6 
pone però il problema di come vada utilizzata. I programmi che 
dichiarano di volerla promuovere allo scopo di garantire la sicurezza 
mondiale, hanno la caratteristica di legarla alla liberalizzazione dei 
mercati. Più mercato libero uguale più democrazia, così si 
liberalizzano i mercati e si globalizzano i capitali.  
La democrazia però è anche un fine. Dopo la fine della Guerra 
Fredda è stata ritenuta il migliore modello a cui si possa aspirare. I 
problemi che vengono così alla luce sono: la democrazia è davvero 
considerabile un fine? Oppure si deve accettare che la storia non abbia 
uno scopo e non esistano delle leggi ineluttabili che vanno nella 
direzione di un costante miglioramento umano e che dunque anche la 
democrazia non possa essere un fine in sé? La promozione della 
democrazia è una politica ormai consolidata, ma i quesiti che ci siamo 
posti ci conducono fino a inserire la democratizzazione all’interno di 
un movimento più generale di mondializzazione e globalizzazione. 
Alcuni si sono spinti fino a chiamare questo atteggiamento degli Stati 
Uniti - ma più in generale dell’Occidente - “un vizio oscuro”2. Noi 
qui ci chiediamo soprattutto se queste politiche siano efficaci o se si 
debba fare uno sforzo ulteriore per separare la sicurezza 
dell’Occidente dal concetto di democrazia e concepire che le 
istituzioni che la caratterizzano possano combinarsi con fattori diversi 
da quelli intervenuti nella storia occidentale, facendo nascere modelli 
misti e alternativi.  
Quella che segue è la mappa della libertà pubblicata nel 2005 
dalla Freedom House.  
 
 
 
                                                
2
 FINI M., Il vizio oscuro dell’Occidente: Manifesto dell’antimodernità, I Grilli Marsilio, 
2002. 
 7 
 
 
Rosso = Non libero 
Giallo = Parzialmente libero 
Blu = Libero 
Grigio = Dati non disponibili 
 
La percentuale dei paesi classificati come liberi è dell’ 46%. Il dato 
può essere compreso meglio se si considera il trend globale della 
democratizzazione. 
 
Anni presi in  
considerazione 
Paesi 
liberi  
Paesi  
parzialmente 
liberi 
Paesi non 
liberi 
1975 41 (27%) 48 (32%) 63 (41%) 
1985 53 (32%) 59 (35%) 55 (33%) 
1995 76 (40%) 61 (32%) 54 (28%) 
2005 89 (46%) 54 (28%) 49 (26%) 
Fonte: Freedom House, 2005 
 
La terza ondata ha portato con sé una grande formazione di istituzioni 
democratiche. Costituzionalismo e parlamentarismo hanno 
caratterizzato la vita politica di Africa, America Latina e Asia3. Il 
                                                
3
 PARRY G., MICHAEL M., Democracy and Democratization, Routledge, 1994, pag. 2.  
 8 
Medio Oriente è stato escluso da molti studi comparativi e sono state 
numerose le affermazioni circa un suo presunto eccezionalismo, con 
cui si fa riferimento ad una particolare resistenza al trend democratico. 
Nella maggior parte dei casi la mancanza di democrazia nell’area è 
stata ricondotta al fattore religioso, sollevando così il problema della 
compatibilità tra Islam e democrazia. Questo non è un problema da 
poco se si considera che il Medio Oriente è oggi al centro della 
politica statunitense di promozione della democrazia.  
Quello che è risultato dalla mia ricerca condotta nell’Istituto 
degli Studi Mediorientali di Durham, è stato che nei paesi musulmani, 
così come negli altri paesi in via di sviluppo, si trovano istituzioni 
democratiche quali costituzioni e parlamenti. Il problema è capire 
come questi funzionino e come interagiscano all’interno di un 
contesto con delle caratteristiche diverse da quelle presenti in 
Occidente dove è avvenuta la prima democratizzazione. Il Medio 
Oriente ci appare in continua tensione nel tentativo di trovare una 
conciliazione tra la modernità e un governo etico. Dopo  il periodo di 
colonizzazione, questi paesi si sono trovati spesso dipendenti 
dall’Occidente economicamente e culturalmente. La modernizzazione, 
la democratizzazione e la globalizzazione sono fenomeni a cui anche 
questi paesi non si sono potuti sottrarre4. All’interno dei paesi 
musulmani troviamo una gamma davvero ampia di strutture politiche 
impiegate: monarchie, monarchie costituzionali, dittature, democrazie 
secolari, repubbliche islamiche, eppure tutti questi paesi presentano la 
necessità di fare i conti con l’Islam politico e il suo ruolo crescente 
nella sfera pubblica mediorientale. Da quando il Mondo Musulmano è 
diventato libero dalla dominazione coloniale all’inizio della seconda 
metà del XX secolo si è dovuto scontrare con due problemi 
                                                
4
 MUQTEDAR KHAN M.A., Islamic Democratic Discourse: Theory, Debates, and 
Philosophical Perspectives, Lexington Books, 2006, pag. 12.  
 9 
fondamentali. Il primo problema è dipeso dal modo in cui loro 
avrebbero dovuto governare se stessi, il secondo è stato la 
conseguenza dell’impatto della modernità con la loro vita e la loro 
cultura. Questo impatto aveva già mostrato i suoi effetti durante gli 
anni di dominazione europea. Le strutture di governo tradizionali che 
caratterizzavano questo mondo, non sembravano adatte a negoziare 
con i nuovi dominatori. Divenire indipendente ha costretto il mondo 
musulmano ad affrontare una crisi riguardante la scelta della migliore 
forma di governo alla luce di un confronto con l’Occidente. Il tema 
ricorrente a questo punto non può non essere quello del rapporto tra la 
tradizione (Islam e cultura musulmana) e la modernità (democrazia). Il 
sondaggio del 1997 condotto da Al-Suwaidi e più di recente quello 
condotto da Siraj Mufti, hanno riscontrato una propensione della 
popolazione a auspicare dei cambianti politici nei loro paesi che si 
muovano verso una maggiore partecipazione politica. A parte le ali 
più radicali dell’islamismo che rigettano ogni forma di democrazia per 
una concezione - peraltro poco definita e nebulosa - di stato islamico, 
oggi il desiderio di democrazia aumenta all’interno di questi paesi. Il 
vero problema rimane dunque quale ruolo possa avere l’Islam 
all’interno della sfera pubblica musulmana. Non sembra che nel 
mondo musulmano si sia raggiunto un accordo su questo. I più 
secolari dichiarano di avere paura che l’Islam politico possa avere uno 
spazio importante all’interno della democrazia. La presenza dell’Islam 
potrebbe ostacolare la soluzione dei problemi fondamentali quali il 
ruolo delle donne e delle minoranze etniche. Altri affermano come 
l’Islam possa avere molto di buono da offrire nella sfera pubblica. 
Azizah al-Hibri nel suo libro “Islamic Constitutionalism and the 
Concept of Democracy” arriva alla conclusione che la Sharia   è 
totalmente compatibile con un governo democratico e nella sua 
 10 
struttura risulta simile alla Costituzione americana perché come questa 
può essere applicata con il consenso del popolo5. Mernissi, invece, 
descrive il rapporto tra Islam e democrazia come un conflitto legale 
per eccellenza6. Contrappone la legge musulmana alla legge 
dell’Occidente rappresentata dalla Carta della Nazioni Unite e 
descrive efficacemente il gap che è al centro del nostro tema:  
 
la maggior parte degli stati musulmani ha firmato [la 
Carta della Nazioni Unite] e si ritrova così governata da 
due leggi contraddittorie. Una legge garantisce ai cittadini 
libertà di pensiero, mentre la Sharia, nella sua 
interpretazione ufficiale basata sulla ta’a (obbedienza), la 
condanna. […] Per molta gente, la Carta è come il mostro 
Haguza della mia infanzia: ne senti parlare, ma nessuno 
l’ha mai vista. È arrivata misteriosamente sulle nostre coste 
ripiegata nelle valigette dei diplomatici e, come la 
cortigiana di un harem, non è mai riuscita ad uscire. Con 
l’età e la reclusione è diventata, come Haguza, sempre più 
terrificante a causa della sua invisibilità.7 
 
Il problema del rapporto tra la modernità e le pratiche tradizionali 
musulmane è innegabile e non si presta ad una facile soluzione. Il 
rapporto tra le istituzioni democratiche e la democrazia, ci induce a 
chiederci quali elementi entrino a fare parte del processo, dando vita 
allo stacco  descritto dalla Mernissi.  
La storia del Kuwait può esserci utile a proposito. In questo 
paese c’è un dibattito democratico che è vivo da diversi anni e che 
proprio di recente ha sperimentato una grande apertura nella 
partecipazione politica: il voto alle donne. Il quesito è dunque se si 
possa riscontrare in Kuwait la possibilità di un modello originale di 
democrazia. Si è deciso anche di dedicare una parte di questo lavoro al 
caso degli Emirati Arabi Uniti che non si sono mai mossi verso un 
                                                
5
 MUQTEDAR KHAN M.A, op.cit., pag. 14. 
6
 MERNISSI F. , op.cit. pag. 83. 
7
 Ibidem. 
 11 
processo di democratizzazione, al fine di analizzare quali siano i 
fattori di così tanta stabilità e quali gli eventuali elementi 
destabilizzanti. Si tratta di un paese ricco, che sta attraversando un 
boom economico, ma che resta autoritario e tradizionalista nella 
struttura politica.  
Questi gli indici della Freedom House 2005 per questi due 
paesi.  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Vorrei chiudere questa introduzione citando un brano di Mernissi che  
a mio avviso dovrebbe accompagnare il lettore nella lettura di questo 
lavoro: 
 
Il mondo arabo sta per spiccare il volo […] Sta per 
decollare per la semplice ragione che chiunque, primi tra 
tutti i fondamentalisti, vuole il cambiamento. Il fatto che 
loro propongano di andare avanti tornando indietro non 
altera il fatto che desiderano fortemente il cambiamento. 
In questa parte del mondo c’è un forte desiderio di andare 
altrove, di una migrazione collettiva verso un altro 
presente. Gli stranieri non lo avvertono, ma ogni mattina 
mi sveglio con la radio nelle orecchie e penso: tutto può 
succedere, forse tutto cambierà da un momento all’altro.8 
 
                                                
8
 MERNISSI F., op.cit, pag. 177. 
Paese Libertà 
politica 
Libertà 
economica 
Libertà di 
stampa 
Emirati 
Arabi Uniti  
Non 
libero 
Essenzialmente 
libero 
Situazione 
difficile 
Kuwait Parzialmente 
libero 
Essenzialmente 
libero 
Problemi 
riscontrati 
 12 
 
 
 
 
 
 
PARTE I – ANALISI GENERALE DEL PROCESSO DI 
DEMOCRATIZZAZIONE NEL MONDO 
MUSULMANO 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 13 
I Capitolo – Democrazia e Democratizzazione – 
Definizioni e approcci 
 
“Non è stemperando nell’uniformità tutte le caratteristiche individuali, ma coltivandole e 
facendo appello ad esse contro i limiti imposti dai diritti e dagli interessi altrui che gli uomini 
diventano oggetti nobili e belli da contemplare”. 
J. S. Mill  
 
1) Cos’è una democrazia – definizioni 
 
Il concetto di democrazia è stato dibattuto da oltre 25 secoli e ancora 
gli studiosi politologi continuano a scrivere al riguardo. La storia dal 
secondo dopoguerra a oggi non fa certo passare la voglia di 
occuparsene. Questo perché uno dei fenomeni che ha caratterizzato 
numerosi paesi (essenzialmente quelli in via di sviluppo nel fenomeno 
chiamato da Huntington la terza ondata) è stato quello della 
democratizzazione.  
    Certo è che un lavoro che ha l’obiettivo di dire alcune cose 
sulla democratizzazione in un’area del mondo che per tanto tempo è 
stata digiuna di democrazia e che è stata tagliata fuori dalla maggior 
parte degli studi comparati, non può prescindere dall’esporre almeno 
le definizioni di democrazia che hanno riscontrato maggiore consenso 
tra gli studiosi. Il quadro non pretende di essere esaustivo anche 
perché, per quanto le definizioni di cui si parlerà abbiano riscosso un 
notevole successo, si tratta pur sempre di definizioni di un concetto 
fortemente contestabile, fatto di valori che, anche quando raggiungono 
un grande grado di universalità, rimangono mutabili.  
Spiegare il processo di democratizzazione in aree diverse 
dall’Occidente e caratterizzate da culture profondamente diverse ci 
impone di accettare che certe definizioni possano cambiare. A tale 
proposito Whitehead spiega che: 
 14 
Any definition of democracy will remain in this sense 
essentially contestable, precisely because all worthwhile 
conceptions of democracy must incorporate a cognitive 
capacity to challenge reigning orthodoxies […] No 
unitary definition can be incontestable or universally 
applicable without regard to context.9 
 
Ciò nonostante “definire la democrazia è importante perchè stabilisce 
cosa ci aspettiamo dalla democrazia”, scriveva Sartori10. Infatti, cosa 
ci aspettiamo dalla democrazia? O ancora meglio, cosa ci aspettiamo 
dalla democrazia quando ne parliamo in riferimento ad un’area del 
mondo fuori dall’Occidente in cui lo stesso concetto di democrazia è 
nata? A questa domanda cercheremo una risposta nel capitolo 
seguente. Per ora, partiamo col precisare alcune cose che possono 
aiutarci a chiarire le idee e possono sgomberare il campo da dubbi e 
imprecisioni. 
Democrazia è il potere del popolo, almeno letteralmente. Si 
tratta di una parola composta da due vocaboli greci: demos (popolo) e 
kratos (potere). Presto fatto, se non fosse che la definizione letterale ci 
rimanda indietro una serie di quesiti che, ovviamente, sono tutt’altro 
che di facile soluzione.  
Iniziamo dal demos, il popolo, vocabolo di cui già nell’antica 
Grecia - dove è nato - se ne davano diverse interpretazioni . Il demos 
poteva essere riferito all’intero corpo di cittadini, ai molti, ai più, 
oppure alla folla. Quando poi lo stesso vocabolo arriva ai romani che 
lo rendono in latino con la parola populus ecco che tutto si complica 
ulteriormente e il populus diventa in parte un concetto giuridico in 
parte una entità organica. Sartori elenca sei possibili interpretazioni 
del vocabolo: 1) popolo come letteralmente tutti; 2) popolo come 
                                                
9
 WHITEHEAD L., Democratisation theory and experience, Oxford University Press, 
2002, pag. 19 – 25. 
10
 SARTORI G., Democrazia cosa è, Rizzoli 1993, pag 11. 
 15 
pluralità approssimativa: un maggior numero, i più; 3) popolo come 
populace, classi inferiori, proletariato; 4) popolo come totalità 
organica e indivisibile; 5) popolo come principio maggioritario 
assoluto; 6) popolo come principio maggioritario temperato11.  
Il demos è poi una entità non immutabile, che risente dei tempi 
e delle caratteristiche delle varie ere. Qualunque interpretazione si 
voglia preferire è innegabile che il demos delle polis greche del V 
secolo a.C. non esiste più. Il demos prima della polis, poi dei comuni, 
poi del terzo e quarto stato nella rivoluzione del 1789, non esiste più. 
Trasformazioni di scala e di velocità del mutamento storico ci 
costringono oggi a parlare di massa.  
La questione legata al demos attiva poi un altro ordine di 
problemi legati al principio secondo cui “il popolo decide”. Si parla di 
principio maggioritario ma Sartori avverte:  
 
Alla stregua di quel principio il popolo diventa, al limite, un 
51 per cento che cancella il 49 per cento e per di più un 51% 
immobilizzato, prigioniero della sua prima scelta12.  
 
Con questo Sartori mette in luce tutta l’inadeguatezza della 
definizione etimologica di democrazia, un trabocchetto terminologico 
che ci spinge a spiegare la parola senza preoccuparci effettivamente 
della cosa. Il problema è come fare a limitare in democrazia il potere 
di chi, essendo in democrazia, ha tutto il diritto di esercitarlo. Si può 
fare, ma a patto di uscire fuori dall’ambito dell’etimologia. 
La questione letterale si complica poi ulteriormente quando al 
demos affianchiamo l’ altro concetto, il kratos. Il potere di cui il 
popolo è titolare. Il problema però, non sembra essere tanto la 
titolarità, ma piuttosto l’esercizio di questo potere. Anzi, il problema 
                                                
11
 SARTORI G., op.cit., pag. 20. 
12
 SARTORI G., op.cit., pag. 24. 
 16 
in parole ancora più semplici è: noi chiamiamo democrazie i nostri 
sistemi moderni funzionanti secondo regole maggioritarie che 
consegnano il mandato di governare a chi ottiene più voti. Questo 
meccanismo funziona attraverso il sistema elettorale e il principio 
della trasmissione rappresentativa del potere. Dunque le nostre sono 
democrazie in cui chi esercita il potere non è propriamente il popolo, 
ma una porzione di esso. Insomma, come dice Sartori “ la definizione 
letterale risolve i problemi ignorandoli”13.  
Con questo non si vuole dire che il termine non ha nessuna altra 
funzione se non quella di indurci in errore. Sartori è convinto che, pur 
essendo fuorviante nel tentativo di descrivere una democrazia, il 
termine è utile a livello normativo. Insomma, i livelli sono due: uno 
normativo e uno descrittivo. Questo fa nascere la necessità di una 
definizione per ciò che dovrebbe essere e di un’altra per ciò che è. 
Sartori definisce una democrazia :  
 
un sistema etico-politico nel quale l’influenza della 
maggioranza è affidata al potere di minoranze 
concorrenti che l’assicurano attraverso il meccanismo 
elettorale14. 
 
Ancora una definizione:  
 
È democratico il meccanismo che genera una poliarchia 
aperta la cui competizione nel mercato elettorale 
attribuisce potere al popolo e specificatamente impone la 
responsività degli eletti nei confronti dei loro elettori. 
 
Per Sartori si tratta dunque di mettere in luce il dato di apertura delle 
poliarchie (così come Dahl chiama le liberal-democrazie), cioè la loro 
competitività e il loro pluralismo.  Altra parola chiave è responsività, 
                                                
13
  SARTORI G., op.cit., pag. 20. 
14
  MORLINO L., Democrazie e Democratizzazioni, Il Mulino Saggi, 2003, pag. 19. 
 17 
che è la capacità dei governanti di rispondere alle domande dei 
governati.  Questi concetti che sono essenziali per una definizione 
normativa, sono di difficile utilizzo secondo Morlino se lo scopo è 
quello di fare ricerca empirica nell’ambito delle democrazie15, per 
capirne transizioni ed instaurazioni.  
A questo fine è importante dare una definizione minima. Per 
definizione minima se ne intende una capace di dare conto di pochi 
aspetti che definiscano la soglia tra ciò che è democratico e ciò che 
non lo è. Una definizione di questo tipo è stata formulata da 
Schumpeter:  
 
il metodo democratico è quell’assetto istituzionale per 
arrivare a decisioni politiche nel quale alcune persone 
acquistano il potere di decidere mediante una lotta 
competitiva per il voto popolare.   
 
La democrazia è dunque un metodo politico, un meccanismo per 
scegliere la leadership politica. I cittadini sono chiamati a scegliere tra 
diversi candidati in competizione tra di loro. Vincere le elezioni dà ai 
governanti il diritto di prendere le decisione per conto dei cittadini che 
possono decidere di disfarsi dei cattivi governanti alle elezioni 
successive. La democrazia è dunque la possibilità di scegliere i propri 
governanti attraverso le elezioni.  
 Fondamentale è stato poi il contributo di Dahl. Nella sua 
definizione:  
 
 sono democrazie tutti i regimi contraddistinti dalla 
garanzia reale di partecipazione politica più ampia della 
popolazione maschile e femminile e dalla possibilità di 
dissenso e opposizione.   
                                                
15
 MORLINO L., op.cit.pag.20. 
 18 
 Una definizione semplice ed essenziale che mette in risalto 
soprattutto la partecipazione e il dissenso. Dahl individua gli elementi 
essenziali perchè questa partecipazione al voto abbia come effetto il 
fatto che i governanti debbano decidere in base a ciò che i cittadini 
preferiscono. Questo richiede che i cittadini abbiano la possibilità di 
1) formulare le loro preferenze; 2) manifestare quali sono queste 
preferenze ai governanti attraverso un’ azione individuale o collettiva; 
3) queste preferenze devono pesare tutte allo stesso modo nella 
conduzione del governo. Queste condizioni dipendono a loro volta 
dalle seguenti garanzie istituzionali:  
1. libertà di costituire e partecipare ad associazioni 
2. libertà di espressione 
3. diritto di votare 
4. eleggibilità delle cariche pubbliche 
5. diritto dei leader politici di competere tra loro per avere 
voti 
6. fonti alternative di informazione 
7. elezioni libere e regolari 
8. istituzioni che rendano le politiche del governo 
dipendenti dal voto e altre forme per l’espressione delle 
preferenze. 
 
Quando queste condizioni sono soddisfatte, possiamo dire di avere 
una democrazia. È lo stesso Dahl a notare che non esistono paesi dove 
tutte queste condizioni sono soddisfatte. Per questo preferisce usare il 
termine poliarchie per sistemi esistenti e lasciare il termine 
democrazie per un ideal tipo. Sorensen sottolinea come queste otto 
condizioni coprano tre dimensioni: competizione, partecipazione e 
libertà civili e sociali. In questo senso possiamo indicare la 
 19 
democrazia come: 1) una significativa ed estesa competizione tra 
individui e gruppi organizzati in gara per tutte le posizioni governative 
a intervalli regolari e senza l’uso della forza; 2) un alto e inclusivo 
livello di partecipazione politica alle elezioni per la selezione dei 
leader almeno attraverso elezioni libere e regolari in modo che gli 
adulti non siano esclusi; 3) un livello di libertà civili e sociali (di 
stampa, di espressione, di associazione) sufficiente a garantire 
l’integrità della partecipazione e della competizione politica16.  
 Successivamente Schmitter e Karl aggiungono un altro aspetto 
alla definizione empirica17. L’elemento in questione è la cooperazione. 
In democrazia, insomma, non bisogna solamente competere, ma anche 
collaborare. Si tratta in questo caso di definizioni che hanno la 
caratteristica di partire da istituzioni concrete, al contrario di quelle 
che invece partono da ideali e principi. Definizioni minime e massime. 
Le une si rifanno ad istituzioni concrete le altre a principi ed ideali, ma 
quali sono i principi che fondano la democrazia?  
Ampio consenso potrebbe darsi a principi come libertà e 
uguaglianza.  Qui ritorniamo al contributo di Sartori che parte proprio 
da questo assunto, anche se dopo prenderà una strada diversa fino ad 
arrivare alla definizione normativa di democrazia come “poliarchia 
selettiva” e “poliarchia di  merito”.  
Se è vero che libertà ed eguaglianza devono essere garantiti in 
democrazia è anche vero che non possono esserlo in assenza dei diritti 
individuali e collettivi. Qui torniamo al contributo di Dahl (ma anche 
di altri autori quali Bentham) che si impegna a suggerire principi 
attraverso i quali costruire una realtà istituzionale migliore al fine di 
garantire libertà ed uguaglianza.  
                                                
16
 SORENSEN G., Democracy and Democratization – Processes and Prospects in a 
Changing World, Boulder,West view Press, 1998. 
17
 Cfr. KARL. T. and SCHMITTER P.,  Models of Transition in Latin America, Southern 
and Eastern Europe, in International Social Science Journal, Vol. 43, No. 128, 1991.