Introduzione
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Nei giorni successivi il morbo raggiunse anche le località limitrofe, assieme al terrore e
le credenze che solitamente il male portava con se (Sorcinelli 1986). Nella vicina
località di Sacca, per esempio, il Parroco del paese si rifiutò per ben due volte di portare
il giusto conforto agli ammalati per paura di essere lui stesso contagiato del colera (ASP
1.3).
Oltre alla paura e lo sconforto provocato da un male oscuro che anche la medicina del
tempo non sapeva come affrontare, il morbo arrivato dall’oriente lasciava dietro di se
un numero decisamente alto di morti, più del doppio della norma. In quel particolare
anno a Colorno morirono più di 400 persone, molte dei quali a causa del colera. Lo
scopo di questo lavoro di Tesi è proprio quello di indagare i meccanismi intimi di
questa epidemia, non tanto sulle modalità di trasmissione conosciute ormai da tempo, e
neppure limitarsi alla sola intensità del fenomeno morte, ma concentrarsi piuttosto sul
diverso “rischio” di morire sperimentato da diverse tipologie di individui presenti sul
territorio a quel tempo, su quelle 7.000 persone residenti nell’intero territorio comunale.
Individui contraddistinti da diverse condizioni sociali, economiche e culturali, ma
anche semplicemente biologiche come l’età ed il sesso. La particolare “fortuna” di
questo lavoro è costituita dalla fonte primaria utilizzata, vale a dire il censimento della
popolazione compilato nel marzo-aprile del 1855. Questa fonte ci ha permesso di avere
a disposizione un “denominatore”
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particolarmente preciso sul quale valutare i fenomeni
demografici ed allo stesso tempo ha costituito una fonte preziosa di informazioni a
livello nominativo sul singolo individuo, ma anche sugli stessi nuclei famigliari.
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Negli studi di demografia storica, uno dei principali problemi è proprio quello di avere a disposizione
un denominare sul quale determinare tassi e probabilità relativi ad un determinato fenomeno, questo a
causa della sporadicità e della non continuità di fonti di stato come i censimenti e gli Stati delle Anime
(Livi Bacci 1999).
Inquadramento igienico-sanitario
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Inquadramento igienico-sanitario
Il colera nell’Ottocento, considerazioni medico-popolari
All’arrivo del colera in Italia, ma anche nel resto d’Europa, la concezione che si aveva
di questa, come di altre malattie, era a dir poco stravagante. Medici e scienziati del
tempo credevano che le malattie venissero trasmesse da un individuo all’altro da “corpi”
non ben identificati o, ed era questo il caso delle malattie epidemiche, da “miasmi”
maleodoranti e prodotti della poca igiene; nulla a che vedere con l’agente eziologico
Vibrio cholerae che portava alla morte dopo poco tempo dall’ingestione per veloce
disidratazione dell’organismo. Credenze popolari, come quella che il morbo fosse
trasportata dalle povera gente, si sommavano alla mancanza di una terapia adeguata
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,
paura ed inefficienza creavano gli spaventosi livelli di letalità tipici del colera
ottocentesco.
Oggi si porge molta attenzione ai portatori asintomatici, forse più pericolosi dei malati
di colera conclamato; è noto che vi è un rapporto di 90:1 tra infezioni sub-cliniche e
colera conclamato (Angelini, Guidi, Arietti 2003). Questo significa che in caso di
epidemia vi saranno numerosi individui apparentemente sani che immettono vibrioni
nell’ambiente. In epoca storica, invece, si badava solo ai malati, alla povera gente a chi
poteva in qualche modo spargere miasmi e veleni putrescenti. A rafforzare
maggiormente le paure e le false credenze era la “rappresentazione” del malato di
colera, il coleroso nelle manifestazioni coleriche emetteva vomito e diarrea mista a bile
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e liquidi con fiocchi albuminosi
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, con contorcimento delle viscere e successiva
fuoriuscita di urina. La perdita di liquidi avveniva in modo repentino e portava ben
presto alla morte il malato accompagnato tra l’altro dal tormento della sete. Il colera
uccideva rapidamente, nel giro di poche ore dal contagio e non dava alla vittima
nemmeno il tempo di riconciliarsi con il proprio destino (Evans 1988). Come se non
bastasse, qualcuno se la prendeva con i politici o come successe a Bologna nel 1836
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Le poche terapie presenti al tempo, come ad esempio il tentativo di idratare i malati tramite perfusioni
di liquidi, causavano spesso la morte del paziente stesso a causa di complicazioni e setticemie.
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In greco “colera” significa “flusso di bile”, da qui il nome della malattia.
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Vere e proprie colture di vibrioni.
Inquadramento igienico-sanitario
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molti casi di colera vennero ricondotti a disordini alimentari, intemperanza nelle
bevande alcoliche e a «patemi d’animo» (Sorcinelli 1986, 19).
Origine, diffusione ed arrivo in Europa
Durante l’Ottocento furono sette le pandemie di colera che attraversarono l’Europa, sei
delle quali colpirono più o meno violentemente l’Italia: 1835-1839, 1849, 1854-1855,
1865-1867, 1884-1886, 1893.
La malattia era già conosciuta e descritta da alcuni osservatori già dal XVI secolo, ma
nessuno pensava si potesse spostare dal suo lontano luogo di origine, la foce del Gange.
Invece, attorno all’anno 1817 il morbo cominciò la propria marcia verso l’antico
continente (Tognotti 2000, p 17). Quasi una beffa, infatti, il flagello cominciò a
“viaggiare” verso l’Europa proprio nell’anno di grave carestia causata da un epidemia di
tifo petecchiale (Del Panta 1980), unita all’esplosione del vulcano Tambora in
Indonesia. Tale catastrofe provocò notevoli cambiamenti climatici a livello globale
(Del Vita et. al, 1998) ed unita all’epidemia di tifo portò all’innalzamento della
mortalità in tutto il pianeta.
Probabilmente avvantaggiato dalla grave carestia del biennio 1816-1817 e forse anche
dal generale abbassamento delle difese immunitarie che questa può portare, in poco
tempo cominciò a serpeggiare a nord di Calcutta e facilitato anche dalla presenza di
nuovi mezzi di trasporto, linee ferroviarie installate proprio in quel periodo, e dalla
navigazione a vapore, si propagò, nel giro di pochissimo tempo in tutto l’Oriente,
toccando, attraversando il mare, l’isola di Ceylon e per terra Birmania e Thailandia.
Intanto, alcuni infetti partiti in nave dal porto di Calcutta, portavano il morbo nell’isola
di Mauritius e da li direttamente sulle coste dell’Africa. Agli inizi del 1820 arriva in
Cina e da li si diffonde in tutte le direzioni.
Senza entrare nel dettaglio degli “itinerari” percorsi dal colera nella prima metà del XIX
secolo, dei quali tra l’altro si sono occupati diversi autori (Patterson 1994; Tognotti
2000; Speziale 2002) in alcuni casi anche analizzando realtà decisamente ristrette e in
modo molto dettagliato (Smallman-Raynor, Cliff 2004), arriviamo al primo vero
ingresso nel vecchio continente del “mostro asiatico”.
Inquadramento igienico-sanitario
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Nonostante le numerose speranze dei medici del tempo, fondate sostanzialmente sulle
basse temperature dell’Europa che avrebbero dovuto in qualche modo inibire il morbo
venuto dall’India, il vibrione superò senza difficoltà temperature che scendevano sotto i
20 gradi nella Russia e da qui si propagò fino alla Polonia.
Nell’estate del 1830 il morbo arriva a Vienna e poco dopo tocca la Germania, mentre
nel giro di soli due anni arriva in Inghilterra. Contemporaneamente nel 1832 a Parigi si
registrano i primi casi di Colera, che presto porteranno la metropoli nel pieno di una
tremenda epidemia (Kudlick 1999). Il morbo arriva nelle grandi città europee e qui
trova terreno fertile per il contagio e le città stesse diventano centri di diffusione della
malattia verso le campagne. L’Italia rimane, in questo periodo, isolata dal resto
dell’Europa, protetta dalle Alpi e dal mare si preserva, ancora per poco, dall’arrivo del
colera. I medici dell’epoca, con fare presuntuoso, erano convinti del mancato arrivo del
nuovo morbo in Italia. Chi sosteneva che la presenza della malaria poteva costituire un
impedimento all’arrivo del colera e chi, invece, si dimostrava fiducioso sulle condizioni
igieniche e sanitarie delle città italiane dell’epoca (Tognotti 2000, p 29).
Il colera arriva in Italia
Il colera, si diffonde principalmente tramite l’ingestione di acqua infetta, ma anche di
latte, frutta e verdura contaminata, pertanto trova un ambiente ideale per la
propagazione in assenza di strutture per la distribuzione di acqua pura o nel caso di
contaminazione di quest’ultima con liquidi provenienti da fogne, gabinetti o scarichi.
Le città Italiane, soprattutto in epoca storica, presentavano notevoli carenze nelle reti
idriche e fognarie, ma anche un notevole degrado ambientale e strutturale, pertanto
risultarono colpite in modo pesante dalle diverse ondate coleriche (Sori 1984).
All’inizio dell’estate del 1835 il colera entra in Italia, arrivato dalla vicina Francia si
diffonde velocemente in tutto il nord Italia e solamente l’anno seguente arriva nelle città
Emiliane scendendo verso sud e spingendosi fino ad Ancona.
Per circa sessanta anni il morbo serpeggiò per l’Italia con effetti più o meno pesanti
sulla popolazione, Del Panta schematizza in un quadro riassuntivo, Tabella 1, le varie
ondate di colera che colpirono l’Italia del XIX secolo, (Del Panta 1980).