i luoghi per via delle costruzioni di metro, ferrovie, freeways, tunnel, 
ponti sottopassaggi, per favorire lo spostamento delle persone. Questi condotti 
sono vie a doppio senso e permettono tanto l'accesso alla città quanto un flusso 
in senso contrario, per permettere il rientro a casa ma anche "la via di fuga" 
dalla città nei periodi di ferie.  
 
Il tempo speso per spostarsi dal luogo in cui si vive al luogo in cui si lavora 
(o in cui si decide di passare il proprio tempo libero) deve essere occupato in 
qualche modo. Ad esempio sui treni e metropolitane si ascolta musica in cuffia, 
si leggono libri, si chiacchiera col vicino di sedile, ci si pota avanti col lavoro da 
finire a casa,  si recupera qualche minuto di sonno, si usano computer e 
cellulari si legge il giornale.  
Proprio tramite il giornale, questo ci si informa delle attività della propria città e/o 
di quelle in cui ci si sta recando. l'esperienza è preventiva e indiretta. 
"Il consumo del tempo durante gli spostamenti è sempre meno rivolto alla 
conversazione e allo scambio e sempre più impiegato in attività solitarie [...] uso 
di strumentazioni tecnologicamente avanzate che consentono, piuttosto, forme 
di isolamento o di comunicazione con l'esterno. [Inoltre], i tempi di vita del
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pendolare, fondamentalmente cadenzati rispetto agli orari dei servizi di 
trasporto pubblico, sono fatti di brusche accelerazioni e lunghi momenti di 
attesa." (Nuvolati, 2002, pag 89) 
 
Quando si viaggia come fanno i pendolari, si cerca di ottimizzare il tempo 
dedicato allo spostamento dal punto di arrivo del mezzo all'ulteriore punto di 
arrivo in città. perchè bisogna recuperare tempo. bisogna impiegare meno 
tempo possibile per avere più tempo libero.  
"Più una realtà urbana diventa complessa  e più il tempo assume una 
funzione regolativa, imprescindibile." (Simmel, in Nuvolati, 2002, pag 74). 
I residenti a differenza dei pendolari hanno ritmi diversi, poichè hanno più 
tempo libero a disposizione, o meglio hanno lo stesso tempo libero a 
disposizione ma il modo in cui viene usato cambia. Infatti il residente, una volta 
terminato l'orario di lavoro, può dedicare il tempo a disposizione per attività 
ricreative sportive, o commerciali, o culturali, ricreative insieme alla famiglia, 
cenare ad un orario non troppo tardi e avere a disposizione una buona 
manciata di ore da dedicare al riposo. Anche il pendolare può occupare il suo 
tempo libero allo stesso modo, solo che dovrà aggiungere a questo un tempo 
per gli spostamenti lavoro-casa maggiorato rispetto a quello del residente, e/o 
dovrà rinunciare a qualche ora di sonno. Inoltre le attività di servizio (fare la 
spesa, pagare le bollette ecc..) o anche solo spendere del tempo insieme alla 
propria famiglia, sono rimandate al sabato. 
"Nel muoversi in città all'abitante è concessa qualche possibilità in più di 
distrarsi, di improvvisare, di abbandonarsi ai ricordi del passato; mentre il 
pendolare, il city user, l'uomo d'affari, seppur a livelli differenti, non possono 
distrarsi. Ogni errore - perdere un treno, l'aereo, smarrire un indirizzo, varcare 
zone off-limits - può determinare un drastico e problematico iter riorganizzativo 
della giornata di lavoro o generare situazioni di rischio imprevisto." (Nuvolati, 
2002, pag 91)  
Chi ha una conoscenza del luogo di "arrivo" ancora più distorta e limitata 
sono quelli che Martinotti chiama i businessmen, ovvero persone che si 
spostano da una città ad un'altra, senza mai visitare davvero la città. Questi si
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fermano in città per un periodo relativamente breve, uno o due giorni, per affari, 
riunioni, consigli di amministrazioni, conferenze, dibattiti ecc... Non visitano la 
città di giorno, il loro tempo di permanenza non glielo permette. La loro 
conoscenza della città è limitata alle ore serali. Anche per questa categoria di 
persone, così occupata, la città va incontro a cambiamenti. Ecco che laddove 
esiste l'aeroporto si costruiscono grandi centri ospitanti alberghi, commercio di 
vario genere, sale conferenze, ecc.  
"E’ una popolazione composta di individui che dispongono, in proprio o più 
spesso per conto delle organizzazioni che li inviano, di significative quantità di 
risorse monetarie e che richiedono servizi di livello elevato, spesso nell'area 
delle attività ricreative e culturali che sempre più sono abbinate al viaggio 
d'affari [...] Questa popolazione metropolitana si muove su piste specializzate 
con alberghi, ristoranti, night club e teatri spesso appartenenti ad una 
medesima <<catena>> o marchio rintracciabile in più città." (Martinotti, 1993, pg 
151). 
"L'esperienza in città da parte del businessman si sviluppa attraverso una 
serie più completa di azioni (shopping, uscite a cena con i colleghi, visite a 
mostre, pernottamenti in albergo) che segnano in maniera netta il distacco dalle 
consuetudini. [Qui] ci si trova di fronte a situazioni intermedie tra spostamenti 
per lavoro e viaggi veri e propri, nel senso che la loro esperienza presenta tanto 
parte routinaria, quanto una parte emozionale che richiama i caratteri 
dell'avventura ed è in parte favorita dalla aumentata quota di anonimato 
derivante dall'essere di passaggio in un paese straniero." (Nuvolati, 2002, pag 
107 
La conoscenza del luogo di arrivo che ha lo city user è legata alle attività 
commerciali e ludico-ricreative-culturali. Per questa popolazione non esiste la 
città ma solo le sue funzioni. Questa ottimizzerà il suo tracciato in modo da 
poter concentrare tutte le attività di suo interesse nel minor tempo possibile. 
"I city users non solo diversificano le traiettorie e gli orari degli spostamenti 
verso e all'interno della città di destinazione, ma si spostano anche verso unità 
urbane differenti. [...] L'esperienza urbana presenta anche i caratteri
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dell'avventura e dell'imprevisto ricercato o quantomeno atteso". (Nuvolati, 2002, 
pag 100 e 102) 
Osservando queste teorie da un altro punto di vista si può dire che le 
biografie individuali possono essere rappresentate come traiettorie di vita 
spazio-temporali con le routine quotidiane del movimento e con gli spostamenti 
più importanti nell'arco della propria vita. Così ogni classe di traiettoria definisce 
una popolazione "con proprie caratteristiche sociodemografiche e specifici stili 
di mobilità spaziale e di riproduzione. La forma di queste traiettorie è data dalle 
diverse combinazioni di opzioni spazio-temporali e dalla maggiore o minore 
facilità do attraversamento di confini, barriere nello spazio-tempo, prodotti 
invisibili seppure reali dell'esperienza umana" (Hagerstrand, 1975a, pag 7) 
La conoscenza di una città avviene, quindi, per modi indiretti (attraverso i 
media) o diretti. Ma conoscere una città vuol dire avere memoria, saper 
riconoscere palazzi, piazze, vie, limiti. In una città in trasformazione spesso 
capita che il vecchio lascia posto al nuovo. in questo modo si perde quel senso 
di appartenenza, il riconoscersi in quella data via, o in quel tal palazzo o in 
quella piazza; si perde anche il senso dell'orientamento (pratiche di 
ritrovamento dei segnali di identificazione culturale e territoriale) perchè non 
possiamo più fare affidamento alle nostre mappe mentali così come ce le siamo 
create nel tempo; si perde anche il senso del tempo: nella città in 
trasformazione, tutto è nuovo, e con la globalizzazione tutto è simile, tutte le 
città tendono ad assomigliarsi. questo fenomeno dello sviluppo e del 
cambiamento avviene in modo più rapido in in una metropoli rispetto a quelli  
della provincia.  
"Gli spazi pubblici tradizionali perdono i significati che li hanno 
caratterizzati per lungo tempo - e vengono spesso sostituiti da spazi anonimi." 
(Nuvolati 2002, pag 139). 
I livelli di identificazione con il comune di residenza stanno alla base di 
pratiche differenziate di utilizzo dei servizi locali. 
 
Il pendolare conosce sostanzialmente tre luoghi: quello di residenza, 
quello durante lo spostamento e quello di arrivo. Ma mentre per quello di
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residenza la sua conoscenza è totale, per gli altri due luoghi l'attore ha una 
percezione del luogo parziale. 
Questa, infatti, è data semplicemente dal paesaggio che gli scorre di 
fianco lungo il tragitto, e dalle strade che percorre per recarsi alla sua meta. Ma 
se i pendolari che hanno un radicamento profondo con il proprio territorio 
tenderanno a sfruttarne in pieno le potenzialità, il pendolare "estromesso" 
ovvero quello costretto a lasciare la città per via della gentryfication 
(estromissione dal centro dei ceti più deboli della scala sociale a vantaggio 
della borghesia) tenderà a considerare il luogo di estromissione come un 
riferimento  ancora valido per una serie di attività. Per questi il nuovo posto di 
residenza si rispecchia però in una città-dormitorio. Mentre il primo tipo di 
pendolare avrà nei confronti della città di destinazione un atteggiamento 
distaccato con il territorio. (Nuvolati, 2002) 
C'è un'ultima popolazione che non è stata ancora citata ed è quella dei 
nuovi flaneurs o bighelloni, che insieme ad artisti, ricercatori, intellettuali, ed una 
certa categoria di turisti, sono soggetti privilegiati che hanno la possibilità di 
trascorrere periodi più o meno lunghi in città diverse da quella di residenza per 
svolgere studi, ricerche, esercitare una professione, sviluppare contatti con la 
realtà locale. Nel loro approccio alla città che li ospita seguono traiettorie più 
defilate rispetto agli standard delle altre popolazioni. Preferisce perdersi nelle 
strade della città per vederla da un altro punto di vista. 
 
In questo senso possiamo analizzare brevemente il tipo di attività svolte 
all'interno della città dall'attore urbano. 
Le attività svolte negli spazi all'aperto non sono sempre legati a fattori 
temporali in senso lato. Queste attività sono di tre tipologie: necessarie, 
volontarie e sociali.  
Quelle necessarie si caratterizzano per il loro uso quotidiano, come l'andare a 
scuola o al lavoro, aspettare l'autobus, sbrigare commissioni, lo spostarsi a 
piedi. In questo caso il contesto ambientale influisce minimamente sul loro 
svolgimento.